Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
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Autore: HamletRedDiablo    31/10/2014    5 recensioni
L’equilibrio della Confederazione Siderale era garantito da tempi immemori dall’Asse, il primogenito della famiglia Vaticana Vargas; l’Asse era il cardine su cui ruotava tutto l’universo conosciuto.
Ma due gemelli avrebbero fatto precipitare anche il cielo, pur di ricongiungersi con il consanguineo.
«Saresti davvero disposto a tradire la tua famiglia?»
«Voglio liberare mio fratello dal Palazzo. Non mi importa del resto.»
«E faresti qualunque cosa?»
«Qualunque cosa.»
Una mano abbronzata sventolò sotto il suo naso, in una precisa offerta.
«Sei pronto a unirti alla mia ciurma?»

Coppie: GerIta, Spamano, RoChu, PruCan (altre si uniranno in seguito)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo Ventisei: Veglia

 

Arthur si abbatté sulla sedia, schiantò i gomiti sulla scrivania e buttò la testa sulle braccia incrociate.

Quando aveva fatto il salto verso una nuova dimensione, aveva desiderato di approdare in un mondo che potesse insegnargli nuove cose. Ma era nauseato da quelle lezioni che sapevano di sangue e lacrime, perfino quando sembravano colorarsi di gioia.

Era rimasto a fianco del Leone Incoronato mentre questo ruggiva glorioso a tutto il popolo di Britannia la caduta del Vaticano. Quel giorno, l’uniforme non pesava come un sudario sulle sue spalle. La sentiva leggera, fiera e splendente: avevano combattuto, avevano vinto, stavano per partire verso una dimensione libera dalla dittatura. Si aspettava applausi ed entusiasmo.

E li aveva avuti. Ma non totali come aveva sperato.

I giovani, le famiglie e i forti avevano esultato, lanciando cappelli e fiori in aria; gli avevano ricordato le feste su Faerie.

Ma poi era giunto il momento degli anziani.

Il loro portavoce era un vecchio curvo e nodoso come un salice piangente, aggrappato a un bastone che svettava sopra la sua testa piegata.

«Noi resteremo, sire.»

La voce dell’anziano scricchiolava come le foglie autunnali sotto le suole delle scarpe. Arthur pensò di aver capito male, ma il vecchio seguitò nella sua cigolante arringa.

«Siamo troppo avanti con l’età per pensare di imbarcarci in un simile viaggio. La fatica potrebbe ucciderci. E, anche se sopravvivessimo, non ci resta molto da vivere. Vi rallenteremo, e ruberemo il cibo ai giovani, che hanno tutta la vita davanti a loro.»

Arthur aveva mantenuto le spalle dritte e la voce stentorea, anche se la sua anima era diventata sottile e fragile come un foglio di pergamena secca.

«Cosa state cercando di dirci?»

«Noi non verremo» le rughe del vecchio quasi gli sgretolarono la faccia in un sorriso incartapecorito. «Siamo nati su questo pianeta, mio signore. Amiamo ogni casa, ogni strada e ogni sasso. Non trovate che sia giusto che tutto finisca dove tutto è iniziato?» l’anziano si interruppe, sistemò la veste sul ventre scarno e terminò: «Non possiamo sopportare un viaggio così impegnativo, signore. E non vogliamo rallentarvi. Abbiamo aperto i nostri occhi su questo pianeta. Permetteteci di chiuderli qui.»

Arthur non era riuscito a pensare a nessun pretesto per convincerli a ripensarci: tutti quei volti solcati dal tempo lo guardavano con la serenità di chi ha scelto e accettato il proprio destino.

Aveva cercato di rendere i suoi occhi insensibili come pietre, mentre osservava le famiglie che si stringevano attorno agli anziani, li abbracciavano e piangevano sulle loro spalle ossute.

Erano troppi. Troppe persone che avrebbero salutato un membro della famiglia sapendo di lasciarlo per sempre, troppi nonni che non avrebbero visto crescere i propri nipotini. Avevano combattuto per proteggerli, ma non erano comunque riusciti a salvarli tutti.

«Non essere triste per loro. Sii triste per noi: saremo noi a dover ancora lottare.»

Arthur si rialzò così bruscamente che per poco non rovesciò lo scranno di legno. Il Marauder si era materializzato alle sue spalle, senza il minimo rumore.

Arthur si allontanò dalla scrivania, e la fretta lo fece quasi inciampare nei suoi stessi piedi. Doveva nascondere gli occhi rossi a Francis prima che cominciasse a ficcanasare come una comare.

«Non ricordo di averti invitato a entrare» sbottò, brusco.

«Non l’hai fatto. Ma io so quando sono necessario.»

«Ah, non farmi ridere! Se lo avessi saputo, non saresti sparito per cento anni!»

Credeva di aver spento la sua rabbia nei confronti del Marauder, invece era ancora lì, viva e bruciante, indissolubilmente legata all’affetto che provava per quell’uomo. Più si rendeva conto di amarlo, più si arrabbiava per il suo abbandono, e più si arrabbiava, più capiva di amarlo, in un circolo vizioso senza fine.

Arthur rimase voltato di spalle, passando nervosamente una mano sulla bocca. Ormai aveva aperto il vaso di Pandora, non poteva più tirarsi indietro.

«Cento anni, Francis… sapevi quanto odiassi l’amore malato di questa Galassia per il sangue, eppure non hai fatto niente per…»

«Sai che non posso interferire con il destino…»

«Non ti ho mai chiesto di cambiare il destino per me! Ma avresti potuto essere lì, Francis!» Arthur si sentì sopraffare, come se quel torrente di parole potesse slogargli la mascella con la sua intensità. «Ho visto Hispaňa bruciare, mi sono gettato nell’orrore della guerra mille volte, e tu non sei mai stato lì! Anche durante la lotta con il Vaticano… tu eri dentro il Palazzo di Quarzo!»

