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Autore: Euridice100    01/11/2014    16 recensioni
"Mr. Gold ha tutto.
No, non è vero.
Mr. Gold ha tutto fuorché lei."
( Victorian!AU RumBelle )
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belle, Cora, Signor Gold/Tremotino, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Your dream is over... Or has it just begun?'
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A tutt* voi,
un immenso grazie.
 
 
 
XXI - Flame and ice
 
 
 
Every word you say is a lie,
run away, my dear,
but every sign will say
your heart is deaf.”


 
 
Robert stava tardando. Le sei erano suonate da un pezzo e di lui ancora non si vedeva ombra; e la cosa non poteva non inquietare Belle. Cosa stava succedendo al piano inferiore? Perché Cora non si era ancora congedata? Qualunque fosse la ragione del loro incontro, la Contessa si stava trattenendo decisamente troppo.
Avrebbe voluto controllare la situazione, ma s’impose di rimanere di restare in camera. Con ogni probabilità, provò a rassicurarsi, i due stavano discutendo di Regina: una questione in cui era senz’altro coinvolta, ma che solo il suo promesso e la Mills avrebbero potuto affrontare consapevoli di cosa fosse meglio per la bambina. Immischiarsi avrebbe prodotto come unico risultato far indispettire ulteriormente la gentildonna, come la volta precedente; e Robert le aveva sconsigliato di ripetere il gesto. E se il punto della visita fosse stato l’anello, senza dubbio l’avrebbero già mandata a chiamare…
Doveva sforzarsi per mantenere la calma ed essere razionale; doveva ignorare le tentazioni dell’istinto e, soprattutto, non prestar ascolto alle insinuazioni di quella vocina acuta che le ricordava il passato comune di Robert e Cora.
Ma io non sono innamorato di lei. Io amo te. Non lei.
Lo sai. Te l’ha ripetuto mille volte, a breve vi sposerete, e lo conosci, non è persona da venir meno alla parola data.
Non hai nulla da temere.
A essere sinceri, quando aveva scoperto del ritorno dell’amato, Belle non aveva più provato realmente paura.
Nel momento in cui Mary le aveva comunicato la notizia, un’onda di coraggio le si era come riversata nelle vene, riscaldandole il sangue e il cuore e rafforzando l’estrema convinzione che la realtà avrebbe smentito le fosche previsioni in cui ultimamente la sua mente pareva amare indulgere.
Per ingannare il tempo decise di riprendere in mano “Romeo e Giulietta”. Pur conoscendolo quasi a memoria, quell’opera non perdeva attrattiva: aveva il potere di farla allontanare dalla realtà che la circondava e di sostituire i pensieri negativi con immagini più piacevoli – proprio ciò di cui aveva bisogno quel giorno. Carezzò il dorso del libro rivivendo l’istante in cui Gold glielo aveva porto, le parole con cui lo aveva accompagnato, il primo bacio che si erano scambiati e sorrise. La notte di Natale, mentre correva per Londra animata dalla forza propria delle imprese folli, non avrebbe mai creduto che le cose si sarebbero evolute in simile modo. Stava tornando per mettere in chiaro la situazione, senza sapere cosa aspettarsi, temendo un rifiuto che i pensieri neanche riuscivano a formulare; chi l’avrebbe mai detto che sarebbero arrivati sin lì, con un matrimonio alle porte e una nuova pagina della vita da iniziare a scrivere?
È il bello della vita. La sua imprevedibilità, il suo variare continuo che non si placa mai.
Come la ruota di un arcolaio quando la si aziona.
Stesa sul letto, aprì il volume e s’immerse nell’afa della Verona cinquecentesca; ma dopo pochi minuti un rumore le fece rialzare gli occhi dalle pagine. Le orecchi la ingannavano, o quelli erano davvero passi che si avvicinavano concitati? Era raro che qualcuno salisse in camera a quell’ora, soprattutto col padrone e un’ospite per casa; che fosse…?
Si mise a sedere e prestò più attenzione: sì, senza dubbio qualcuno si stava dirigendo verso la sua stanza; e quel qualcuno non poteva che essere lui. Si sistemò un’ultima volta i capelli e respirò a fondo per cercare di tranquillizzarsi, ma fu tutto vano: il batticuore che l’aveva colta non si placò; e in fondo, dovette confessare, lei non avrebbe voluto che si placasse.
L’avrebbe rivisto. Dopo giorni d’inferno avrebbe rivisto il suo grande amore: star calmi non era umanamente possibile. Robert già lo sapeva, ma lei voleva che sentisse quanto le era mancato, che percepisse quella trepidazione e comprendesse di esserne causa; e anche se da lì a poco avrebbero dovuto trattare questioni poco piacevoli, l’idea che lui le si sarebbe seduto ancora una volta accanto, che le loro mani si sarebbero rincontrate e strette, che le sue dita le avrebbero carezzato il volto, lievi ed emozionate come sempre, fu balsamo per la sua mente.
Andrà tutto bene.
La porta si spalancò di colpo, facendola sussultare. Pur perplessa, cercò il volto amato con un sorriso che le morì sulle labbra.
- … Robert? – sussurrò appena, gli occhi sgranati dallo stupore.
Davanti a lei non c’era Robert. Non c’era colui che aveva imparato a conoscere, colui che le aveva confidato e affidato la propria vita, colui al quale aveva dato il suo cuore senza mai pentirsi della scelta fatta.
Quell’uomo sembrava perso, mai esistito.
Colui che la scrutava con occhi di fiamma era Gold.
Era lo squalo senza scrupoli, lo strozzino che pasceva anime disperate, l’affarista che un pomeriggio di settembre l’aveva strappata dalla vita come l’aveva conosciuta sino ad allora e gettata in un mondo in cui era ultima tra gli ultimi.
La Bestia, non l’Uomo.
