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Autore: zakato    20/10/2008    1 recensioni
Questa è la prima storia che io abbia mai scritto!! Ci sono molto affezionato, oltre per il significato che ha avuto e l'importanza che rappresenta per la mia vita di scrittore, anche perchè è stata la storia con cui ho vinto un concorso di scrittura!! Spero che anche questa storia vi piaccia!! Recensite senza timore!!!
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La Tomba Vuota

La Tomba Vuota

 

Mi trovavo nella mia cameretta, disteso sul letto, a leggere un articolo del New Economy sull’apertura di nuovi sbocchi commerciali in Oriente, quando un rumore attirò la mia attenzione. Lo strano rumore proveniva dalla finestra e mi diressi lì per controllare: uno strano uccello dal piumaggio nerissimo batteva il becco sul vetro insistentemente. Aprii la finestra per scacciarlo, ma lui fu più lesto di me ed entrò svolazzando per la stanza creando un gran caos. Alquanto adirato per quella intrusione, mi diressi allora verso la porta per prendere qualcosa con cui scacciarlo ma lo strano pennuto si posò sulla scrivania saltellando sul legno e graffiandolo con i suoi artigli. Osservandolo da vicino capii che era un corvo: il piumaggio nero e liscio, il becco affusolato e le sue notevoli dimensioni mi lasciarono alquanto interdetto.

Prima che arrivassi alla porta il corvo iniziò a fissarmi con i suoi occhi scuri e penetranti e, come se niente fosse, aprì il becco e iniziò a parlare. La sua voce era dolce e carismatica e le sue parole chiare e fluenti andavano a comporre un racconto irreale e visionario che in quella strana atmosfera di sogno non mi sembrava una cosa fuori dalla normalità. Il corvo mi consigliò di dargli modo di spiegare il motivo per cui era venuto. Ancora incredulo per quello che stava succedendo mi sedetti su una sedia e ascoltai quello che aveva da dirmi. Mi spiegò di non essere un corvo normale, ma un messaggero che aveva scelto me per intraprendere una missione dalla vitale importanza per la quale non c’era più molto tempo: la vita di un uomo era in gioco e se volevo salvarla dovevo accettare subito di seguirlo. Più curioso che convinto accettai la missione; il corvo se ne rallegrò e mi chiese di seguirlo, mi avrebbe fatto da guida fino alla meta. Detto questo spiccò il volo e uscì dalla finestra.

Scesi in strada e subito vidi il corvo avvicinarsi con un rapido battito di ali, si posò sulla mia spalla e iniziò a indicarmi la strada.

Dopo breve tempo uscimmo dalla città proseguendo su un sentiero dissestato e abbandonato che costeggiava il litorale. Una leggera brezza del mare iniziò a levarsi alzando la polvere e scompigliandomi i capelli. Il Sole rosso, ancora alto nel cielo, veniva riflesso in un mare inquieto, scosso da onde che si infrangevano sugli scogli delle coste creando spruzzi d’acqua e di schiuma; i raggi del sole colpivano i miei occhi, costringendomi a coprirli con la mano, e illuminavano le piume nere del corvo, ancora chino sulla mia spalla a fungere da guida in quel viaggio surreale. Dopo un lungo tratto presi una strada in salita che portava sempre più nell’entroterra. Il mare, ormai, non era più in vista e il sole, un tempo alto nel cielo si stava lentamente avvicinando all’orizzonte colorando il cielo di un rosso fuoco.

Continuando a seguire le indicazioni del corvo, iniziai a percorrere una ripida strada che mi portò a un bivio: due strade si diramavano, infatti, da quella maestra; quella di destra , molto più curata, portava ad una lunga distesa di verde, campi coltivati, alberi rigogliosi pieni di frutti che facevano da paesaggio in quella distesa; le poche casupole dei contadini erano gli unici segni di civiltà per molte miglia. La strada di sinistra, invece, proseguiva lungo un sentiero angusto e sconnesso che portava ai piedi di una catena montuosa in lontananza. Le luci del giorno stavano lentamente lasciando il posto ai buio della notte, l’oscurità stava lentamente scendendo nella valle rendendo ancora più disagevole il mio cammino.

Il corvo mi incitò a proseguire ancora una volta e mi indicò la via da percorrere e con la paura che iniziava a crescere nel mio cuore mi spinse a sinistra verso le montagne. Alberi morti e arbusti secchi affiancavano la via a segnalare che la vita aveva lasciato già da tempo quella zona. I miei passi si facevano sempre più stanchi e doloranti per la fatica del lungo viaggio, quando, all’improvviso, iniziai a sentire uno strano rumore che si propagava per tutta la valle alle pendici dei monti, un suono metallico, forte e vigoroso, che veniva però smorzato dall’eco di quello spazio ampio e che mal si addiceva al silenzio profondo che regnava in quella zona. L’unica cosa che si sentiva in quella distesa sconfinata era solo quel suono ritmato che si ripeteva con cadenza regolare. Il corvo, accortosi della mia stanchezza mi incitò ancora una volta a continuare, ricordandomi che non rimaneva molto tempo e che ogni minuto era vitale. Arrivai così alle pendici della catena montuosa con i piedi doloranti e le gambe stanche; il sentiero che mi aveva portato fin lì si inoltrava fra due pareti rocciose, attraverso un passaggio angusto che tagliava la montagna e si inoltrava per molti chilometri. Il suono metallico che avevo sentito attraversando la valle si era fatto più forte man mano che mi ero avvicinato alle montagne ed ora potevo percepirne tutta la misteriosità, ora che, trasportato dal vento, attraversava quell’angusto anfratto . Deciso a non fermarmi proprio lì, a un passo dalla mia meta, ripresi il mio cammino e mi inoltrai anche io in quel passaggio fra le montagne. I loro fianchi mi circondavano mentre seguivo quello stretto passaggio. La notte, infine, era arrivata portandosi via luce e calore; il buio non mi aiutava ad attraversare quel sentiero ed il freddo,che era sceso inesorabile, rendeva ogni mio respiro sempre più difficile facendo rabbrividire tutto il mio corpo. In quel luogo i miei occhi si perdevano cercando disperatamente una fonte di luce.

Sapevo, però, che non ero solo e che il corvo non mi aveva abbandonato: i suoi occhi brillavano in quella dimensione oscura a indicarmi la sua presenza.

Continuai così per lungo tempo, camminando lungo quel sentiero dissestato, fino a quando la luce della Luna, sfuggita a una nuvola che voleva a tutti i costi coprirla, non mi mostrò finalmente la mia meta. La valle rinchiusa in quella conca e circondata dalle montagne veniva ora illuminata dalla Luna, più splendente: la sua luce soffusa e incantevole mi permise di distinguere una strana costruzione in lontananza. Al centro di quella valle,rinchiusa fra le montagne, si ergeva dal manto erboso un muro in pietra che delimitava una vasta zona. Il muro continuava per molti metri fino a toccare i fianchi delle montagne bloccando il passaggio.

