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Autore: Hermione Weasley    01/11/2014    4 recensioni
Lei è in fuga da se stessa. A lui sono stati offerti due milioni di dollari per ucciderla. Ma le mire di qualcun altro, deciso a riunire sei persone che non hanno più niente da perdere, manderanno all'aria i loro piani.
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“Chi cazzo è questo idiota?” Blaterò qualcuno.
“Un forestiere!” Decise un altro.
“Che razza di accento era quello?” Indagò un terzo.
Si sentì spingere bruscamente verso l'arena, senza poter far granché a riguardo. Quando le fu ad un misero metro di distanza, tra le grida che si alzavano dal gruppo, fu la voce bassa e pacata della donna a sovrastare tutte le altre.
“E' l'uomo che mi ucciderà.”

[Clint x Natasha + Avengers] [Dark!AU] [Completa]
Genere: Azione, Malinconico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Thor, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Capitolo 11 -

 

 

 

Il treno correva rumorosamente sui binari.

L'idea di dover trascorrere non meno di venti ore rinchiuso in quel serpente di lamiere rischiava di farlo impazzire. La stanchezza e le energie ormai pericolosamente esaurite minacciavano il suo equilibrio mentale già di per sé tremendamente precario.

Il capitano Rogers li aveva scarrozzati alla stazione ferroviaria più vicina e, dopo aver parcheggiato il furgone della polizia in un luogo sufficientemente appartato, li aveva condotti ad un binario qualunque ed esortati a salire sul treno che sarebbe partito di lì a poco con destinazione Miami, Florida. Per quanto non gli piacesse, Clint doveva ammettere che il piedipiatti ci sapeva fare: nessuno aveva contestato le sue istruzioni. Nonostante la giovane età che dimostrava, Steve Rogers emanava autorità e portamento d'altri tempi: un'espressione sempre seria e solenne campeggiava sul suo volto. In modo del tutto irrazionale, avevano più o meno inconsapevolmente deciso di potersi fidare di lui; Clint era per altro piuttosto sicuro che quel particolare sviluppo avesse poco o niente a che fare con la carica di Rogers o il fascino esercitato dalla sua divisa.

Erano riusciti a trovare uno scompartimento miracolosamente vuoto, a lasciarsi cadere ciascuno su uno dei posti liberi, a fissare lo scorrere del paesaggio dal finestrino, a chiedersi che cazzo fosse appena successo e se non stessero per caso sognando... o vivendo un incubo.

Quel che contava, in quel preciso istante, era che il suo arco giaceva al sicuro nella sacca che Rogers aveva avuto il buon senso di restituirgli. Clint sapeva fin troppo bene che era un pensiero estremamente stupido: ma mentre il mondo gli si sfaldava attorno, proponendogli scenari allucinati dei quali gli sfuggivano quasi comicamente i nessi di causa-effetto, aveva bisogno di un punto fermo, qualcosa che lo tenesse ancorato alla realtà, che gli ricordasse chi era.

Dovette passare un'ora prima che lo stato di sbigottimento assoluto si attenuasse un poco, quel tanto che gli bastò per spingerlo a guardarsi attorno, a riprendere contatto con ciò che lo circondava.

Thor, che occupava il posto più vicino al finestrino nel senso opposto a quello di percorrenza, stava dormendo; il capo poggiato contro la parete, le braccia muscolose ed ingombranti malamente schiacciate contro il corpo. Bruce, che gli sedeva di fianco, il suo prezioso borsone da viaggio stretto contro il petto, stava disperatamente combattendo contro il torpore indotto dal sedativo che insisteva per portarselo via. Il capitano e Natasha avevano occupato i due posti più vicini alla porta, l'uno di fronte all'altra: Clint sospettò che la donna fosse l'unica, insieme al poliziotto, ad essere rimasta assiduamente in all'erta per tutto il tempo. Le braccia serrate sotto al petto – così come faceva tutte le volte che qualcosa non le andava a genio – continuava a fissare Rogers quasi avesse voluto sezionargli il cervello per capire quali fossero le sue reali intenzioni.