Sul suo volto non c’era più traccia dell’amore che l’aveva mitigato; ogni scintilla di dolcezza pareva essere stata spazzata via, lasciando il posto a un furore indicibile che avrebbe potuto incenerire il mondo intero.
Belle lo guardò e, per la prima volta, ne ebbe paura
- Cos…
- È così? – non le concesse il tempo d’aprir bocca – È sempre stata questa la verità? È questa dall’inizio?
- Cos’è successo? – l’aveva visto arrabbiato in tante occasioni, e proprio nel corso dell’ultima aveva dismesso quella maschera di gelo capace di mietere più vittime di mille scenate; ma mai, mai, nemmeno quella volta aveva reagito in simile modo. Doveva essere successo qualcosa di talmente grave, di tanto terribile da sconvolgere ogni singolo, minuscolo equilibrio assestatosi durante i precedenti mesi.
È successo che ti sei fatta amare, ed era tutto un piano.
Solo uno sporco, ridicolo piano.
- Me lo chiedi davvero? – proruppe in una risata breve e aspra, in cui non v’era traccia alcuna di reale gioia – Cos’è, Dearie, lo shock di essere stata scoperta ti ha cancellato la memoria? Vuoi che te la rinfreschi io? – schiuse il pugno destro che teneva serrato e le mostrò il contenuto – Questo ti ricorda qualcosa?
Belle fissò l’anello senza riuscire a emettere alcun suono. Dove l’aveva trovato?
A meno che…
Belle, c’è la Mills. Gold non ha fatto in tempo a entrare in casa che lei è comparsa.
Cora.
Regina.
Cos’avete fatto.
- Dove… Dov’era? – Belle provò ad alzarsi dal letto, ma le gambe non la ressero, come se le ginocchia non funzionassero più a dovere e mettersi in piedi avrebbe inevitabilmente comportato una caduta.
Stavolta nessuna mano si porse ad aiutarla.
- Fammi indovinare: l’hai perso e l’hai cercato ovunque senza trovarlo, vero? E sai perché, mia cara? Perché tu stessa l’hai venduto per andartene via di qui! Oh, no, no, no, – continuò scorgendo l’espressione sconvolta della ragazza – Sei una splendida attrice, convengo, ma la messinscena non serve più. Ormai so cosa sei e vuoi.
- Cosa stai dicendo? – reagì la donna senza nascondere i sentimenti che stavano prendendo il sopravvento. Vendere l’anello? Andarsene? Cosa avevano inventato le Mills per screditarla?  E soprattutto, Robert aveva battuto la testa per credere a simili idiozie senza capo né coda piuttosto che a lei? – Non trovo l’anello da prima che partissi. Era questo ciò di cui avrei dovuto parlarti l’altra mattina, ma poi ti hanno chiamato a Colchester e ho dovuto attendere fino a oggi. Era la prima cosa che avrei voluto dirti!
Continuava a mentirgli. Pur essendo stata scoperta, non demordeva dalla sua missione: gli piantava addosso quelle iridi nude – le iridi nella cui luce aveva sperato di rinascere, illuso! –, tanto avvezze alle menzogne da apparire sincere, gli raffazzonava spiegazioni dal sapore di patetiche scuse e pretendeva che lui le credesse ancora, che si perdesse nel mare di bugie in cui aveva annaspato per cinque, lunghissimi mesi! Era stata talmente brava da ingannare anche se stessa, a giudicare dalla fermezza con cui sosteneva il suo sguardo e dalla voce che non tremava neanche per un istante.
La consideravi un angelo sceso nel tuo Inferno, un essere d’aria e magia, ed è solo un’attricetta del Drury Lane. 1
Perché mi hai fatto questo, Belle, perché?
- Smettila! – ringhiò afferrandole i polsi, incurante dei tentativi di divincolarsi – Avrei dovuto dare retta a chi conosce quelle come te, a chi ha capito sin dal primo istante cosa sei! E risparmiati l’improvvisazione, quel maledetto anello l’hai venduto tu, per avere i soldi per scappare!
- Non è vero! – urlò lei con quanto fiato aveva in gola. Il cuore le batteva con tanta forza che pareva sfondarle il petto, e la presa d’acciaio attorno ai polsi le faceva male; ma era nulla rispetto alle pugnalate che le parole le stavano inferendo – Ho davvero perso l’anello, e avrei davvero voluto parlartene l’ultima volta che abbiamo dormito insieme, ma poi… – la voce le si spezzò appena, rievocando un istante lontano più di una vita – Non l’ho venduto, te lo giuro. Non avrei mai potuto, io ti amo! E ho pensato che forse avevi ragione a sospettare, che forse Regina…
- Non osare! – contrasse la mascella udendo quel nome – Pur di salvarti la pelle non esiti a coinvolgere una bambina… Sei disgustosa, e io finora ti ho dato retta, io ho sospettato di lei per te! – la sentì tremare sotto la sue mani, ma non allentò la presa. Perché era stato così cieco? Avrebbe dovuto immaginare che sarebbe successo, intuire il suo inganno – Sapevo che era un trucco. Sapevo che non te ne importava niente di me, niente. Per chi lavori? Quanto ti hanno offerto per questo lavoro? Oppure l’idea è stata tua? – diede voce al sospetto che aveva iniziato a divorarlo – Volevi trasformarti in un’eroina, volevi vendicarti per quanto combinato da tuo padre abbattendo la bestia?
- Io non ho mai…
- Sta’ zitta!
- Ma io ti amo, sono sempre…
- Ti ho detto di stare zitta!– la scosse come una bambola, incontrando una resistenza che non fu difficile vincere.
- Perché non mi credi? – pianse lei, un ultimo sussulto prima di udire le parole che lui non seppe trattenersi dall’urlare.
- Perché nessuno – nessuno mai! – potrebbe amare me!
Perché quel silenzio, all’improvviso?
Perché quell’espressione tanto ferita? L’aveva tradito, aveva messo in ginocchio la Bestia; aveva ottenuto tutto, o quasi.
Ma lei gli piantava addosso quegli occhi azzurri e lucidi, come incapace di parlare, come colpita e affondata definitivamente.
Tremava, ma non distoglieva lo sguardo.
Quello sguardo che lui non poteva più sopportare.
La spinse sul letto, incurante di farle male, desideroso solo di scappare; e fu questo ciò che fece, lasciandola sola e andandosene prima che il suo cuore s’imponesse.
 
