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Autore: kiara_star    31/10/2014    7 recensioni
[Crossover | Adam (Only Lovers Left Alive); Eric (Snow White and the Huntsman)]
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“Ci sono leggende che si tramandano per decenni, secoli, millenni.
Ci sono leggende che raccontano mille verità e poche bugie, molto più spesso, accade che sia solo una la verità narrata e miriadi le gocce di menzogna in cui essa si perde.”
[...]
Si avvicinò per riprendere la sua arma e fu allora che lo sentì: un battito di mani, secco, a intervalli regolari, un rumore sordo che ricordava in modo inquietante il dondolare di una campana.
«Lascia che mi congratuli con te, ragazzo. La tua tecnica è sublime.»
Alzò lo sguardo sul muro di mattoni grezzi alla sua destra e strinse forte le dita sull'argento.
Occhi spenti eppure accecanti, pelle pallidissima e una corona informe di capelli neri.
«Scendi da quel muro così ti faccio assaggiare la mia tecnica sulla pelle, bestia
Genere: Angst, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Chris Hemsworth, Tom Hiddleston
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Crossover is the way!'
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cap5 NdA.
Stavolta vi rubo qualche secondo prima e poi vi lascio a questo ultimo capitolo.
Ha faticato un po' a venir fuori e vi chiedo davvero scusa per questa infinita attesa. È anche un periodo parecchio down per me su molti aspetti e sono conscia che non è un granché come finale, ma a un anno esatto dal primo ho voluto comunque chiudere il ciclo ^^
Grazie a chiunque mi abbia fatto compagnia.
Se c'è ancora qualcuno in ascolto, vi auguro un Buon Halloween e buona lettura.
Kiss kiss Chiara



A story ever told





V. Il destino del Cacciatore





Eric iniziò a scrivere un diario.
Una mattina, mentre passeggiava con le sue prede legate alla cintola, vide un piccolo diario con la copertina scarlatta come sangue; gli costò tutta la sua selvaggina, ma lo prese senza alcun'esitazione.
Giunse a casa.
Sarah riposava sulla seggiola di legno, con il fuoco che ardeva povero nella brace e i ferri della maglia poggiati sulle ginocchia, e con la sua pancia tonda che sporgeva dolcemente dalle sue vesti. Eric si sedette al tavolo, senza far rumore, e scrisse la sua prima parola su quelle pagine vergini.
Scrisse il suo nome: Adam.


*


Charles voleva che si trasferissero in città, voleva che Eric portasse sua figlia in un luogo meno isolato e deprimente, usò queste due precise espressioni.
«Se è ciò che Sarah vuole» rispose Eric, bevendo una sorsata di birra dal boccale.
Charles gli puntò contro il suo grosso indice e lo guardò con quegli occhi neri, duri e severi.
«Non mi sei mai piaciuto, e mai mi piacerai, ragazzo, ma stai per diventare il padre di mio nipote perciò meglio che inizi a comportarti con responsabilità.» Lo ammonì per poi passare il panno umido sul bancone. «Trovati un lavoro che ti assicuri un piatto sulla tavola ogni giorno, perché se mia figlia è stata felice di fare la fame con te, non lascerò che mio nipote viva allo stesso modo. Chiaro?»
Eric annuì e trattenne un sospiro stanco. Poi la porta della locanda si aprì e Charles guardò infastidito l'uomo appena entrato.
«E smettila di frequentare quel prete... le preghiere non ti riempiono lo stomaco.»
Lo udì borbottare ancora e allontanarsi non appena Cornelius si sedette accanto a lui.
«Buondì, Charles.» Al suo saluto gentile, non ci fu alcuna risposta.
«Ignoralo, oggi ha la luna storta... tanto per cambiare.» Gli spiegò finendo la sua birra e poggiando il boccale sul bancone. Si voltò a guardarlo e vide un sorriso troppo luminoso disegnato sul suo viso. «Cos'è quella faccia? Ti hanno forse eletto Papa?» Lo prese in giro mentre si alzava dallo sgabello.
«Nulla di particolare. Sono solo allegro,» rispose Cornelius seguendolo verso l'uscita.
«Buon per te.»
Ad accoglierli il freddo pungente dell'inverno, il cielo bianco e l'aria che profumava di neve.
Eric si strinse nella sua casacca mentre Cornelius sollevava il cappuccio del suo mantello marrone.
«Ti sono venuto a cercare a casa ma non ti ho trovato, e Sarah mi ha detto che probabilmente eri qui.»
Eric sospirò.
«Charles vuole che ci trasferissimo qui al villaggio.» Lo informò con tono privo di colore.
«Non mi pare per nulla un'idea malvagia, Eric. Ormai manca poco al termine della gravidanza di Sarah e sarebbe di certo più di aiuto essere accanto alle sue sorelle. Per non parlare della facilità con cui potrebbe procurarsi ogni bene necessario per allevare il nascituro.»
Non perse neanche tempo a obiettare. Cornelius era nella ragione, ma Eric non sopportava la vita del villaggio, troppa confusione, troppo rumore... Troppi occhi.
Era sempre stato un tipo solitario, amava la tranquillità della sua dimora. Per questo amava essere un cacciatore, per poter essere in solitudine con la sua preda, seguirla, studiarla e poi stanarla senza necessità di altro fuorché della sua arma.
L'unica caccia che aveva accettato di condividere era quella notturna perché Cornelius era un fratello, non un semplice compagno.
Mentre Sarah diveniva ogni giorno più bella e la sua pancia cresceva, Eric continuava a cacciare con Cornelius ogni notte, alle volte tornando prima dell'alba, altre, attendendo che il sole fosse alto. Sarah non gli chiedeva di esserle accanto, e se anche Cornelius insisteva spesse volte affinché il suo posto fosse di fianco il sua sposa, Eric preferiva restare con il suo paletto nella mano, con gli occhi fissi in quelli di un demone, con il suo sangue a sporcargli vestiti e pelle.
La sua vita di Mastro era rimasta apparentemente la medesima, eppure c'era qualcosa di profondamente diverso. Perché le notti in cui tornava a casa quando la luna era ancora alta, erano quelle in cui lo scorgeva ad attenderlo sotto il faggio; quelle in cui aspettava l'alba e poi il suo zenit, erano quelle in cui era Eric ad attenderlo.
E Cornelius non sapeva, nessuno sapeva, nessuno avrebbe mai saputo delle loro lotte, di tutte le volte che Eric tentava di affondare il paletto e di tutte quelle in cui lui glielo strappava dalle mani. Nessuno avrebbe mai saputo del sangue che scorreva sulla sua pelle, di quello che sporcava la pallida pelle di Adam, delle sconfitte, delle vittorie, dei baci e delle carezze, selvagge e rabbiose, intense e disperate. Nessuno avrebbe saputo della tentazione a cui Eric cedeva notte dopo notte, luna dopo luna, alba dopo alba.
«La vita del villaggio non è così male come credi, e poi sarà una buona occasione per frequentare le celebrazioni mattutine.»
Eric lo guardò con un sopracciglio sollevato e Cornelius rise colpevole. «Va bene... come soleva dire il saggio Padre Gregory: la fede non è un obbligo, ma una passione.»
«Mh... alquanto blasfemo» sottolineò divertito e Cornelius continuò a sorridere.
«Avere fede è un po' come essere innamorati. Ne hai un bisogno smodato, lo avverti nel cuore e nelle tue stesse vene. Lo brami, semplicemente... è passione, la più alta di ogni passione, quella che ti fa sentire realmente vivo.»
Eric ascoltò ogni parola con attenzione, guardò le labbra di Cornelius pronunciarle con intensità, con profonda convinzione.
«Come fai a sapere cosa si prova a essere innamorati?» gli chiese sinceramente incuriosito dal modo in cui ne parlava.
Cornelius non gli negò il suo sguardo seppure sembrò coprirsi di un sottile imbarazzo. Le sue guance pallide si arrossarono ulteriormente sotto il freddo del pomeriggio ma il sorriso non lasciò la sua bocca.
Non gli rispose, però, intanto che un piccolo fiocco di neve cadeva leggero sul suo naso. Poi ne cadde un altro ed Eric sollevò lo sguardo all'insù, verso il cielo da cui piovevano sempre più cristalli di neve.
«Meglio che torni in chiesa prima che inizino a giungere i bisognosi di riparo,» disse Cornelius stringendosi nel suo lungo mantello. «Ci vediamo stasera, Eric. Porterò un mantello anche per te.»
«Ti ho già detto che non lo indosserò!» gli rispose mentre lo vedeva allontanarsi con passo lesto.
Scosse poi il capo decidendo che era ormai tempo di rientrare. Con quel freddo non sarebbe stato possibile trovare alcuna preda da cacciare ed era meglio fare una buona scorta di legna. L'inverno di quell'anno sarebbe stato fra i più rigidi.
 