Il corvo si riprese dal torpore e scrollò le ali per il freddo; intuendo la mia esitazione e la mia paura iniziò a parlare per rincuorarmi ma le sue parole erano smorzate dal possente suono che mi aveva accompagnato lungo il tragitto, quel suono metallico che era stato smorzato dallo stretto passaggio e che ora potevo udire in tutta la sua potenza. Finalmente capii che genere di suono fosse, altre volte avevo sentito un suono simile, metallo contro metallo, quando ero piccolo e avevo ancora fede in un credo ormai morto. Il suono che sentivo era il rintocco possente di una campana, il suo boato si diffondeva per tutta la valle facendo tremare la roccia e scuotendo la terra.

Il corvo mi rimproverò e mi parlò in maniera decisa e rassicurante, per distogliere la mia mente da quel potente suono; mi indicò le mura che ostacolavano il mio cammino e mi disse di cercare un cancello.

Scesi il pendio erboso dirigendomi verso di esse. Il buio e una fitta coltre di nebbia che si era lentamente innalzata non mi mostravano appieno il loro profilo, così che dovetti camminare per molto tempo a tentoni fino a quando non toccai con mano la ruvida e fredda superficie di roccia delle mura.

Seguii la parete ancora per molto, camminando rasente con la mano finché non trovai un’apertura in quella possente muraglia: un grande cancello in ferro, l’unico passaggio per il luogo custodito con tanto accanimento. Ma da chi, non sapevo.

Il cancello era socchiuso, né serratura né catena, il suo aspetto dimesso e decadente dimostrava che l’intera zona era stata abbandonata da molto tempo .

Gli occhi del corvo parvero illuminarsi alla vista del cancello e, con mia grande sorpresa, prese il volo per fermarsi su un ramo di una quercia avvizzita vicino al cancello.

La guida che mi aveva portato fin lì, guidandomi in quello strano viaggio, sorreggendomi e rincuorandomi quando il mio animo aveva dubitato e aveva avuto un cedimento, donandomi forza e coraggio con la sua silenziosa presenza, era fermo sul ramo di un albero a scrutare oltre il cancello, alla ricerca di qualcosa a me ignoto. Il buio e la fitta nebbia, che aveva coperto ogni cosa con il suo gelido manto grigio, non gli permettevano di scorgere niente oltre quell’impenetrabile muro.

Dopo un lungo silenzio, interminabile per me, interrotto solo dal potente rintocco della campana che non accennava a fermarsi, il corvo iniziò a parlami.

Mi disse che ero finalmente giunto al termine, quello era il luogo dove la mia missione si sarebbe compiuta: il mio viaggio non era ancora finito, ma avrei dovuto continuare da solo al di là del cancello, in un luogo inviolato da ormai molti anni. Lì avrei trovato un’antica cattedrale in rovina e, al di là della cattedrale, il cimitero; fra tombe e sepolcri avrei finalmente trovato il motivo della mia missione. Le parole enigmatiche del corvo mi diedero nuovo timore: il mio viaggio non solo non era finito, ma avrei dovuto affrontare ogni altra incertezza da solo. Detto questo, il corvo spiccò il volo e con un rapido battito di ali scomparve nell’oscurità che circondava ogni dove; quella fu l’ultima volta che lo vidi.

Solo e stanco mi appoggiai al cancello, i possenti cardini che lo sostenevano cigolarono quando cercai di aprirlo; dopo un lungo sforzo si aprì facendo un forte rumore ed entrai.

Incuriosito e al tempo stesso impaurito all’idea di cosa avrei trovato al di là del cancello, lo oltrepassai con il cuore gonfio di ansia e paura. La nebbia aveva ormai invaso tutto il paesaggio non offrendomi alcun indizio su cosa avrei trovato a pochi passi da me. La campana continuava nel suo rintocco insistente e vibrante, mai aveva smesso da quando ero entrato in quella strana valle.

Percorsi un lungo tratto nella fitta nebbia prima che i miei occhi potessero notare una strana sagoma che si stagliava nel buio alta verso il cielo, tagliando di netto lo spesso strato di nebbia. Stavo avanzando verso quell’alta torre ormai a poche decine di metri da me: la sola parte che vedevo era quella che svettava nella nebbia così che mi sembrava che la torre non toccasse terra e rimanesse a mezz’aria.

Il rintocco della campana si era fatto sempre più forte fino a diventare assordante; alla fine capii che il rintocco proveniva dalla torre. Il campanile diventava sempre più alto man mano che ero più vicino, fino a quando trovai quello che il corvo mi aveva detto di cercare: la cattedrale.

La cattedrale era un massiccio edificio costruito in pietra con un ampio portone in legno. La sua facciata era imponente, abbellita rozzamente da poche finestre e da colonnati semi distrutti; il suo aspetto decadente mostrava una rovina ormai antica, da molto tempo non doveva ospitare riti religiosi, probabilmente sconsacrata, ma certamente caduta in rovina e dimenticata ormai da molti anni.

Era lì, con la sua mole enorme, le sue mura di pietra massiccia e la torre del campanile che svettava sopra ogni cosa, a diffondere per ogni dove il sinistro suono della campana che mai aveva cessato il rintocco. Come di ritorno da un altro mondo, mi ripresi dal mio torpore e allo stupore per la scoperta della cattedrale si contrappose la paura e il timore di cosa avrei ancora scoperto. Ben presto, però, al ricordo delle ferme parole del corvo, il coraggio e la curiosità ritornarono in me e mi diedero nuovo conforto per continuare quel mio strano viaggio. Dovevo continuare. Senza esitazione aprii le possenti porte della cattedrale. Non erano chiuse e potei entrare, ma non senza qualche sforzo, visto che il tempo aveva indurito i cardini, al punto che opposero un’iniziale resistenza.

All’interno della cattedrale il buio aveva assalito ogni angolo; si poteva sentire un pesante odore di muffa e aria stantia; il legno del soffitto e del pavimento era diventato marcio, tanto da scricchiolare ad ogni passaggio di vento; il soffitto sembrava in bilico, tanto da essere portato via anche solo da una folata di vento più forte delle altre, pronto a far crollare l’intera struttura. Senza ripensarci troppo entrai nella cattedrale e misurai il pavimento a larghi passi; l’odore che permeava l’intero ambiente era nauseabondo e ogni mio respiro era una condanna. L’unica fonte di luce proveniva dallo squarcio che si era aperto nel tetto dell’abside nel corso del tempo, la luce della Luna illuminava a stento l’ambiente con la sua luce diafana. L’unico elemento che riuscivo a vedere davanti a me in quella confusa oscurità era l’altare, posto al centro del presbiterio, illuminato dal fascio di luce che attraversava lo squarcio nel tetto. All’interno della cattedrale quello che un tempo mostrava sfarzo e ricchezza, ora mostrava rovina: i dipinti e gli affreschi sulle mura laterali erano completamente erosi dal tempo; dov’era il volto di un bambino, ora c’era solo una macchia di pittura senza forma né colore; non più calici d’oro e arredi sacri, ma il vuoto desolato di un altare abbandonato da tempo.