 
 
Bury all the memories,
cover them with dirt,
where’s the love we once had?
Our destiny’s unsure,
why can’t you see what we had,
let the fire burn the ice?
Where’s the love we once had,
is it all a lie?
 
 
 
Non c’erano parole. Non c’era una spiegazione, razionale o meno, che potesse alleviare la tempesta che aveva colpito il suo animo. Non esisteva consolazione, non esisteva conforto – ogni traccia, ogni residua speranza era svanita, dissolta nell’epifania di un istante. Aveva guardato da vicino la pietra, pregando di star sbagliando, aveva passato le dita sulle scanalature familiari della fascia, e il velo del sogno che fino ad allora l’aveva separato dalla realtà si era disperso come nebbia al primo sole.
Quante volte, nella vita, si era giurato di non cadere più vittima dei tranelli della speranza? Di far propria la prima, fondamentale lezione di Cora, vivere senza curarsi del prossimo, salvaguardare se stessi in primis, anche a costo di chiudere il cuore in un ripostiglio?2 E quante volte ci era riuscito senza rimpianti, nascondendo la propria anima dietro un muro distaccato di cerimonioso riserbo? Erano stati vent’anni perfetti, vent’anni di ricchezza e quiete rase al suolo da lei.
Lei, lei che con un gesto aveva rovinato tutto, lei che aveva rivelato la sua indole di demone truccato da fata, sorrisi di diamante e occhi che nascondevano coltelli. Era stata brava, di una bravura incommensurabile: sin dall’inizio era stata in grado di attirarlo a sé, facendogli percorrere una strada forse già battuta fino a catturarlo e soggiogarlo, privandolo di ogni possibilità di fuga.
Era stata più brava di Cora: meno teatrale, più astuta, più dimessa.
Belle French era stata abilissima nell’interpretare i suoi silenzi, nel leggere il suo bisogno d’amore e suffragare le sue estreme illusioni.
Era stata bravissima nel regalargli una bugia.
E lui le aveva raccontato tutto! Ogni ferita, ogni dolore, ogni segreto; le aveva svelato il passato e consegnato il futuro, consegnato se stesso: parlare con lei era stato semplice e immediato come parlare a se stessi. Non si era accorto di aver rivelato tanto fino al momento in cui aveva dovuto affrontare l’incomprensibile.
Entro quanti giorni sarebbe stato alla mercé di tutti? O forse lo era già, e già s’apprestava a divenire lo zimbello dei circoli londinesi, l’industriale spietato in pubblico e più docile di un agnellino in privato…
Cora non l’avrebbe mai fatto.
Cora non aveva mai fatto mistero dei suoi fini, dei reciproci vantaggi che la loro alleanza avrebbe apportato; e anche quando lui aveva convinto di essersene innamorato, lei gli aveva riaperto gli occhi, sottolineando l’inopportunità di simili passioncelle per gente della loro risma. Cora aveva intuito subito i fini di Belle perché in quegli occhi turchini – quegli occhi cui si era affidato, che aveva guardato innamorato ignaro di ciò che giaceva sotto la superficie, pronunciando quel “Da oggi e per l’eternità io sarò tuo” che non sapeva rinnegare – aveva riconosciuto la scintilla appena dissimulata di cupidigia che da sempre, evidentemente, animava le sue mosse. Aveva cercato di metterlo in guardia, sì, lo aveva fatto sin da subito, ma lui era già lontano: troppo cieco, troppo sordo, troppo perso nelle sue fantasticherie per prestarle ascolto.
Era rinsavito nel modo più brutale potesse esserci, e la verità gli aveva attraversato il cuore come un fulmine, folgorandoglielo, lasciando dietro sé tessuti anneriti e un vuoto capace di togliergli il fiato.
Belle continuava a non ammettere la sua natura, a portare avanti il piano nell’intento di farlo capitolare e vincerlo; ma non sarebbe successo.
Non sarebbe successo mai più.
Come era riuscita a fingere per tanto tempo, a indovinare i momenti in cui più aveva avuto bisogno del suo sorriso e donarglielo – offrirglielo, come aveva finto di offrirgli il cuore?
Eppure ti ha dato quel che aveva di più prezioso.
O forse anche quello è stato un inganno.
Anche Belle aveva tante sfaccettature, tanti modi diversi di essere se stessa? E se sì, quali gli aveva mostrato, i migliori o i peggiori? I più falsi o i più sinceri? Chi era la donna con cui aveva passato mesi a battibeccare, con cui aveva condiviso avventure e risate, sul cui petto aveva pianto e con cui aveva fatto – non sesso, sai che per te non è stato solo sesso, lo sai – qualcosa che non sapeva più definire?
Inghiottì un fiotto di rancore amaro rievocando con lucidità infallibile gli eventi così vicini e così inafferrabili alla ricerca di una prova, di gesti cui appellarsi per rimproverare la propria stoltezza e al tempo stesso giustificare la propria fiducia.
Ne trovò mille, o forse nessuno.
Si prese la testa tra le mani, incapace di ignorare il pulsare doloroso che gli martellava il cranio facendolo impazzire.
Sapevi che sarebbe finita.
Lo sapeva, vero, ma bruciava ugualmente, anche se era preparato.
Sapeva che l’avrebbe lasciato, prima o poi, che un giorno si sarebbe svegliato e non avrebbe più trovato le sue cose, che al culmine di una lite lei gli avrebbe urlato di essere stanca della tenebra di cui era malato, che se ne sarebbe andata per sempre, che…
No, non sapeva come.
Ma sapeva che non sarebbe dovuto succedere così.
Che non sarebbero dovute essere una manciata di secondi e una mano che gesticolava a decretare le sorti del suo cuore.
Non era l’essere stato tradito a ferirlo, ma l’essere stato tradito da lei, dal centro e vertice del suo universo; da colei attorno al quale ruotava la sua esistenza, colei alla quale si sentiva indegno di paragonarsi, angelica com’era, con la sua grazia di incanto e nostalgia che pareva rischiarare le brutture del mondo in cui un destino beffardo l’aveva fatta incarnare.
Non era l’esserne stato innamorato a umiliarlo, ma l’esserlo ancora.
La scoperta fatta avrebbe dovuto strappargli dal petto ogni traccia di sentimento nei suoi confronti, strappargli il cuore, se necessario; ma quegli istanti nulla avevano potuto contro la realtà intangibile e potente che sentiva così fiera e autentica in sé, come mai toccata dalla vita.
Mi hai mai amato, Belle?
C’è mai stata verità nelle tue parole, nei tuoi baci?
O è stato tutto un’altra, immensa recita?
Lei gli aveva mentito, ma lui no: aveva amato – amava – quella bugia che gli aveva insegnato ad amare e l’aveva illuso di poter farsi amare.
Dimmi, Belle: è stato divertente giocare?
Forse meritava anche questo. Sì, lo meritava. Da quando era morto Neal – Neal, le aveva detto persino di Neal, del suo tesoro più prezioso! – era poche le cose che meritava, che sapeva di meritare.
Dolore.
Inganno.
Oscurità.
Belle gliele aveva offerte fingendo di trasfigurarle in amore.
Meritavo anche questo, Belle?
Non l’aveva lasciata parlare. Cos’avrebbe dovuto dirgli? Aveva già provato a spiegargli di aver perso l’anello, di avergliene voluto parlare… Era una bugia. E per lei aveva anche sospettato di Regina, aveva odiato Cora, considerato trucchi da donna tradita quelli che erano stati gesti da amica sincera!
Lei, lei aveva venduto l’anello per andarsene, quando sapeva – lo sapeva, era così, lo sapeva! – che sarebbe bastata una sola parola, un solo gesto per ottenere la libertà. L’aveva lasciata andare, ed era stata lei a tornare da lui quella notte gelida, rischiando tutto nelle ombre – o forse protetta proprio dalle ombre –; ma lui l’avrebbe rifatto, una, due, cento volte se fosse stato necessario.
L’amava a tal punto da mettere la sua felicità al di sopra di ogni altra cosa, l’avrebbe sposata, l’avrebbe voluta signora e padrona di tutto, avrebbe anche rinunciato a lei, ma lei, lei aveva rovinato tutto!
Quello che stava succedendo era solo colpa sua colpa era solo sua, doveva odiarla, doveva solo odiarla!
Si avventò sulla scrivania, scagliando per terra tutto ciò che era sul suo cammino. Gettò via i libri, strappò dalle credenze le suppellettili pregiate, le maschere di Ceylon che in un primo momento lei aveva temuto senza ammetterlo, scaraventando lontano tutto, perché tutto aveva conosciuto la potenza antica di quello sguardo traditore, e tutto andava distrutto.
Purificato.
Fatto tornare al tempo lontano in cui lei non c’era.
Si accaniva contro le cose per sfogare il dolore, senza sapere di essere stato lui stesso a scegliere di infliggerselo; si beava del tintinnio delle porcellane che s’infrangevano al suolo e dei cristalli che sprigionavano arcobaleni tristi ai suoi piedi, della devastazione che si apriva dinnanzi a sé perché solo quel caos poteva occultare lo stato della sua anima, solo quei cocci visibili potevano distrarlo dai frammenti in cui lui si era rotto restando integro.
Una tazza, un’altra e poi un’altra ancora, una cacofonia in cui smarrirsi per non ritrovarsi, per non pensare.
È questo il rumore che ha fatto il tuo cuore?
Si ritrovò tra le dita quella tazza, la prima cosa che lei aveva toccato in casa – la tazza che le era scivolata dalle mani dopo uno dei suoi stupidi scherzi, la tazza così simile e così diversa dalle sue gemelle, con quella sbeccatura piccola e profonda che la segnava in eterno e la rendeva unica –
- Mi… Mi dispiace, mi dispiace tanto, ma… S-si è sbeccata… Si vede appena…”
“- È solo una tazza.”
Doveva gettarla, infrangerla con ancora più violenza di quanta ne avesse riservata fino ad allora al resto della stanza. Doveva distruggere quella traccia, rendere polvere tutto ciò che era entrato in contato con lei, purificarsi.
Strinse le dita attorno all’oggettino lucido.
Fallo.
Un gesto così semplice, eppure tanto difficile da compiere.
Fallo.
No, non riusciva a farlo. Non riusciva a gettare via quel pezzo di lei, quel pezzo di sé – quel pezzo di loro.
La posò sul tavolo e si allontanò, quasi incapace di sostenerne la vista, il significato, il perché della guerra attorno e dentro sé.
Per la prima volta in vita sua era innamorato, ed era stata tutta una bugia.
 
 
 
And I still wonder
why our heaven has died,
the skies are all falling,
I’m breathing, but why?
In silence I hold on
to you and I.
 
 
 