L'uomo, che inizialmente non sembrava essere particolarmente innervosito da quello stato di cose, in quegli ultimi attimi cominciava a dare qualche seccato segno di cedimento. Qualcosa gli diceva che quello era esattamente l'intento di Natasha: nonostante il poco tempo che avevano passato insieme, Clint poteva dire con certezza che prendere la gente per sfinimento doveva essere una delle sue specialità.

Per quel che lo riguardava, aveva preso posto accanto al finestrino, approfittando dell'unico sedile vuoto per tirar su le gambe e mettersi comodo. Avrebbe voluto chiudere gli occhi e riposare almeno per un paio d'ore, ma la tensione in quel dannato scompartimento si tagliava col coltello e una vocina, da qualche parte nella sua testa, gli suggeriva di restare sveglio, pronto all'azione.

“Chi è che stiamo andando a cercare a Miami?” Si decise a chiedere, stropicciandosi un occhio per scacciare il sonno che gli aveva già reso le palpebre pesantissime.

Rogers si limitò a scoccargli un'occhiata storta: era seduto tanto rigidamente e con la schiena talmente dritta contro lo schienale, da dargli l'impressione che si sarebbe spezzato in due da un momento all'altro. Non gli ci volle granché, poi, per prendere atto del sentimento che gli deformava impercettibilmente i tratti del volto: Clint aveva visto il disprezzo in faccia tante di quelle volte da saperlo riconoscere alla perfezione.

“Sei un pessimo attore, capitano.” La voce di Natasha infranse l'imbarazzante silenzio che era tornato a serpeggiare tutt'attorno. Il brusco passaggio dalla formula di cortesia ad una più informale non doveva essere casuale.

“La fa suonare come una cosa negativa,” Rogers, d'altro canto, non pareva intenzionato a stemperare il pessimo clima che stava rendendo l'aria a malapena respirabile.
“Lo è. In questo mondo saper mentire è una necessità.”

“Non nel mio.”

“Sul serio?” Natasha aveva slacciato le braccia dal petto e si era sporta leggermente in avanti, come ad invadere lo spazio del capitano. “Magari se riuscissi a dissimulare anche solo un briciolo dello sdegno con cui ci guardi, eviteresti di farti inutili nemici.”

Rogers si era zittito: le mani a tal punto strette l'una nell'altra da imbiancargli le nocche, gonfiargli le spalle per l'ennesima, brusca contrazione dei muscoli. Clint si accorse solo in quell'istante di quanto apparisse imponente. Nonostante il caldo umido del mezzogiorno imminente, indossava ancora la giacca elegante sopra la camicia accuratamente inamidata; non si era neppure allentato la cravatta.

“O forse non è tanto il disprezzo che provi per noi,” riprese Natasha, la voce bassa, ipnotica e canzonatoria al tempo stesso, “ma quello che provi per te stesso.”

“Magari dovresti riposare invece di provare a psicanalizzarmi,” protestò l'altro, calibrando attentamente il tono, rifiutandosi di prendere anche solo in considerazione la possibilità di lasciarsi andare alla rabbia che – era piuttosto evidente – lo stava tormentando.

“Oh, ma il bello è che non ci devo neppure provare. Sei un libro aperto,” decretò lei seccamente. “Detesti l'idea di essere rimasto invischiato con dei criminali e ancor più quella di essere diventato uno di noi.”

“Non sono uno di voi.”

“A meno che aiutare quattro sospettati a fuggire da un commissariato di polizia non sia più un reato...”

Dal modo in cui Rogers aveva indurito i tratti del volto, Clint capì che Natasha aveva fatto centro.

“Il caso è stato cancellato dal sistema.” Ma il capitano non sembrava tanto pronto ad affrontare la realtà dei fatti: doveva tener molto alla sua – non dubitava – candidissima fedina penale.