Lentamente percorsi la navata laterale fino ad arrivare vicino all’altare. Il suono della campana era più debole a causa delle spesse mura di roccia. Quando arrivai vicino all’altare potei notare due porte al fianco delle navate. La porta di destra, dal lato del campanile, sicuramente dava sulle scale che portavano al piano superiore del campanile dove la campana non accennava a sospendere i suoi rintocchi. Un nuovo bivio davanti a me, e ora la decisione l’avrei dovuta prendere da solo.

L’ultima cosa che avrei fatto era sicuramente avvicinarmi di più alla campana; sapevo che non c’era niente di normale in quella strana atmosfera di sogno e un mio passo falso avrebbe portato al fallimento del mio viaggio.

Decisi quindi di aprire la porta a sinistra e vedere cosa mi attendeva. La porta era in legno, semi nascosta da un drappo di velluto ormai rovinato; la aprii senza difficoltà e scoprii che portava ad un’altra stanza più piccola. L’ambiente era angusto e decadente come il resto della cattedrale, arredato in modo molto spartano: solo un tavolo, qualche sedia, un leggìo rovinato e un armadio senza un’anta. Molto probabilmente la stanza doveva essere la sacrestia. Entrai e subito vidi che dall’altra parte della stanza c’era un’altra porta. Attraversai velocemente la stanza e la aprii. Quello che vidi oltre la soglia fu uno spettacolo che mi tolse il fiato. Centinaia e centinaia fra tombe e mausolei, lapidi e incisioni, statue e angeli in pietra si profilavano davanti a me, componendo un paesaggio suggestivo. Avevo trovato il cimitero e lì avrei trovato la ragione della mia avventura. Scesi il gradino e sentii la morbida terra su cui era sorto il cimitero; l’ampio cortile della Cattedrale rivolto a Ponente era stata delimitato e destinato all’ultimo riposo di centinaia e centinaia di persone.

Avanzai per un sentiero in pietra che si diramava lungo il cimitero tagliando le file di tombe, di mausolei, di cripte e di cappelle, dandomi la strana sensazione che qualcuno, nascosto in quella moltitudine di tombe e ombre di lapidi, mi osservasse senza sosta. Il freddo si era fatto più intenso ora che la notte era diventata a sua volta più fonda; ogni mio respiro si raggelava, tanto che potevo vederlo; ben presto il mio corpo fu scosso da leggeri brividi: non riuscivo a capire se per freddo o per paura.

La nebbia che aveva reso difficile il mio cammino fino alla cattedrale si era lentamente diradata dandomi modo di osservare meglio le tombe e le cripte intorno a me.

Il rintocco della campana, che prima era stato attutito dalle possenti mura della cattedrale, era tornato forte ed imponente; mai aveva smesso, da quando ero entrato in quella valle fuori dal mondo; molto probabilmente avrebbe continuato così per tutta la notte, se non per sempre…

Camminai seguendo il sentiero fra le tombe ancora per molte ore: il cimitero doveva essere molto grande, oppure mi ero perso lì, fra corpi senza anima che riposano in terra consacrata mentre giravo senza meta nella nebbia senza mai trovare una fine al mio viaggio.

La stanchezza si fece presto sentire; stavo per accasciarmi al suolo quando, ad un tratto, nella immensità di quel paesaggio fatto di tombe e lapidi non notai qualcosa di insolito. Vicino a me vi erano tre tombe, tutte e tre erano vuote.

La prima tomba non aveva al suo interno la bara e la lapide ,postagli vicino, non aveva né incisioni né graffi, nessun nome vi era inciso sopra; molto probabilmente era destinata a qualcuno che ancora viveva. La seconda aveva una bara al suo interno, ma nessun corpo vi risiedeva; poco distante vi era un mucchio di terra e una pala ; ma fu la terza che catturò maggiormente la mia attenzione…

La terza tomba non aveva il fondo e il suolo del terreno scavato si inabissava creando una piccola voragine nel terreno. Le tenebre, lì ancora più fitte, mi impedivano di vederne il fondo e neanche la luce della Luna, che ora si era fatta più intensa permetteva ai miei occhi di scorgere qualsiasi dettaglio. Al posto di una bara si trovava al suo interno una scala in legno che scendeva rasente al muro in quell’abisso di tenebre.

La terza non era una tomba, ma un passaggio, una discesa che portava chissà dove in un cuore di oscurità.

Osservando attonito quelle tre tombe nel mio animo mi chiedevo se fosse questa la mia meta finale.

Rimasi lì per molti minuti, intento ad osservare le tre tombe vuote che avevo dinanzi alla ricerca di un dettaglio che carpisse la mia attenzione, ma non riuscii a capire il segreto che vi si celava dietro. Alla fine presi una decisione, sarei sceso all’interno della terza tomba per vedere cosa nascondeva, lì, molto probabilmente, avrei trovato la ragione del mio viaggio.

Il suono della campana continuava , intanto, il suo incessante rintocco in quella strana notte.

Iniziai così a scendere la scala di legno, sempre più giù nel cuore dell’oscurità…

Non posso dire per quanto tempo mi trovai in quello stato, intento a scendere in una tomba che portava chissà dove, il tempo non era più importante, si dilatava e diveniva infinito donandomi un’ ansia continua. Il suono della campana diveniva sempre più debole mano a mano che avanzavo nella mia discesa, così come la luce della Luna prima vivida sul mio volto, diveniva sempre più flebile, raggio incerto sopra la mia testa che a malapena mostrava l’apertura da cui ero sceso.

Prima che potessi rendermene conto, toccai terra: un suolo di dura roccia aveva arrestato i miei piedi dopo la lunga discesa. Iniziai a fissare l’ambiente intorno a me.

Nella vana ricerca di una fonte di luce, presi a camminare a tentoni; non potevo scorgere nulla, se non un bagliore arancione che si stagliava in lontananza. Sparse qua e là delle bare.

Rumori di piccoli passi e squittii nel buio mi fecero trasalire, quel posto era infestato da topi. Intorno a me potevo vedere deboli bagliori di piccoli occhi che vagano nell’oscurità.

A passi lenti, per la paura e per l’ansia, mi avvicinai sempre di più verso quella luce in lontananza fino a quando non potei scorgere fra i bagliori di un piccolo fuoco acceso i contorni di una strana figura, china vicino a un muro. Un vecchio uomo, vestito di stracci, dai lunghi capelli e dalla barba grigi come la cenere, era seduto intento a riscaldarsi vicino a quel fuoco ravvivato da alcune assi di legno prese dalle casse sparse sul pavimento. Gli occhi dell’uomo erano chiusi.

Pensai che fosse morto, ma quando mi avvicinai mi accorsi che il suo torace seguiva su e giù il ritmo del respiro. Improvvisamente i suoi occhi si aprirono, mi fissarono e immediatamente si riempirono di stupore per la mia presenza. Alla meraviglia seguirono poi lacrime che rigarono il suo volto scavato. Non sapendo come reagire a quello strano incontro mi avvicinai al fuoco e mi sedetti: la luce e il calore delle fiamme mi fecero uscire dal buio e dal freddo della catacomba. L’uomo anziano aveva una figura ancora più misera di prima. Dopo un attimo di incertezza iniziò a balbettare parole sconnesse, era da molto tempo che non parlava con un’altra persona e le sue parole stentavano ad uscire e perdevano ogni senso appena le pronunciava.

