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Autore: Caramell_    01/11/2014    4 recensioni
[...] Sotto la pioggia, zuppo fino al midollo, Derek riflette sul fatto che nessuno l’ha mai visto piangere. Un po’ se ne vergogna. Un po’ se ne riscopre orgoglioso. E pensa, dopotutto, che Stiles sia l’ultimo che dovrebbe vederlo.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Note: Perchè odio lasciare storie - anche se vecchie - a marcire sulla mia pennetta. Non ne vale la pena, decisamente. Questa One-shot ha più o meno un anno, se non di più. E' ambientata durante la 3A, quando Boyd muore - Dio, io amavo quel ragazzo - e Jennifer ancora non ha svelato la sua vera identità. Spero vi piaccia.
Buona lettura.



















Lasciate che il vostro cuore soffra
per l’afflizione e la disperazione degli altri.
George Washington

 

 


~

 

 

Derek ha le mani sporche di sangue. Le ha sempre avute, ma questa volta è diverso. Questa volta è il sangue più innocente. Scuro, denso e vermiglio gl’imbratta la pelle e gli cola dalle dita, gli distrugge l’olfatto e uccide il cuore e si dice che darebbe la propria vita, se solo l’offerta servisse a riscattare tutti quelli che sono morti e a liberarlo, una volta per tutte, da tutte le catene che lo feriscono.
Fuori c’è una luna piena bellissima, grossa, bianca e luminosa e se la ritrova negli occhi e dritta in faccia ed il suo richiamo gli rimbomba nelle orecchie e gli sa di morte e d’abbandono e la pioggia gli picchia addosso e gli penetra tra i vestiti e Derek vorrebbe sentire freddo e ammalarsi e morire quasi, tra febbre e deliri e mal di testa, ma sa che il suo essere così – lupo e predatore e assassino – non glielo permetterebbe e allora sente l’acqua appiccicargli i capelli in testa e scorrergli sulla pelle e tra gli occhi e lascia che il corpo marcisca e pietrifichi lì, tra la desolazione, la polvere e le macerie della casa che visto crescere e poi morire un’intera famiglia – ché non riesce a mettere piede nel loft, non ancora, non adesso – e vede corpi morti e occhi virei sfilargli davanti, mentre immagini orribili lo tormentano e le lacrime del cielo gli circondano il corpo.


Pensa ad Erica, Derek, e a Boyd – a Boyd perché è successo adesso, perché l’ ha visto e poi l’ ha ucciso e le sue unghie gli sono penetrate nella carne e gl’hanno distrutto il corpo – ma in realtà pensa ad entrambi e, per entrambi, si maledice. Pensa al loro viso, al raro sorriso di Boyd e alle sue mani enormi, al colore della sua pelle e all’amore che gli riempiva gli occhi quando guardava Erica, al suo modo d’attaccarlo, alla paura che avvertiva quando lo allenava, alla fiducia guadagnata e a quella perduta, ai suoi ultimi respiri e alla dedizione che ha sempre dimostrato, anche nella morte, a quell’amore dolce e ancora acerbo, quell’amore appena sbocciato e ancora tutto da vivere, protetto dai ricordi e da voci di bambini. E poi ricorda Erica, i suoi lunghi capelli biondi e quello sguardo spaurito e timido che aveva all’inizio, il suo pallore naturale e quegli enormi occhi truccati, il coraggio che ha sempre avuto e la forza che spesso ha dimostrato, le cose che ha detto e fatto e la consapevolezza, guardando Boyd, d’essere amata e ricambiata, la sua vita e la sua morte, le lacrime e il sangue, ma soprattutto, alla fine, pensa alla loro giovinezza, all’adolescenza che si sono lasciati indietro, a ciò che hanno abbandonato a causa sua, alla bellezza di un’età che Derek non ha nemmeno mai vissuto e che, da egoista, ha negato ad altri. Si dà del bastardo e dell’egocentrico e stringe i pugni e si conficca le unghie nei palmi e sente il sangue degli Hale colargli lungo le dita e coprirgli le falangi. Sangue sporco e maledetto che si mischia all’acqua e sporca la terra bruciata, dono di generazioni passate, regalo di donne forti e amorevoli.
Pensa a tutto questo e lascia che l’acqua lo inzuppi completamente, gli finisca in bocca e tra le pieghe della maglia e mente a se stesso e si sente bene, con le unghie sporche di rosso, la pelle macchiata e lacerata e il silenzio a circondarlo.
Potrebbe morire, si dice, essere ucciso così, come è successo a Boyd, come, a causa sua, è successo ad Erica e come stava per succedere ad ognuno di loro, a Cora e a Stiles, ad Isaac e Scott, a tutti quelli che lui ha trascinato in quel mondo estraneo e che, forse, ha condannato a morte. Sarebbe quasi liberatorio, probabilmente farebbe felici molti, ma Derek sente le sue mani ferite già rimarginarsi e il sangue asciugarsi e appiccicarsi alla pelle e la pioggia lavarlo e accudirlo e allora digrigna i denti e inarca le sopracciglia e capisce che se lo merita, soffrire come sta soffrendo adesso, lo merita e lo meriterà per sempre, perché sono passati giorni – orribili, lunghissimi, maledetti giorni – ma, algido com’è, ancora non riesce a piangere.