*


Spaccò decine e decine di ciocchi sotto la leggera nevicata. Diede vigore al fuoco e lasciò che la piccola cucina fosse abbracciata dal calore delle fiamme.
Sarah stava tagliando della verdura e gli sorrideva, in silenzio, ascoltando lo scoppiettare della legna. Eric si sedette al tavolo ad appuntare qualche paletto.
«Tuo padre vuole che andiamo a vivere al villaggio.»
La notizia non la sorprese.
«Anche Catherine mi ha chiesto lo stesso. Dice che quando il bambino nascerà sarebbe saggio che crescesse con i suoi cugini.»
Eric l'ascoltò e poggiò il paletto appena finito accanto agli altri. Prese l'altro pezzo grezzo di frassino e fece scorrere la lama sulla corteccia.
«Se vuoi andare a viverci per me va bene» affermò controllando l'angolazione del taglio. «Mi basta saperti felice.» Intento com'era nel suo lavoro non si accorse del silenzio di Sarah, dei suoi occhi che lo guardavano, delle domande che avrebbe voluto fargli ma che gli tacque. «Stasera potrebbe arrivare una bufera,» disse poi, soffiando via piccoli riccioli di legno. «Sigillerò tutte le imposte, così non dovrai temere il vento.»
«Potresti restare...» alle sue parole, Eric sollevò lo sguardo sul viso della sua sposa. «Non sei obbligato ad andare.»
Era una richiesta, chiara come il bruciare di quelle fiamme.
«Cercherò di tornare prima.»
Non poté dirle di sì. Non volle farlo.


*


Il freddo, come aveva scoperto da tempo, era un limite non solo per un uomo ma anche per uno di quei demoni, per il semplice motivo che non avevano possibilità di trovane nessuno di cui cibarsi.
Tutti erano al sicuro nelle loro case i gli sfortunati che affrontavano la notte gelida finivano con l'essere vinti dal freddo ancora prima che dai canini di quelle bestie.
Con la neve fra i capelli e le dita delle mani nascoste da pesanti guanti, Eric e Cornelius si aggiravano in solitudine per i boschi, fra i nudi alberi che si stagliavano nel bianco della neve come anime smarrite.
Incontrarono pochi demoni, tutti finirono per ricadere privi di vita sul manto candido a sporcarlo con il loro sangue maledetto.
«Sarà bene rientrare, mio buon amico» suggerì Cornelius stringendosi nel suo mantello. «Una bufera incombe. Sarebbe un rischio sciocco continuare ad avventurarci per queste fredde terre.»
Il vento aumentò ferendo il viso dei due come fosse fatto di lame affilate.
Eric si poggiò a un tronco per non perdere l'equilibrio.
«Va bene» disse con voce alta per vincere il frastuono delle raffiche. «Torniamo.»
Ma proprio quando avevano deciso di metter fine a quella battuta di caccia, furono attaccati da sei esseri della notte.
La sorpresa e la difficoltà dovuta al tempo pesarono pericolosamente sui loro movimenti e con fatica Eric riuscì ad abbatterne due mentre Cornelius ne affrontava altri.
Corse a dargli man forte e dopo una dura lotta rimasero due contro uno.
Cornelius teneva puntata la sua balestra con la fronte sanguinante ma con mani ferme. Eric strinse il suo paletto e fece un passo verso di lui.
L'essere indietreggiava con occhi folli, mentre osservava visibilmente terrorizzato il resto dei suoi simili completamente immobili al suolo.
Eric guardò verso Cornelius facendogli segno di colpirlo e il dardo partì.


*


Cornelius aveva preso il sentiero che portava al villaggio per raggiungere la sua chiesta. Eric risaliva il colle per far ritorno alla sua piccola casa.
Il vento sferzava violento, i piedi affondavano nel manto sempre più profondo di neve e lui si coprì gli occhi con una mano per non essere accecato dal cadere dei cristalli.
Poi fu un attimo, veloce tanto da non essere quasi percepito.
Eric si ritrovò con le spalle sulla neve e una lama puntata alla sua gola.
«Un po' troppo freddo per i miei gusti» sibilò Adam premendo il taglio sulla pelle ed Eric si umettò le labbra screpolate dal gelo. Guardò i suoi capelli neri confusi dal vento, il lungo mantello che si muoveva alle sue spalle, i suoi occhi che lo divoravano.
Con un movimento lesto, che Adam semplicemente seguì, ribaltò le posizioni e puntò lui il paletto d'argento al suo petto schiacciandolo contro il manto bianco.
Adam sorrise.
Eric si ritrovò nuovamente a finire con le spalle a terra ma stavolta non c'era la neve, non c'era il vento, né la notte gelida. Lenzuola di seta sotto di lui, la luce calda dell'enorme camino di Adam, il calore del suo corpo contro il suo.
Erano nella sua dimora, che ancora ignorava dove fosse.
Come accadeva spesso la lotta fu presto dimenticata, la lama e l'argento caddero al suolo, sul tappeto, senza far rumore.
E così fecero i vestiti e ogni pensiero morale.
Dimenticato Bene e Male, Giusto e Sbagliato, Eric lasciò che le mani di Adam sfiorassero il suo corpo, che le labbra lambissero ogni angolo di pelle, mentre Adam, sotto di lui, si lasciava  prendere.
Eric credeva di non aver mai conosciuto la passione prima, di non aver mai davvero saputo cosa fosse il desiderio e la brama se non dopo che i loro corpi si erano uniti, più volte in più occasioni, nella più alta di ogni perversione.
Ed Eric era creta fra le mani di Adam, lo piegava e modellava secondo la sua volontà, e lui non poteva opporsi. Mai...
Era divenuta una condanna.


