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Autore: Alley    30/10/2014    2 recensioni
C’è sangue, tanto sangue, sangue che inzuppa la maglia di Dean e sporca le mani di Castiel quando le poggia sul suo petto.
“Non morire.”

[end!verse]
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quinta stagione
- Questa storia fa parte della serie 'This is the end, my only friend, the end'
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Chuck gliel’aveva detto.

Riesci a stento a reggerti in piedi. Non sei in grado di combattere.

Gliel’aveva detto e Castiel sapeva che era la verità, ma aveva preferito stringere i denti e ignorare la testa che gli girava e lo stomaco che minacciava di rigettare tutto ciò che aveva in corpo per unirsi alla squadra in procinto di lasciare l’accampamento e andare incontro ai Croaton. 

Il semplice camminare gli richiedeva uno sforzo insostenibile, ma avrebbe sopportato qualsiasi cosa pur di evitare l’ennesimo sguardo sprezzante di Dean, l’ennesimo rimprovero tagliante atto a ricordagli quanto fosse caduto in basso, quanto debole e ridicolo fosse diventato. Quanto l’avesse deluso.

Ma Chuck aveva ragione.

È l’ultimo pensiero che gli balena nella mente prima che le sue ginocchia cedano e il suo corpo crolli sul suolo impolverato.
 
*
 
Quando apre gli occhi scopre di essere nella propria baracca, disteso sul giaciglio che ospita le orge a cui prende parte ogni sera.

Non ha idea di come ci sia arrivato. L’ultima cosa che ricorda è l’impatto con il terreno, poi è stato solo buio e silenzio ed era confortante, in un certo senso, perché almeno le tempie avevano smesso di pulsargli e i pensieri di pungere come aghi infilati nella testa. Ha ripreso conoscenza da una manciata di secondi e già rimpiange quel limbo d’incoscienza in cui i suoi problemi parevano essersi dissolti.

Si solleva a fatica e raggiunge l’armadietto sgangherato in cui tiene le anfetamine - l’unico rimedio che conosca, l’unica soluzione a cui ricorrere quando è sveglio.

“Se è quella merda che cerchi, non la troverai.”

Castiel ingoia uno sbuffo e apre l’anta. Non c’è niente. "Dean" scandisce. “Dove le hai messe?”

Lo chiede senza voltarsi e lo scopo è sempre quello; rifuggire il biasimo che leggerebbe nei suoi occhi, perché è più di quanto possa sopportare con la testa che è sul punto di scoppiargli e il cuore che gli sbraita nel petto.

”Le ho buttate.”

“Le hai buttate?” ripete Castiel, una rabbia incredula a fargli tremare le dita contro lo sportellino di metallo. “E chi ti ha dato il permesso? Sei la mia balia per caso?”

“Non l’ho fatto per te” replica Dean freddamente. “Non servi a niente se sei strafatto.”

“Chi ti dice che voglia servire a qualcosa?”

“E allora perché cazzo sei rimasto?!”

Non è qualcosa che possa dire a parole, perché ha ancora un pizzico di orgoglio da preservare, ma nemmeno può tacerglielo – non vuole. Dean deve saperlo, deve sapere che la colpa è sua e soltanto sua, che lo è stata fin dal principio e continua ad esserlo.

Si gira e lo guarda, lo guarda e basta, lo guarda come faceva il vecchio Castiel e come lui non ha mai fatto da quando il mondo ha cominciato ad andare in pezzi e loro hanno smesso di essere ciò che sono stati un tempo, e nel momento in cui Dean distoglie lo sguardo Castiel sa che ha letto nei suoi occhi la risposta.

Percepire il rimorso che si fa strada dentro di lui è meno soddisfacente di quanto s’aspettasse.

“La prossima volta che sverrai ti lascerò marcire in mezzo alla strada.”

Castiel lo guarda andar via in completo silenzio.
 
*
 
Castiel non sa da dove sia partito il colpo; sa solo che Dean si è accasciato al suolo e che un istante dopo i Croaton sono saltati fuori, come materializzatisi dal nulla.

Sono in netta superiorità numerica e la cosa più saggia da fare sarebbe scappare, ma Castiel è paralizzato dall’immagine di Dean riverso sull’asfalto, immobile, e la morsa di terrore che lo attanaglia è così forte da mozzargli il fiato. Le sue gambe si muovono e lo fanno a tutta velocità, fermandosi solo dopo averlo raggiunto.