Maman era felice. Era tornata da casa dello zio col sorriso sulle labbra – un sorriso vero, non il ghigno cui era abituata e che pure negli ultimi tempi era diventato così raro. A Regina piacevano quei sorrisi, sebbene ne ricordasse talmente pochi – e quasi nessuno dedicato a lei; ma la sera precedente gliene aveva regalati così tanti che la bambina si era chiesta se Maman stesse bene, o se fosse davvero lei e non invece una sconosciuta che le somigliava come una goccia d’acqua.
La Contessa era andata a trovarla nella nursery e l’aveva stretta a sé con una forza inimmaginabile; Regina quasi non conosceva il significato della parola, ma la sensazione delle braccia di sua madre attorno al suo corpo, il calore che un gesto tanto semplice aveva saputo trasmetterle le avevano quasi fatto venire le lacrime agli occhi. Le aveva ricacciate indietro, perché non voleva deluderla proprio allora mostrandole quelle debolezze che tanto deprecava; ma quando la nobildonna le aveva posato un bacio sulla fronte, trattenersi ancora si era rivelato impossibile.
- Ce l’abbiamo fatta,– aveva mormorato – Abbiamo vinto.
Regina avrebbe preferito che sua madre non avesse parlato. Che se ne fosse andata via subito, senza aprir bocca, senza sbatterle in faccia la realtà di cui era complice.
Perché non c’era stato bisogno di precisazioni per capire a cosa – a chi – si stesse riferendo.
E così, tutto rientrava nella normalità. Colui che Belle aveva sottratto loro era tornato – anche se una parte di Regina dubitava se ne fosse mai allontanato. Lo zio poteva anche essersi innamorato di quella ragazza, ma non per questo le voleva meno bene: la settimana a Kensington fugava ogni sospetto a riguardo, e anzi – nonostante la missione che l’aveva perseguitata – si era rivelata un’oasi di pace nella tempesta che la sua vita era ormai diventata.
Anche se poi ogni vestigia di serenità era svanita.
Anche se poi non era stata in grado di ribellarsi, pur sapendo di sbagliare.
Quando si era trovata dinanzi all’ennesimo fallimento e aveva dovuto consegnare l’anello, Regina aveva preso una decisione.
Avrebbe dimenticato.
Avrebbe finto che non fosse successo niente, avrebbe lasciato sommergere dal presente quanto successo da settembre in poi e riscritto gli ultimi mesi rimuovendo ogni traccia della presenza di Belle French. Quel nome sarebbe diventato sempre più vago, fino a diventare l’immagine sfocata di una cameriera dal sorriso gentile che per qualche tempo aveva servito a Kensington: non un’amica, non un sostegno, non la ragazza che la faceva divertire coi suoi racconti e la sua goffaggine  e che lei aveva tradito.
Lei non aveva tradito nessuno.
Ognuno ha il proprio modo per salvarsi; e Regina Mills era convinta che l’oblio potesse mondare le colpe di gesti non voluti, cancellare i suoi peccati. Perché, se aveva ferito qualcuno, non era stata per sua volontà: lei non avrebbe voluto soffrire e non avrebbe voluto far soffrire,– se era successo, era stato solo perché cercava il modo di essere degna di qualcosa. Di comprensione, di cura, di sostegno – di amore.
Ma comunque non era successo.
Lei non aveva tradito nessuno.
Non c’era stata alcuna biblioteca in cui sorprendere una cameriera a leggere, non c’erano state soffitte in cui giocare, non c’erano stati balli capaci di distruggere un mondo.
Non c’era stato nulla.
Regina Mills era convinta di essere riuscita nel suo intento.
Anche se la notte faticava a prendere sonno, anche se l’appetito che Maman le rimproverava sembrava svanito.
Era convinta di esserci riuscita fino a quando parole di vittoria l’aveva nuovamente abbattuta.
Non aveva dormito, quella sera. Si era girata e rigirata tra le coperte fino a scostarle rabbiosa, perché il loro tepore ricordava l’abbraccio di Maman: altrettanto caldo, altrettanto accogliente, altrettanto infido. Aveva vagato per la camera misurandone a grandi passi la lunghezza, mille pensieri in testa, mille “se” e mille “forse” che non poteva riportare a unità.
Se l’avesse fatto, avrebbe dovuto affrontare la realtà – quella realtà da cui faceva di tutto per sfuggire, quella realtà che l’avrebbe perseguitata ancora e ancora. Avrebbe voluto godere del sonno e del suo dono, l’oblio e la finzione perfetta che – ne era certa – appariva all’esterno, che sua madre faceva apparire all’esterno: una facciata perfetta e infrangibile, cristallo tanto spesso da non lasciare nemmeno indovinare il marcio nascosto da sete e sorrisi.
Quel marcio che neanche lei poteva più fingere di ignorare.
Quel marcio esiste, e ha toccato anche me.
L’aveva toccata, e forse gli era piaciuta, tanto da decidere di insediarsi nel suo animo e non lasciarla più, a costo di condurla a conseguenze estreme. L’anello non poteva che essere la prima di una lunga serie di azioni; e anche se Maman era stata a lungo immersa in quell’oscurità, forse non era troppo tardi neanche per lei: forse non tutto era perduto, forse si poteva ancora fare qualcosa per salvare entrambe.
Si trattava di provare, di prendere in mano le redini della propria vita per una – una sola! – volta; di non lasciare che fossero i terzi a decidere, ma di decidere in prima persona, ribellandosi alle correnti che la sballottavano ovunque da ormai troppo tempo.
Solo io posso decidere.
Solo io posso essere coraggiosa.
Sapeva che se ne sarebbe pentita. Recandosi nelle stalle, una voce in lei continuò ad ammonirla: la notte non sempre portava consiglio, e nel suo caso non l’aveva portato di sicuro, anzi; avrebbe fatto meglio a tornare in camera e attendere pazientemente l’inizio delle lezioni, smettendola d’impicciarsi nelle faccende dei grandi, anziché infilarsi un cappottino troppo leggero per la stagione e sgattaiolare alla ricerca di colui che sarebbe potuto essere alleato di un salvataggio o complice di un delitto.
Daniel era solo nelle scuderie. Maman aveva fatto trasferire a Belgravia lui, suo padre e Ronzinante – si era limitata a dire che forse per quell’inverno non sarebbero tornate in campagna e che tanto valeva continuare a casa le lezioni, ma a Regina era stato immediatamente chiaro che quella era la ricompensa per aver portato a termine il compito affidatole.
Era felice di riavere il suo cavallo e l’amico, sì. A essere sincera, negli ultimi giorni non le erano mancati più di tanto: aveva avuto altro cui pensare per potersi dedicare al ricordo dei pochi momenti condivisi; pochi momenti che, però, erano stati sufficienti a farle capire di potersi fidare del coetaneo.
Aveva solo lui, e avrebbe dovuto almeno tentare: era la coscienza a imporglielo.
Perché lei aveva tradito.
Daniel era impegnato a strigliare un cavallo, ma appena la vide ripose le spazzole.
- Guarda un po’ chi si rivede! – la salutò levando un sopracciglio – Pensavo che ti eri già stancata di Ronzinante.
- Sono stata impegnata e non ho avuto tempo per l’equitazione, –il che è vero, si consolò – Ricomincio presto. Però adesso mi serve il tuo aiuto, è successa una cosa e…
- E tu ti sei ricordata di me perché hai bisogno. Tipico di voi nobili… Per il resto mica esistiamo, – il ragazzino dovette notare l’espressione confusa dell’interlocutrice, perché sospirò prima di riprendere a parlare – Lascia perdere, non puoi capire.
- Cosa non posso capire? – si ritrovò a sbottare secca. Ignorava la ragione dell’ira che l’aveva improvvisamente assalita, ma quelle frasi l’avevano colpita nel profondo. Non si sarebbe mai abituata all’idea di essere considerata una nullità, una creatura incapace di comprendere ciò che la circondava; e il fatto che l’offesa provenisse da una persona che reputava amica non faceva che peggiorare la situazione. Sperava che almeno Daniel potesse unirsi allo sparutissimo gruppo di persone che non l’avevano mai giudicata in simile modo – sparutissimo gruppo in cui figuravano proprio coloro ai quali aveva voltato le spalle –, ma la realtà smentiva anche l’estrema illusione.
Era sola.
Ancora una volta, non aveva alleati; e chi avrebbe dovuto, o almeno potuto, aiutarla la stava lasciando in balia di un destino più grande di lei, un destino cui non sarebbe potuta sfuggire contando esclusivamente sulle proprie forze.
La giusta ricompensa per ciò che hai fatto.
Chi tradisce non può che essere tradito a sua volta.
Le veniva da piangere, ma non l’avrebbe fatto. Se fosse caduta, l’avrebbe fatto da autentica discendente di Conti che avevano fatto la storia dell’Impero; sarebbe caduta come Regina Mills e non come una bambinetta qualsiasi.
Nessuno, nessuno l’avrebbe vista spezzarsi; di sicuro non un bifolco come Locke.
- Se è così, io non ho bisogno di te. Io non ho bisogno di nessuno! – urlò all’attonito Daniel prima di fuggire dalla scuderia e dirigersi verso il cancello di servizio. Si ritrovò ben presto in strada, a guardarsi attorno alla ricerca della via da percorrere per raggiungere Kensington.
Il suo vestito era troppo leggero per febbraio: se non si fosse coperta si sarebbe buscata una polmonite, ed era ben conscia dei pericoli che avrebbe potuto incontrare lungo il percorso, ma non per questo demorse. Sarebbe andata dallo zio, avrebbe confessato tutto e la situazione si sarebbe risolta. Non c’era possibilità di fallimento: avrebbe posto rimedio agli errori delle precedenti settimane e avrebbe sistemato ogni cosa, a qualunque costo.
Ce l’avrebbe fatta.
S’incamminò decisa, ferma sul suo obiettivo; ma aveva percorso solo pochi passi quando si sentì strattonare. Il cuore le balzò in gola e non seppe trattenere un urletto terrorizzato, nonostante il coraggio di cui fino ad allora si era fregiata: possibile che nella sua vita nulla andasse mai per il verso sperato?
- Ma come, – si sentì sbeffeggiare da una voce ben nota – Non hai bisogno di nessuno e poi ti lasci spaventare da me?
Regina guardò in cagnesco il sorriso sghembo disegnato sul volto di Daniel.
- Che ci fai tu qui? – sbuffò maledicendosi per la reazione appena avuta – Non ho tempo da perdere, devo andare da mio zio.
- E io ti accompagno, – concluse con semplicità il giovane stalliere – Oh, andiamo, lady Mills: dici che lascio andare in giro da sola la mia migliore amica?
 
 
 

Closer to insanity,
buries me alive,
where’s the live we once had?
It cannot be denied!
Why can’t you see what we had,
let the fire burn the ice?
Where’s the love we once had,
is it all a lie?