*


Guardava il soffitto. Ombre tetre danzavano come anime maledette. Forse lo erano.
«La tua sposa è ormai prossima al parto.»
Eric odiava che parlasse di lei, odiava sentire il suo nome sulle sue labbra, odiava quello sguardo vacuo negli occhi.
«Forse dovresti tornare da lei...»
Adam riusciva a schiacciarlo con una semplice occhiata, con una sola parola, con la sua stessa presenza. Ed Eric non sapeva ribellarsi.
Se suo padre lo avesse visto ora, se Cornelius avesse mai saputo, se Sarah...
Si tirò a sedere e si rivestì con gesti rapidi. Raccolse il paletto da terra e lo strinse nella mano.
Con un movimento veloce si volse e cercò il petto di Adam per affondarlo, ma finì con il colpire solo il materasso vuoto.
Lo cercò con gli occhi. Era lì.
Ma un bracciò gli cinse la gola con forza smorzandogli il respiro.
«Mi chiedo se usi con lei la stessa gentilezza, Cacciatore» sussurrò Adam al suo orecchio stringendo più forte il braccio. Eric provò a divincolarsi senza successo. «Mi chiedo se l'hai mai riservata anche al figlio di Marcus.»
«Malede-tt-o.» Non aveva respiro, né forze.
Sentiva le pulsazioni battere con violenza e poi rallentare. Stava soffocando.
Un attimo prima di perdere i sensi, Adam lo lasciò andare ed Eric cadde con le ginocchia sul tappeto iniziando a tossire forte.
«Ti sei ammorbidito, se diventato più debole di prima» affermò con gelo Adam alle sue spalle. «Forse dovrei darti qualche motivazione per impegnarti di più nella nostra lotta.»
«Lurido mostro» ringhiò a fatica Eric cercando un equilibrio per rialzarsi.
Era quella la loro lotta: svilirsi, ferirsi, umiliarsi e consumarsi a vicenda.
Chi avrebbe mai potuto vincere?
Provò ad attaccarlo ancora, provò a difendersi. Venne colpito ma riuscì a sfiorargli la guancia con la sua stessa lama che aveva raccolto dal pavimento.
Adam si pulì il sangue con il dorso della mano e scosse il capo.
«Lento, Eric... troppo lento» sibilò leccando via il suo stesso sangue prima di schiacciarlo con le spalle al letto.
I polsi bloccati, le sue labbra rosse a un soffio dalle sue.
«La prossima volta che ci rivedremo, Mastro, ti strapperò il cuore dal petto.»
«Sarai troppo morto per farlo» ribatté lui con rabbia.
Adam gli sorrise e lo baciò.
«Vedrai che l'inferno ti piacerà.»
E con quelle parole nelle orecchie Eric si ritrovò sulla neve, sotto lo schiaffò gelido del vento.
Si ritrovò solo, con la compagnia di una semplice convinzione: non lo avrebbe rivisto per un bel po'.


*


Sentiva le sue grida, la voce di Catherine che la incitava a continuare a spingere.
Eric passeggiò davanti al focolare graffiandosi le dita con le unghie e guardando quella porta di legno con una profonda angoscia.
«Calmati, Eric» gli consigliò Cornelius mentre gli allungava un boccale con qualcosa di caldo. «È una tisana che ti aiuterà a distendere i nervi.»
«Bevila tu.» La allontanò disgustato dal semplice odore.
Non aveva mai provato quella sensazione nello stomaco, era un misto di paura, trepidazione, ansia, euforia, terrore. Sembrava che quell'ammasso di emozioni così diverse potessero ucciderlo.
«Sta andando tutto bene. Sarah è forte.» Cornelius gli strinse una spalla e gli sorrise ed Eric cercò di aggrapparsi a quelle parole come un naufrago prossimo ad annegare.
Poi lo udì, una voce più forte di ogni altra, un vagito che sembrò il ruggito di un leone e il suo cuore si fermò.
Secondi trascorsero, minuti, ore, secoli. Sembrò eterno quel lasso di tempo prima che Catherine uscisse dalla porta, con uno straccio logoro di sangue fra le mani e il viso sudato, ma sorrideva.
«È un maschio, Eric» disse aprendo un po' di più la porta. «Entra pure.»
Ma Eric non riuscì a entrare. Guardò quella penombra, udì la voce dolce di Sarah, udì altri piccoli vagiti e si coprì gli occhi con una mano.
Cornelius gli avvolse un braccio attorno alle spalle e lo scosse con vigore.
Ed Eric pianse come il suo stesso bambino. Pianse di altre mille emozioni diverse, più intesa di tutte, pianse per terrore.
Un maschio, il figlio di un Cacciatore. Un'altra vita dannata.
Non lo avrebbe permesso.