“Da chi?”

“Un amico.”

“La stessa persona che le ha fatto avere cinque biglietti per questo treno?”

Stavolta Clint non ebbe bisogno dell'intervento chiarificatore delle parole della donna per comprendere cosa gli passasse per la testa. Qualcuno, molto probabilmente un collega, l'aveva aiutato a pianificare la fuga e a cancellare le loro tracce.

“Mettere a repentaglio la carriera per quattro delinquenti non dev'essere stato facile,” Natasha, imperterrita, insisteva, “tutto per aver ricevuto criptici indizi su... qualcosa.”

“Ti ho già risposto a riguardo.”

“Quella non era una risposta,” era vero che il capitano, nella stanza interrogatori, le aveva suggerito di pensare agli affari suoi, lo stesso consiglio che – implicitamente – le stava riproponendo in quel momento, “e di sicuro non ci permette di fidarci di te.”

“Eppure siete saliti su questo treno senza neanche battere ciglio,” obiettò, segnando un punto – il primo – in proprio favore.

“Non confondere il non avere altra scelta con la fiducia.”

“La fiducia che condividete l'un l'altra, giusto,” il piedipiatti, a quanto pareva, non era estraneo al sarcasmo, “mi perdonerai per non essermene accorto.”

“Se cerchi di fotterci te ne pentirai amaramente.”

“Io non sto cercando di fottere nessuno. Arriveremo alla fine di questa storia e poi ognuno riprenderà la sua strada.”

Natasha gli rivolse un lento, subdolo sorriso, a fargli capire che di tutte quelle stronzate, non ne avrebbe bevuta neanche una.

“Non hai risposto alla mia domanda,” Clint si intromise, sforzandosi di mantenere un tono neutro per non buttare benzina sul fuoco che già minacciava di divampare da un momento all'altro.

“Tony Stark.” Il capitano aveva parlato a bassa voce e dopo un lungo istante in cui non aveva fatto altro che fissarlo attentamente: doveva aver deciso che tenerli all'oscuro non sarebbe servito a niente.

“Tony Stark?” Gli venne da ridere. “Quel Tony Stark?”

“Evidentemente.”

“Chi è Tony Stark?” Natasha si era voltata verso di lui, un'aria interrogativa a corrugarle la fronte.

“Non sai chi è Stark? Il milionario delle Stark Industries?” La donna scosse il capo. “L'unico rampollo della famiglia Stark. Credo abbia passato più tempo in riabilitazione che a casa sua.”

Anche per un riluttante spettatore televisivo come lui, sfuggire alle notizie e ai gossip che circondavano quell'eccentrico personaggio sarebbe stato praticamente impossibile. Ricordava persino il comunicato stampa con cui il consiglio della società che era appartenuta al padre l'aveva estromesso da qualsiasi incarico degno di una qualche rilevanza, promettendogli un lauto stipendio annuale in cambio della solenne promessa di restarsene fuori dai piedi. Stark era famoso per le sue sfrenate feste a base di alcool, musica spacca-timpani e donne seminude, il tutto all'insegna del lusso più selvaggio.

“Non stiamo andando sulla costa sbagliata?” Clint non poté fare a meno di chiedersi, tornando a prestare attenzione a Rogers.

“No. L'indirizzo che ho ricevuto si trova a Miami.”

“A che ci serve un milionario?” Domandò Natasha. “Si aspettano pure che ci finanziamo da soli?”

“Può darsi. Oppure si aspettano che... inventi qualcosa,” ipotizzò. I rotocalchi non mancavano di sottolineare la parabola discendente disegnata dalla sua vita, da laureato summa cum laude al MIT a mina vagante della Los Angeles “bene”.

La donna non pareva troppo convinta e, se doveva essere sincero, nemmeno a lui piaceva l'idea di aggiungere al gruppo un individuo tanto in vista, tanto meno uno fuori controllo come Stark.

