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Autore: Lexi Niger    20/10/2008    4 recensioni
"Io ho una possibilitā. Paradossalmente č la morte che me l'ha concessa. Eppure sono viva. Lo so, vi parrā difficile se non impossibile raccapezzarvi nelle mie parole. A volte stento a crederci anche io. Eppure č la mia natura. Sono una Guardiana." E' una storia d'amore, d'odio, di poteri sovrannaturali. A voi un parere.
Genere: Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E' la prima storia che ho scritto e non è ancora conclusa.
Lo so che all'inizio sembra molto superficiale, spero possiate comprendere che ero alle prime armi.
Se avrete la pazienza di vedere la sua evoluzione, mi è stato detto più e più volte che sono migliorata tantissimo.
Non so, magari mentivano XD
Se vi fa schifo, lasciatemi un commento comunque, serve sempre, meglio dell'indifferenza.
Grazie, un bacio, Ale.



Guardai l'orologio. Le 8.
Controllai con una sbirciatina quello appeso al soffitto della banchina. Le 8.
Allora non era il mio ad essere avanti, era il treno ad essere in ritardo.
In forte ritardo. Merda.
Perchè proprio oggi? Le ferrovie italiane non era mai state un modello di puntualità, ma un ritardo di mezz'ora oggi proprio non ci voleva.
Era il mio primo giorno di scuola. Sorrisi.
Diciamo il primo giorno di scuola per l'ennesima volta: l'università.
Mi ero svegliata presto, avevo indossato una gonna di jeans e una polo, casual ma non troppo.
Che ansia, non sapevo cosa aspettarmi.
Visi nuovi, persone sconosciute, professori diversi.
Uno sguardo ai binari: ancora niente.
Poi sentii un suono in lontananza e mi alzai dalla panchina.
Sembrava che finalmente il treno stesse arrivando.
Trovai un posto libero vicino al finestrino e mi lasciai sprofondare nel sedile.
Sarei arrivata in ritardo al discorso del rettore. Era una certezza ormai.
Maledii mentalmente il sistema italiano più e più volte ma non potei fare altro.
Rassegnata guardai una dopo l'altra le fermate fino a che non lessi il cartello della mia.
Scesi quasi di corsa, incurante degli sguardi che mi venivano lanciati.
Arrivai alla fermata del tram quando questo si era appena allontanato.
Provai inutilmente a sbracciarmi per farlo fermare. Niente.
Oggi avrei fatto meglio a rimanere a casa, sembrava che nulla potesse andarmi bene.
Cos'altro avrebbe potuto succedermi?

*

Spensi con tranquillità il motore rombante della mia Porsche. Non c'era fretta.
Un'occhiata veloce allo specchietto e scesi. Ero perfetto. Come sempre d'altronde.
Per quella mattina avevo scelto un paio di jeans neri, una camicia bianca a maniche corte e una cravatta porpora, annodata con nonchalance. Volevo trasmettere un'idea precisa di me.
Camminai con lentezza ostentata tra i giovani radunati davanti all'ingresso e nei corridoi.
Non conoscevo nessuno. Ne mi importava.
Per un attimo il mio viso si velò di nostalgia.
Inghilterra.
E' là che avevo lasciato quel poco affetto che ero in grado di provare.
Alcuni mi fissarono mentre passavo. Poco male.
Non mi importava attirare l'attenzione di qualcuno, non avevo voglia di conversare, stavo meglio da solo.
Milano. Che schifo, pensai.
Mi appoggiai delicatamente al muro di fronte all'auditorium, con le braccia conserte.
I primi, curiosi e incapaci di attendere, cominciarono ad entrare per prendere posto.
Chissà cosa li spinge ad essere così ansiosi per l'inizio dell'università?
Per me era un giorno come un altro. Il mio compito era di tutt'altra natura.
Decisi che forse era meglio cominciare ad entrare.
La sala era abbastanza grande, ma niente a confronto nelle università inglesi come Cambridge. Saranno stati si e no 500-600 posti.
Vidi un gruppo di ragazze voltarsi verso di me e parlottare tra loro. Sorrisi compiaciuto.
Mi sarei seduto vicino a loro, giusto per illuderle di avere una speranza con me.
Mentre mi avvicinavo sembravano stupite della mia scelta, e i loro visi si tinsero di un marcato colore rosato. Tipico delle donne.
Non avevo ancora fatto tempo a sedermi che mi rivolsero un saluto.
< Ciao > risposi educatamente.
< Io sono Chiara, e loro sono Angela e Isabella > disse la più vicina a me indicandomi le altre due.
< Piacere, Jamie >.
< Ma allora non sei italiano? > mi chiese Angela. Che arguta la ragazza, pensai.
< No infatti, sono inglese di origini >.
< Però la nostra lingua la parli davvero benissimo! >, se pensava di potermi conquistare con queste smancerie si sbagliava.
< Grazie > mi limitai a rispondere.
Chiusi lì la conversazione voltandomi dall'altra parte a vedere chi stava scendendo le scale.
Il rettore arrivò poco dopo, con la sua corte di professori più o meno anziani.
Presero posto nel grande tavolo sul palco, allestito per l'occasione con microfoni e brocche d'acqua. Avevano forse intenzione di parlare così a lungo da avere la gola secca?

Era già passata più di mezz'ora dall'inizio del discorso.
Una noia indicibile.
Per fortuna che ero abituato a immergermi nei miei pensieri senza dare a vedere la noia, perchè altrimenti avrei continuato a sbadigliare.
< Signorina, sì lei che è appena entrata cercando di non dare nell'occhio, prego ci raggiunga qui sul palco > gracchiò la voce del rettore.
Tutta la sala, me compreso, si girò a vedere la fonte di queste inattese parole.
E scorsi vicino all'ingresso una ragazza, il cui viso avrebbe fatto invidia ai pelle-rossa.
Non potei trattenermi dal ridere.
Finalmente un diversivo.
  
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