*


Sarah riposava. Era stata forte; la sua Sarah era forte come nessun'altra donna al mondo.
Eric la guardava dormire con il viso sereno e bello, e poi guardava Cornelius che cullava fra le braccia un fagottino, che ondeggiava in maniera ridicola canticchiando una ninnananna in latino.
«Smettila, così lo farai piangere di nuovo» brontolò seduto al tavolo, bevendo un sorso di birra.
Cornelius sorrise tenendo lo sguardo sul piccolo nato.
«È bellissimo, Eric. Il bambino più bello e dolce che abbia mai visto» disse e gli baciò la fronte rosea.
Eric sentì un calore profondo nel modo in cui Cornelius teneva suo figlio, con una tale premura, un tale affetto. Cornelius sarebbe stato un buon padre, avrebbe saputo amarlo come meritava.
Lui ci sarebbe riuscito?
Non era riuscito neanche ad amare sua moglie davvero, non era riuscito ad amare la sua missione.
A volte si convinceva di essere arido e sterile come quella neve che sentiva vicina. Freddo, inospitale, silenzioso... solo.
«Devi dargli un nome. Va battezzato quanto prima.»
Sospirò guardando le lingue di fuoco salire alte nella brace.
«Un nome...» bisbigliò sentendosi lontano con il pensiero e il cuore.
«Puoi chiamarlo come tuo padre: Victor.»
Si voltò immediatamente verso Cornelius.
Suo padre, di cui aveva conosciuto solo silenzi e segreti, di cui aveva ignorato per anni un'intera vita?
Suo padre, che amava e odiava in egual misura.
Scosse il capo senza dire nulla e Cornelius non indugiò.
«Allora come lo vuoi chiamare?» gli chiese.
«Sceglilo tu» disse bevendo la sua birra ormai calda con un solo sorso. «Dagli tu un nome che lo protegga o... qualsiasi altra stupidaggine voi preti professiate.»
Volle sembrare indifferente ma Cornelius capì cosa batteva nel profondo del suo cuore.
Sorrise e guardò ancora il bambino addormentato fra le sue braccia.
«Christopher» sospirò. «Colui che porta Cristo nel cuore.» Poi sollevò lo sguardo nel suo. «Esiste anche una storia, sai? Si dice che in tempi antichi esistesse un uomo con mille abilità che era alla ricerca di un principe da servire, ma voleva che costui fosse un uomo forte che meritasse i suoi servigi. Così udì parlare del Diavolo e di quanto potente fosse e decise di andare da lui, ma poi scoprì che il Diavolo fuggiva sempre quando si trovava davanti a una croce e capì che non era lui l'essere più forte, ma colui che giaceva sofferente inchiodato alle assi di legno. Iniziò allora la sua ricerca di Cristo ma mentre camminava scorse un fanciullo sulle rive di un fiume, senza forze per attraversarlo, che gli chiese aiuto. Christopher lo mise sulle spalle e lo condusse dall'altra parte. Il fanciullo lo ringraziò e gli chiese dove fosse diretto. “Cerco Cristo” rispose Christopher e il fanciullo gli disse: “Soccorri tutti colori che ti chiederanno aiuto durante il tuo cammino. Allora troverai Cristo.” Così Christopher si mise in viaggio seguendo le parole del fanciullo. Nella sua strada incontrò molti uomini sofferenti e feriti e usò le sue mille abilità per aiutarli. Compì così molte opere buone anche se sembrava non riuscire mai a trovare Cristo in persona. Un dì, rammaricato per la sua infruttuosa ricerca, si sedette sulle rive di un fiume chiedendosi se esistesse davvero questo Essere che stava cercando ormai da tutta la vita. E mentre i dubbi lo assalivano gli si avvicinò un fanciullo, lo stesso che aveva aiutato ad attraversare il fiume ormai molti anni prima. “Perché ti sei fermato?” gli chiese e Christopher rispose: “Perché volevo trovare Cristo per servirlo, ma non ho ancora potuto farlo, e ormai sono vecchio e stanco.” Il fanciullo gli mise una mano sulla spalla e gli disse: “Eppure lo hai servito tante volte nel tuo cammino. Ogni volta che hai aiutato chi ne aveva bisogno, ogni volta che hai alleviato le sofferenze di un uomo, ogni volta che hai risposto alla richiesta d'aiuto di un bambino.” Christopher capì così che quello stesso fanciullo era Cristo e comprese finalmente quale fosse il suo vero insegnamento.»
Eric aveva ascoltato la storia in silenzio, cercando di comprendere, percependo la luce negli occhi e nelle parole di Cornelius e capì quanto forte era la sua fede. Ed era qualcosa che Eric non avrebbe mai conosciuto.
«Così vuoi dare a mio figlio il nome di un tizio che si è fatto abbindolare da un bambino?» Ma sorrideva mentre lo diceva e Cornelius gli perdonò la sua irriverenza. 
«Allora, ti piace?» gli chiese e lui sollevò le spalle.
«Sì,» rispose. «Almeno è meno ridicolo di Cornelius.»
E lo udì ridere.


*


Stavano ritornando dalla locanda. Avevano brindato, bevuto e fatto infuriare Charles. Era stata una bella serata.
Eric, alquanto alticcio, ascoltava una delle tante parabole di Cornelius che trovava più ridicole che profonde.
«Tramutare l'acqua in vino?» chiese ridendo e Cornelius lo guardò con rimprovero.
«Nostro Signore può questo e altro» affermò poggiandosi al muro per non inciampare. Eric lo affiancò prendendo un braccio e legandoselo alle spalle.
«Ti riaccompagno in chiesa» suggerì notando il suo amico eccessivamente ubriaco.
«Nostro Signore te ne sarà grato» rispose Cornelius poggiando completamente il peso contro il suo corpo.
«Sì, come no...»
Lo trascinò fino al grande portone sperando di non incrociare qualche altro prete in vena di spargere richiami e consigli non richiesti.
La chiesa era vuota, illuminata solo da troppe candele.
Eric evitava di andarci, gli portava alla mente troppi ricordi che voleva seppellire.
Adam non si era più fatto vivo. Avrebbe dovuto essere un bene, invece aveva solo aumentato le paure di Eric che sapeva che quando lo avrebbe rivisto forse sarebbe stata la loro ultima lotta. E adesso c'era Christopher e lo avrebbe protetto a ogni costo.
«Eric, aspetta» disse poi Cornelius arrestando il passo e sottraendosi al suo sostegno.
«Dove vai?» gli chiese lui vedendolo barcollare in direzione di un armadietto.
«Devo prendere le chiavi della mia cella» rispose facendo fin troppo baccano con tutte le cianfrusaglie di quell'armadio. «Non l'ho portata con me perché avrei potuto perderla. Sai, quando bevo non sono più molto responsabile»
«Non mi dire» brontolò Eric sorridendo però per il modo goffo con cui Cornelius cercava di chiudere l'anta. Andò così ad aiutarlo e vide la chiave scintillare nel suo palmo. Almeno l'aveva trovata. Adesso non restava che-
«Buona sera, padre.»
La voce, quella voce.
No...
Si voltò con timore e scorse la sua figura.
No, no, non poteva. Non doveva!
«Buonasera» annaspò Cornelius ignaro di chi fosse l'uomo a cui stava sorridendo.
«Troppo tardi per una confessione?» chiese quest'ultimo con beffa ed Eric allungò il braccio per impedire a Cornelius di fare anche solo un passo avanti.
«Vattene da qui» gli intimò. «Scappa!»
«Ma che-»
«Vattene, Cornelius!» urlò ancora finendo con il confonderlo di più.
«Oh, perché dovrebbe?» ribadì Adam liberandosi del suo lungo mantello che cadde a terra. «È arrivata l'ora delle presentazioni. Non credi, Eric?»
Poi fu una saetta. Si ritrovò gettato contro i banchi di legno e vide il collo di Cornelius stretto nella mano di quel mostro.
No, no, no!
«Fermati!» urlò più con disperazione che con vera minaccia. «Lascialo stare!»
Cornelius soffriva nella sua morsa e provava inutilmente a liberarsi. Adam non pareva aver intenzione di lasciarlo andare ed Eric comprese solo allora il suo sbaglio. Avrebbe dovuto ucciderlo quando ne aveva avuto occasione, quella notte sotto il faggio e le decine di volte nella sua dimora, mentre era assopito al suo fianco. Doveva profittare del suo piacere per colpirlo, della sua perversione per vincerlo. Invece si era lasciato trascinare nel suo vortice ed era stato lui a lasciarsi vincere.
«Ti prego...» ingoiò il suo orgoglio e lo supplicò. Solo allora Adam lo guardò e nei suoi occhi Eric non riuscì a leggere nulla. Freddi e distanti come sempre.
Aprì la mano e Cornelius cadde al suolo privo di sensi ma ancora vivo.
«Sei patetico, Eric. Tu e il tuo illuderti di salvarli» disse Adam avvicinandosi a lui. «Non puoi difenderli, non puoi salvarli da me. Io posso prendere le loro vite, posso prendere la vita di tua moglie, del tuo fratello di caccia, perfino di tuo figlio.»
«Non oserai!» Lo fronteggiò con un coraggio ridicolo, con una forza inesistenze. Perché Adam aveva ragione, se avesse voluto avrebbe ucciso tutti coloro che amava, gli avrebbe preso tutto e lo avrebbe distrutto.
E allora perché non lo faceva? Perché continuava quella perversa lotta se sapeva bene che solo uno di loro avrebbe potuto vincerla?
Perché Eric glielo permetteva?
«Potevi essere il più grande Mastro che avesse mai messo piede su questa Terra, Eric. Potevi essere colui che avrebbe messo fine alla mia vita e invece... guardati.» Stavolta gli occhi di Adam lasciarono andare qualcosa, delusione, biasimo, disgusto.
«Cosa vuoi da me?» gli chiese Eric. «Cos'altro vuoi da me che tu non abbia già preso, maledetto essere degli inferi?!» Ma Adam non gli rispose, gli diede le spalle e recuperò il suo mantello. «Avevi detto che mi avesti strappato il cuore dal petto! Allora fallo, avanti!» Eric aprì le braccia e lasciò che la disperazione e la paura avessero la meglio.
Non avrebbe mai vinto, non avrebbe mai affondato quel paletto, non ne aveva forza né convinzione.
Patetico, vigliacco.
Adam non lo degnò di una risposta neanche allora. Si avviò alla porta, con passi lenti e solo allora lo guardò.
«È incredibile quanto tu sia sciocco, Eric» disse soltanto prima di sparire.