Nel mio cuore iniziò a nascere un profondo sentimento di pietà per quell’uomo solo e sofferente: chi o cosa ha potuto costringere un uomo a tanto era per me una domanda senza risposta. Ripresosi dal momento di incertezza, l’uomo iniziò a raccontare i suoi ricordi di tempi ormai lontani e a narrarmi la sua storia.

Vent’anni prima l’uomo che avevo davanti era il sacrestano della cattedrale che avevo attraversato. La vita in quel luogo scorreva lentamente, scandita dalle funzioni religiose che avevano luogo nella cattedrale ,presiedute del parroco del luogo. La cattedrale raccoglieva un gran numero di fedeli ed il suo cimitero, posto ad ovest, aveva raccolto nei secoli le spoglie mortali di migliaia di persone. Tutto scorreva in modo normale fino a quando il sacrestano, mentre scavava il terreno per un’ultima fossa, non trovò l’accesso a un’antica catacomba.

Spaventato e intimorito per quella strana scoperta, il sacrestano nascose a tutti l’esistenza della catacomba, ma ben presto eventi terribili turbarono l’idilliaca serenità di quel luogo. Quella scoperta fu per lui un incubo che lo trascinò in rovina insieme alla cattedrale.

Una notte la campana iniziò a rintoccare, senza più fermarsi: per anni e anni avrebbe continuato con il suo eterno rintocco disturbando il silenzio che da sempre aleggiava in quel luogo di preghiera. La paura e la superstizione così si insinuarono nelle menti della maggior parte degli abitanti della comunità e la cattedrale, poco a poco, finì per diventare deserta. Nessuno si spiegava come fosse possibile che una campana non si fermasse mai e ben presto l’ignoranza accecò le persone, facendo loro credere che quello era segno del demonio e che il rintocco della campana annunciava un evento nefasto. I fedeli, che ogni giorno arrivavano alla cattedrale dopo i lavori nei campi, divennero sempre meno e la cattedrale finì per diventare il luogo silenzioso e decadente, disturbato dal rintocco incessante della campana, che avevo potuto osservare.

La paura e la superstizione molte volte spingono le persone ad azioni irrazionali, perché è tipico dell’uomo perdere la ragione dove essa non si può vedere.

In una notte fredda morì il vecchio parroco che da ormai molti anni viveva in quel luogo fra le montagne; con la sua scomparsa il sacrestano perse non solo un amico, ma anche la speranza di un futuro migliore, un futuro in cui la cattedrale avrebbe ritrovato il suo splendore e quei giorni bui sarebbero finiti.

Mentre meditava sulla tomba del suo amico defunto, prese una decisione: sarebbe fuggito dal quel luogo e si sarebbe messo al riparo dal suono della campana che aveva creato tanto dolore e paura nell’unico luogo dove il rintocco non si poteva udire e dove avrebbe finalmente trovato pace, la catacomba. Il suono della campana si affievolì così come la luce, mentre scendeva sempre più giù nell’oscurità della catacomba: in cuor suo sperava che lì avrebbe trovato finalmente la pace e che si sarebbe dissolta con il passare del tempo la paura che attanagliava la sua mente. Ma così non fu….

Cinica è la paura perché colpisce sempre le persone più deboli e incapaci di reagire, come un’ombra che si insinua nell’anima senza lasciare le forze necessarie per pensare e per agire.

Passarono così gli anni e il sacrestano aveva finalmente trovato nella catacomba un rifugio dal continuo rintocco della campana, ma ben presto quel rifugio divenne una prigione che lo costringeva a vivere in quel modo pietoso senza vedere la luce del Sole, senza poter sentire le carezze del vento sulla pelle. Perso nei suoi ricordi, presto riaffiorarono i volti dei suoi familiari. Quando mi raccontò della sua famiglia, potei sentire tutta la tristezza e la malinconia nascosti in quei lunghi anni nel profondo del suo animo. Per quanto tempo aveva dovuto vivere in quel modo per colpa delle sue paure?

Le lacrime continuarono a rigare il suo volto scavato, senza fermarsi: ormai quegli anni di isolamento gli avevano lasciato una traccia indelebile nel cuore, privo di ogni speranza per un futuro migliore. Aveva vissuto per tutti quegli anni come un derelitto in preda alla disperazione ed al dolore, in condizioni miserevoli, fuori dal mondo, un mondo che dimentica troppo facilmente i deboli ed esalta troppo rapidamente i forti.

Sentendo la sua storia non potevo avere che pietà per quell’uomo, perché soffrire in solitudine è la peggiore delle pene. Ma come poter aiutare un uomo in preda alle sue paure? Può il coraggio distruggere una paura che ha creato tanto dolore e sofferenza?

Niente può sconfiggere la paura se non il coraggio.

La vita degli uomini che non hanno coraggio é continuamente attanagliata dalle paure e finisce per essere intrappolata. Maledetti sono coloro che non hanno coraggio, perché sono in preda alla paura e al dubbio, e ogni loro momento di vita è oscurato dall’ombra delle loro incertezze e dalle fobie. Nella vita noi dobbiamo prendere continuamente decisioni e senza il coraggio rischiamo di sbagliare. La vita è lo specchio delle nostre scelte e se è offuscata dalla paura non può essere misera e senza speranza.

Da troppo tempo ormai la campana aveva continuato a rintoccare in quella valle dimenticata, facendo cadere in rovina la cattedrale e costringendo un uomo, insicuro e timoroso, a rifugiarsi lontano dalle sue paure. Da troppo tempo ormai la campana continuava senza mai fermarsi a scandire il tempo con i sui tetri rintocchi, un tempo che era diventato sempre più lungo, ma che si sarebbe fermato quella sera: la campana avrebbe finito di rintoccare, sarebbe caduta ,e per mano mia!!

La mia decisione era stata maturata nel tempo; durante il racconto del sacrestano non potevo che provare pietà per quell’uomo e mi immedesimavo in lui, perché chi non ha avuto mai almeno una volta una paura così profonda da voler solo fuggirne? Allo stesso tempo però mi chiedevo come avrei potuto aiutare quella povera anima e nessuna idea mi parve migliore di distruggere la campana una volta per tutte.

Il sacrestano si trovava disteso vicino al fuoco con le spalle ricurve sul muro. Da molto tempo ormai non parlava con qualcuno e il rievocare i ricordi e rivivere quei momenti gli aveva lasciato una profonda malinconia. Le sue vecchie membra rabbrividivano al freddo pungente della catacomba anche se erano riscaldate da quel debole fuoco. Ormai le lacrime si erano asciugate sul suo volto, la maschera di dolore che prima gli avevo visto, era caduta via e aveva lasciato posto a un volto più tranquillo. La speranza che col passare del tempo si era dissolta, era tornata appena i suoi occhi mi avevano scorto nell’oscurità e continuava a rincuorarlo.

