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Autore: Blue Eich    31/10/2014    6 recensioni
«Che guastafeste che sei» fu la secca risposta di Gold, con le braccia incrociate dietro la schiena. «Ma qua non era pieno di vecchi, l'ultima volta che siamo venuti?»
Silver si fece più attento a quell'osservazione che, effettivamente, era vera. «Sì… Stavolta siamo soli. Noi e, forse, qualcun altro.»
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Blue, Crystal, Gold, Silver
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga
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Illusion


 

Per Silver era facile dimenticare il motivo per il quale si trovava in quella situazione poco gradevole. Molto facile con uno scemo vicino, che sbraita di essere il più coraggioso del mondo e poi è il primo a saltare al minimo scricchiolio. Poi però faceva un respiro silenzioso e nella sua mente spaziava il sorriso disarmante di Blue, che gli chiedeva quell'immenso favore: “Sil, Crystal mi ha pregato di dirti di tener d'occhio Gold, solo per oggi, altrimenti si caccerà nei guai. Fallo per me!” Stregato dai suoi occhioni da Deerling, Silver aveva annuito d'impulso.

Era per lei – solo e unicamente per lei – che sopportava la cantilena superba del suo rivale, che camminava a passo di guardia davanti a lui, in una delle stanze della Torre Sprout.

Gold aveva sentito dire – da chissà quale Allenatore tardo a cui aveva dato il numero di Pokégear senza esitazione – che lì succedevano cose strane da un po' di tempo e, forse, a causarle era un Pokémon al livello di Mewtwo. Così si era messo in testa due opzioni. Opzione uno: smentire quella diceria, uscendo da lì con un commento scettico e il petto gonfio d'orgoglio. Opzione due: catturare quel Pokémon per rendere ancora più forte la sua squadra. E quando Gold ha un'idea spavalda, è difficile tenerlo a bada, se non si ha il carattere fermo di Crystal. Ma per Crystal era un giorno importante: i bambini della vecchia scuola di Violapoli avevano allestito una piccola pesca di beneficenza in paese e lei doveva stare lì, a dare una mano. Perciò qual era l'altra persona in grado di frenare – o perlomeno limitare – i danni di Gold?

«In questa catapecchia non c'è proprio niente! Eeeeehiiiii, Pokémon super-forte, se sei forte come dicono e non uno smidollato…»

Silver gli tappò istantaneamente la bocca, mentre lui finiva lo stesso la sua minaccia che però non si sentì, ovattata dalla mano fredda dell'altro. Certo. La strategia più furba, secondo Gold, era insultare questo Pokémon super-forte a viso aperto. Ma, purtroppo per lui, un Pokémon super-forte è anche abbastanza intelligente da non dar peso a ciò che esce dalla bocca di un ragazzino arrogante, a meno che non sia appena sveglio dopo un sonno millenario o molto permaloso.

«Piano!»

«Che guastafeste che sei» fu la secca risposta di Gold, con le braccia incrociate dietro la schiena. «Ma qua non era pieno di vecchi, l'ultima volta che siamo venuti?»

Silver si fece più attento a quell'osservazione che, effettivamente, era vera. «Sì… Stavolta siamo soli. Noi e, forse, qualcun altro.»

«Allora ci credi anche tu alla storia del Pokémon super-forte!»

«No, ma non abbassiamo la guardia nemmeno un secondo» concluse infine, cupo.

Gold annuì e sembrò farsi più serio di prima, tant'è che brandì la sua stecca da biliardo come una katana, pronto ad usarla per una manovra d'emergenza. A Silver non serviva una stecca da biliardo, gli bastava tendere le orecchie e muoversi con cautela, su quelle assi di legno che cigolavano lente sotto il loro peso, minacciando di spezzarsi a ogni passo. Avevano una strana pressione addosso, perché sapevano che ormai era troppo tardi per uscire, sentivano qualcosa di opprimente nell'aria ma non riuscivano a capire cosa.

La stanza in cui giunsero era un vicolo cieco. Si misero a gironzolare, alla ricerca di un'anomalia, che sembrava non voler saltar fuori.

Gold, dopo un grugnito pensoso, partì in quarta verso il pilastro centrale. Effettivamente, era l'unica anomalia presente lì, per il semplice fatto che era inclinato, come un tronco succube della furia di un temporale. «Guarda! Dev'essere stato il Pokémon super-forte!»