*


Cornelius riprese i sensi dopo qualche ora.
Eric sedeva al suo fianco e gli tergeva la fronte con un panno umido.
«Eric? Cosa è successo? Dove-»
«Riposa» comandò guardando i suoi occhi lucidi e i segni violacei attorno al suo collo. Fu costretto a distogliere lo sguardo. «Io devo tornare da Sarah e-»
Quando provò ad alzarsi Cornelius lo fermò per un polso.
«Chi era?» gli chiese ed Eric, che fino a quel momento aveva sperato non lo ricordasse, fu costretto a cedere.
«Qualcuno da cui dovrai stare alla larga» rispose.
«Era un Sire, non è così?» Non rispose e Cornelius ebbe la conferma. «Oh, Eric, quando pensavi di dirmelo? Credi che...» una smorfia sofferente piegò il suo viso quando provò a sedersi. Eric non cercò neanche di farlo desistere. Lo aiutò a poggiarsi con le spalle al muro e si lasciò guardare e accusare.
«Da quando?» chiese ancora.
«Da un po'» rispose Eric. Da troppo.
«E lo hai sempre affrontato da solo... Perché, Eric? Non ricordi più cosa vuol dire essere Cacciatori? Insieme, fratello mio, solo insieme possiamo vincere.»
Cornelius gli prese una mano e la strinse forte.
Eric si sentì crollare sotto tanta fiducia, sotto tanto affetto, sotto tutte le sporche menzogne che avrebbe dovuto riservargli.
«Volevo proteggerti. Volevo proteggere tutti voi» si giustificò, combattendo la voglia di gettarsi a terra e chiedergli perdono per la sua debolezza.
Cornelius gli sorrise con gentilezza. «Grazie per ogni tuo sacrificio, Eric. Adesso non devi farne più.»
Eric si sentì morire dentro ancora un po'.


*


Christopher aveva da poco compiuto un anno, gattonava sul pavimento con qualche ciuffetto nero di capelli sulla testa e faceva strani brontolii privi di senso.
Eric lo guardava crescere giorno dopo giorno, sorridente e forte, e guardava Cornelius giocare con lui e riempirlo di doni e parole. Guardava la sua casa sempre più in disordine, guardava le sue mani sempre più spaccate, guardava Sarah sempre più debole.
«Faccio io.» Le tolse le stoviglie dalle mani e le poggiò nel tinello. Sarah non disse nulla, barcollò fino alla sedia e si accasciò con un sospiro.
Stava male, da qualche mese, e non sembrava esserci cura.
Cornelius raccolse Christopher dal pavimento e lo accompagnò nella sua piccola cesta di vimini cantandogli una canzoncina per farlo addormentare.
«Forse avrebbe dovuto sposarsi» sospirò Sarah guardandoli ed Eric le si avvicinò sedendosi al suo fianco. Aveva occhi tristi e distanti. «Avrebbe dovuto avere dei figli, una famiglia... sarebbe stato un buon marito e un buon padre.»
Le prese la mano e l'accarezzò con dolcezza, con colpa.
«Avresti meritato qualcuno come lui e non...»
Ma Sarah gli sorrise e scosse la testa. I suoi capelli bruni erano spenti, il suo viso magro e pallido, eppure il suo sorriso sempre bellissimo.
«Sono felice di averti sposato, Eric. Felice della vita che abbiamo condiviso. Non rimpiango nulla.»
Eric abbassò lo sguardo sentendo gli occhi bruciare e non riuscì a trattenere le lacrime.
«Perdonami per il male che ti ho fatto, amore mio» sospirò baciandole la mano con le labbra salate di lacrime. «Perdonami per le mie mancanze, per ogni parola ingiusta, per tutto ciò che ti ha fatto soffrire.»
Sarah lo abbracciò ed Eric si sentì caldo fra le sue braccia da cui era sfuggito tante volte, quelle braccia che non aveva mai meritato davvero, quell'amore a cui non aveva saputo dar valore.
«Prenditi cura di lui, fallo crescere sano e colto e lontano da questo male, Eric. Promettimi solo questo.»
«Sulla mia vita. Te lo giuro sulla mia vita.»
E anche Sarah lasciò andare una lacrima.


*


Sarah morì quando Christopher neanche si reggeva sulle sue gambe.
Cornelius celebrò il suo funerale con occhi lucidi e voce rotta. Poi, davanti alla sua lapide, pianse in ginocchio.
Eric stringeva fra le braccia il suo bambino che sorrideva cullato dalla sua innocenza.
Glielo aveva promesso.