Natasha si era riappoggiata allo schienale del sedile, lo sguardo perso in un punto non meglio definito del pavimento, presumibilmente immersa nelle proprie riflessioni. Si sorprese a riflettere sull'abisso che separava la versione fiera e ostile che tirava fuori davanti al pericolo, e quella più taciturna e dimessa a cui cedeva il passo quando pensava di non essere osservata. Un mistero che continuava a tormentarlo, supplicarlo – quasi – di essere risolto.

“Chi è stato a trovarti?” Fu la volta di Rogers di sorprenderlo.

“Chi? Io?” Clint si indicò, come per essere sicuro di non aver capito male. Il capitano annuì. “Nessuno.”

“Di chi era l'indirizzo che hai ricevuto?”

“Di Thor.”

“Ma eravate già in due quando siete arrivati in New Mexico,” obiettò, beccandosi sguardi sospettosi sia da lui che da Natasha. Come faceva a saperlo? “Telecamere di sicurezza,” si limitò a spiegarsi non appena si fu accorto della perplessità che aveva suscitato.

“Eravamo già in due,” convenne infine, senza trovare un valido motivo per mentire.

“Quindi siete... una coppia?” La voce di Rogers aveva assunto un tono tutto particolare, incerto, che risuonò assolutamente bizzarro in bocca ad un uomo grande e grosso come lui.

“Cosa intendi per coppia?” Dopotutto che male ci sarebbe stato a prenderlo un po' in giro?

“Lavorate insieme?” Riformulò, fastidio ed imbarazzo a mescolarsi nei suoi occhi improvvisamente più vispi.

“Sì.” Natasha si intromise, battendolo sul tempo. In una sorta di irrazionale slancio di lealtà, Clint sostenne lo sguardo di Rogers che, tacitamente adesso, gli stava chiedendo conferma. Non era affatto sicuro di capire le intenzioni della donna, ma se avesse dovuto scegliere a chi dar man forte, sicuramente avrebbe optato per chi conosceva da più tempo (e poco importava se si trattava di un'assassina/ladra/spia che aveva tentato di uccidere).

“Non so voi, ma mi è venuta una gran fame.” Riprese dopo un attimo di silenzio: non avrebbe potuto sopportare tutto quel nervosismo per un secondo di più.

“La carrozza ristorante è in fondo al treno,” lo informò il capitano. Sembrava che aiutare la gente, anche quella che non gli piaceva per niente, fosse più forte di lui. Un altruismo di principio, più che quello tutto viscerale che gli aveva creato così tanti problemi in passato: se Clint finiva sempre per farsi in quattro per chi gli stava a cuore, spesso contro ogni buon senso e ben sapendo di dover pagare un prezzo salatissimo, era anche vero che non faceva il minimo sconto a chi gli metteva i bastoni tra le ruote.

“Ricevuto, cap.” Si rimise in piedi, sistemandosi la sacca a tracolla. “Volete qualcosa?”

Sia Steve che Natasha scossero silenziosamente il capo.

 

*

 

10 ore dopo

da qualche parte in Florida

 

Il treno procedeva nel buio più assoluto: il sole era calato ormai da un paio d'ore, facendo sprofondare il cielo in un baratro oscuro, le stelle a malapena visibili. Dopo il viavai che si era creato in direzione della carrozza ristorante attorno all'ora di cena, il corridoio su cui dava la porta del loro scompartimento si era fatto di nuovo deserto; non un'anima viva che arrivasse a destarla dai suoi pensieri.

“Rogers ha ragione,” forse aveva parlato troppo presto, “dovresti riposare.” Un'ombra arrivò ad invadere la solitudine che era riuscita a conquistarsi in una delle zone di transito da un vagone all'altro. Non fece grande fatica a riconoscere la voce di Clint.

“Sei tu quello che non riesce a tenere gli occhi aperti,” la sua laconica risposta mentre l'uomo l'affiancava davanti al finestrino.

