Fanfic su attori > Jamie Campbell Bower
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Autore: Philly123    31/10/2014    0 recensioni
Londra.
Jamie vive da solo nel suo appartamento in centro, da qualche tempo si sente vuoto e anche i suoi amici non si fanno vivi.
Dorotea è una ragazza londinese con la passione per la pittura e il disegno.
Si incontreranno, più volte.
Qualcosa si nasconde nel passato di lei.
Jamie Campbell Bower sarà troppo assorbito dalla mondanità per prestare attenzione a una ragazza comune?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jamie Campbell Bower, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Ero seduto da Starbucks da qualche ora, mentre su Coventry street batteva un sole inusuale per gli standard londinesi.
Dei ragazzi, in strada, passeggiavano con le giacche sbottonate, quasi a fargliela vedere, al tempo, che loro non sentivano freddo. Io, invece, riparato dal vetro delle finestre, stavo ben coperto da una sciarpa e un paio di occhiali, giusto in caso qualcuno mi riconoscesse.
Perso nei miei pensieri, quasi non avevo notato la piccola ragazza appena entrata dalla porta a vetri.
-Cosa scrivo nel bicchiere?- aveva chiesto la giovane donna che stava dietro al bancone.
La ragazza si rianimò i capelli, compressi dal colletto del suo cappotto, e rispose solamente –Dorotea.-
L’accento della ragazza non era inglese. Forse era spagnola o italiana, in fondo, però non si notava molto, doveva essere in Inghilterra da molti anni. Non sapevo nemmeno perché la stessi guardando, quella piccola ragazza dai capelli castani, non l’avevo nemmeno vista in volto. Non era qualcosa di nuovo, però, mi piaceva guardare la gente, mentre sedevo a prendere un caffè, e immaginare le loro storie, perché fossero lì in quel momento e cosa avrebbero fatto in futuro.
La ragazza si sedette da sola in un tavolino più in là, portava degli occhiali da sole tondi, con la montatura metallica e un rossetto molto scuro.
Improvvisamente, sentii squillare il mio telefono. Due, tre squilli, poi risposi.
-Jamie? Puoi parlare?- chiese la voce di mia madre.
La discussione fu breve e concisa, come sempre. Dovevo andare a casa per vedere i miei parenti, perché era troppo tempo, a suo parere, che non mi facevo vivo. Avevo accettato senza entusiasmo, e forse era vero che non vedevo i miei da tanto. Me ne andai di corsa dal locale, scordandomi completamente della ragazza.
 
La mattina dopo mi svegliai con i muscoli indolenziti. Avevo dormito sopra le coperte senza una reale ragione, mi ero solo ritrovato troppo stanco per fare qualsiasi cosa, dopo la cena con i parenti e la conseguente serata in famiglia.
Il mio appartamento era diviso in due piani, ma quello superiore era composto unicamente dalla mia stanza, troppo bianca e vuota per i miei gusti, e da un piccolo bagno. Più giù, c’era un soggiorno-cucina e un altro salotto, con annesso un altro bagno. Non era un appartamento molto grande, ma da solo non me ne sarebbe servito uno enorme.
Decisi che non sarei riuscito a rimanere chiuso in casa, così chiesi a Tristan se avesse voglia di fare una corsa a Weavers Fields.
Mi sono appena alzato e avevo già dei piani per la giornata.
Scusami.
Tristan
Ero sicuro che mi stesse prendendo in giro, ma non avevo voglia di implorarlo, così bloccai lo schermo del cellulare e cominciai a prepararmi per andare da solo.
La giornata, notai, era ancora limpida ma alcune nuvole grigie incombevano sul cielo azzurro, prospettando un temporale nelle ore successive.
Arrivai in una decina di minuti e pubblicai una foto su Twitter in cui si vedeva la mia tuta con i pantaloncini corti e la maglia smanicata. Da quando abitavo a Hanbury street continuavo a tornare lì per correre. Non era un giardino molto frequentato, e soprattutto non si trovavano troppi turisti. Misi le cuffie alle orecchie e cominciai a correre. Alcune coppie erano occupate a spingere passeggini e sembravano così felici, durante quella giornata di sole autunnale. Mi guardai le scarpe e notai che si erano coperte di sporcizia dall’ultima volta in cui le avevo indossate.
Sentii un dolore sordo alla spalla e mi ritrovai sbilanciato all’indietro.
Una ragazza era distesa a terra, si teneva la testa contornata da capelli castani.
-Sei scemo? Ma guarda dove vai, la prossima volta!- esclamò in tono molto brusco.
Mi tolsi gli occhiali da sole e la guardai stupefatto. Era la stessa ragazza di Starbucks, non era lì per fare jogging ma indossava una gonna blu lunga fino alle caviglie e una felpa grigia.
-Scusami, sul serio. Posso fare qualcosa?- Le porsi una mano.
-Puoi aiutarmi a raccogliere quello che mi hai fatto cadere, almeno?- mi rispose, senza accettare la mia mano, indicando tutto quello che era finito a terra.
-Come ti chiami?- le chiesi, mentre le riprendevo dei colori a matita e alcuni matitatoi.
-Dorotea, Dorotea Crawford. Tu?- mi chiese, come se non mi conoscesse per davvero.
-Come saprai già, sono Jamie Campbell Bower, ma solo Jamie va bene.-
-No. Non sapevo già niente, in realtà- mi rispose. Credevo non fosse possibile, eppure le si leggeva in faccia che non stava mentendo.
-Dorotea, come mai tutti questi colori? Sei una pittrice?-
-Oh no, davvero, passo solo il tempo in questo modo, il sabato o la domenica- mi sorrise, e notai gli zigomi gonfiarsi sul piccolo volto a cuore. Sul viso portava ancora gli occhiali tondi, forse un po’ grandi per lei.
-Ti va se andiamo a prendere qualcosa fuori? Sta per piovere e io voglio scusarmi.- dissi quasi senza pensarci, mi sarebbe piaciuto passare un pomeriggio con quella ragazza.
-No, grazie, in realtà devo tornare a casa. Se vuoi, però, puoi chiamarmi.- Strappò un pezzo di carta dall’album che teneva fra le braccia e scrisse un numero con una matita azzurra, me lo porse quasi strappandomi dalle mani il portacolori che avevo appena raccolto e scappò via.
Sul foglio, in una bella scrittura, c’era il numero della ragazza, più sotto aveva segnato una “x”, un piccolo bacio.
  
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