*


«Non puoi essere serio?!»
«E invece lo sono.»
A terra vi erano corpi pronti a divenire cenere, il sole era lì per sorgere ed Eric aveva mani e abiti coperti di sangue. Cornelius lo guardò con occhi sgranati, lasciò andare a terra la balestra e corse ad afferrargli la giaccia con entrambe le mani.
«Quali stupidaggini stai farneticando, Eric?!» lo scosse quasi con violenza ed Eric volse lo sguardo lontano.
«È la cosa migliore» disse.
«Come potrebbe esserlo? Come potrebbe essere un bene allontanare tuo figlio per sempre?»
Sapeva che sarebbe stato difficile da accettare, che Cornelius avrebbe avuto da ridire sulla sua decisione, ma Eric non era disposto a tornare indietro.
Christopher aveva ormai cinque anni, stava imparando a leggere ed era sempre più curioso della vita. Eric voleva che suo figlio avesse quella vita, voleva che quella vita riservasse per lui solo luce e gioia. Nessuna delle sue ombre avrebbe dovuto offuscarlo, nessun segreto, nessun destino di sangue.
Aveva atteso anche troppo, aveva aspettato perché l'amore per quel bambino era incredibilmente forte, perché l'affetto per Cornelius aveva la stessa intensità.
Adam era sparito, Adam era divenuta una voce lontana, cupa, che però gli sospirava nelle orecchie tutte le notti e gli rimembrava chi fosse in realtà.
Eric non voleva che un dì Christopher lo scoprisse, che come lui si trovasse a pensare a un padre e considerarlo qualcuno che non aveva mai davvero conosciuto.
«Con te starà bene. Lo crescerai e lo educherai e ne fra un brav'uomo. Ne sono certo.»
Cornelius aveva occhi lucidi e labbra tremanti. Lo scosse ancora per la casacca.
«Basta, ti supplico, Eric. Non voglio udire altro» gli intimò lasciandolo andare. «Christopher ha te, e i suoi cugini, la sua famiglia. Loro posso amarlo e proteggerlo e-»
«Come possono proteggerlo da questo?» urlò a quel punto indicando ciò che li circondava, i cadaveri, il sangue, il tanfo di morte. «Tu puoi proteggerlo perché sai cosa affronterebbe. Tu puoi proteggerlo e salvarlo da tutto questo perché conosci a cosa lo condurrebbe.» Cornelius scuoteva il capo conscio di quanto gli stava chiedendo ed Eric era consapevole che per farlo avrebbe dovuto tradire i suoi voti e abbandonare la sua missione di Cacciatore, così come fece Victor ormai molti anni prima.
«Rifletti, Eric... è una scelta egoista!» lo aggredì Cornelius quasi pentendosi subito delle sue parole, ma Eric gli diede ragione.
«Lo è» affermò. «Ma non posso fare altrimenti, amico mio.» E a quel punto gli sorrise tristemente. «Sei stato la mia salvezza quella notte. Hai salvato la mia vita e con il tempo anche la mia anima. Mi hai donato la tua amicizia e i tuoi insegnamenti e mai ti sarò grato abbastanza, ma ora ti chiedo, fratello, fai lo stesso con mio figlio: salva la sua vita.»
Cornelius pianse coprendosi gli occhi, singhiozzando come un fanciullo ed Eric gli si avvicinò e attese che sollevasse lo sguardo. Il sole spuntava da dietro l'orizzonte, e illuminava le lacrime sulle sue guance.
«Non posso lasciarti solo...» sospirò asciugandosi inutilmente gli occhi. «Non voglio.»
«Completerò la mia missione e vi raggiungerò» promise una menzogna.
Cornelius quasi lo capì.
«Lo ucciderai? Quel sire?» chiese ed Eric annuì.
«Sì.»
Cornelius lo abbracciò, pianse ancora mentre il mattino li raggiungeva e mille ceneri salivano nel cielo. Cornelius si aggrappò alle sue spalle con forza, quasi fosse un addio.
Eric sapeva lo era.


*


Era un piccolo carretto con due cavalli. Pochi sacchi e molte cibarie per il lungo viaggio.
«Ti invierò una missiva quando saremo arrivati» disse Cornelius stringendo le redini.
Eric carezzò il cavallo e sorrise. Negli occhi di Cornelius c'era una richiesta, una supplica. Vieni con noi, lascia tutto e scappa con noi.
Non avrebbe mai potuto farlo.
«Padre,» Christopher si sporse dal carretto per abbracciarlo. Era bello, il suo bambino, aveva i capelli e gli occhi di sua madre. La sua dolcezza e il suo calore. «Raggiungici presto.»
Eric inghiottì un urlo e sorrise.
«Certo.»
Un'altra promessa, un'altra menzogna.


*


Le lettere di Cornelius parlavano di un'abazia, maestosa e protetta, in cui nessuno avrebbe mai osato cercarli.
Christopher lo chiamava zio, ma nelle notti più buie, arrivava a chiamarlo padre. Cornelius lo scriveva con profonda tristezza ma Eric ne era sollevato. Sapeva che adesso il suo bambino era al sicuro.
Non rispose mai a nessuna di quelle missive, ma le conservò tutte accanto al suo diario che invece continuava a riempire pagina dopo pagina. Scriveva di tutto, i suoi pensieri, le sue colpe, la sua rabbia. Scriveva della paura che provava ogni notte quando fra i mostri che affrontava non c'era mai il volto di Adam e allora si chiedeva dove fosse, se li stesse cercando, se avrebbe fatto loro del male. Scriveva di come la caccia adesso fosse più silenziosa, di come l'assenza di Cornelius facesse rabbuiare il suo animo.
Gli mancava, la sua compagnia e la sua voce, il suo sorriso. Gli mancavano le domande di Christopher, la sua allegria, il suo calore, il ricordo di Sarah che brillava nel fondo dei suoi occhi castani.
E così, dopo la caccia, dopo aver scritto una nuova pagina, Eric beveva, ogni volta un po' di più, ogni volta annegando un po' del vuoto che piegava il suo cuore.
Quella sera barcollò fino al camminò e gettò dell'acqua per spegnere la fiamma prima di coricarsi, ma mancò completamente il bersaglio bagnando solo il pavimento.
«Pessima mira.»
Era troppo ubriaco per sorprendersi, troppo stanco per spaventarsi.
Si voltò e Adam era lì, nella sua cucina, seduto al suo tavolo.
Ed era lo stesso di sempre, lo stesso uomo che aveva incrociato la prima volta al vicolo, lo stesso che aveva maledetto la sua vita, bello e letale come solo il male poteva essere.
Gli anni invece avevano pesato su Eric, adesso sembravano decenni quelli che li dividevano. Qualche filo d'argento fra i capelli, una fronte più aggrottata, un cuore più opaco.
Gli sorrise e si sedette a terra, sentendo la testa dolere.
«Vieni qui come un angelo della morte per portarmi via una volta per tutte?» ridacchiò poggiando la nuca al muro.
«Mh... l'alcol ti rende poetico, cacciatore» ribatté Adam sarcastico ed Eric rise senza allegria. «Ho visto tuo figlio, l'altro giorno.» Quelle parole lo gelarono. Il sorriso morì e così quasi ogni riflesso di ebbrezza.
«Tu!» ringhiò provando a rimettersi in piedi ma Adam si alzò dalla sedia e lo tenne seduto a terra piantandogli un piede sul petto.
«Non lo toccherò. Né lui né il tuo amato fratello di caccia» disse con voce cupa. Ed Eric non gli credette.
«E pensi che mi fidi delle parole di un mostro?» sbraitò scacciando via il piede con il braccio e strascinandosi con le spalle al muro rimettendosi in piedi.
Adam lo guardava a pochi centimetri con il viso perlaceo e i capelli nerissimi a circondarlo.
«Promisi lo stesso a Victor e mantenni la mia parola. Tu ne sei la prova.»
Suo padre, il suo mistero più grande.
«E perché lo faresti?» gli chiese e Adam finalmente piegò le labbra seppure fu un sorriso quasi gelido.
«La nostra lotta, Eric. È solo questo che mi importa» rispose e gli accarezzò il viso con quelle dita calde capaci di creare musiche meravigliose.
«Sarai tu a vincere. Lo abbiamo sempre saputo, tutti e due.» Non gli costò neanche ammetterlo, ormai gli anni e gli affanni, avevano abbassato il suo orgoglio come un ramo che si piega sotto il peso del bianco inverno.
«Posso donarti la mia stessa forza, se vuoi... potremmo lottare ad armi pari per sempre.»
Eric tremò a quella proposta riuscendo ad ascoltare ciò che Adam non disse.
«E diventare come uno di quei mostri disgustosi?» ringhiò allontanandolo ma Adam lo schiacciò ancora contro il muro prendendogli il viso fra le mani e inghiottendolo con il suo sguardo.
«Saresti come me non come loro, saresti un Sire e non conosceresti vecchiaia né dolore o debolezza. Per sempre giovane e immortale.» Poi lo baciò, intenso e violento come solo lui sapeva essere. «Dammi la tua anima, Eric, e avrai tutto questo» sospirò sulle sue labbra. «La tua anima in cambio dell'Eternità.»
«No» disse soltanto guardando alle spalle di Adam la sua piccola casa solitaria, che un tempo Sarah aveva reso accogliente e calda, dove Christopher aveva emesso i primi vagiti, dove Cornelius si era preso cura di lui e l'aveva illuminata con la sua allegria.
No, Eric non voleva l'eternità, non voleva vivere in eterno. Voleva solo la pace dei ricordi, la speranza che gli regalava sapere Christopher e Cornelius lontani dal suo baratro.
Adam rimase silente alla sua risposta e si allontanò senza dire nulla, continuando a guardarlo freddamente.
«Se vuoi uccidermi adesso, va bene. Se vuoi lottare e umiliarmi, va bene lo stesso... ma non chiedermi di darti l'unica cosa che mi resta» disse stanco, in attesa di una lama che lo trafiggesse, di una mano che lo soffocasse.
«Come vuoi» sospirò Adam abbassando il capo con un gesto d'assenso. «Ma nella tua casa non oserei portare morte, perciò per stanotte sei graziato, Cacciatore.»
«La tua parola!» Lo fermò prima che andasse via. «Dammi la tua parola che non farai mai loro del male... neanche dopo
Adam lo guardò a lungo e annuì.
«Hai la mia parola, Eric...» Ma prima di uscire gli sorrise e disse: «Così come il mio cuore.»
Mentiva, pensò Eric.
Un'ultima beffa per il suo rifiuto, o forse una verità che non era disposto ad accettare altrimenti avrebbe dovuto accettare anche il riflesso di quella verità: anche Adam aveva sempre posseduto il suo.