«Fermo! Non toccare!» l'ammonizione di Silver fu illecita, dal momento che – proprio grazie all'impulsività del suo amico – scoprirono la scala che si celava dietro al pilastro. Iniziarono a scendere, il primo circospetto, il secondo ghignante. Più scendevano, più gli sembrava di star andando in un baratro, nell'oblio più nero, che dava l'impressione di poter inghiottire tutto ciò che ci finiva erroneamente dentro. Prendersi per mano aiuta molto in situazioni del genere, ma tra maschi è una cosa fuori discussione. Se si è con una fanciulla, invece, non dispiace quando succede. Gold rimpiangeva la sua ragazza super-seria – che di sicuro gli avrebbe arpionato il braccio – e, senza darlo a vedere, stava vicino a Silver quanto bastava purché le loro spalle opposte si sfiorassero, ogni tanto.

«Luce.»

«Uhm?»

«Fai luce» ribadì Silver, a denti stretti.

Gold frugò in tasca, per estrarre il suo Pokégear: a tinta blu, modello standard, che di sicuro aveva fatto più voli degli aerei di Ponentopoli, per terra però, mica in cielo. A proposito di cielo: Crystal ne aveva uno di un bell'acquamarina, con la mappa zeppa di adesivi e promemoria. Anche Silver aveva il modello semplice blu, che non portava quasi mai con sé, come quel giorno.

Fu un grosso, grossissimo errore aver fatto quella proposta. Il Pokégear di Gold non funzionava, per quanti tasti lui nervosamente premesse e quanto malamente imprecasse. Una tetra melodia si fece strada nelle loro orecchie, mentre venivano attraversati da un brivido. Una melodia… A scatti, come se ci fosse qualche interferenza; acuta, tanto da far male. Proveniva proprio dalla radio del Pokégear che Gold stringeva tra le dita tremanti.

«B-Basta! Voglio qualcosa di più allegro!»

Silver, dopo quel suo grido, gli tolse il Pokégear di mano, per poi buttarlo giù. Giù, dalla scalinata senza fine, pur di far cessare tale nenia demoniaca. Pensò che, se non altro, adesso aveva una scusa per comprarsene uno nuovo.

«Perfetto, ora siamo al buio» fu l'acido commento dell'altro, che rimuginava già sui numeri di ragazze carine persi per sempre. Silver gli afferrò bruscamente l'orlo della giacca, così continuarono. Però, non c'erano più scale. Una stanza piana, forse, ma completamente buia. Però era come camminare nel vuoto, senza sbattere mai contro una parete, senza percepire nulla, tranne il contatto e il calore tenue l'uno dell'altro.

«Aspetta» era sempre Silver a rompere quel silenzio, molto piano, come se avesse paura della propria voce o, al contrario, non volesse spaventare il suo compagno. Si mise a cercare nelle tasche della felpa, dove teneva sempre strumenti per le emergenze: Repellenti, Pokébambole, innocue bombe fumogene. Una Fune di Fuga, in questo caso. Sarebbe stato intelligente anche far luce, ma avevano paura di cosa potesse esserci attorno a loro: resti di scheletri? Un branco di Pokémon inferociti, oppure uno grande dagli occhi folli e iridescenti? O niente. Ma era meglio non saperlo, a quel punto. Proprio quando Sil aveva la fune in pugno, partì un'altra musica. Dolce, celestiale, mandata dal Paradiso, che però suonava malinconica in quell'Inferno. Come a ricordargli che presto sarebbero morti e avrebbero sentito quelle note cullarli verso un sonno eterno.

«Ah, dannazione, sbrigati!» imprecò Gold, togliendo la corda al suo amico con una mano, mentre con l'altra si tappava un orecchio. La melodia cessò di colpo. La Fune di Fuga iniziò a farli roteare su loro stessi, come dei Forretress, tra esclamazioni e vani richiami di aiuto rivolti a qualcuno che non c'era. Stavano annegando in un mare nero senz'acqua, incapaci di vedere se stessi.

 

 

Quando riaprirono gli occhi, si ritrovarono in una delle classiche stanze, scaraventati a poca distanza l'uno dall'altro, con una leggera emicrania. Spoglie, dai muri bianchi, le assi instabili del pavimento e la colonna piantata al centro, come la radice di un albero. Ma quella stanza… Quella stanza, aveva un particolare inquietante, diverso dalle altre.

«Q-Quello…» balbettò Gold, a occhi sbarrati, mentre Silver taceva al suo fianco, altrettanto scosso. Una scritta rosso sangue troneggiava sul muro.