“E neppure chiusi,” borbottò l'altro, nascondendo a malapena il fastidio che quello stato di cose gli procurava. Natasha non era sicura di averlo mai visto non assonnato. “E poi quelle lasagne schifose che abbiamo mangiato per cena mi sono rimaste sullo stomaco.” Non ci sarebbe voluto il parere di un esperto chef per condividere il suo disgusto.

“Non erano nemmeno la cosa più schifosa che abbiamo messo sotto i denti in questi giorni.”

“No,” convenne. “Decisamente no.”

Lasciarono che il silenzio cadesse tra di loro, entrambi presi dall'indistinto panorama che scorreva oltre il vetro graffiato ed opaco. Si sorprese a realizzare che, nonostante tutto e anche senza dire proprio un bel niente, si sentiva a suo agio. La constatazione, però, quella sì che la fece sentire fuori posto, vulnerabile, improvvisamente allo scoperto.

“Credi che gli uomini del tuo cliente torneranno a cercarti?” Disse la prima cosa che le venne in mente, sperando che Clint non si fosse accorto di niente.

“Probabilmente,” parlò solo dopo una breve pausa. “Ma senza il telefono da rintracciare, non dovrebbero essere in grado di trovarmi.” Avevano i soldi contati per lo stesso motivo: utilizzare la carta di credito che – da quel che Natasha aveva capito – gli era stata messa a disposizione dall'individuo che l'aveva assoldato, avrebbe significato anche rivelare la loro posizione. Non potevano far altro che centellinare quei cinquemila dollari di cui Clint era già in possesso la prima volta che si erano scontrati.

“Miami è una metropoli. Sarà più difficile nascondersi.”

“Lo so. Che cazzo dovrei fare comunque?” Suonava più rassegnato che arrabbiato. “L'unica è evitare di mettersi inutilmente nei guai e affrontare il problema quando e se si presenterà.”

“Mi dispiace.” Natasha realizzò quanto, esattamente, suonasse stupido solo dopo averlo detto.

“Per cosa? Avermi messo nei guai?” Sembrava divertito. “Non avrei mai dovuto accettare un lavoro del genere. E' colpa mia.”

“Avevi bisogno di soldi?”

“No,” scosse il capo. Riusciva a malapena a vedergli gli occhi tanto erano soffuse le poche luci del treno ancora accese. “Sono stato... ingordo.”

“Due milioni di dollari avrebbero fatto gola a chiunque,” si ritrovò a dire, se per consolarlo o altro, non avrebbe saputo determinarlo.

“Non credevo che avrebbero fatto gola a me,” ammise a mezza voce.

“L'integerrimo arciere dell'Iowa.”

“Mi stai prendendo per il culo?”

Natasha si mise a ridere all'espressione contrita che gli intravide sul volto e ancor di più al modo – pessimo – in cui Clint si sforzava di mostrarsi tutto fuorché divertito. Fu costretto a cedere dopo un misero attimo in cui gli doveva essere apparsa chiara l'inutilità di quella particolare mini-crociata.

“Di sicuro non posso essere più integerrimo di Rogers.” Il pensiero del capitano e delle sue criptiche intenzioni ebbe l'effetto di farla tornare seria. “Non ti piace, mh?”

“No,” confessò. “Detesto non capire cosa muove la gente.”

“La maggior parte delle persone va avanti senza capire cos'è che pensano gli altri, lo sai?”

“Io non sono la maggior parte delle persone,” ci tenne a puntualizzare. “Se non sai cosa muove una persona, se non sai cosa la spinge a fare quello che fa, rischi di non poterla...”

“Controllare,” Clint completò per lei, improvvisamente serio a sua volta. “Ti capita tanto spesso?”

“Che cosa?”

“Dover controllare la gente. Suona stancante.”

“Non lo è,” replicò prima ancora di chiedersi se non fosse realmente così. “E' peggio vivere nell'incertezza.”

“Alle volte la gente può sorprenderti anche in positivo.” Adesso che stava cercando di fare? Consolarla, forse?