*


Era una notte d'estate, calda, afosa, con sudore attaccato alla pelle e ai capelli, con sangue appiccicato alle mani.
Eric attaccò i due demoni e poi il terzo. Stanco e ferito a una gamba, fu costretto a subire l'aggressione del quarto che lo colpì allo sterno con una ginocchiata. Poi arrivarono pugni e calci, finché un sottile ramo non colpì la sua schiena come una frusta.
Il dolore gli bloccò il fiato e li udì ridere istericamente.
«È la tua ora, Cacciatore!»
«Morirai come il cane che sei, sporco umano!»
Ancora colpi, ancora risate. Eric sentiva il sangue che scivolava sulla sua schiena dilaniata mentre, obbligato in ginocchio a terra, era tenuto fermo per le mani da due esseri immondi.
L'alba era lontana, il sole non sarebbe venuto in suo soccorso. Nessuno lo avrebbe fatto.
Era solo. Doveva lottare per non morire.
Ignorò così la sofferenza e spezzò la morsa con cui veniva costretto dai due.
Afferrò i due paletti di frassino infilati negli stivali e li colpì specularmente, uno a destra e l'altro a sinistra.
Con la mano raggiunse quella specie di frusta improvvisata e riuscì a mettere a terra quel mostro prima di impalarlo lì al suolo. Ne mancava ancora una, era una donna dai capelli biondi e due occhi troppo azzurri.
Sembrò indietreggiare mentre lui si avvicinava raccogliendo da terra la balestra e puntandogliela contro, la balestra di Cornelius.
La donna affannò cercando con gli occhi una via di fuga ed Eric era lì, pronto a finirla, quando la vide sorridere in maniera sinistra e non capì finché qualcosa non lo colpì alla schiena, fino a trafiggerlo: la lama di un pugnale.
La balestra gli cadde dalle mani mentre altre pugnalate si univano ed Eric fini a terra, in ginocchio, a stringersi lo stomaco per il dolore.
Udì una risata stridula: un quinto demone che non aveva visto fino a quel momento.
Sollevò a fatica la testa e vide i due guardarlo perversamente divertiti, fra le mani di lui un lungo stiletto d'acciaio ricoperto di sangue, il suo.
La vista si annebbiò, le voci risultavano sempre più confuse, si sentiva debole, sfiancato, e attorno a lui si allargava una pozza cremisi.
Farsi colpire così, come non avesse cacciato in ogni notte per tutti quegli anni, come non fosse stata la sua vita stanare e uccidere quei mostri. Morire così, per colpa di uno stupido pugnale.
Il pensiero corse al suo bambino, adesso un ragazzo, che viveva felice nella compagnia del suo amico più fidato. Cornelius gli aveva spedito un suo ritratto ed Eric lo teneva in quel diario e lo guardava tutte le sere.
Avrebbe voluto vederlo ancora una volta prima di morire, avrebbe voluto rivedere Cornelius, abbracciarlo, e dirgli quanto ancora gli fosse grato per tutto. Ma non c'era più tempo, né parole. Tutte le occasioni erano perdute oramai, ed Eric poteva solo vedere i due esseri avvicinarsi, pronti a completare la loro opera.
Ma poi li vide arrestarsi, sgranare gli occhi senza fiato mentre una macchia di sangue si allargava dai loro petti. Quando caddero entrambi al suolo capì.
Adam, di fronte a lui, stringeva nei palmi i loro cuori che lasciò cadere a terra accanto ai loro cadaveri.
Poi la vista si confuse ancora, così come ogni altra sensazione ma percepì qualcuno sollevarlo e poggiargli la guancia su qualcosa di morbido.
Aprì le palpebre: Adam lo teneva sulle sue gambe e gli stava spostando i capelli dalla fronte.
«Sono ferite mortali.» Udì debolmente.
«Lo so...» annaspò tossendo sangue. «Un modo... patetico di ... morire... vero?» provò a sorridere ma non riuscì. Altro sangue abbandonò le sue labbra.
«Posso curarti, posso salvarti.»
«No...»
«Dammi la tua anima, Eric. Lascia che ti salvi.» C'era una nota strana nella sua voce, un tremolio, qualcosa che Eric non seppe definire.
Troppo stanco, troppo debole.
Adam gli stava accarezzando ancora il viso ma lui non riusciva a sentire più le sue dita.
«Com'è l'Inferno?» gli chiese con un fiato, ormai pronto a varcarlo.
«Non troppo diverso da questa Terra.»
Prese un respiro, profondo, doloroso.
«Credi che lo rivedrò?... Mio padre...»
Adam non rispose ed Eric sentì qualcosa di caldo che gli stava avvolgendo il corpo. Erano le braccia di Adam.
«Eric, posso salvarti...»
Stavolta capì che era una supplica, ma il suo tempo era finito.
In fondo era felice che lui fosse lì, con lui, per un'ultima volta.
«Adam... Avrei potuto ucciderti» disse.
«Sì, avresti potuto farlo.» La voce era rotta ma Eric aveva lo sguardo buio per vedere le sue lacrime. «Nessuno gli farà mai del male. Hai la mia parola.»
Eric sorrise.
«Adam...»
Il suo nome sulle labbra fu il suo ultimo respiro.