 

~


Stiles non riesce a dormire. In realtà crede che nessuno di loro ci riesca – né Scott, né Lydia, né Allison o Isaac, Isaac che era legato a Boyd più di tutti, che lo conosceva un po’ di più e aveva provato per un lui un amore troppo simile a quello fraterno e che gl’ha pianto in silenzio davanti agli occhi, nel loft dove tutto è finito, mentre si reggeva a Jennifer più forte che poteva e i singhiozzi di Cora riempivano il silenzio – e rimane così, sdraiato scomodo sotto le coperte, gli occhi aperti e le braccia incrociate. Ascolta i rumori della pioggia e s’immagina il bosco, le foglie e i rami spezzati e spera che l’acqua distrugga ogni cosa e lavi via tutto – anche il sangue di Boyd.
Rivede il loft e la luna e due mani grandi aggrapparsi al vento e afflosciarsi di botto. Ripensa a tutto e crede lo rivivrà per sempre, perché Boyd forse non era suo amico ed Erica una volta l’ha picchiato e steso in un nanosecondo e lui in risposta gl’ha dato della stronza, ma Stiles c’ha parlato e li ha toccati migliaia di volte e li ha sentiti ridere e piangere e lamentarsi e – sul serio – gli piacevano, gli piacevano entrambi, gli piacciono ancora, gli piacciono come gli piace Isaac, con quell’affetto nascosto che riserva a chi considera alla stregua di fratelli ed è così ingiusto, si dice, così crudele averli persi in quel modo, dopo tutto il casino che è successo, ancor prima che potessero amarsi sul serio.
Scott ha pianto per un ora. Allison ha singhiozzato fra le sue braccia. Cora ha fatto lo stesso e Lydia s’è solo chiusa in casa. Isaac è semplicemente scomparso e Derek non c’è ancora ripreso dallo shock. Ha continuato a guardarsi le dita e a sbattere le palpebre, ha storto la bocca e guaito di dolore e Stiles, Stiles non ha fatto niente. Ha allungato una mano e provato a portare conforto, è rimasto in silenzio e li ha osservati tutti. Ha visto il pianto, il dispiacere e la disperazione, l’amarezza, la colpa e il rimpianto. Ha visto e ha pensato alla morte e alle vite di cui si era appropriata e per un po’ s’è sentito vecchio, già stanco e pronto alla resa, ma poi ha fissato Derek negli occhi e c’ha scorto lo smarrimento di Cora e il dolore di Scott e allora, alla fine, s’è imposto di essere forte, per se stesso, per il branco a cui ancora non appartiene, per le persone distrutte che sono rimaste in piedi. Ha ricacciato le lacrime indietro e soppresso il tormento e provato a star loro vicino come crede avrebbe fatto sua madre e, dopotutto, crede – spera – d’esserci riuscito, ché sotto le sue mani Derek ha finalmente smesso di tremare e, barcollando, s’è rimesso in piedi. Stiles ha tenuto gli occhi fissi su di lui fino a che non l’ha visto scomparire, gli abiti fradici e i pugni chiusi e ha provato – si è imposto, fallendo miseramente – d’evitare di guardare il corpo morto sul quale piangeva Cora, mentre pensava al nuovo, pesante fardello che Derek s’è poggiato sulle spalle. Mentirebbe se dicesse di non averci pensato – a Derek, al suo sguardo spento e ai flebili, silenziosi singhiozzi che gl’ha sentito emettere – ma il punto è che sembrava distrutto, come se l’ultima parte sana di lui fosse morta con Boyd e forse è solo un’impressione, una di quelle stupide che ogni tanto gli passano per la mente, eppure Stiles non vuole che lo pensi, non vuole che si senta così – debole, inutile e cattivo – perché lui l’ha guardato negli occhi milioni di volte e gli è rimasto così vicino da sentirsi il cuore scoppiare e Derek non lo è, non lo è mai stato, nemmeno quando viveva solo in mezzo alla cenere e aveva la testa piena d’incendi e omicidi e sangue Alpha e Stiles desidera solo che non lo diventi, che non si avvicini a Peter, che non s’incolpi di tutto.
Getta un’occhiata alla finestra socchiusa e vede la pioggia bagnare il legno e colpire il vetro. Quella sera deve essere bellissima, la luna intende. È sempre bella quando il sangue sommerge la terra. Di sicuro Derek la sta guardando – e Scott e Isaac e Lydia ed Allison. Probabilmente si stanno chiedendo cosa hanno fatto, di tanto ingiusto e sbagliato, da meritare tutto quello. Stiles vorrebbe rispondere loro che il solo vivere, a quanto pare, s’è riscoperto sufficiente.