“Quante volte ti ha sorpreso in modo positivo?” Gli rigirò la domanda, ottenendo di vederlo incupirsi impercettibilmente. Appunto.

“Tu, però, mi hai sorpreso.” Le parole dell'uomo arrivarono a tradimento, quando ormai Natasha credeva di aver avuto la meglio.

“Non mi conosci neanche,” si ritrovò a ribattere, inspiegabilmente sulla difensiva.

“No, è vero. Però mi sono fatto un'idea.”

“Potrebbe essere sbagliata.”

“Oppure no.”

“Sentiamo allora,” lo esortò in tono di sfida. “Che idea ti sei fatto?” Anche se l'invito pareva averlo colto alla sprovvista, non sembrava intenzionato a dichiararsi sconfitto; non così presto, almeno.

“Che tuo padre era il tuo unico punto di riferimento e che senza di lui ti senti persa,” stabilì, appoggiandosi con le spalle al finestrino per poterla scrutare in viso.

“Questo era facilmente deducibile.”

“Che l'hai ucciso perché, anche se non lo vuoi ammettere, ti trattava come una specie di prigioniera. Ti ha addestrato ad essere quello che sei, senza mai permetterti di... scoprire te stessa.”

“Non ho proprio alcun bisogno di scoprire me stessa,” replicò astiosamente. Se ne pentì un attimo dopo: più si mostrava infastidita e più Clint avrebbe capito di averci azzeccato. Per quanto le fosse difficile controllare le proprie reazioni in sua presenza – tutto ciò che suo padre le aveva insegnato vacillava pericolosamente quando c'era di mezzo l'arciere – si ripromise di fare attenzione, di trattenersi il più possibile.

“Scommetto che non sai neppure cosa ti piace.”

“So esattamente che cosa mi piace.”

“Ad esempio?” Aveva fatto per ribattere a tono, senza dargli neppure il tempo di concludere la domanda, ma fu ben presto costretta a realizzare di non sapere da che parte cominciare.

“Mi piace il tè,” stabilì, sentendosi estremamente stupida ad aver asserito una cosa tanto banale in un tono così solenne.

“Sei russa, no? Non bevete tè in continuazione, voialtri? E' un'abitudine che ti ha attaccato lui.”

“E con questo?”

“Dimmi cos'è che ti piace... qualcosa che non è stato lui ad insegnarti, qualcosa che hai scoperto da sola.”

Il suo primo istinto fu quello di metterlo in difficoltà, raccontargli della notte che avevano trascorso a Puente Antiguo, al modo in cui si era eccitata a sentirlo nell'altra stanza insieme alla cameriera, quello in cui si era preoccupata di darsi sollievo, o quantomeno provarci. Ma la parte più razionale di lei subentrò ad impedirglielo: rivelarglielo avrebbe potuto imbarazzarlo e darle così una breve soddisfazione; d'altro canto, c'era anche il rischio che Clint la prendesse come una debolezza, che la usasse a suo vantaggio. Per quanto a suo agio si sentisse in sua presenza, non aveva la benché minima intenzione di metterlo in condizione di crearle inutili problemi.

“Mi piace guardare le stelle,” dichiarò infine, sostenendo il suo sguardo. “Non ne avevo mai viste tante, prima di attraversare il deserto.”

L'espressione di scherno che Natasha si era aspettata non arrivò mai, sostituita, piuttosto, da una lunga, occhiata valutativa. Si ritrovò a tirare un inconsapevole sospiro di sollievo.

“Perché?”

“Perché cosa?”

“Perché ti piacciono? Ci hai mai pensato?” A dir la verità no, non l'aveva mai fatto.

“Perché sono lontane da tutto questo. Perché possono guardare senza mai lasciarsi coinvolgere... perché mi fanno pensare ad un altro mondo.”

“Come... qualcosa di religioso?”