 
 
 
Aveva pianto. Aveva trascorso ore in lacrime, non un pensiero a consolarla: non l’idea che non l’avrebbe lasciata chiusa lì,che la notte gli avrebbe schiarito le idee e fatto tornare sui suoi passi, che l’indomani sarebbe tornato e che stavolta non si sarebbe fatta zittire, gli avrebbe parlato fino a farsi sentire; nulla.
In quella stanza teatro di tanti momenti felici ora c’era posto solo per un vuoto, lo stesso vuoto che in cui era sprofondata, figlio dello stesso dolore che le si era annidato in seno togliendole il respiro.
Un dolore che solo una persona avrebbe saputo redimere, la stessa persona che glielo stava infliggendo.
Robert non voleva ascoltarla.
Non voleva conoscere la sua versione dei fatti, non voleva scoprire il suo punto di vista e far luce sul sospetto che poche, semplici indagini avrebbero potuto confermare.
Robert non le credeva.
Il semplice soffermarsi su questa frase era un colpo allo stomaco, un dardo che le trapassava il cuore mentre il mondo si faceva buio. No, non poteva essere: qualunque cosa avesse detto Cora – perché era lei la responsabile, su questo ormai non c’erano dubbi –, come aveva fatto Robert a scordare la forza del loro amore, le battaglie che aveva vinto per imporsi, il sogno che si stava realizzando, la notte in cui gli aveva donato se stessa? Quale bugia aveva soppiantato tutto ciò questo?
Quando provava a calmarsi e a chiudere gli occhi, la violenza degli ultimi istanti bussava imperiosa alle porte della sua mente, abbattendo ogni resistenza, facendola soffrire anche nel sonno.
Perché nessuno – nessuno mai! – potrebbe amare me!
Ma io ti amo. Perché non riesci ancora a credermi?
Quella frase era stata la peggiore. L’aveva colpita più delle offese, dei gesti e dei sottintesi; la sua brevità furiosa, la sua chiarezza di fuoco e ghiaccio avevano rivelato il potere atroce di colpirla nel profondo, negando e riducendo a nulla la magia di quei mesi vissuti nel calore reciproco.
Riducendo a nulla lei stessa.
Possibile che si fosse illusa tanto? Che non avesse mai davvero infranto il cristallo che separava Gold dal mondo, dai sentimenti, dalla vita?
Erano parole in cui neanche lui stesso credeva, grumi di rancore riversati nell’ira, che provavano a rinnegare la realtà recente senza riuscirvi.
Lui l’amava, lo sapevano entrambi: l’amava a tal punto da esserne terrorizzato, ma perché non poteva permettersi di accettarlo, come pareva aver ormai fatto?
Perché, Robert?, si era domandata mille volte durante quella notte infinita, in cui i minuti s’incagliavano tra loro e il cielo era parso rispecchiare la sua anima stanca.
Perché ci stai facendo questo?
Non si era mai resa conto della profondità delle sue ferite, della sua anima tanto danneggiata da impedirgli persino di credere di poter essere amato. Non c’è cosa peggiore di non riuscire a consolare, ad aiutare chi si ama, di vederlo annegare nelle paure e non poter allungare una mano per salvarlo; e questo Belle lo stava vivendo sulla propria pelle istante dopo istante. Peggio: non era stata in grado di accorgersene,e questo era ciò che mai si sarebbe perdonata. Perché se solo una volta ne avesse avuto sentore, se avesse intuito i dubbi di Robert, allora avrebbe osato ogni cosa per smentirlo, avrebbe mosso mari e monti per dimostrargli la sincerità delle proprie intenzioni.
Ma Robert non aveva parlato.
Robert non parlava mai della voragine che aveva dentro e che ancora una volta l’aveva inghiottito.
Ma come poteva anche solo pensare di dar retta a Cora, proprio lui che era stato il primo a metterla in guardia da lei e dalla figlia e a sospettare della bambina? L’aveva guardata di sottecchi quando l’aveva scoperta troppo in confidenza con Regina, e ora l’accusava di voler scaricare sulla bambina le sue inesistenti colpe. Per quale motivo, poi, scappare quando stava coronando il suo sogno? Se davvero avesse venduto l’anello, se ne sarebbe andata subito, non avrebbe certo perso tempo ad aspettarlo rischiando così di essere scoperta!
Troppe domande, troppi perché la cui risposta solo l’uomo avrebbe potuto fornirle.
Avrebbe dovuto fornirle.
Sette rintocchi di una pendola lontana si erano persi da poco nell’aria silenziosa, quando Robert Gold fece nuovamente ingresso nella cameretta, trovando Belle French seduta immobile sul letto
Nonostante la luce ancora scarsa, il pallore spettrale dell’uomo era evidente: non incontrava lo sguardo della giovane, ma le palpebre arrossate e le profonde ombre sotto gli occhi parlavano per lui, suggerendo una notte altrettanto tormentata.
Aveva versato le lacrime di chi avrebbe rimpianto ciò che stava eliminando dalla sua vita.
- Allora? – Belle non si trattenne dal chiedere, deglutendo per scacciare quel groppo amaro in gola – Quale destino devo aspettarmi?
L’uomo allungò un braccio verso la porta socchiusa – un gesto tanto lento quanto inesorabile nella sua crudezza, un gesto compiuto pronunciando piano un’unica, spaventosa parola.
- Vattene.
Il comando le arrivò in ritardo, come attutito dal rombo del sangue nelle orecchie. Non lo comprese subito: le parve piuttosto un’accozzaglia di lettere senza significato, che l’aveva raggiunta e ferita – perché il cuore capisce, capisce sempre prima della testa –, ma che non aveva senso.
Ma nulla ha più senso, Belle, svegliati.
- Vattene? – ripeté confusa, incapace di far altro.
- Non ti voglio più in casa mia.
Lo vide sfilare un fascio di banconote dalla tasca, porgerglielo attendendo un suo gesto, lasciarla cadere accanto a lei sul letto.
Non proferì alcuna parola facendolo; non proferì alcuna parola uccidendola dentro.
Sullo stesso letto su cui ti ho dato me stessa, sullo stesso letto su cui hai giurato di amarmi.
Su questo letto, ora,hai fatto finire ogni cosa.
Afferrò i soldi prima di alzarsi di scatto e tirarglieli contro.
Lui non si scostò.
- È questo ciò che pensi?– un ringhio ferino, una furia che non sapeva di possedere.
Non ci fu risposta.
Si lisciò il vestito, quasi a tenere le mani occupate per non tirare un pugno a quell’uomo che aveva rifiutato qualsiasi tentativo di essere aiutato, quell’uomo che lei tanto amava e che la stava trattando come mai avrebbe immaginato, e fece per uscire dalla stanza senza voltarsi.
Aveva quasi raggiunto la porta quando sentì il veleno risalirle in gola: un’onda di fiamma che le incendiava il cuore e il petto, le pervadeva la bocca e le impediva di pensare ad altro che non fosse quell’urlo che voleva lanciare, quello sfogo che l’ultima di una lunga serie di azioni aveva causato e
che non poteva più essere ricacciato indietro.
Tornò indietro, respirando a fatica tra i denti.
- Sai, – sbottò – Eri ormai vicino alla libertà. Avresti potuto essere davvero felice, se solo avessi pensato che una persona può amarvi. Non hai fatto neanche un tentativo.
- Questo non è vero – mormorò lui impassibile, immobile e distante come una statua di cera.
No, Robert. Io sto dicendo la verità, e lo sai.
Belle si avvicinò ancora. Un altro passo e avrebbe potuto  toccarlo, se avesse voluto.
- Tu sei un codardo, Robert Gold, ricorda le mie parole. Puoi anche proteggerti con un’armatura, ma non farà alcuna differenza.
Fu solo allora che l’uomo chinò lo sguardo fino a incontrare i suoi occhi, in una morsa cui la giovane non si sottrasse.
- Non sono un codardo. La verità è molto semplice: il mio potere, la mia ricchezza… Quel che ho mi interessa molto più di te, Dearie.
Fu Dearie, il suo reale significato,a ferirla. Perché lui l’aveva sempre usata per canzonare, per sottolineare il suo disprezzo, la sua superiorità, per rimarcare ancora una volta il potere – fisico, materiale, morale – che aveva sul prossimo. Perché quella parola a lei dava fastidio, aveva sempre dato fastidio – la faceva sentire un oggetto, una nullità, proprio ciò che lui desiderava e che lei non poteva essere, con nessuno, e soprattutto non con lui, che l’aveva fatta sentire così viva, così vera.
Perché Robert aveva smesso di usarla nei suoi confronti da tanto, tantissimo tempo, da prima di quel bacio a Natale.
Perché ancora più di ogni altra cosa, quella parola, ora, indicava la fine.
- Mi hai chiesta in sposa. Hai persino voluto anticipare il matrimonio, – fu tutto ciò che riuscì a mormorare, forse sbagliando, forse umiliandosi, ma riuscendo solo a dire questo – Hai promesso di amarmi.
- Pensavi fosse vero? – la maschera di compostezza non svanì mentre metteva a tacere due cuori per non rischiare più – Ho sempre dubitato di te, e te ne avrei parlato anche se non ne avessi avuto conferma. Ho solo aperto gli occhi prima, ma comunque non ti avrei sposata. Tu non ne vali la pena. Tutto tra noi è stato una bugia.
È strano come la mente si concentri sulle piccole cose, anche mentre il mondo attorno crolla. Forse è un modo per mantenersi indenne, per non finire vittima della follia che appropriarsi della realtà.
Guardare il modo in cui due  labbra sottili spariscono in una linea invisibile, fissare uno sguardo che sa  contenere il mondo mentre studia un punto indefinito, inespressivo e gelido come mai prima.
Belle, in quel momento, ebbe la conferma suprema delle menzogne che Robert le stava dicendo.
Non hai la forza di guardarmi negli occhi mentre mi spezzi il cuore.
- No. Ti illudi, – il fiume di parole che premeva contro gli argini del suo autocontrollo ebbe la meglio: lo lasciò vincere, fluire libero fino ad avvincere colui che aveva di fronte – La verità è che non credi che io possa amarti. Hai preso la tua decisione, e lo credi o no, la rimpiangerai… Per sempre – non devi piangere. Non devi piangere, si ripeté un’altra volta, sentendo la voce rompersi sempre di più – T-ti resteranno soltanto un cuore vuoto e una tazza sbeccata.
Uscì dalla stanza senza guardarsi indietro, fragile e altera col cuore a pezzi.
Fermami. Ti prego, fermami.
Non sarebbe tornata indietro, ma non poté impedire al pensiero di prendere il sopravvento.
Fermami. Ti prego, ti scongiuro, fermami.
Lui non la fermò.
 