*
*
*



Qualcuno bussò ma quando Cornelius andò ad aprire non vi era nessuno sulla soglia. Cercò chi potesse aver bussato ma in basso scoprì una piccola scatola. La raccolse e la studiò portandola dentro.
Quando sollevò la parte superiore vide un libro in pelle rossa e molte lettere.
Bastò una sola occhiata per capire che fossero sue quelle lettere, per capire che quel libro era in realtà un diario, per capire che quel diario portava il nome di Eric.
Sapeva cosa volesse dire.
Lo portò al petto con le lacrime a rigargli il viso.
Il suo amico più caro, suo fratello.
Stette intere ore in silenzio, senza più lacrime da versare, senza più perdono da chiedere.
Lo aveva lasciato, abbandonato.
Il sole calava ignaro e Cornelius cadde pesantemente sul divano. Accarezzò la pelle rossa del diario con dita tremanti. Tirò su con il naso e aprì la prima pagina.


*


All'ultima pagina, Cornelius capì che quelle parole finali erano state scritte da qualcun altro, e comprese anche chi fosse.
Pianse ancora, di fronte a ogni frase, a ogni segreto che Eric era stato costretto a serbare, pianse della sua cecità e della sua stoltezza, pianse per quel dolore e quella colpa che lo aveva dovuto accompagnare per tutti quegli anni.
Pianse la sua anima lacerata, il suo cuore ferito.
Le ultime parole che chiudevano quel diario erano una richiesta, un comando: proteggilo.
E Cornelius l'avrebbe fatto.
Raggiunse il focolare e vi gettò dentro il diario e lo guardò bruciare lasciando che fossero le fiamme a conservare quella storia, quei segreti, quell'amore illecito.
Cornelius avrebbe protetto Christopher da qualunque minaccia, soprattutto dalla più pericolosa: la verità.
Mai avrebbe saputo.
Avrebbe vissuto ricordando un padre amorevole e generoso, che aveva sacrificato la vita per permettergli di vivere libero la sua.
Christopher avrebbe vissuto libero da una missione, da un obbligo divino e, che il Signore avesse pietà della sua anima, Cornelius avrebbe ucciso chiunque avesse voluto fargli del male.
Avrebbe fatto di lui un ragazzo colto e gentile, come sognava Sarah; avrebbe fatto di lui un brav'uomo, che voleva Eric.
E un dì, nel Regno dei Cieli, lo avrebbe ritrovato e sarebbero stati di nuovo insieme, come due fratelli.


*


Tornò molti anni più tardi nel vecchio villaggio. Christopher non era con lui, era insieme alla sua sposa e ai suoi tre bambini. Christopher, che suonava il violino come un angelo e sorrideva sempre.
Un uomo vecchio, dai capelli bianchi e le ossa dolenti, Cornelius si avvicinò alla croce di legno accarezzandola e guardando anche l'altra al suo fianco. 
Stette ore in silenzio con il solo sostegno del suo bastone, con la sola compagnia dei suoi ricordi.
Le notti di caccia, le risate alla locanda, il calore di quella piccola cucina.
E poi i pomeriggi seduti sull'erba a narrar storie, a sentirsi deridere eppure godendo di ogni attimo.
Quel ragazzo con troppa fede e poca resistenza all'alcol.
Le sgridate di padre Gregory, le cene semplici al tavolo di Sarah, la compagnia di Eric, il suo braccio teso che lo rimetteva in piedi, quel sorriso sempre così timido.
Sceglilo tu. Dagli un nome che lo protegga...
Christopher.”
Oh, quale onore era stato. Quale onore era stato crescere suo figlio.
E in fondo l'aveva cresciuto bene.
Annuì a se stesso, con un sorriso, come se qualcuno gli avesse dato una pacca sulla spalla, come se il vento avesse sospirato grazie.
Dei passi si avvicinarono e Cornelius scorse un giovane uomo con una rosa stretta fra le dita. Si inginocchiò e la poggiò in mezzo alle due croci.
L'aveva veduto una sola volta in tutta la sua vita, una notte fugace e confusa come un sogno, ma mai avrebbe dimenticato quegli occhi e quello sguardo.
Non si dissero nulla. Restarono silenziosi uno a fianco all'altro a guardare la tomba di qualcuno che, in un modo o nell'altro, avevano amato entrambi.
Fu Cornelius ad andar via per primo, tenendosi al suo bastone, sentendo la schiena dolere per il troppo tempo trascorso in piedi.
Non si voltò per vedere se lui fosse ancora lì.
Si disse che era sempre stato lì.
Si disse che lì sarebbe sempre restato.
Non lo rivide mai più. Non tornò mai più al villaggio.

In un mattino d'estate, troppo caldo e assolato, mentre Christopher gli teneva la mano, Cornelius chiuse gli occhi con un sorriso.
Eric lo stava aspettando.
 






 
***





E siamo giunti alla fine, nobili lettori e io so che domande angustiano la vostra mente perché di Adam si vuol sapere il destino, di Christopher la vita, e di quella lunga guerra biblica, l'esito.
Ma non possiedo tali risposte, sono solo un narratore, una voce nell'oblio che racconta una storia taciuta, fatta di segreti e silenzi, di colpe e peccati. Perché Eric fu un Cacciatore come tanti, eppure un uomo come pochi, un uomo che ha amato più di quanto ne fosse conscio, che ha dato più di quanto non fosse stato dato a lui.
Perciò, vi chiedo, non porgete domande, non cercate altre risposte, fate solo tesoro di quanto la mia povera lingua ha saputo raccontare perché anche questa voce non venga dimenticata.
Perché si ricordi e si narri di una storia fatta di sconfitte e di sangue, di vergogne e di colpe, eppure di amore e speranza, di brandelli di luce nelle infinite ombre.
Si narri di Eric, Cacciatore e uomo, padre e marito, si narri di un fratello che il buon Dio mi ha concesso di incontrare e amare. Si narri della sua vita fugace eppure intensa.
Si narri di questo. 
Il resto non conta, il resto è solo leggenda.


C.








  
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