“Non lo so.” Non era neppure sicura che quello che aveva appena detto non suonasse completamente stupido o insensato. “Forse è perché mi aspetta l'inferno.”

“Credi seriamente in quelle stronzate?” Natasha lo incenerì con lo sguardo. “Ognuno può credere a cosa gli pare,” sentì il bisogno di spiegarsi, “ma quando sento parlare di inferno...” Lo vide sorridere.

“Non credi nella dannazione eterna?”

“Credo nella dannazione terrena. Qualsiasi cosa ci aspetti dall'altra parte non può essere peggio di questo,” decretò seccamente, improvvisamente più serio. Turbato, forse.

“Certi inferni sono peggio di altri.”

“Mi scuserai se mi limito a preoccuparmi di quelli reali.”

Non trovando proprio niente da ribattere, si limitò ad appoggiare la fronte sul vetro e a socchiudere gli occhi. Si sentì addosso lo sguardo di Clint, ma lo lasciò fare, quasi sperando – segretamente – che fosse in grado di carpirle chissà che verità di cui nemmeno lei era a conoscenza. Si concentrò sui pochi rumori che li circondavano, sforzandosi quasi di accordare il ritmo del proprio respiro a quello di lui. Provò un'improvvisa, cocente voglia di toccarlo, assicurarsi che fosse reale, vivo e concreto e non uno stupido prodotto della sua immaginazione. Temeva ancora, alle volte, che di punto in bianco si sarebbe svegliata di soprassalto, ritrovandosi nella fatiscente pensione di San Paolo in cui aveva alloggiato insieme ad Ivan; costretta a scendere a patti col fatto che si era inventata tutto. Tutto quel ridicolo viaggio, gli indizi, la caccia al tesoro, Clint...

“Credo che Rogers conosca Banner,” riaprì gli occhi, obbligandosi a parlare pur di fissare le proprie percezioni della realtà circostante.

“Che intendi dire?”

“Non lo so... è più che altro una sensazione.” Tenne lo sguardo fisso su di lui, come per paura di vederlo svanire, disperdersi nell'aria come un ricordo impalpabile.

“Bè, Banner mi ha detto di aver lavorato per l'esercito,” confessò, senza tuttavia raccontarle niente di nuovo. Si era preoccupata di rimanere in ascolto quando li aveva sentiti parlare, sul furgone ormai perduto per sempre (quanto era stupido che le mancasse pure quel colabrodo ambulante?).

“Non mi stupirei se Rogers si fosse arruolato, ad un certo punto.”

“L'ho fatto.”

La voce del capitano li costrinse entrambi a voltarsi verso di lui, la sua imponente mole a stagliarsi sulla soglia della doppia porta che divideva l'area di transizione con il resto della carrozza. Per un attimo, il terrore irrazionale che Rogers avesse origliato la loro intera conversazione le riempì lo stomaco, costringendola a ricacciare indietro la rabbia che prese a scorrerle nelle vene.

“Com'è che sei finito a fare il piedipiatti, allora?” Se l'arciere era seccato da quella brusca interruzione, si curò di non darlo a vedere, tentando piuttosto di portare la situazione a proprio vantaggio.

“L'Afghanistan mi ha fatto cambiare più di un'idea.” Finalmente liberatosi della giacca, la cravatta leggermente allentata, la camicia bianca – che pareva quasi fosforescente nel buio pressoché totale – lasciava intravedere le forme scolpite del suo fisico prestante. Avanzò di qualche passo verso di loro, le mani nascoste nelle tasche anteriori dei pantaloni eleganti.

“Continua a non spiegare come fai a conoscere Banner,” fece notare Natasha. Possibile che conoscesse qualcuno dei militari che avevano partecipato ai test del siero a cui il dottore aveva lavorato in passato? O che il governo fosse riuscito a metterne a punto una versione più stabile, che non provocasse gli effetti collaterali di cui Bruce stava ancora pagando le conseguenze?

“Chi ha detto che lo conosco?”