«Sei arrabbiato perché hai dovuto lottare da solo? I guerrieri lo fanno continuamente…»

«Ma io non sono un guerriero!» Arthur si strinse i gomiti con tanta forza che le nocche sbiancarono. Credeva di essere un contenitore di pietra, in grado di reggere qualunque cosa; invece aveva scoperto di essere un vaso di cristallo che qualcuno aveva cercato di riempire di piombo. «Che il sacro melo mi abbia in gloria, io sono un mago, Francis. Un mago che è stanco di raccogliere sangue anche quando cerca di seminare felicità.»

Francis si avvicinò a lui, ma Arthur lo bruciò prima che potesse tentare di abbracciarlo.

«Non ci provare. Sono furioso con te. E sono nauseato da questa dimensione.»

«Ma forse c’è ancora qualcosa che può rasserenarti. Seguimi.»

Arthur si voltò, pronto ad azzannarlo, ma Francis era già sulla porta, e muoveva la mano per invitarlo.

Il Mago dell’Ovest lo seguì suo malgrado, combattendo con l’impulso di prenderlo a calci lungo il corridoio. Un’ultima possibilità. Gli avrebbe dato solo quell’ultima possibilità, prima di mandarlo al diavolo.

Il Marauder si fermò davanti a un muro, e vi appoggiò le mani sopra.

«Non è molto carino fare i guardoni» premise. «Ma sarà solo per qualche istante.»

Alcuni mattoni divennero del colore dell’aria, permettendogli di sbirciare all’interno.

Nello squarcio magico sulla parete si profilarono due figure abbracciate, una stesa su un letto e l’altra seduta al suo fianco.

Arthur riconobbe quei due uomini: aveva curato Norge poche ore prima, dopo che Mathias gli aveva portato una spilla e lo aveva supplicato in lacrime di salvarlo. L’Hellsing lo aveva aiutato a sciogliere l’incanto sull’orpello, e l’Asse si era aggiunto a lui nella magia di guarigione.

Le ferite che spaccavano l’addome del Gunsmith si erano rimarginate in poco tempo, ma il giovane non era riuscito a risvegliarsi subito dal suo stato di incoscienza. Mathias non aveva lasciato il suo capezzale nemmeno per un istante; aveva temuto di essere l’ultima cosa che Norge avrebbe mai visto. Adesso voleva essere certo di essere la prima persona che avrebbe scorto al suo risveglio.

«Qui non c’è dolore» sottolineò dolcemente Francis.

«È una goccia nell’oceano» replicò Arthur, cercando di indurire il cuore.

«L’oceano è fatto di gocce» mormorò il Marauder. «E ci sono molte gocce piene di luce come questa. Antonio e Lovino. Il Guardiano e l’Asse. Noi due.»

Arthur passò una mano sulla parete, lasciando ai due Gunsmith la loro meritata intimità. Afferrò con un pugno la camicia del Marauder e lo mitragliò:

«Non passerò attraverso questo inferno una seconda volta, sappilo.»

Le mani di Francis gli percorsero le gote bollenti d’ira, e si fermarono sulle sue spalle contratte.

«Sono stato orribile.»

«Molto più che orribile.»

«E, nonostante questo, continui a cercarmi.»

«Io non ti cerco» sbuffò acre Arthur. «Sono i nostri destini a essere intrecciati.»

Francis lo circondò in un abbraccio affettuoso, e il Mago dell’Ovest rimase fermo come un tronco di albero tra le sue braccia.

«È finita, Arthur. La guerra cominciata trecento anni fa, la guerra che hai tanto odiato è finita» bisbigliò sui suoi capelli ispidi.

Il Mago dell’Ovest sbuffò qualcosa di incomprensibile, allacciando stizzosamente le braccia alla vita del Marauder.

Lo aveva quasi dimenticato.

Dietro tutti gli orrori, nel vaso di Pandora c’era sempre la speranza.

 

***

 

Le vesti di Yao ricoprirono elegantemente il trono, quando il sovrano vi si adagiò esausto.

Si domandava se anche il Mago dell’Ovest, l’Hellsing e tutti gli altri stessero faticando quanto lui.

Preparare interi pianeti al grande Esodo non era semplice. Ringraziava gli spiriti dei suoi antenati che, ormai, le Aeronavi erano pronte e stipate con le poche valigie che erano consentite per ogni famiglia. Se avessero permesso loro di portare di più, sarebbe occorsa una flotta di Aeronavi solo per i bagagli. Avrebbero ricominciato da zero. E lui avrebbe usato tutta la magia presente nel suo corpo per aiutare il suo popolo.

Ma non era solo stanchezza fisica, la sua. Era soprattutto stanchezza mentale: la tensione per la guerra lo aveva sfinito, dare l’ultimo congedo agli anziani che preferivano morire sul pianeta che li aveva visti nascere lo aveva straziato, e Ivan che giaceva in stato comatoso lo aveva distrutto.

Tuttavia, la sua maschera di regale serenità era rimasta intatta. Solo i suoi occhi raccontavano una diversa realtà.

Kiku e Young Soo avrebbero letto i veri sentimenti che si agitavano nelle sue iridi scure, ma loro non erano più con lui. Era tempo di imparare a camminare senza il loro silenzioso conforto.

Fece scorrere le dita nei capelli, sorprendendosi di nuovo di quanto fossero corti. Doveva ancora abituarsi a quella misura, dopo una vita di capelli lunghi fino ai fianchi.

Un consigliere si avvicinò, scalpicciando disordinatamente lungo il corridoio.

«Mio signore!» ansò quello, senza fiato. «Si è svegliato!»