Turn-back-now

Silver – per la prima volta dall'inizio di quella spedizione – si fece avanti, scostando bruscamente il braccio del rivale, che mugugnò un: «Ehi!» offeso. Si avvicinò alla scritta. Fresca, al tatto lieve delle sue dita, come se fosse appena stata incisa. Gli venne da mandare un tacito grazie a Masked Man, per aver costretto lui e Blue a studiare un po' in generale tutte le lingue, durante la loro prigionia. Fece mente locale. Caratteri Annon, in uso da antiche tribù che abitavano le Rovine Alfa insieme agli Unown. Perché si trovavano lì, sulla Torre Sprout?

Mentre Gold lo guardava con un cipiglio scettico, Silver recitò una frase, con il viso che sbiancava sempre di più e la voce che si incrinava a ogni lettera. Parole che da sole non erano niente, ma insieme diventavano macabre: «TurnBackNow…»

«Cos'hai detto?!»

«Turn; back; now» ripeté, tirandosi indietro. «Dall'inglese… Tornate subito indietro…»

Gold, inizialmente intimidito, fece un passo indietro. Ma subito avanzò, sfoderando un pugno saldo ed un'espressione aggressiva. «S-Stanno solo cercando di spaventarci!» Per dimostrare forse il proprio coraggio, marciò verso la prossima stanza e, mentre Silver lo seguiva a passetti corti e veloci, Gold fece un grido di sgomento.

Ecco dov'erano finiti i Veterani della torre. Tutti lì, in fila contro le pareti. Con il capo raso, i sandali consumati e le tuniche lunghe. Ma erano immobili e, soprattutto, bianchi. Pelle bianca, bocca bianca, sopracciglia bianche. Il bianco del niente, quello che ad alcuni può far paura. Ma una cosa era evidente: fissavano tutti il pilastro al centro.

«E-Ehi, nonnino!» fece Gold, avvicinandosi con andatura robotica ad uno dei tanti. Quello non rispondeva, stava immobile, con gli occhi vitrei e, quando provò a muovergli le braccia, queste ricaddero molli sui fianchi. Era vivo, ma era come se non lo fosse. Come se la vita avesse deciso di strappargli via le emozioni, i colori, la volontà. Se fosse stata un'altra situazione più comica, gli avrebbe preso la mano e, continuando a sbattergliela sulla guancia, avrebbe domandato, beffardo: “Perché ti schiaffeggi? Perché ti schiaffeggi?”. Ma quel bianco lo spingeva ad allontanarsi, nella paura di ritrovarsi così anche lui, mentre la rabbia gli cresceva dentro.

«È inutile, non si muovono» concluse Silver, piccato. «Andiamo avanti.»

Non era una prospettiva molto felice, ma non avevano scelta. Per la prima volta toccava ai Dexolder di Johto, i due uomini, andare a fondo di un problema. Stavolta senza le figure austere dei più grandi davanti. Perciò, come si suol dire, presero il coraggio a due mani dopo essersi scambiati un'occhiata. Un'occhiata d'intesa, che ricordava fortemente Red e Green, le due leggende che gli avevano lasciato il posto.

 

Entrarono nella stanza successiva. Era inspiegabile come mai ce ne fossero così tante che la volta precedente non avessero notato, come se stessero girando in tondo senza rendersene conto. E, se loro giravano in tondo, c'era qualcuno che trotterellava allegramente con a tracolla una borsetta piena di stampini rosso sangue e si divertiva a lasciare messaggi sui muri.

«Vediamo un po', adesso ci provo io» la voce asprigna di Gold risuonava sempre in mezzo a quel silenzio. «Non potrà essere così difficile, no?» Quando il suo dito ingenuo toccò l'iscrizione, la parete si girò bruscamente, facendolo scomparire dietro di essa, in un pozzo di nero, con il suo grido sorpreso d'eco.

«Gold!» Silver si fiondò subito sulla parete in questione, ma al suo tocco essa non si girò più. Il suo amico era intrappolato lì, a così poca distanza e non poteva salvarlo per uno stupido, stupidissimo muro. Chissà cosa gli era successo. Forse era finito dritto nella bocca del Pokémon super-forte o tra i suoi artigli malvagi. Avrebbe voluto abbatterlo a suon di pugni o, ancora meglio, con un Gelopugno di Ferigart. Ma così rischiava che le macerie seppellissero cosa c'era aldilà del muro. Sbirciò con orrore la nuova scritta, che fece fare un tuffo al suo cuore fragile.