Non riuscì ad impedirsi di scoccargli un'occhiata gelida: se aveva intenzione di continuare a prenderli per il culo, ad interpellarli dall'alto del suo piedistallo fatto di patriottismo e senso civico, non avevano proprio nient'altro da dirsi. Rogers serrò le labbra fino a ridurle ad una linea sottile, come prendendo atto della situazione.

“Ero uno dei volontari che si sono sottoposti al progetto in via anonima,” ammise dopo un lungo attimo di silenzio, “ma il dottor Banner se n'era già andato.”

“Quindi gli esperimenti sono andati a buon fine?” Clint non suonava convinto.

“No. Quasi tutti i soggetti sono impazziti fino alla morte,” spiegò a voce bassissima, avvicinandoli fino ad appoggiare le spalle alla parete opposta al finestrino. “Tutti tranne Banner ed io.”

“Significa che soffri della sua stessa condizione?” Natasha era più che decisa a vederci chiaro.

Rogers scosse il capo, abbozzando un sorriso affatto divertito.

“Il siero ha funzionato,” decretò con disarmante semplicità. “Sono diventato più forte, più veloce... più utile.”

“Stai dicendo che là fuori ci sono intere truppe dell'esercito composte da super soldati?” La perplessità perfettamente percepibile nella voce di Clint.

“No, solo i miei test hanno avuto esito positivo.”

“Perché?” Natasha gli scoccò un'occhiata sospettosa.

“Non ne ho la più pallida idea,” ammise. Era stata lei stessa a criticare le sue pessime doti di attore: non solo le pareva sincero, ma era anche piuttosto sicura che non sarebbe riuscito a mentire neanche se avesse voluto farlo; persino omettere aspetti della verità doveva risultargli difficoltoso.

“Dopo l'Afghanistan il governo ha deciso di insabbiare gli esperimenti,” riprese a parlare, “la notizia delle morti durante i test rischiava di trapelare.” Fece scorrere alternativamente lo sguardo su Clint e poi su di lei. “La popolarità di cui godevo tra i soldati del mio reggimento è l'unico motivo per cui non hanno potuto semplicemente togliermi di mezzo.”

Natasha non stentava a credere che i vertici dei gloriosi Stati Uniti d'America potessero arrivare a tanto.

“... quindi ti hanno spedito in Alabama a fare il poliziotto,” completò Clint per lui.

Rogers annuì, un misto di mestizia e rabbia a deformargli i tratti del volto, le guance appena scurite da un'ombra di barba incolta.

“Dovreste riposare,” aggiunse, come a decretare la fine di quella conversazione. Qualcosa le suggeriva che l'unico motivo per cui aveva deciso di scucirsi era per dimostrare loro la sua buona fede: anche se non voleva mischiarsi con dei veri e propri delinquenti – criminali le cui azioni andavano contro ogni suo più intimo principio – doveva aver compreso l'importanza della coesione, elemento essenziale se volevano portare a termine quell'assurda ricerca.

“Avremo bisogno di energie per convincere Stark a seguirci.”

“Credi seriamente che abbiamo qualche possibilità?” Domandò Clint.

“Sinceramente?” Il capitano scosse il capo. “Nemmeno una.”

 

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Note:
Un capitolo di stallo per permettere ai personaggi di abituarsi l'uno all'altro... o quasi :P mi piaceva l'idea che Steve non fosse poi così contento di mescolarsi a gente con una pessima reputazione. La sua storia lo ricollega in qualche modo a Bruce e come avrete intuito c'è qualcosa che il nostro capitano non ci sta dicendo. In più, come avevo preannunciato all'inizio, Tony è stato ricollocato lontano da Malibù (ci stiamo dirigendo sulla costa diametralmente opposta) e farà la sua comparsa nel prossimo capitolo :)
And... that's all.
Grazie a tutti coloro che leggono/commentano e in particolare alla sclerosocia in trasferta in quel di Lucca!
Al prossimo aggiornamento!
S.
  
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