 
 
You ran away, you hide away
to the other side of the universe,
where you’re safe
from all that hunts you down.”
 
 
 
- Ci siamo mica persi, eh? – domandò Daniel grattandosi la nuca. Fino ad allora non aveva espresso ad alta voce i dubbi, affidandosi al senso d’orientamento di Regina; ma erano in cammino da mezza mattinata e la sua compagna di avventura pareva quanto mai confusa.
La bimba gli aveva spiegato a grandi linee il suo piano: voleva recarsi a casa di un fantomatico zio che viveva a Kensington – un quartiere che non aveva mai sentito nominare, ma che doveva essere un posto da ricconi se ci vivevano i parenti dei Mills – per confessare a lui e alla sua domestica di aver sbagliato tutto.
Tutto cosa, non era dato sapere.
Si era fidato di quella ragazzina stramba che pure gli suscitava tanta simpatia, senza far cenno ai punti deboli dell’idea; ma dinanzi alla sua espressione corrucciata non poté trattenersi dal chiedere in quale guaio si fossero cacciati. Regina sarebbe stata senza dubbio perdonata, ma lui e suo padre no, e non potevano permettersi di perdere il lavoro…
- Stiamo andando bene, – l’esitazione nella voce della Contessina era palpabile, nonostante le parole decise – Arriveremo a breve.
- Sarà. A me mi sembra che ci siamo persi.
Non ci fu alcun commento. Regina si era resa conto di aver svoltato prima del dovuto, ma ormai doveva aver recuperato… Girò a destra e poi a sinistra, come ricordava, e la fortuna fu dalla sua: la grande dimora di Gold comparve all’orizzonte.
- Eccoci! – esultò attirando l’ennesimo sguardo di riprovazione dei passanti, già esterrefatti nel vedere due ragazzini di estrazione sociale palesemente diversa scorrazzare in libertà per un quartiere tanto signorile. A Maman sarebbe venuto un colpo vedendola urlare come una monella di strada, ma in quel momento i moniti così spesso uditi risuonarono lontanissimi nella sua mente, tutta volta a sistemare il pasticcio combinato.
Avrebbe accettato i rimproveri dello zio e di Belle sapendo di meritarli; sua madre avrebbe scoperto tutto e l’avrebbe disconosciuta, facendola finire in mezzo a una strada, ma almeno sarebbe morta di fame e di freddo dopo aver riscattato il suo peccato, almeno se ne sarebbe andata in pace.
- Ti avevo detto di fidarti di me! – rise bussando alla porta di servizio, nella speranza che fosse proprio una cameriera dagli occhi chiari ad aprire. Ma quando l’uscio si spalancò, a salutarla fu lo sguardo di una Mary Margaret stranamente speranzosa e basita a un tempo.
- Contessina? – domandò sbattendo le palpebre, quasi non credesse ai propri occhi – Cosa ci fate qui? Siete… – cercò eventuali accompagnatori, soffermandosi sul ragazzetto dalla zazzera scompigliata che l’affiancava – … Siete sola?
- Cerco lo zio, – Regina entrò svelta in casa, senza attendere di essere accolta – Devo parlargli subito.
- Tesoro, – la governante le parlò dolcemente, ponendole le mani in spalla, ma occhieggiando ancora verso Daniel – Vostra madre sa che siete qui?
- Siamo usciti di nascosto, ma torniamo subito, devo solo…
- Oh, Contessina, – la donna la interruppe affranta – È un miracolo che siate giunta qui sana e salva. Lady Mills starà impazzendo dall’ansia… Vi accompagno dalle altre e corro da Mr. Gold. Avviserà vostra madre immediatamente.
- No! Devo parlare con mio zio di persona, Mary, è urgente!
- Vostro zio oggi è ancora più impegnato del solito, non bisogna disturbarlo…
- Allora con Belle! Devo parlare con Belle, Mary, ti scongiuro!
- Belle… – la governante tacque per un istante prima di lasciarsi sfuggire un sospiro che somigliava a un singhiozzo – Tesoro, Belle non lavora più qui. Se n’è andata… Se n’è andata poco fa.
No.
Non poteva essere. Tutti gli sforzi, tutti i tentativi fatti fino ad allora, la lotta interiore che aveva combattuto con e contro se stessa erano stati vani? Era arrivata troppo tardi?
No, Regina Mills non poteva arrendersi così, non poteva essere stata sconfitta per una manciata di minuti.
Non ebbe dubbi sul da farsi: si lasciò alle spalle gli sconvolti Daniel e Mary e corse per i corridoi fino a raggiungere lo studio dello zio e aprirne con violenza la porta.
Lo spettacolo che le si parò davanti le fece morire ogni parola in gola.
Aveva letto di cicloni che, con furia inimmaginabile, alle volte colpivano un Paese oltre l’Oceano – l’America – radendo al suolo ogni cosa incontrassero sul loro cammino. La furia degli elementi si riversava impietoso cambiando il volto del mondo per come era conosciuto fino ad allora; e forse quell’Apocalisse di grandine e vento si era riversata sulla stanza, cancellando l’ordine che vi aveva imperato per anni e anni.
E la tempesta aveva colpito anche lo zio. L’aveva colpito e distrutto, completamente: guardava fisso davanti a sé, ma non sembrava rendersi conto di ciò che lo circondava, perso in un mondo che appariva irraggiungibile a chiunque, eccetto lui; non pareva nemmeno essersi reso conto della ragazzina irrotta nella stanza: le aveva dedicato un’occhiata vaga, così diversa da quella penetrante che lo caratterizzava, senza porre domande sul volto arrossato e sui capelli fuggiti dai nastri e dalle forcine.
Ma, nonostante tutto Regina non poteva permettersi di perdere ulteriore tempo: Belle se n’era andata, ma forse c’era un ultimo modo per fermarla, forse lo zio ne sapeva di più e avrebbe potuto riportarla a casa, sì, le avrebbe ordinato di tornare e lei non avrebbe potuto disubbidire…
- Zio, zio, Belle…
L’uomo alzò il capo udendo il nome.
- Non nominarla, – bofonchiò – Non nominarla mai più.
La bambina continuò incurante del monito ricevuto.
- … Mary mi ha detto che non è più qui, e io…
- Non è giornata, Regina, oggi non sono in vena…
- …Non so se è per altro, ma lei non c’entra…
- Smettila, Regina, smettila!
- …Perché l’anello l’ho preso io!
Ecco. L’aveva detto. Aveva pronunciato ad alta voce la frase incriminata, aveva osato farlo, rapida e spaventata, ma al tempo stesso certa di che fosse quella l’unica cosa da fare. Implorò il Cielo di essersi liberata dalla sua colpa lanciando le parole lontano da sé, scagliandole vie; e per un istante, s’illuse fosse successo.
Ma la voce sorda dello zio la fece ripiombare nella cupa realtà.
- Cosa stai dicendo? – lo sentì domandare.
- L’ho preso io prima di tornare a Belgravia. Io ero… Gelosa, sì, gelosa di Belle, e l’ho preso e l’ho dato a Maman. Non so altro, ma non ce la facevo più a mantenere il segreto, perciò sono venuta a dirvelo, ma Mary ha detto che Belle se n’è andata, e…
Lo zio la guardava sconvolto. La scrutava con un’espressione che mai aveva visto sul suo volto, quando parlava con lei: pareva disgustato, come se non avesse più dinanzi una ragazzina, ma un insetto mostruoso.
Un atroce sospetto si fece largo tra i pensieri confusi di Regina.
- Zio… Tu non hai cacciato Belle, vero? – soffiò appena, senza esser certa di volerlo sapere davvero.
Robert Gold non rispose. Si alzò lentamente – come se ogni passo gli costasse una fatica immane, come se le ultime parole udite gli avessero spezzato tutte le ossa e di lui fosse rimasto solo un guscio vuoto, un’immagine senza sostanza incapace di tener testa al suo interlocutore – e rivolse un’infinita occhiata a una tazzina scampata alla sua furia.
Belle French aveva ragione – aveva sempre avuto ragione – e lui l’aveva cacciata.
Ti resteranno soltanto un cuore vuoto e una tazza sbeccata.
 