Il suo cuore si fece di piombo e gli sprofondò nei piedi. Risalì con molta fatica, arrivando a strisciargli persino in gola, riempiendo le orecchie con un battito martellante.

Le labbra di Yao furono ferree nel pronunciare le parole che gli fecero tremare il cuore.

«Il Custode dei Cancelli… si è svegliato?»

«Venite, mio signore!» lo incitò il consigliere. «Vi conduco da lui.»

Non ve ne era alcun bisogno: negli ultimi giorni, Yao aveva visitato Ivan talmente tante volte che avrebbe trovato la sua camera perfino se l’avessero fatto camminare bendato.

Yao impose al consigliere di attenderlo fuori dalla porta. Appoggiò la mano sulla parete scorrevole e inspirò a fondo. L’uomo al di là di quella porta aveva perduto il Cuore d’Inverno. Chi avrebbe trovato, steso su quel letto? Il Custode? Ivan? O uno sconosciuto?

Aprì la porta con un movimento secco, per evitare qualunque tipo di ripensamento.

Il respiro si scordò di riempire i polmoni quando vide la schiena solida dell’uomo e la chioma argentata che raccoglievano gli ultimi raggi del sole in tramonto. Era così abituato alla sua figura immobile e inerte, che perfino vederlo seduto rasentava il miracolo.

L’uomo si voltò, sentendo la porta aprirsi.

Le ciglia e le labbra di Yao tremarono, stupite: gli occhi che lo fissavano dall’altra parte della stanza possedevano l’azzurro secco dei cieli estivi nella steppa. Non erano più due freddi gioielli di ametista. E lo fissavano perplessi, come se cercassero di ricavare dei suoi lineamenti un qualunque indizio sulla sua identità. Sul perché il sovrano di quel paese fosse venuto a visitarlo.

Yao chiuse la porta dietro di sé, cercando di non palesare il suo sconforto.

Il cuore era di nuovo sprofondato al suolo. I ricordi del loro tempo insieme dovevano essere evaporati assieme al ragno di zaffiro. Per ironia del destino, lui li avrebbe conservati per sempre, e così avrebbero fatto i suoi successori grazie alla memoria generazionale. Ma Ivan non si sarebbe ricordato nemmeno il suo nome…

«Yao?»

La voce si increspò a metà in una domanda.

L’Asean sollevò gli occhi onice su Ivan, allibito.

«Come mi hai chiamato?»

L’uomo batté le palpebre, quasi cercasse di leggere nell’aria il nome che aveva appena detto. Poi, il suo viso fu illuminato dai ricordi, e la confusione fu spazzata via come gli ultimi stralci di notte quando vengono cancellati dalla luce dell’alba.

Si voltò verso di lui, più sicuro, e allargò le braccia.

«Il mio Yao» rimarcò, possessivo.

L’orientale gettò alle fiamme i protocolli imperiali. Raccolse la veste con le mani e corse verso Ivan, lanciandosi nelle sue braccia.

Il petto che lo accolse era caldo, era vivo. Non c’era più traccia della tormenta che aveva congelato il cuore del Custode per tutta la sua vita.

Yao alzò il viso, e notò una piccola corona ametista sul bordo delle iridi cerulee. Un sottile monumento del passato.

«Come ti senti, Ivan?» domandò, senza allontanarsi.

L’uomo gli accarezzò i capelli, affascinato. Non aveva perso la passione per le sue ciocche mogano, anche se più corte.

«Come se avessi dormito per seicento anni» le parole si affacciarono lente sulle sue labbra, quasi che Ivan fosse incerto di ogni sillaba. «Come se qualcun altro avesse vissuto al posto mio.»

«Ricordi qualcosa?»

Ivan si bloccò, come raggelato. Quando parlò di nuovo, le parole attraversarono con fatica la sua lingua e si lanciarono titubanti dalle sue labbra.

«Le mie sorelle. Mio nonno. Li ha uccisi il Cuore di Inverno, prima di inchiodarsi nel mio petto. Quell’oggetto è un vampiro: ammazza chi non gli serve e sfrutta l’umano prescelto.»

Yao gli accarezzò le spalle, non potendo lenire materialmente il suo dolore.

«E ricordo la vita come custode. Ma non mi sembra di averla vissuta realmente: è come se l’avessi vista attraverso un vetro. Un vetro gelido» appoggiò gli occhi su di lui, e lo strinse con più forza. «E poi c’eri tu.»

Non aggiunse altro. Che potevano aggiungere le parole, quando lui aveva scelto Yao dal primo momento in cui lo aveva visto, lo aveva amato ai massimi gradi permessi dal vampiro sul suo petto ed era quasi morto per lui? Un’accozzaglia di lettere non sarebbe mai riuscita a circoscrivere quell’enormità.

Essere innamorato di Yao era stato bello perfino quando il ragno artico gli risucchiava le emozioni, ma viverlo con il suo vero cuore, senza il filtro invernale del vampiro, era meraviglioso. Era come apprezzare un fiore inglobato nel ghiaccio e assaporarlo invece in primavera, quando la calotta artica non poteva camuffare il colore e il profumo del bocciolo, o impedirgli di ondeggiare sotto le carezze del vento.

«Ti ho fatto aspettare a lungo» si scusò, accarezzando la schiena fine del sovrano.

Yao scosse la testa, abbracciandolo con più forza. Ivan. Il suo Ivan era vivo!

«Non mi hai fatto aspettare» lo contraddisse garbatamente l’Asean. «Ti ho sempre visto, dentro il Custode dei Cancelli. Ti ho sempre sentito lottare contro il Cuore d’Inverno.»

«Non ti mancherà il Custode?»