Aspettai ancora un attimo prima di dirgli quale decisione avevo preso perché volevo che ascoltasse con molta attenzione ogni mia parola. Quando il suo respiro si fece più regolare gli svelai i miei pensieri. Gli spiegai in modo semplice cosa volevo fare: distruggere la campana. Presto sarei risalito dalla catacomba e mi sarei diretto verso la cattedrale per distruggere la campana, così lui sarebbe potuto tornare a rivedere il cielo e ogni sua paura sarebbe sparita. Il volto del sacrestano parve illuminarsi a quelle parole, da tempo non aspettava altro che sentire qualcosa di simile. Finalmente il suo incubo avrebbe trovato fine.

Prima che mi alzassi il sacrestano mi fermò. Voleva aiutarmi in qualche modo. Nel profondo aveva sempre sperato che qualcuno venisse a salvarlo, e per lui quella attesa era finita.

Speravo che mi rassicurasse. Non sapevo cosa avrei trovato lassù, sul campanile, ed un consiglio era il miglior aiuto che lui mi potesse dare.

Senza indugi il sacrestano mi spiegò la strada per tornare alla cattedrale. Il campanile era un’alta torre posta di fianco la cattedrale e si poteva accedere alle scale che portavano fin sulla cima attraverso una porta, situata nella navata orientale. Le scale in roccia col tempo erano diventate sempre più malmesse, ormai nessuno vi saliva più .

La campana era una grande cupola antica in bronzo di notevoli dimensioni. Si trovava in cima al campanile da dove diffondeva il suo sinistro suono in tutta la valle. Le sue oscillazioni erano prodotte dal movimento dell’asta a cui era fissata. Un sistema di contrappesi rallentava il suo moto così che non compisse un giro troppo largo. L’asta che dava il movimento oscillatorio alla campana era collegata a due perni che insieme al ceppo ne sostenevano l’intero peso. Tutto il complesso campanario si era conservato nei secoli fin dai tempi della fondazione della cattedrale.

Per far cadere la campana avrei dovuto danneggiare uno dei due perni. Il volto del vecchio che mi ascoltava era più calmo e disteso e nei suoi occhi era ritornata la vita: percepivo che aveva ritrovato la speranza.

Per distruggere i perni dovevo però trovare un arnese, non potevo farlo a mani nude. Il sacrestano mi disse di andare in sacrestia, molto probabilmente lì avrei trovato quello che mi serviva.

Senza troppi indugi e prima che la paura tornasse, mi alzai e mi diressi verso la scala. Dietro di me il sacrestano fece un debole cenno di saluto quasi per darmi coraggio.

Trovai subito la scala, il fascio di luce che proveniva dall’esterno era ben visibile in quella oscurità. Salii lentamente verso la luce. I pioli della scala erano sempre più scivolosi. Più di una volta rischiai di cadere di nuovo nel vuoto. Dopo un lungo tempo che sembrava non finire mai, toccai il suolo. Mi rialzai con fatica e iniziai a guardarmi intorno. Ero ritornato nel cimitero. Lunghe distese di tombe e mausolei, statue e lapidi, tutte intorno a me. La luce della Luna si era fatta ora meno intensa e vedevo a malapena. Il mio respiro si faceva sempre più affannoso e stanco: la paura stava lentamente tentando di prendere il sopravvento su di me. Senza pensare oltre mi diressi per il sentiero di pietra verso la cattedrale.

Nel buio della notte, l’unico faro era il suono della campana, passi lenti mi guidavano nel freddo dell’oscurità. Insieme a quella della Luna si erano fatte più deboli anche le luci delle stelle, rendendo il cielo una distesa scura sopra il mio capo, ma non mi ero ancora perso d’animo. Dopo un lungo cammino intravidi in lontananza la porta della sacrestia, quella da cui ero arrivato al cimitero. Risalii frettolosamente gli scalini e rientrai in quell’angusto ambiente. Ora dovevo trovare un oggetto per poter danneggiare la campana. Iniziai così a rovistare la stanza fino a quando non vidi vicino all’armadio quello che cercavo: un’accetta. La presi per il manico e la strinsi forte fra le mani. Il suono della campana era attutito dagli spessi muri di pietra, ma potevo sentirne chiaramente l’eco in quell’edificio in rovina. Mi diressi verso la porta per entrare nella zona centrale, verso il campanile, esattamente di fronte a me, non mi potevo sbagliare.

La luce della Luna che attraversava il foro creatosi sopra il presbiterio era ora meno vivida.

Attraversai la navata centrale oltrepassando l’altare e aprii la porta di fronte a me. Una folata d’aria spalancò la porta, facendomi raggelare. Entrai nella torre. Nell’oscurità del luogo riuscii a vedere una strano figura che scendeva dal soffitto fino ad arrivare al pavimento della cattedrale: si muoveva sinuosa come se avesse una vita tutta sua. La fune rovinata che serviva a muovere il sistema di contrappesi facendo suonare la campana, era rimasta lì, dimenticata, mossa dal vento che filtrava dai muri. Una lunga scala si diramava intorno al muro quadrangolare portando fino in cima, verso una botola sul soffitto. Come aveva detto il sacrestano la scala, come il resto della torre, era diventata con il tempo sempre più pericolante. Buchi e fessure si erano aperte lungo il muro e ,con il passaggio dell’aria, creavano strani suoni. Le scale costruite usando le stesse pietre della torre erano tutte rovinate, alcune si trovavano a terra frantumate per l’altezza da cui erano cadute.

Se nella cattedrale il suono della campana era attutito dai muri, lì si poteva udire distintamente. Era così potente che a ogni rintocco sembrava che la costruzione ormai traballante fosse prossima a cadere.

Strinsi ancora più forte il manico dell’accetta e senza pensarci troppo iniziai a salire le scale verso il campanile.

L’intera torre era alta il doppio della cattedrale. La sua mole si poteva osservare anche fra la nebbia in tutta la valle.

La salita era resa difficoltosa non solo dallo stato dei gradini in pietra, alcuni dei quali totalmente assenti ,ma anche dal difficile equilibrio che avevo lassù in balia del vento reso ancora più impetuoso dall’altezza. Le scale non avevano ringhiera e la mia presa lassù era sempre meno salda. Molte volte rischiai di cadere ma con molta fortuna riuscì a continuare a salire sempre più su, verso il campanile.

Scalino dopo scalino riuscii a toccare il soffitto: la botola che accedeva al piano superiore non era lontana. Usando l’accetta ruppi la catena che teneva chiusa la botola, la aprii e accedetti al piano superiore.

Quando misi la testa su per la botola potei vedere un enorme corpo scuro muoversi avanti e indietro. La sua notevole mole,fatta in liscio bronzo scuro,stava quasi per colpirmi la testa prima che la tirassi indietro.

Aveva continuato a muoversi senza mai fermarsi per vent’anni. Definita opera del diavolo fu lasciata a continuare il suo rintocco creando paura e dolore tutt’intorno per anni e anni.