 
 
“But the world has gone
where you belong,
and it feels too late

so you’ re moving on,
but you can find your way
back home?”
 
 
 
Faceva freddo, quel giorno. Il vento che soffiava non era impetuoso, non era tagliente, ma ciò non lo rendeva meno gelido; i molti che, per un motivo o l’altro, erano costretti a uscire camminavano accostati senza quasi rendersene conto, come se i corpi suggerissero la vicinanza per proteggersi da quelli sputi di neve che penetravano i cappotti più pesanti e contro cui un vestito di lana celeste nulla poteva
Non era il cielo plumbeo, non erano le gocce di pioggia che le picchiettavano il volto, Belle lo sapeva: la ragione del suo malessere era molto più profonda, molto più radicata in lei. Se anche fosse stata avvolta da mille scialli, se anche fosse stata sepolta sotto una coltre di morbide coperte, quei brividi non le avrebbero comunque dato tregua; perché il freddo che sentiva non era dovuto a quell’uggiosa giornata di metà febbraio, non era scatenato da qualcosa di tanto semplice come il clima, no: veniva da dentro, dal cuore, e nulla avrebbe saputo placarlo. L’unica persona che avrebbe potuto riscaldarla era la stessa che aveva scatenato ogni cosa.
Ogni cosa, ripeté. Possibile fosse quello l’epilogo della loro storia? Che una bugia avesse oscurato tutti i baci, le carezze, l’amore che si erano giurati, che avesse cancellato i mesi che le avevano fatto vivere un carosello di emozioni, che le avevano fatto toccare il cielo con un dito e per poi gettarla nell’Inferno più cupo con una manciata di parole?
Cosa avrebbe dovuto fare, ora? Andare avanti, girare pagina come quando era alle prese con un romanzo? Un’amante della lettura come lei sapeva bene che, una volta terminato un capitolo, ne iniziava un altro; quel che Belle non sapeva, però, era se si applicasse la medesima regola anche alla vita, anche all’amore.
No.
La risposta arrivò cupa e rabbiosa dal profondo del suo essere, un ringhio di ribellione e dolore.
Una differenza c’era, e non poteva ignorarla.
In un libro, c’è uno stacco tra un capitolo e l’altro: un momento per riflettere, per metabolizzare le pagine appena lette prima di reimmergervisi totalmente; nella vita no.
Nella vita gli istanti corrono senza concedere tregue e compromessi, senza permettere di riprendere fiato prima di ricominciare a correre; fermarsi non è contemplato: nella vita, o si vive o si è perduti
E poi – quella era la domanda fondamentale, Belle se ne era già resa conto – se anche ne avesse avuto possibilità, lei avrebbe rallentato?
Ancora una volta la risposta fu immediata.
Certe ferite non guariscono, non rimarginano nemmeno con cent’anni si silenzio e quiete; certe ferite restano. Continuano a suppurare per anni e anni, a far male, a fingere di chiudersi per poi riaprirsi al tocco, anche a quello più delicato, più leggero; e non può essere diversamente, perché certe ferite sono fatte per rimanere in eterno, monito vano di errori che, pure, si sarebbe pronti a compiere ancora.
E guarita la ferita, rimane la cicatrice.
Non lo pensava solo perché erano trascorse appena due ore da quando aveva lasciato casa, la sua famiglia e colui che l’aveva mandata in pezzi: lo pensava perché sapeva che era vero.
Lo pensava perché sapeva che sarebbe andata così, sapeva che avrebbe amato Robert Gold per il resto della sua vita. Non era solo il suo primo amore, quello da custodire con affetto e nostalgia nel labirinto intricato di ricordi; era il suo unico, vero amore.
Un amore vero perché non l’aveva lasciata illesa, l’aveva cambiata fino a renderla quasi sconosciuta a se stessa, ancora simile alla Belle di un tempo fuori, ma così diversa dentro; un amore unico perché di così forti non ne avrebbe più provati.
Mai più.
Un amore che l’avrebbe segnata per sempre.
- Salve, Belle.
Si fermò di scatto sentendosi apostrofare da una voce maschile che non le suonava estranea. Chi conosceva a Whitechapel? Nessuno, eccetto Tink e gli altri dell’orfanotrofio, e di sicuro non un uomo. Si voltò nella direzione da cui veniva la voce e gelò.
Greg Mendell era lì, a pochi passi di distanza da lei: poggiato a un muretto che dava su un vicolo, le braccia incrociate al petto e una sigaretta penzoloni dalle labbra, la fissava con aria beffarda e provocatoria.
Si passò svelta una mano sulle guance per asciugare la scia umida delle lacrime, e raddrizzò le spalle senza allontanare lo sguardo dall’ex collega.
- Greg, – mormorò cercando di far sembrare la propria voce quanto più serena possibile. Il caso aveva uno strano senso dell’umorismo: proprio quando non aveva voglia di incontrare nessuno, si trovava davanti una persona che nutriva rancore nei suoi confronti e la considerava causa del suo licenziamento – Come stai?
- Tiro avanti, –si staccò dal muro e mosse qualche passo verso di lei. La giovane arretrò d’istinto: l’espressione dell’uomo non le piaceva. Qualcosa le intimò di non perder tempo, di non stare ad ascoltarlo e di allontanarsi il più possibile da lui e da quella strada,subito – Non è stato facile ricominciare dopo quel che è successo, ma ora va meglio. Ho trovato un nuovo lavoro… Decisamente più interessante del precedente.
- Ne sono davvero contenta, – tagliò corto – Ora però devo andare.
- Tu, invece, non sembri in gran forma, – l’uomo ignorò le sue parole e le si avvicinò ancora di più – Cos’è successo, bambolina? Quel cattivone si è già stancato di te? – il tono irridente le fece venir voglia di prenderlo a calci – E ora che fai? Corri a frignare da mammina?
Fu allora che Belle li vide. Come comparsi dal nulla, due uomini alti e nerboruti stavano avanzando verso di lei; e nel cono d’ombra del vicolo una lucente carrozza scura portava scolpito sulla portiera il simbolo araldico dei conti Mills.
No.
- Toccato un nervo scoperto, mia cara?
Il cuore le batteva sempre più impetuoso, ma la mente era più lucida di quanto lo fosse mai stata.
Scappa.
Fece per correre via, ma Greg fu più rapido: con uno scatto inatteso, l’agguantò per una spalla e la costrinse a voltarsi.
- Che maleducata. Te ne vai proprio ora che sono arrivati i vecchi amici del tuo paparino?
Le due facce da tagliagole incalliti erano sempre più vicine. Le tornarono in mente gli ultimi rantoli di suo padre, gli ultimi sussurri chele erano sembrati tanto criptici.
“I Frey non sono contenti. Va’ via.”
E ora erano venuti a chiudere i conti.
Loro e la Mills.
Belle reagì d’istinto. Prima ancora che il cervello potesse formulare l’ordine, le gambe si mossero e sferrarono un poderoso calcio a Mendell. Sorpreso e dolorante, l’uomo allentò la presa per un istante, il tempo necessario perché lei fuggisse.
Mi sono già ritrovata in una situazione simile, non poté fare a meno di pensare, mentre cercava di farsi largo tra la folla e seminare gli assalitori. Non permise al ricordo di Canary Wharf, di Hume e della persona che aveva conosciuto quel giorno di sfiorarla: perdersi in simili pensieri sarebbe equivalso a un suicidio, e lei voleva vivere.
Nessuno dei pur numerosi presenti l’avrebbe aiutata, avvezzi com’erano a simili scene e memori della lezione secondo cui in certe faccende era meglio non immischiarsi se non si voleva conoscere la tomba troppo presto: poteva contare solo sulle proprie forze, sul proprio fiato e sulle proprie gambe, sperando di resistere il tempo necessario per mettersi in salvo.
Ma in salvo dove?
Nonostante la stazza, i suoi inseguitori erano ben allenati: le stavano alle costole e non parevano aver intenzione di demordere; e per quanto corresse e si guardasse attorno, lei non sapeva come muoversi in quel quartiere, e non riusciva a individuare alcun luogo sicuro, alcun anfratto in cui nascondersi.
Svoltò per una strada, pregando di non star finendo in gabbia mentre imboccava l’unico vicolo che si apriva dinanzi a lei; imboccò un viottolo a destra, poi a sinistra, poi ancora a destra, superò piazze ed edifici fatiscenti, costeggiò bugigattoli dai muri scrostati le cui porte sbatterono con violenza al suo passaggio;rischiò di scivolare sul lastricato umido, e fu solo un carretto di fiori trainato da una ragazza dalla mantella rossa a impedirle la caduta.
- E che diamine oggi! – la sentì imprecarle dietro.
Sono d’accordo con te, avrebbe voluto urlarle, ma rallentare era fuori discussione: un solo passo falso l’avrebbe condotto nelle mani della Mills.
Doveva correre, correre ancora, ignorando la milza che urlava, il cuore che quasi esplodeva e il respiro sempre più corto. Senza che se ne rendesse conto, le lacrime ricominciarono a bagnarle le guance: com’era finita in quel guaio? Qual era stato il primo tassello che, cadendo, aveva trascinato con sé l’intero domino, attirandola in una spirale di vendette incrociate? Non aveva fatto nulla di male, si era innamorata di un uomo, forse quello sbagliato, ma chi decretava quale persona fosse giusta e quale no? Chi comandava, chi poteva comandare i sentimenti?
Una cosa era certa: quei delinquenti non l’avrebbero avuta vinta facilmente. Se anche fossero riusciti a prenderla, non avrebbero avuto a che fare con un topolino tremante, ma con una belva che avrebbe distrutto la gabbia alla prima occasione.
C’erano persone, valori, cose non negoziabili, per i quali nessuna lotta sarebbe mai stata vana.
La sua vita.
Robert.
La libertà.
Era giunta l’ora di dimostrarlo.
L’ennesimo crocicchio le fece raggiungere una piazzetta deserta. Digrignò i denti mentre prendeva fiato: se ci fosse stata gente, avrebbe potuto confondersi nella calca; scoperta com’era, invece, l’avrebbero subito individuata. Doveva rimettersi in fuga.
Si guardò attorno nell’ennesima, vana ricerca di un punto sicuro. Dall’altro lato della piazza si aprivano due vie: in un posto tanto estraneo, un percorso valeva l’altro, purché l’allontanasse dagli aguzzini…
Una piazza, un vicolo alle spalle e due di fronte.
Quel posto non le era nuovo
No.
Ci era già stata.
Non può essere!
Ci era già stata pochi minuti prima, coi Frey alle calcagna.
Sto girando in tondo.
Arretrò fino al muro, il panico che iniziava a bloccarle le membra e offuscarle sempre di più la testa.
Quei rumori pesanti che sembravano provenire da ovunque intorno a lei erano inconfondibili.
Passi.
Una, o forse due persone erano sempre più vicine, e lei non aveva scampo.
Ancora poggiata ai mattoni del caseggiato, chiuse gli occhi.
Non avrebbe ceduto. Avrebbe mostrato a quelle bestie con chi avevano a che fare.
Non avrebbe tremato. Se l’avessero catturata, avrebbe lottato fino all’ultimo respiro, a qualunque costo. Non s’illudeva di batterli, ma avrebbe almeno potuto sfiancarli ancora; o forse avrebbe dovuto mostrarsi accondiscendente, fingere di cedere e collaborare per trarli in inganno non appena avessero abbassato la guardia... Se solo il panico le avesse permesso di ragionare per un istante, un istante solo, di capire da che direzione provenissero i passi – quei passi che parevano rimbombare nella sua testa, sempre più forti, sempre più vicini!
Robert.
Questa è la fine. Mi prenderanno, e non mi lasceranno andare.
Mi dispiace, amore mio, mi dispiace tanto, ma non so più cosa fare.
Ho paura, e vorrei solo averti accanto.
E tu non ci sei…
I passi erano sempre più vicini…
 