Yao si distanziò il minimo indispensabile per sentenziare, dolcemente:

«Il Custode era una parte di te, quella che serviva al Cuore d’Inverno per fare il suo dovere. Ho visto il tuo lato più gelido e spietato. E l’ho visto diventare più umano con me. E ti vedo ora, Ivan. E ho amato tutto quello che ho visto. Sarebbe davvero un amore insipido se amassi solo un lato di te.»

Ivan lo sollevò di slancio, in uno di quei suoi tipici momenti di irruenza, e lo appoggiò sulle sue ginocchia. Subito dopo, premette una mano sul petto, contorcendo il viso in una smorfia di dolore.

«Temo di essere ancora in convalescenza» valutò.

Yao lo aiutò a stendersi, e lo convinse a rimanere supino baciandolo lentamente sulla bocca.

«Riposati. Domani mattina ci aspetta un lungo viaggio.»

Il sovrano si distese al suo fianco, sopra le coperte, e fece passare una mano sul petto robusto dell’uomo. Ivan lo tenne vicino a sé passandoli un braccio attorno alle spalle.

Le sopracciglia argentee dell’uomo si sollevarono stupite, osservando fuori dalla finestra.

«Credevo che il cielo di Chugoku fosse completamente nero» ricordò.

Il sorriso di Yao si estese, diretto all’intreccio di stelle che trapuntava il cielo notturno.

«Lo dovevo a mio fratello e a mio figlio» bisbigliò.

Loro erano in quel cielo, adesso. Meritavano un prato di stelle, e non un oceano di pece, dove potersi allenare come facevano nelle sale del palazzo.

E dove, ne era certo, lo avrebbero aspettato finché non sarebbe arrivato il giorno in cui si sarebbero incontrati di nuovo.

 

***

 

L’odore dell’erba scura era cresciuto forte e umido con il calare della sera.

Lovino stringeva la mano di Feliciano, steso sul manto erboso assieme a lui.

Erano passati sei, lunghissimi anni dall’ultima volta che erano rimasti così, sereni e rilassati, a fissare il cielo.

Feliciano non aveva più quella veste assurdamente bianca: Lovino gli aveva prestato una camicia e un paio di pantaloni. Erano un po’ troppo larghi per il suo gemello mingherlino, ma nulla che una robusta cintura non potesse risolvere.

«Mi piacciono questi vestiti» mormorò Feliciano, muovendo il pollice sulle nocche del fratello.

«Non sono alta sartoria» minimizzò Lovino.

«Hanno il tuo odore» Feliciano lo disse serio, come se fosse il massimo complimento possibile per un abito, e Lovino rispose con una scrollata di spalle, imbarazzato.

I marinai li avevano fissati sconvolti, quando erano approdati sul ponte della Reina de la Oscuridad; sapevano che il vice del capitano e l’Asse erano consanguinei, ma non si sarebbero mai aspettati una tale somiglianza. All’inizio era facile distinguerli: quello senza tunica bianca era il loro vice. La faccenda si era complicata quando Lovino aveva rivestito il suo gemello. Grazie agli dei, il volto del vice non perdeva mai quell’accenno di broncio, e quello dell’Asse era costantemente permeato da un sorriso sotterraneo. Inoltre il vice si muoveva come un selvaggio, mentre l’Asse sembrava danzare in un’esposizione di cristalli.

«Non ci siamo ancora raccontati cosa è successo in questi sei anni» notò pacato Feliciano.

«È vero» confermò Lovino, gli occhi appuntati al cielo.

«Ma non ne sento il bisogno.»

Voltarono la testa nello stesso momento e sorrisero nell’istante in cui incrociarono gli occhi. Quanto gli era mancata quella sincronia che il padre riteneva sacrilega. Lovino sentiva una scintilla di luce sprizzare nel suo cuore quando vedeva il sorriso baluginare nelle iridi del fratello perché avevano entrambi capito a cosa stavano pensando, anche senza parlare.

«È come quando facevamo i sogni insieme» Feliciano giocherellò con le loro mani, facendole applaudire a mezz’aria. «Non c’era bisogno di chiedere; sapevamo cosa era successo.»

Lovino annuì. Ricordava con una nostalgia acidula le mattinate in cui si svegliavano, saltavano a sedere sul letto e scoppiavano a ridere, sapendo di aver sognato la stessa cosa. E ne parlavano come se fosse stata un’esperienza realmente vissuta insieme.

«Mi sento allo stesso modo» bisbigliò Feliciano. Inspirò a fondo, e l’aria della sera gli inumidì il palato. Non servivano le parole, quando tutto il corpo si trasformava nella cassa armonica dei ricordi del gemello: sentiva le battaglie della Reina rombargli nelle costole, l’ululato di Roma nelle orecchie, la paura di non rivedersi conficcata come una spina nel fegato, e il sapore asciutto della rabbia seccargli il palato. Ma, soprattutto, sentiva l’affetto sconfinato del fratello avvolgerlo come il mare durante un’immersione.

Si voltò di nuovo in sincrono con Lovino, e sorrisero entrambi. Sicuramente, la Mano Sinistra del Diavolo era appena rientrata da una breve escursione nel Palazzo di Quarzo e nei suoi lunghissimi pomeriggi di preghiere e purezza.

Lovino si girò su un fianco per poter fissare il fratello dritto negli occhi.

«Hai davvero fatto quelle cose con… la tua guardia del corpo?»

Feliciano assestò un buffetto sulla fronte corrucciata del fratello. Era bello vedere qualcuno geloso di lui in modo quasi infantile. Se avesse potuto, Lovino lo avrebbe messo sotto una teca di vetro e lo avrebbe sorvegliato giorno e notte, per mantenerlo innocente per sempre. Ma era contento che il fratello non potesse farlo, altrimenti non avrebbe mai potuto correre quel bellissimo rischio di nome Ludwig.