He-died

He died. Traduzione: è morto. Traduzione letterale: lui morì. In ogni caso, due parole. Semplici, ma orribili, che ti travolgono come un'onda anomala. Silver cadde in ginocchio. Aveva fallito. Aveva mancato la promessa fatta a Blue, – la sua adorata Blue! – mandato in frantumi il cuore lunatico di Crystal e perso il suo migliore amico rompiscatole. Lì, in quella torre pericolante. Aveva perso tutto e deluso tutti in un sol colpo, anche se stesso per la propria disattenzione. Perciò – pensò – se c'era davvero un Pokémon super-forte, era libero di venire a finirlo subito e metter fine a quel gioco sadico. Si rannicchiò a gambe unite, con la frangia a coprirgli la fronte, come il bambino sensibile che sempre ci sarà dentro di lui.

«Ti prego, Gold, torna qui. Prometto che mi allenerò con te tutte le volte che vorrai…»

Un tonfo.

«Potrei averlo per iscritto?»

Gold era di nuovo lì, in piedi davanti a lui, con un sorriso sghembo ma splendente, un po' di ammaccature sul viso e polvere sui vestiti. Ma c'erano: lui, il suo cappello al contrario da bulletto, il suo ciuffo ancora più ribelle del solito e la sua stecca fidata stretta in mano, a coprire un buco e le macerie che restavano dell'intonaco.

Silver scattò in piedi, asciugandosi le due lacrime che da prima avevano iniziato la loro lenta discesa sulle sue guance ceree. «Sei… Sei vivo?!»

«C'è mancato un pelo! Quando sono finito là dietro, una parete di spilli ha iniziato a venirmi addosso, ma…» Fece fare un'abile giro alla stecca. «Ovviamente l'ho bloccata! E…» Stavolta agitò i pugni, come se avesse avuto i guantoni da box di un Hitmonchan. «Boom! Ho spaccato tutto! Un gioco da ragazzi, per uno come me!»

Silver sorrise, sereno che tutto l'accaduto di poco prima fosse stato un brutto sogno. Ma non doveva dimenticare che l'intero incubo era ancora in corso, non un incubo normale, dove ti senti dentro una bolla di sapone: un incubo dal quale non ti puoi svegliare, perché non stai dormendo.

Decisero di proseguire, vicini, per non perdersi di nuovo. Erano giunti nell'ultima stanza. Per forza, a meno che non ci fosse un altro passaggio segreto, ma stavolta non dietro al pilastro, e comunque sia avevano il tacito accordo di non toccare più nulla se non accidentalmente.

«L'altra volta non c'erano…» Silver deglutì saliva amara in silenzio, puntando il dito in avanti. «Delle tombe…»

Stavolta fu Gold a tacere ed osservare. Stava ricordando l'esperienza del suo maestro alla Torre di Lavandonia, raccontatagli da lui in persona. Lì sì che c'erano le lapidi. Lapidi grige, tutte uguali, disseminate in modo da creare un unico passaggio per il piano superiore. Ma in un tempio zen non avrebbero dovuto esserci delle lapidi, né tanto meno degli zombie-vecchietti, né muri di spilli che cercano di schiacciarti. Quando alzò lo sguardo, cacciò un ennesimo urlo.

«Che c'è ora?» chiese Silver.

Gold brandì la sua stecca, tremante. «C-Cosa ti sta succedendo?»

Silver abbassò ingenuamente gli occhi e per poco non gli venne un infarto. Le braccia. Le sue braccia. Erano invisibili, nonostante se le sentisse ancora addosso. Non aveva più le braccia. E di conseguenza non poteva sfiorarsi il viso per rendersi conto del fiume di sangue che lentamente scendeva al posto delle lacrime d'orrore. Era talmente spaventato da non riuscire a muoversi, così come Gold, che non aveva il coraggio di scappare lasciando lì il suo amico. Anche perché avrebbe potuto essere il prossimo, in qualunque momento. Ma lui non voleva morire. Nessuno dei due lo voleva. Che poi era colpa sua. Se fossero morti lì, avrebbe avuto Silver sulla coscienza per sempre, ovunque fossero finiti dopo la morte. Proprio mentre formulavano questi pensieri, il soffitto iniziò a sgretolarsi.

«E ora si può sapere che succede?!»

Il soffitto venne definitivamente giù, lasciando passare aria pura e il chiarore del cielo, che fino a poco prima sembrava così lontano. Una ragazza atterrò dinnanzi a loro, perfettamente illesa, con due codini celesti, la bocca contorta e le lacrime agli occhi. «Idiota! Idiota! Idiota!» sbraitò poi, a due centimetri dal viso di un Gold a disagio, che realizzò che sicuramente il soffitto l'aveva fatto venir giù con uno dei suoi micidiali calci.