E ora l’avevo proprio di fronte ai miei occhi. Risalii velocemente dalla botola facendo attenzione alla campana che continuava a muoversi. Occupava quasi tutto lo spazio ed era difficile restare in equilibrio lì in cima.

Il vento , ancora più forte a quell’altezza, sferzava con violenza dalle quattro grandi finestre ad arco che formavano i muri del campanile, su cui poggiava il tetto. Gli angoli della costruzione erano colonne in pietra che salivano in cima fino a formare una lunga guglia .

La campana si muoveva avanti e indietro, attraversando prima l’una, poi l’altra finestra. Il suo rintocco era così assordante che, ancor prima di accorgermene, avevo le mani sulle orecchie, cercando di attutire quel suono profondo che rimbombava sempre più nella mia testa.

Lentamente mi rialzai facendo leva sul muro in pietra e ripresi equilibrio. Mi aggrappai alla corda che cadeva giù dal ceppo e pendeva giù fino ad arrivare alla base del campanile. Ripresi l’ accetta in mano, la strinsi salda fra le dite affinché non scivolasse. Lentamente mi diressi verso la scala in legno che portava al di sopra della campana. Inizia a salire gli ultimi gradini mentre al mio fianco la campana continuava avanti e indietro senza fermarsi. Nessuno la muoveva eppure lei continuava come se una forza invisibile la costringesse a muoversi e a suonare, un rintocco infinito che andava senza tempo.

Lentamente salii i pioli con l’accetta stretta in mano, facendo forza sul legno mi alzai sulle assi che formavano il soppalco del campanile. Intravidi nell’oscurità di fronte a me i sistemi di contrappesi che muovevano e allo stesso tempo tenevano salda la campana. Strinsi ancora più forte il manico dell’accetta nelle mani fino a farmi male. La alzai fin sopra la testa per caricare il colpo. Con rapidi passi mi avvicinai sempre di più alla struttura in legno. Velocemente e inesorabilmente la lama scese giù e colpì. Continuai a colpire sempre di più, con forza, prima scalfendo, poi danneggiando sempre di più il perno che sosteneva il peso della campana. Il legno del perno era duro e resistente, superava in spessore il mio braccio e non sarebbe crollato facilmente. Continuai a colpire fino a che la lama non aveva lasciato un profondo solco nel legno. Schegge cadevano dal ceppo come fosse una ferita aperta. Il peso della campana si fece infine sentire e l’intera struttura cadde.

Fu un volo da ricordare. L’enorme peso della campana facilitò i miei sforzi. Presto il legno cedette e la campana senza più un sostegno cadde nel vuoto con una tale forza che potei vedere soltanto una grande ombra nera muoversi nell’aria. L’urto con il suolo innalzò una grande colonna di polvere e detriti. Il suono dell’impatto si propagò per la valle come l’ultimo urlo di un mostro che muore. Con quell’ultimo atto la campana aveva finito la sua storia. Paura, dolore, miseria e rovina erano cadute insieme a lei senza far più ritorno in quel luogo dimenticato.

Il mio respiro era sempre più affannato per la stanchezza. Le gambe tremavano e le mie braccia erano senza forza. Lasciai cadere l’accetta dalla mano sfinito. Mi sedetti. Osservai attonito il paesaggio da lassù. Finalmente un momento di riposo dopo quel lungo cammino.

La Luna ritornò a illuminare la cattedrale con la sua luce soffusa. L’aria fredda che sentivo da lassù faceva rabbrividire la mia pelle.

Quando il mio cuore ritornò a battere normalmente mi rialzai e scesi le scale. Mi diressi alla botola e rientrai all’interno della torre. Gradino dopo gradino ridiscesi giù fino a toccare di nuovo terra. Uscii dalla porta e rientrai nella cattedrale. L’ambiente sembrava ora più vuoto senza il suono della campana: nulla disturbava quel silenzio.

Camminai lungo la navata principale, oltrepassai l’altare illuminato dalla luce che filtrava dallo squarcio nel tetto dell’abside e mi diressi senza esitazione verso la sacrestia, lasciai l’accetta al suo posto e uscii per ritornare al cimitero. Ripercorsi di nuovo il viale di pietra fra tombe e mausolei per un lungo tratto.

Infine ritornai alle tre tombe vuote. Ora non avevo più paura e discesi la scala nella terza tomba con la gioia nel cuore. Come l’avrebbe presa il sacrestano, la notizia della caduta della campana? Sarebbe di nuovo scoppiato in lacrime dalla gioia, oppure sarebbe risalito dalla catacomba per poter essere certo della caduta della campana? Scesi velocemente le scale e ritornai alla catacomba.

Il fuoco crepitava ancora creando bagliori di luce nell’oscurità. Mi diressi con passo svelto verso il fuoco e intravidi nella luce la figura del vecchio seduto vicino al muro a riscaldarsi.

Il suo volto subito si illuminò quando mi vide arrivare. Lentamente mi sedetti vicino a lui e raccontai l’esito della mia azione. Dopo tanti anni la campana era stata distrutta, portando con sé il segreto di quell’eterno rintocco. Di nuovo il vecchio scoppiò in lacrime dalla gioia. Il suo incubo era finalmente finito e poteva trovare ora la dignità che aveva perso da troppo tempo, uomo senza coraggio prima, pieno di speranza ora. Anch’io rimasi lì, seduto vicino al fuoco, a ridere e a gioire; finalmente ero arrivato alla fine, o almeno così pensavo.

Tra un singhiozzo e l’altro, il sacrestano si asciugò le lacrime e fermò con la mano il mio braccio. C’era ancora dell’altro, il mio compito non era ancora finito.

Con commozione il vecchio iniziò a raccontarmi che vent’anni fa, prima che quell’incubo iniziasse, conduceva una vita felice in campagna. Una vita ritirata dallo stress della città ma comunque felice e appagante. Quando decise, sulla tomba del suo vecchio amico, di nascondersi nella catacomba lasciò insieme al mondo anche i suoi cari che l’aspettavano ogni sera. Il suo unico desiderio era ora ritornare da loro e poter rivedere i loro volti un’ultima volta. I ricordi dei suoi cari erano ancora vividi nella sua mente e la loro perdita era una ferita non ancora risanata.

Abbassai lo sguardo verso il fuoco. Ero ancora stanco per il lungo cammino e sfruttavo quel momento di tranquillità per riposarmi. Il vecchio, dopo il suo racconto, rimase ad aspettare in silenzio.

Ripensai a tutto quello che mi era successo: il corvo alla mia finestra, il viaggio verso la cattedrale, il passaggio per la catacomba, la campana caduta. Avevo salvato il vecchio dalla sua paura ma sapevo che non bastava ancora, il mio compito non era ancora finito. Un nuovo viaggio mi attendeva e questa volta il sacrestano mi avrebbe accompagnato.

Distolsi gli occhi dal fuoco e con fatica mi rialzai sulle mie gambe. Avevano già camminato abbastanza e il mio corpo chiedeva solo riposo, ma per questa volta non l’avrei accontentato.