Feliciano attorcigliò un filo di erba con la mano libera. Si era quasi scordato le carezze ruvide dei prati, il massaggio umido dell’aria notturna, e l’odore selvatico del fratello. Era fantastico uscire nel mondo e innamorarsi di nuovo di ogni minimo particolare.

Entrambi i fratelli sollevarono il capo per fissare un’altra riunione di famiglia, poco più in là. Roderich teneva il violino tra le mani, seduto su un sasso, gli occhi viola che andavano da Gilbert a Ludwig con elegante curiosità; il Guardiano ritto in piedi come un faro in mezzo a quell’oceano verde, l’eco di un sorriso sulle labbra e una mano sulla spalla dell’Hellsing, seduto sullo stesso sasso dell’Accordatore.

Erano troppo lontani per sentire di cosa stessero parlando, ma non era difficile immaginarlo: avevano vissuto una lunga lontananza, e stavano cercando di colmarla come potevano con le parole e con piccoli gesti di affetto.

«È un po’ triste» Feliciano si stese sulla pancia, esalando un sospiro. «Per quanto le persone si amino, non possono costringere il tempo a tornare indietro. Sai, il tempo è come un uomo che sparge sale nella terra di un altro; il proprietario potrà avere di nuovo il suo giardino, ma solo lavorando con cura ogni giorno» Feliciano nascose il sorriso triste tra le labbra incrociate: il paragone era particolarmente calzante, considerando la storia che Ludwig gli aveva raccontato tempo prima sul bulbo che lui e Matthew avevano cercato di far germogliare. I tre Hellsing stavano cercando di ricostruire il loro giardino distrutto: avevano appena cominciato a piantare i semi.

Lovino gli picchiettò una tempia.

«Non mi hai risposto» gli ricordò, con il tono del prete di famiglia quando li costringeva a confessarsi settimanalmente.

Feliciano si girò di nuovo sulla schiena, e rivolse un sorriso compiaciuto al fratello.

«Siamo innamorati. Come te e il capitano.»

La bocca di Lovino disegnò un “o” indignato, e si richiuse in uno sbuffo soffocato. Non era riuscito a negarlo con il Figlio del Cielo, che possibilità poteva avere con suo fratello?

«Mi è stato vicino in questi anni» tagliò corto.

«Come Ludwig.»

Una risata sferragliante gli ruzzolò tra le labbra strette. Si augurava vivamente che quella montagna bionda non avesse fatto tutto quello che il capitano aveva fatto a lui, o avrebbe ordinato a Roma di inseguirlo per tutta la Confederazione.

Feliciano era l’unica persona in grado di pungolarlo con gli occhi: gli bastava uno sguardo obliquo con le iridi sfavillanti di aspettativa per convincerlo a sbottonare la lingua.

«Non ce l’avrei fatta, senza di lui.»

«Come Ludwig.»

«Non è come quel… crucco!»

«Crucco?» gli fece eco Feliciano, il tintinnio di una risata in quell’interrogativo. «Non esiste, come parola.»

«Gli calza a pennello.»

«Non puoi inventarti parole a caso, Lovino.»

«Posso, se nessuno si è mai preso la briga di inventarsene una che potesse descrivere quel crucco

Feliciano si arrese con una scrollata di spalle e un sorriso.

«Il loro pianeta di origine è stato distrutto, hanno perso la loro famiglia, sono cresciuti soli e si sono innamorati di un Vargas… sono incredibilmente simili, non trovi?»

«Io non sono più un Vargas» s’incaponì Lovino.

«Allora non sei mio fratello?»

«Se anche dovessero dividerci, sarei nel tuo sangue, nei tuoi sogni e nei tuoi ricordi. Non ricordi?»

Un brivido scese lungo la schiena di entrambi: nessuno dei due aveva scordato le ultime parole che si erano scambiati sei anni prima, sul letto della Villa Vaticana.

«Essere fratelli non ha niente a che fare con il cognome» Lovino afferrò la mano di Feliciano e la strinse con forza. «Ho gettato via i Vargas perché i Vargas hanno gettato via me. Ma non smetterò mai di essere tuo fratello.»

Lovino incrociò le braccia e increspò le labbra in una buffa smorfia.

«E, comunque, non sono simili. Antonio è più bello.»

«Potrei smentirti.»

«Non hai gusto estetico.»

«Sarebbe tragico se considerassi più bello il tuo uomo del mio, non trovi?»

Il respiro gli uscì dalla bocca contratta in una stramba pernacchia. Odiava non poter replicare. C’erano tre persone, in tutta la Confederazione, in grado di zittirlo: il Figlio del Cielo, la cui memoria generazionale e alterigia nobiliare mettevano a tacere chiunque; suo fratello, che lo acquietava con una logica affettuosa; e Antonio, che semplicemente gli toglieva il respiro.

«Antonio è oggettivamente più bello» la sua voce scese di un’ottava, impantanandosi in una lacrima trattenuta. «E non ha più una famiglia cui fare ritorno come Ludwig. O come noi. Non gli è rimasto nemmeno un brandello.»

Feliciano si sollevò a sedere e abbracciò le ginocchia contro il petto.

«C’è una legge che governa l’universo, Lovino. Sai qual è?» le stelle intarsiarono una rete di luccichii argentei nelle sue iridi ramate quando Feliciano sollevò gli occhi al cielo. «Tutto ciò che si distrugge, può essere ricostruito.»

«Ne conosco un’altra, Feliciano. I morti non ritornano in vita.»

«Ma le famiglie si possono ricostruire» il giovane rovesciò delicatamente la testa all’indietro, fissando il gemello. «Tu puoi essere la sua nuova famiglia. Anzi, ora che ci penso, è impossibile.»

«Perché?» scattò Lovino.

«Perché lo sei già» Feliciano gli sorrise con tutto il cuore. «Non puoi diventare la sua famiglia se sei già la sua famiglia, no?»