Castiel lo afferra e lo trascina in disparte, lasciandosi la battaglia alle spalle, e ringrazia un Dio a cui non crede più per essere abbastanza forte e lucido da riuscire a soccorrerlo.

Si ferma dietro alla carcassa di un’automobile e si inginocchia al suo fianco, lo solleva piano e sobbalza quando una mina esplode a pochi metri di distanza.

C’è sangue, tanto sangue, sangue che inzuppa la maglia di Dean e sporca le mani di Castiel quando le poggia sul suo petto.

“Non morire.”

È una richiesta stupida e inutile ed è ridicolo il tono implorante con cui la formula ma non gli importa, potrebbe piangere e gridare e supplicare fino a perdere la voce, potrebbe fare qualsiasi cosa in quel momento perché Dean sta morendo e Dean è l’unica cosa che gli sia rimasta.

“Non toccherò più quella roba ma, ti prego, non morire.”

Gli occhi di Dean restano chiusi e il cuore di Castiel si blocca, resta fermo fino a quando una presa non gli avvolge debolmente il polso. Abbassa lo sguardo per assicurarsi di non starla soltanto immaginando, e quando vede le dita di Dean avvinghiate alla stoffa della sua manica rilascia l'aria che non si era accorto d'aver trattenuto.

"Cas" mormora Dean, un sussurro a malapena udibile che si perde tra i rumori dello scontro, e le sue dita stringono più forte, come se lui fosse ancora qualcosa a cui appigliarsi.

Era così tanto tempo che non lo chiamava in quel modo. Così tanto tempo.
 
*
 
“Dimmi che non sei rimasto qui tutta la notte.”

Castiel trasalisce e si solleva, poggiandosi contro lo schienale della sedia. L’intento era quello di aspettare che Dean riprendesse conoscenza, ma alla fine la stanchezza deve aver preso il sopravvento. “Va bene: non te lo dirò.”

“Sei un coglione.”

“Anch’io sono felice di vederti.”

Dean si guarda attorno, come a volersi accertare d’essere davvero nella propria tenda, poi abbassa lo sguardo sullo spesso strato di bende che gli fascia il torace. “Mi hanno sparato.”

Non è una domanda, ma Castiel annuisce comunque. “Ci hai quasi lasciato la pelle.”

“Rischi calcolati” dice, con assoluta noncuranza, e a Castiel fa male che tenga così poco alla sua vita, a quella vita che per lui è l’unica cosa per cui valga la pena di andare avanti. Vorrebbe sbatterglielo in faccia, vorrebbe urlargli che non era mai stato tanto disperato come il giorno precedente, mentre gli tamponava la ferita e lo pregava di restare vivo, ma Dean riprende a parlare prima che ne abbia il tempo.

“Perché prendi quella roba?” gli domanda, e non c’è traccia di collera né di rimprovero nella sua voce. È la prima volta che glielo chiede, ed è così schietto da spiazzarlo.

Perché non so come affrontare tutto questo.
Per dimenticare il modo in cui mi guardi.


“Non sono più quello che conoscevi” risponde alla fine e, all’improvviso, si sente così stanco che vorrebbe solo adagiare di nuovo la testa sul bordo del letto e tornare a dormire.

“Ma continui a salvarmi il culo. E malgrado quello che ti ho detto.”

“Non posso farne a meno” dice, perché non ha la voglia né la forza necessarie per inventare una bugia e rifilargliela “Non è una scelta. Non riesco a fare altrimenti.”

È strano. Si rifugia nell’alcol, nella droga e nel sesso per alleviare il dolore, ma si ostina ad aggrapparsi a Dean nonostante faccia male.

“Non sono morto, quindi devi smetterla. Me l’hai promesso.”

Castiel vorrebbe chiedergli perché - se perché la dipendenza lo rende inutile o perché l’eventualità di perderlo lo spaventa almeno la metà di quanto ha spaventato lui -, poi si ricorda che Dean gli ha già dato la risposta pochi giorni prima e desiste.

Non vuole sentirselo ripetere.

“Lo farò.”

È una bugia e lo sanno entrambi, ma entrambi si concedono il lusso di crederci.
  
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