Il vecchio mi fissava con occhi pieni di apprensione e timore. Non potevo lasciarlo là a continuare a vivere in quel modo, quell’ uomo meritava di rivedere i suoi cari.

Gli confidai allora l’idea che si era fatta strada nella mie mente: riaccompagnarlo dalla sua famiglia.

Il sacrestano non seppe reprimere un moto di entusiasmo a quelle parole. Non desiderava altro che riabbracciare i suoi familiari ma aveva paura di chiedermi un altro favore dopo tutto quello che avevo fatto per lui.

Fermai con un cenno della mano i suoi ringraziamenti . Non era ancora tempo di ringraziarmi. Il cammino era ancora lungo e il tempo era ormai volato via.

Lo aiutai a tirarsi sulle proprie gambe. Il lungo esilio in quella catacomba avevano lasciato conseguenze gravissime sull’uomo sia psicologicamente che fisicamente. Ormai il suo corpo emaciato e senza forza non gli avrebbe permesso la lunga camminata che si profilava all’orizzonte.

Senza che dicesse nulla, mi chinai e lo feci salire sulle mia schiena, il suo corpo era diventato troppo debole per affrontare un lungo viaggio come quello e non avrebbe potuto fare un altro passo senza il mio aiuto. Lentamente mi diressi verso le scale per risalire in superficie. Una volta tornati all’aria aperta, il viso del vecchio si illuminò. Da anni non respirava aria fresca e non sentiva il cielo aperto sopra la testa . Mi diressi senza indugio di nuovo verso la cattedrale, seguendo a ritroso il sentiero in pietra.

Quando in lontananza il vecchio riconobbe la sagoma della cattedrale, non riuscì a trattenere un moto di meraviglia. La valle cinta dalle montagne era ora più vuota senza il rintocco della campana che disturbava il suo silenzio.

Attraversai il viale di tombe e rientrai nella sacrestia. Una grande malinconia pervase il vecchio mentre si perdeva nei ricordi che quei luoghi gli avevano risvegliato.

Mentre attraversavo la navata centrale il sacrestano mi raccontò della grande prosperità e ricchezza che aveva raggiunto la cattedrale quando era ancora nel massimo del suo splendore.

Oltrepassai il grande portone in legno e attraversai il grande spazio verde verso il cancello fra le mura. L’erba del prato era ancora bagnata dall’umidità e il terreno era soffice sotto i miei piedi.

Quando volsi lo sguardo ad est ,potei vederla di nuovo: la campana. Si trovava ora ai piedi del campanile, il suo colore scuro nel verde dell’erba alta e la sua grande mole la rendevano visibile nell’oscurità. Il sacrestano, accortosi del mio disagio, volse lo sguardo per capire cosa aveva attirato la mia attenzione.

Il respiro gli si fermò e potei percepire il suo disagio quando i suoi occhi si fermarono sulla grande mole che si stagliava a decine di metri da noi.

Nessuna parola fu riferita e il lento camminare ci portò ben presto lontano dalla vista la sagoma della campana.

Oltrepassai il grande portone in ferro con l’ uomo ancora sulla schiena. La foschia, che prima aveva invaso tutto il paesaggio, si era ora diradata lasciando il mio cammino sgombro da ogni difficoltà. Il vecchio, chino sulla mia schiena, sonnecchiava allegramente; per lui quel giorno era stato pieno di emozioni e ora reclamava un attimo di riposo.

Presto attraversai l’ultimo tratto e arrivai al passaggio che si apriva nella catena montuosa. Dopo un breve tratto nella stretta gola, accerchiato dalle pareti delle montagne uscii dalla valle e tornai sul sentiero che mi aveva portato in precedenza fino alle montagne.

Quando tornai al bivio che già avevo oltrepassato, il sacrestano mi fermò e mi indicò la via così come aveva fatto in precedenza il corvo.

La strada di destra era la strada scelta dal sacrestano, il sentiero che portava verso le casupole che vedevo in lontananza.

La notte stava ormai finendo e la Luna era ormai pronta a lasciare il posto al Sole, ma aveva ancora il tempo di illuminare il mio cammino con la sua luce soffusa. Le casupole ,che vedevo ormai vicine a me, erano illuminate da piccole lampade poste vicino alla porta per guidare gli uomini verso i campi per un’altra giornata di duro lavoro. Camminai ancora per molto prima che il sacrestano mi fermasse ancora e mi indicasse una piccola casa alla mia destra; anche se erano passati tanti anni il vecchio non aveva dimenticato l’aspetto di casa sua e la felicità per essere ritornato finalmente lì era immensa.

La notte non era ancora scesa e avevo timore di svegliare gli abitanti di quella casa, ma il vecchio non accettò obiezioni dicendomi che i suoi familiari sarebbero stati felici di rivederlo, niente e nessuno avrebbero potuto fermarlo ora. Troppo tempo era stato lontano dalla sua famiglia e ora non voleva perdere un solo istante.

Accettando le ragioni del sacrestano mi diressi verso la porta della casa. Lasciai percorrere quegli ultimi passi al vecchio. Bussai una prima volta sulla porta in legno, poi una seconda e una terza. Sentii rapidi passi all’interno della casa e borbottii stanchi. Dopo un breve silenzio la porta si aprii.

Un giovane uomo si presentò sulla soglia chiedendo chi fossi io e l’uomo anziano in mia compagnia. Senza aspettar oltre il vecchio si lanciò verso quel giovane uomo e lo abbracciò con forza. Il sacrestano non poteva non riconoscere suo figlio, ora divenuto uomo, anche se erano passati così tanti anni. L’uomo sulla soglia rimase interdetto da quel gesto inaspettato e dovette aspettare qualche minuto per lasciarmi spiegare l’intera storia che mi aveva visto protagonista prima di capire l’ identità dell’uomo che lo aveva accolto con così tanto calore. Quando il figlio capì di aver ritrovato il padre che aveva perduto tanti anni fa, non poté trattenersi dalla gioia e svegliò tutta la famiglia per festeggiare quell’ ospite inatteso. Da molti anni, ormai, aveva perso la speranza di ritrovare quel padre perduto e ora voleva che tutti fossero partecipi alla sua gioia. Tutti erano lieti e felici di rivedere il loro caro dopo tanti anni e più volte gli chiedevano di narrare ancora la sua incredibile storia. I giorni bui erano ormai dimenticati e ora una nuova speranza stava pian piano sbocciando. Almeno così credevo…

Il sacrestano fu felice di rivedere i suoi cari, ma in cuor suo sapeva che quella non era l’ultima meta del suo viaggio e un altro luogo reclamava il suo corpo e la sua anima.

Quando si profilavano all’orizzonte i primi raggi di un Sole prossimo a rinascere, il vecchio fermò tutti e diede una notizia che rattristò tutti: il suo tempo era giunto e presto sarebbe morto.