«Non sono un suo parente» fu la replica incoerente di Lovino.

«Non è una questione di cognome, l’hai detto tu» Feliciano aveva un modo dolce di ritorcere le parole contro il loro primo utilizzatore, come un pasticcere che nascondeva una punta di peperoncino nella crema: c’era tutto il tempo di assaporare lo zucchero prima di scottarsi la lingua col piccante.

Lovino si toccò il collo, vicino alla nuca. La cicatrice a forma di croce era ancora lì. Forse era tempo di sostituirla con qualche altro simbolo.

Il giovane si alzò, e il gemello non lo fermò: sapeva dove e da chi stava andando. E sapeva anche che, finalmente, erano liberi e pieni di tempo da trascorrere insieme: avrebbe passato altri giorni e altre notti insieme al fratello.

«Lovino» lo richiamò, dopo qualche passo. «Guarda.»

Il giovane sollevò lo sguardo sulla volta celeste.

Si sentì improvvisamente piccolo e inutile, come una formica messa di fronte a una montagna.

L’universo si stava sciogliendo in un intarsio di spirali di luce. Pareva che una serie di uragani avessero risucchiato uno sciame di fulmini: serpenti di luce saettavano tracciando cerchi nervosi, dipingendo un quadro astratto di luci e ombre nella trama dell’universo.

I gemelli rimasero immobili, Lovino ancora in piedi e Feliciano seduto, a fissare il cielo che si sgretolava in un gomitolo disordinato di saette.

«Il Confine sta cedendo» soffiò Lovino. L’Asse non occupava più il suo posto, e il muro che li divideva dai demoni stava lentamente andando in frantumi.

«È la fine» concordò sereno Feliciano. «Pensavo che avrei avuto paura. Invece è semplicemente… bello.»

Lovino annuì, attonito.

Il giorno dopo sarebbero salpati alla volta di una nuova dimensione. Non sapevano cosa li attendesse al di là di quel salto. Ma sarebbero stati insieme, finalmente.

Era la solitudine a spaventarli, non l’ignoto. L’ignoto poteva essere esplorato, quando c’erano più di due occhi a esaminarlo.

«È straordinario» esalò, mentre un altro pezzo di universo si sfaldava in un roveto di saette.

«Ne valeva la pena, Lovino» la mano del fratello strinse la sua, e le labbra di Feliciano si poggiarono sulle sue nocche. «Per te. Per Ludwig. Per tutte le persone che avranno il coraggio di salpare con noi.»

Lovino si piegò sulle ginocchia per poter abbracciare il gemello. Feliciano aveva ragione: ne era valsa la pena. Tutti i rischi che avevano corso e che ancora si stendevano davanti a loro sparivano se poteva stringere il fratello tra le braccia.

«Vai» lo incitò dolcemente Feliciano, quando si staccarono. «C’è un capitano molto solo che ti aspetta.»

Feliciano rimase qualche secondo a fissare il fratello che si allontanava. I serpenti di luce spezzavano ombre guizzanti sulla schiena del gemello, e disseminavano manciate di riflessi argentei nella chioma di rame.

La sua figura di spalle non era straziante come quando la vedeva nei suoi sogni. Al contrario dei suoi incubi, se lo avesse chiamato, Lovino si sarebbe voltato e, se avesse teso le braccia, sarebbe corso ad abbracciarlo.

Si alzò in piedi a sua volta, e si girò verso gli Hellsing. Ludwig gli fece cenno di avvicinarsi, e Feliciano fu lesto a portarsi al suo fianco.

Roderich chinò il capo, una punta di vergogna a intorbidare la sua glaciale raffinatezza: l’ultima volta che aveva visto l’Asse, era ancora lo spietato Accordatore. E non aveva idea che il Guardiano potesse essere il suo secondo figlio. Nonché l’amante del mago più potente della Galassia.

Ovviamente, tutti lo conoscevano come Asse, ma il giovane non vedeva l’ora di spogliarsi di quel titolo ingombrante come aveva fatto di quelle vesti troppo candide.

La faccia di Gilbert si aprì in un ghigno da galera quando il ragazzo si presentò:

«Sono Feliciano. Feliciano Belial.»

«Questo tipo ha capito tutto» si complimentò Gilbert, battendo una pacca cameratesca sul braccio nerboruto di Ludwig, lieto che il cognome da lui creato avesse tanto successo. «Belial è un bel cognome. Scelto con cura da una persona meravigliosa.»

Feliciano si sedette per terra e invitò Ludwig a fare lo stesso. Rimase appoggiato alla spalla del suo Guardiano, il braccio forte del giovane stretto sulla sua vita, mentre i tre Hellsing si scambiavano ricordi e aneddoti.

La felicità aveva un gusto più semplice di quanto si potesse immaginare: sapeva di famiglia, di baite in riva ai laghi e sonate di violino.

Feliciano socchiuse gli occhi, rigirandosi quella sensazione sulla lingua.

Era tutto lì, in quel sapore casereccio. Il motivo per cui avevano lottato.

Quel sapore ne valeva la pena.

 

***

 

Non li aveva visti.

Non aveva voluto vederli.

Appena i fantasmi avevano fatto la loro apparizione nell’utero di pietra, aveva chiuso gli occhi. Non voleva vedere i suoi genitori.

Aveva mille bei ricordi di loro; non gli serviva una loro immagine come spettri carichi di vendetta.

Emise un sospiro flebile e lungo, nella penombra delle tende di fortuna che avevano allestito di fianco al cantiere aeronavale.

Gilbert aveva ritrovato una parte della sua famiglia. Chissà che effetto faceva, ricongiungersi al proprio padre e al proprio fratello dopo tanto tempo. Doveva essere qualcosa di avvolgente, quasi schiacciante, come quando ci si tuffava in profondità troppo elevate. E bello come le parole non erano in grado di descrivere.

