Se lo ricordava ancora. Per la verità, suddetto ricordo non era impresso nella sua mente al pari di altri.
Eppure, in quel frangente, fili invisibili nel suo cervello ce lo condussero, legandolo a quel frammento di memoria. Era stato uno dei tanti nobiluomini che passavano frequentemente accanto a loro, quando erano solo figli del caso abbandonati al destino. Anche se forse lo erano ancora, abbandonati al destino e figli del caso. Si ricordava che quest'uomo era accompagnato da un'altro signore, nobile anch'esso. Lo si capiva dagli sguardi frettolosi e disgustati che lanciava a loro, dal modo in cui sollevava il bastone da terra al fine di non sfiorare quella sporcizia, come se le altre fossero pulite, di strade.
"La morte è sopraggiunta come un soffio delicato"
Questa, la frase che era giunta alle sue orecchie di mendicante, ladro e ragazzino.
E se allora la frase gli era entrata nella testa senza essere per lui di nessun valore, in quell'attimo, nel presente, non poté fare a meno di capire che fosse una menzogna.
Altrimenti, se la morte giungeva soave, perchè il tonfo di fragili membra contro il freddo pavimento era così assordante?
Perchè poteva dirsi certo di riuscire a definire con precisione il numero di ossa spezzate?
Perchè, anche se l'impatto era già avvenuto e il corpo veniva trascinato in un groviglio di viscido sangue lontano dal palco, continuava a sentire quel suono rimbombargli nelle orecchie?
Lo aveva sempre saputo, d'altronde, che i nobili erano dei bugiardi.
Ma il loro caro padre no, lui era diverso.
Era diverso, vero?

Un sorriso brillava sul volto stanco di Joker, gioiose parole fuoriuscivano dalle sue labbra dischiuse mentre annunciava il prossimo spettacolo.
Il prossimo è quello con il leone, vero?
Lo sapeva bene nell'animo, dunque perchè cercava di ingannarsi da solo?
Si. Il prossimo era quello con il leone.
Poteva vedere bene il viso allegro del padre mentre le fauci della fiera si chiudevano brutalmente sul sottile corpo del bambino.
O era una bambina?
Poteva vedere, altrettanto bene, il disgusto del giovane conte Phantomhive.
"Tranquillo, ci si fa l'abitudine." Avrebbe voluto dirgli.
In realtà, lui l'abitudine non ce l'aveva mai fatta. Doveva ripercorrere continuamente la miseria in cui lui e i suoi compagni erano vissuti, le percosse e le umiliazioni subite, la pelle che si assottigliava sempre di più e le ossa che iniziavano a farsi vedere su ciascuno di loro. Doveva ripercorrere tutto il dolore, il senso di fame, la disperazione per non sentirsi colpevole di quello che faceva. Anche se poi, ogni notte, le lacrime le versava sempre. Beast, Wendy, Doll, Dagger, si aggrappava a loro come bimbo appena nato alla madre, consapevole che se non poteva chieder loro di far sparire il peso nel suo cuore, almeno potevano alleviarlo.
Per questo a loro rivolse la sua ultima preghiera prima di spirare, consapevole che in fondo se lo meritava, conscio che i suoi peccati impuniti non potevano restare. Alla fine non capiva più se piangeva per se stesso, per le vite innocenti che aveva estirpato su ordini del padre o per loro che sarebbero rimasti soli. Non sapeva neanche perchè stava ridendo allo stesso tempo. 
Ma poi bastava che i suoi amici, i suoi compagni, sopravvivessero.
Certo, gli sarebbero mancati, tanto.
Beast gli sarebbe mancata più di tutti.