Come una bufera inaspettata che spazza via i germogli prossimi a crescere, così la speranza scomparve dai cuori dei familiari riuniti intorno al loro caro. Nessuno si aspettava una notizia del genere; tanto meno il figlio, che dopo aver creduto morto suo padre dopo tanti anni ora scopriva che lo avrebbe perso comunque. Il sacrestano pregò i suoi cari di non rattristarsi troppo, affinché il suo addio non fosse per lui troppo doloroso. Calorosi furono gli ultimi saluti che i familiari diedero al vecchio, così da infondergli la forza per continuare il suo viaggio. Quando i saluti furono finiti il sacrestano mi prese da parte e mi chiese il suo ultimo desiderio: voleva tornare alla cattedrale e riposare nella tomba che egli stesso aveva scavato tanto tempo fa per lui. Una nuova ombra si addentrò nel mio cuore al pensiero che sarei dovuto tornare in quel luogo dimenticato da tutti, persino da Dio…

Dovevo finire quello che avevo cominciato, non potevo tirarmi indietro proprio ora e se il mio fato aveva deciso che sarei dovuto tornare in quel luogo, l’avrei fatto senza indugi. La paura, che prima aveva trovato terreno fertile ,nel mio cuore pieno di dubbio e incertezza, dove poter germogliare, trovava ora il coraggio, rafforzatosi nel corso della mia avventura, a contrastarla.

Acconsentii con piacere ad accompagnare per l’ultima volta alla cattedrale il vecchio sacrestano e senza indugi consigliai di partire subito. L’addio che diede il figlio a suo padre fu un lungo abbraccio dal quale i due non volevano uscire; piccole lacrime rigarono il volto di entrambi. A malincuore il sacrestano lasciò i suoi familiari, ma il cammino davanti a noi era ancora lungo e non rimaneva più molto tempo.

La Luna era ora scomparsa ma la notte ancora persisteva nel cielo, oscurando come poteva i deboli raggi del Sole che presto sarebbe sorto per creare un altro giorno.

Tornai sul sentiero che mi aveva portato fin lì con il sacrestano di nuovo sulla mia schiena per affrontare quell’ultimo viaggio.

Il sentiero verso le montagne era deserto e silenzioso e niente sembrava disturbare quell’atmosfera sacrale. Le mie gambe erano provate dalla lunga fatica e mi costrinsero a rallentare il mio cammino; sia io che il sacrestano rimanemmo in silenzio, le parole sembravano ormai fuori luogo in quella strana situazione. L’atmosfera intorno alla cattedrale era calma e silenziosa e sembrava che niente dell’oscuro passato di cui quel luogo era stato teatro fosse sopravvissuto a quella notte. Arrivai ben presto alla sacrestia e tornai a camminare sul sentiero in pietra diretto nel cuore del cimitero. Il sacrestano era ancora poggiato sulla mia schiena perso ormai nei suoi pensieri, il suo respiro si era fatto sempre più affannoso lungo il cammino facendomi preoccupare del poco tempo che ormai gli rimaneva. Le tre tombe vuote si presentarono presto ai miei occhi. Il sacrestano mi fece fermare lì e mi chiese di farlo riposare un attimo. Lo feci sedere vicino a una statua che ritraeva un angelo piangente; il suo respiro era diventato più stanco e i suoi occhi erano più vitrei. Le sue pupille erano ora piccoli puntini neri e lo sguardo sembrava perso nel vuoto. Mi chinai verso di lui per confortarlo e asciugargli il sudore che bagnava la sua fronte. Il suo volto sofferente lasciava trasparire tutta la sua paura che in quel momento aveva intrappolato il suo cuore. Usando le ultime forze che gli rimanevano mi diede le ultime indicazioni che dovevo seguire.

Mi raccontò che le tre tombe vuote che avevo davanti erano le tombe che egli stesso aveva scavato tanto tempo insieme a tutte le altre, prima che la campana trascinasse in quel terribile incubo l’intera zona. La prima tomba senza lapide sarebbe toccata al figlio quando la morte lo avrebbe reclamato; la seconda con la bara era invece del sacrestano, lì sarebbe stato posto per riposare per sempre nel luogo dove per tanto tempo aveva vissuto, fra tombe e lapidi, all’ombra della cattedrale. Le ultime parole sofferte del sacrestano furono per me: mi ringraziò con tutto il cuore per quello che avevo fatto e per la gioia e la felicità che gli avevo donato nell’ultimo momento della sua vita. Mi ringraziò per il coraggio che avevo dimostrato e mi confidò di essere stato profondamente colpito dalla grande forza d’ animo che avevo mostrato di possedere, la migliore fra tutte le qualità che un uomo possa avere. Detto questo il sacrestano morì…

LA sua testa si accasciò sulla spalla e un espressione calma ma felice rimase sul suo volto ormai freddo.

Mi alzai e presi fra le braccia il corpo senza vita ; con calma lo adagiai nella bara vuota . Sistemai la cassa nella fossa; presi la pala poco lontano e iniziai a ricoprire di terra la tomba . La vita del sacrestano era finita nel luogo che per tanti anni era stata per lui una seconda casa e una ragione di vita. Nessuno più lo avrebbe disturbato, lasciandolo riposare in pace in eterno…

Rimasi lì ancora qualche istante, in silenzio sopra la tomba per dare l’ultimo omaggio a quell’uomo che uno strano gioco del destino mi aveva fatto incontrare per aiutarlo forse a redimersi e morire così in pace.

Presi un lungo respiro e mi volsi verso la cattedrale. Finalmente il mio compito era finito e potevo tornare a casa. Attraversai la cattedrale con ancora in mano la pala e oltrepassai il cancello fra le mura per tornare al passo fra le montagne. Tornai da dove ero venuto, seguendo il sentiero che avevo attraversato con il corvo in un tempo che mi sembrava ormai lontanissimo. Proseguendo su un strada lungo il litorale potei osservare uno spettacolo che mi costrinse a fermarmi e ad osservare estasiato il cielo. Il Sole stava ora sorgendo all’orizzonte spazzando via la notte che aveva dominato per tutto il mio viaggio. I suoi raggi, riflessi dalle acque calme del mare, illuminavano il cielo donandomi una serenità a lungo agognata e finalmente ottenuta.

Seguendo il sentiero sul litorale tornai presto in città; quei luoghi a lungo dimenticati sembravano ora ai miei occhi cambiati, ma forse non erano loro a essere cambiati ma io. Difficile pensare che dopo l’avventura che avevo vissuto non fossi cambiato, la mia anima si era arricchita da quella esperienza e ogni mia esperienza sarebbe servita in un prossimo futuro. Tutti noi ci prepariamo all’ultimo viaggio che ogni essere umano deve affrontare e dipende solo da noi decidere come affrontarlo.

Salì le scale il più velocemente possibile per poter tornare nell’unico posto dove mi sentivo al sicuro: la mia cameretta. Quando vi entrai vidi che niente era cambiato e tutto era al suo posto. Lentamente posai la pala e mi sdraiai sul letto in un lungo sbadiglio.

Finalmente ero tornato e niente e nessuno mi avrebbe più disturbato. Come ultimo atto presi il New Economy per leggere un articolo sul commercio del tonno in Norvegia.

 

Fine

 

  
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