L’espressione che aveva attraversato il volto di Lovino quando aveva trovato Feliciano era qualcosa che aveva visto solo nelle Chiese Vaticane, sui volti degli angeli affrescati. Li aveva visti perché era entrato per rubare i tesori, non per recitare una preghiera come ogni fedele timorato.

Era stato belle assistere a quegli incontri. Bello, ma con una punta di invidia, perché a lui non sarebbe mai successo.

Allargò immediatamente le braccia quando uno scalpiccio di passi ben conosciuti si fece strada nella tenda, e il corpo di Lovino si sagomò contro il suo l’istante successivo.

«Credevo che fossi con tuo fratello» lo accolse, accarezzandogli la schiena.

«Non potevo lasciarti solo come un cane» il barbuglio del giovane gli solleticò il petto, e Antonio gli scompigliò con dolcezza i capelli ramati. «Tu non… non hai più una famiglia.»

Le braccia del capitano si immobilizzarono, strette sulla sua vita magra.

Il puzzo della sua casa che bruciava gli pizzicò nuovamente le narici, e l’uomo dovette scuotere il capo per scacciarlo.

«E quindi?» domandò, senza capire perché Lovino avesse voluto sollevare quell’argomento caustico.

La sua mano destra venne afferrata da quella del giovane, fatta scivolare lungo il fianco per poi essere condotta in alto, attraversando il petto fino ad approdare al collo. I polpastrelli del capitano saggiarono la cicatrice a forma di croce, frastagliata e in rilievo rispetto al resto della pelle.

Sentì Lovino prendere fiato e farlo uscire in un respiro tremulo, tipico di quando voleva dire qualcosa, ma una micidiale combinazione di orgoglio e vergogna gli impediva di esprimersi.

«Non sono una donna.»

«È abbastanza ovvio» la penombra gli impedì di schivare la testata, diretta al suo mento.

«Non mi interrompere!» sbottò Lovino, accecato dall’imbarazzo. «Quindi non… non puoi avere una famiglia, con me.»

«Lovino, abbiamo già affrontato questo…» riuscì a deviare la seconda testata, e il ragazzo si vendicò sferrandogli un colpo allo stomaco.

«Ti ho detto di non interrompere!» Lovino era quasi fluorescente nella penombra, tanto erano diventate paonazze le sue guance. Il giovane prese un altro respiro, bloccato dall’orgoglio che veniva ingoiato.

«Non… non posso portare anelli o sciocchezze simili» riuscì a brontolare, alla fine.

Antonio non capì subito cosa intendesse dire. Impiegò qualche secondo per ricordarsi che quella croce in rilievo, un tempo, era stata il simbolo dell’appartenenza alla famiglia Vaticana… e ora era diventata uno spazio vuoto per un nuovo marchio.

«Lovino» il capitano si avvicinò per parlare a un soffio dalle sue labbra. «Vuoi diventare un Carriedo?»

«Belial Carriedo» precisò piccato lui, allontanandosi con il viso.

Le dita del capitano tracciarono cerchi pensosi sul suo collo.

«Ma io non ho nessun marchio da metterti» rifletté, sornione, come un gatto che gioca con un topolino che tiene tra le zampe. «L’unico che potrei avere…»

Lovino si dimenò come una lince selvatica tra le sue braccia mentre lo faceva voltare. Antonio gli afferrò con forza la nuca, per evitare un’eventuale testata sul naso, mentre schiudeva le labbra sul suo collo.

Le mani di Lovino gli artigliarono la camicia, e un ansito sorpreso sfuggì alle labbra orgogliose. Antonio ghignò, ultimando il lavoro: se avesse saputo prima che quello era un suo punto sensibile, lo avrebbe stimolato molto tempo prima.

Un fiore scarlatto si apriva al centro di quella croce biancastra. Pareva quasi un’icona pagana.

«Sparirà entro pochi giorni, idiota!» Lovino cercò di assestargli una gomitata alle costole, ma Antonio lo abbracciò così forte da impedirgli qualunque mossa azzardata.

«Te lo rifarò finché non mi verrà in mente un simbolo adatto da tatuarti» contrattò il capitano.

«Non posso girare con un succhiotto per tutta la vita!» scalciò il ragazzo.

«Non ho detto per tutta la vita, solo finché non mi verrà in mente un bel tatuaggio» rimarcò Antonio.

«Allora datti una mossa a pensarci!»

«Mi è difficile pensare.»

«Non è una novità!»

«Intendo dire che mi è difficile mentre siamo soli.»

Lovino si immobilizzò per un attimo, prima di insultarlo di nuovo.

«Maniaco…» ma proferì l’improperio con un tono di voce così sommesso da cancellare quasi del tutto la vena di rabbia.

Le dita del capitano gli fecero voltare lentamente il viso, finché non fu a portata di bacio. Lovino si voltò nel suo abbraccio, per potersi arrampicare su di lui e spingersi più a fondo nella sua bocca.

Una mano di Antonio scivolò piano verso il basso, passeggiando oziosamente sulla cintura prima di scavalcarla e pizzicare la biancheria del giovane.

«Antonio! Tirati su le braghe e vieni fuori!»

Adorava Gilbert, gli voleva davvero un mondo di bene. Ma, in quel momento, avrebbe voluto sparargli.

Lovino si allontanò da lui con una spinta e sfregò con foga le labbra sulla manica, quasi temesse che la bocca di Antonio avesse lasciato una traccia indelebile su di esse.

Il capitano uscì, senza riuscire a dissimulare il suo malcontento.

«Spero che sia una questione di vita o di morte» minacciò, uscendo un secondo prima di Lovino.