Uno strattone.
 
L’ultima resistenza.
 
E il buio del vicolo l’avvolse nuovamente.
 
 
 
CONTINUA…
 
 
 
 
 
 
1: Ora Drury Lane è una via di Londra nota per i suoi teatri, ma tre Settecento e Ottocento era sinonimo di prostituzione – http://it.wikipedia.org/wiki/Drury_Lane ;
2: rivisitazione del nome della celebre pagina Facebook “Meglio soffrire che chiudere in un ripostiglio il cuore”;
Gli errori grammaticali commessi da Daniel sono voluti: sarebbe stato improbabile rendere acculturato un giovanissimo stalliere dell’epoca.
La canzone che ho usato e che dà il titolo al capitolo è “Fire and ice” dei Within Temptation, che linkerò in pagina - “Euridice’s World”, passate se vi va!
Come sempre, commenti e critiche di ogni sorta sono benvenuti! :)
 
 
 
 
 
N. d. A. : …E così si conclude la prima parte della storia.
C’è malinconia, certo. C’è tanta malinconia, come per ogni bel viaggio che termina; ma c’è anche tanta, tanta soddisfazione.
Da oneshot a quota ventitré aggiornamenti il passo è breve; e con – a volte troppe, lo so! – migliaia di parole ho cercato di rendere al meglio l’idea vaga di un noioso pomeriggio di settembre, ripresentatasi poi per caso a Natale. È stata un po’ il mio regalo inaspettato, regalo che ho deciso di condividere: lascio a voi il giudizio su quanto svolto finora – so che, dopo questo epilogo, vorrete solo scuoiarmi; in tal caso, però, non scoprireste come andranno a finire le cose...:D
Dal canto mio, voglio RINGRAZIARE voi che mi avete accompagnata in questi mesi, rassicurandomi quando avevo infiniti dubbi, facendomi tornare in carreggiata quando rischiavo di sbandare e sopportandomi e supportandomi sempre, nonostante tutto.
Se sono arrivata fin qui è per merito vostro: ribadisco, non avrei mai immaginato simile accoglienza. Le +329 recensioni – cui risponderò presto, promesso –, le 56 persone che hanno aggiunto la storia alle preferite, le 7 che la vogliono ricordare, le 89che l’hanno seguita, le 4 che l’hanno segnalata per le scelte e i lettori/le lettrici tutt* mi emozionano in un modo che non so descrivere.
GRAZIE DI CUORE, vi ripeto solo questo. ♥
Una menzione speciale va a colui senza il quale nulla sarebbe iniziato, quel B. che da sei anni mi sostiene incondizionatamente, ascolta i miei deliri e nei momenti “no” di questo percorso mi ha convinta a non cancellare tutto, anche per mezzo della sua imprescindibile ironia – plot twist: in realtà Gold è Enzo Miccio, Cora una gangsta in incognito e le mie amate alzatine le vere protagoniste; a una delle persone più belle che ci siano, la mia splendida M. sorella nell’anima e nel trash, collega di università, di deliri vittoriani e non solo, di casa Hogwartsiana – Serpeverde domina! – e di sogni bollywoodiani; a V., che prima o poi mi spedirà una cassa di Brunello di Montalcino per farmi ubriacare e avere la lemon Lacey/Begbie che le ho promesso in un istante di pura demenza; e all’inimitabile G., mia spacciatrice ufficiale di canzoni di Davide Van de Sfroos, perché senza EFP non avrei mai conosciuto il tesoro che è.
Come anticipato, le (dis)avventure di Gold e Belle nell’epoca vittoriana non terminano qui:
- sabato 15 novembre pubblicherò una oneshot di collegamento decisamente importante ai fini della storia;
- sabato 29 novembre inizierò a pubblicare la seconda parte della long, una storia in più capitoli anch’essa.
(Non chiedetemi i titoli: io ve li direi volentieri, ma come al solito li sceglierò appena prima di pubblicare. XD)
Spero di ritrovarvi, Dearies! :)
VI ADORO! :***
Euridice100
   
 
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