«Crystal…?» mormorò Silver, confuso almeno quanto il suo amico. Abbassò timoroso lo sguardo e il suo cuore fece un altro tuffo, ma stavolta di sollievo: le sue braccia erano tornate di nuovo e sul suo viso non c'erano altro che stille trasparenti.

Il resto del tetto ancora in piedi, venne attraversato da un Iper Raggio accecante. Dopo esso si fece strada verso di loro un'altra ragazza, in groppa ad un Pidgeot e con un paio di occhialoni indosso. «Perdonami, Sil!» disse invece, preoccupata, smontando dal suo Ditto che riprese le normali sembianze ed andando ad abbracciare forte il suo “fratellino”.

«Vi dispiace spiegarci qualcosa?» la richiesta sfacciata di Gold venne seguita da uno sguardo truce di Crystal, che gli sbatté sul naso un articolo malamente strappato da un quotidiano.

“La Torre Sprout è stata recentemente dichiarata inaccessibile all'unanimità dei Superquattro e fatta evacuare da Pokémon e persone. Al suo interno si verificano fenomeni sovrannaturali, allucinazioni che portano alla pazzia. L'ultimo ragazzo che si è visto avventurarsi lì non ha più fatto ritorno e, cosa peggiore, nessuno ha mai potuto riconoscerlo, né è mai stato rinvenuto il suo corpo. Si era sentito solo il suo grido lancinante. Una storia surreale, ma che potrebbe ripetersi di nuovo, nel terrore dei cittadini di Violapoli e le mamme dei bambini che giocano nel lago lì vicino dopo la scuola.”

I due ragazzi impallidirono. Quindi erano state tutte allucinazioni, qualcuno che manovrava il loro cervello a suo piacimento, per fargli vedere cose che in realtà non c'erano. Adesso che filtrava luce dal buco del tetto, delle lapidi non c'era più alcuna traccia. Sembrava una normale stanza vuota, dal tatami irrimediabilmente sporco.

«Scusami, scusami! È colpa mia!» ripeteva Blue scuotendo il capo e stringendo forte Silver a sé, per soffocare tutta la paura che aveva avuto di perderlo. Ovviamente non si sottraeva, un po' rosso in viso, ma rincuorato da quel contatto e quel calore così familiare. Si erano svegliati dall'incubo.

 

 

Pochi giorni dopo, il maestoso Ho-oh avvolse la Torre in una cortina di fiamme che la consumarono e piegarono lentamente, come un castello di carta. Poi sparì con uno strido nel cielo colorato d'arancio vivo, cenere e fumo.

Vennero messi dei cartelli di divieto d'accesso e striscioni di nylon, che rovinavano un po' il panorama magico del lago. Insomma, quella brutta avventura ebbe una fine, almeno per i nostri eroi. Non si scoprì mai cosa causava loro le allucinazioni.

Ma non era tutto finito. L'ombra di Lui sorrideva sadica tra le fronde bruciacchiate degli alberi, con le braccia in avanti, come uno zombie. Se ne andò, dissolvendosi in una nuvola di smog, alla ricerca di una nuova casa. Nel frattempo, un gruppo di Unown rossi danzava e cantava in coro un'ode ipnotica, per rendere omaggio a Lui. Il loro verso risuonava tra le macerie della torre. Gold e Silver, d'ora in poi, li avrebbero guardati con occhi diversi. Perché loro avvertono tutte le tue paure e ti manovrano con una calma esasperante… Senza fretta, per farti soffrire di più. Proprio come Lui. Lui, che è stato creato per sbaglio e tutti temono ed evitano, come la peste. Magari arriverà anche da noi, uscendo dallo schermo di qualche vecchio GameBoy, chissà. Ma almeno, adesso che abbiamo letto questa storia, sappiamo che sarà sufficiente un solo raggio di sole per mandarlo via, assieme al senso martellante di angoscia che porta con sé.




 

Angolo Autrice
tumblr-inline-n4tnqq-Ufzm1r7z1iiSalve! Per augurarvi un buon Halloween, ecco a voi un'altra creepypasta modificata.
Non sarà poi un granché, però che ve ne pare? Spero che vi sia piaciuta, perché a me scriverla è piaciuto davvero tanto, anche perché è la mia prima Preciousmetal a tutti gli effetti!
Alla prossima.
-H.H.-
 
   
 
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