«Oh» notò Gilbert, malizioso. «Allora l’avvertimento sulle braghe era lungimirante.»

«Cuciti la bocca, crucco» tagliò corto Lovino.

«Crucco?» gli fece eco Gilbert.

«A mio fratello piace inventare nuove parole» minimizzò Feliciano.

«Per cosa siamo stati chiamati?» domandò sbrigativo Antonio.

Roderich sfoderò il violino e lo posizionò sotto il mento con eleganza.

«Non abbiamo ancora reso omaggio a tutti coloro che sono caduti prima di vedere questo giorno» presentò il musicista. «Questa canzone è per loro.»

Gilbert sorrise, sentendo le prime note diffondersi nell’aria. “Non sei solo”. La sua ninna-nanna.

Lo sparuto pubblico si strinse in un abbraccio attorcigliato: Antonio avvolse le braccia attorno alla vita di Lovino, che poggiò una mano sui polsi incrociati dell’uomo e porse l’altra al fratello. Feliciano intrecciò le dita a quelle del gemello, e sorrise quando il palmo di Ludwig si appoggiò sul suo fianco. Il Guardiano allungò il braccio libero, appoggiandolo sulle spalle di Gilbert, che gli batté alcune pacche guerresche in mezzo alle scapole.

Un silenzio contemplativo colò gentilmente sulla piccola assemblea, mentre l’archetto scivolava sulle corde.

Le note parvero gonfiarsi, riempiendo dolcemente tutto lo spazio circostante. La musica cullò i cuori nei loro petti, e volò verso l’alto, dove perfino gli angeli l’avrebbero udita.

Ognuno, in quella melodia, rivide scene diverse.

Gilbert vide un viso biondo con un paio di occhiali e un sorriso goffo.

Ludwig sentì il gelo di un laghetto di fianco alla sola baita nella tundra brulla.

Antonio udì le voci dei suoi genitori rimbombare nei corridoi della sua memoria.

Feliciano vide suo padre, quando ancora si ricordava come si faceva a sorridere.

Lovino avvertì la morbidezza del letto nella Villa Vaticana, da cui fissava il cielo con il fratello.

Roderich continuò a suonare, finché perfino le stelle non si voltarono per ascoltare la sua melodia.

La stavano sentendo anche i combattenti incorporei che li avevano aiutati in quella guerra.

Poteva quasi vederli, affacciati dai loro seggi di nuvole.

E, tra loro, poteva scorgere con particolare chiarezza una donna fiera, dai lunghi capelli castani.

Una guerriera che sorrideva solo per lui.

 

 

 

 

 

 

 

 

Più di dieci giorni senza wi-fi.

PIU’ DI DIECI GIORNI SENZA WI-FI E CON IL CAPITOLO PRONTO DA POSTARE!!!! AVEVO VOGLIA DI MANGIARMI LE MANI!!!!

Cooooomunque…. Eccoci qui gente, al terz’ultimo capitolo! Ebbene sì, ancora due capitoli e Caleidoscopio sarà concluso ç_ç Mi viene da piangere, come quando ho scritto la fine di Rosario Cuentas çAç

Questa storia mi ha coccolata per un anno circa, e spero abbia tenuto buona compagnia anche a voi<3e, se l’ha fatto, spero seguirete anche gli spin-off<3

Pensavo di cominciare dalla saga degli Hellsing, con il piccolo Gilbert e un Roderich non del tutto certo di voler allevare quello sgorbietto. Mi sono segnata tutte le vostre richieste su un foglio di word *_* Le elenco di seguito, se ne aveste qualcuna che volete aggiungere siete liberi di chiedere<3 (l’ordine è casuale<3)

 

1)      Breve divagazione sul “prima di Caleidoscopio”

HELLSING

1)      PruCan e piccolo Ludwig (i giorni felici prima che l’autrice sadica uccidesse il povero Matthew)

2)      Elizabeta, Roderich e Gilbert bambino

3)      Gunsmith: come si è formato il loro gruppo e le varie coppie

 

REINA DE LA OSCURIDAD

1)      Profferte fatte a Lovino da parte della ciurma (ebbene sì, qualcuno di voi ha chiesto anche questo<3)

2)      Come Lovino è diventato Mano Sinistra del Diavolo

 

ALTRO

1)      Lovino e Feliciano da piccoli: se Lovino anche in questa fic ama e invidia allo stesso tempo Felì, come hanno preso consapevolezza dei loro poteri e carica, il loro rapporto di gemelli ecc. 

2)      Kiku e Heracles nell’orfanotrofio

3)      Heracles; qualcosa sulla sua infanzia

4)      Giornata tipo di Alfred prima della morte di Matt, una volta diventato Aquila e Stella Polare

5)      Formazione stella polare

6)      Arthur e i suoi cento anni da solo; Francis e cosa ha fatto in quei cento anni

7)      Bad Touch Trio; qualche avventura che ha cementato l’amicizia, come si sono aiutati tra di loro quando Antonio e Gilbert hanno perso le loro famiglie, la reazione di Francis e Antonio quando Gilbert è stato catturato, cosa ha provato Antonio quando anche Francis è stato incatenato

8)      Come sono finiti gli Hellsing e i Carriedo

 

Wow, un bell’elenco direi XD<3

Se vi viene in mente altro, prego<3 Non c’è limite alla fantasia, qui<3

Ciò detto vi saluto e, se il wi-fi mi assiste, avrete presto mie notizie<3

Anche per la futura fanfic su Hetalia, dopo o contemporanea agli spin-off<3

Red

P.S. Non riesco a rispondere alle recensioni sempre per i problemi di wifi ;; appena avro’ la connessione per bene vi rispondero’<3 Grazie a tutti voi che siete arrivati a leggere fino a qui<3
   
 
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