 

~


Derek non avrebbe mai voluto che succedesse, non a degli adolescenti – a nessuno, in verità – ed è per questo, solo per questo, che è scappato per anni, che ha vissuto da solo e ha abbandonato la sua città natale, per questo e per l’incendio e per i legami familiari di cui va tanto fiero, quegli stessi legami che spesso l’hanno costretto alla morte e alla perdita.
Il silenzio non gli è mai dispiaciuto. La solitudine non gli è mai costata nulla.
Adesso ha entrambi, ma non gli recano alcun conforto. Ha fallito su tutta la linea, sbagliato quando ha rimesso di nuovo piede a Beacon Hills, visto Scott e provato quell’enorme ondata di entusiasmo che non l’ha mai abbandonato. Ha sbagliato e se ne rende conto e crede di capirlo, capirlo adesso perché probabilmente qualcosa dentro di lui ha sempre provato a farglielo comprendere, anche quando le sue orecchie sembravano tappate e il suo cuore rinchiuso.
Sangue rappreso gl’incornicia il polso e circonda le dita e quell’odore nauseabondo gli colpisce le narici e gli brucia l’anima, ché lo fa sentire vivo, vivo come non è mai stato prima – mentre tutti gli altri sono morti e hanno abbandonato questo mondo – disperato come è stato spesso.
Sotto la pioggia, zuppo fino al midollo, Derek riflette sul fatto che nessuno l’ha mai visto piangere. Un po’ se ne vergogna. Un po’ se ne riscopre orgoglioso. E pensa, dopotutto, che Stiles sia l’ultimo che dovrebbe vederlo.
Stiles che l’ha sorpreso un milione di volte, che gl’ha salvato la vita e inciso la carne, che, dannazione, non riesce a crederci, ma ha affrontato una tempesta con quella sua jeep mezza distrutta e un ombrello enorme sotto il braccio e che, contro ogni logica, gli compare a fianco affannato, rosso in viso ed infreddolito – l’ha sentito camminare a ha riconosciuto il suo odore – e gli porge uno spicchio di stoffa ed enormi quadrati di protezione e Derek si dice che potrebbe persino piangere, dopo una cosa del genere, perché Stiles ha abbandonato il suo luogo sicuro e ha provato a cercarlo e adesso è lì, vicino a lui, caldo, forte e luminoso come lui non è mai stato e Dio solo sa quante volte ha solo sperato che qualcuno facesse una cosa simile per lui.
Stiles sposta un po’ il braccio sinistro, inclina le spalle e gli copre per bene la testa e l’acqua gorgoglia e crolla sulla cenere e Derek chiude gli occhi e solleva il viso e gocce gelide gli circondano le labbra e ascolta il rumore attutito della pioggia sbattere contro la cupola dell’ombrello, poi scuote impercettibilmente la testa e si gira verso Stiles e lo guarda con quello sguardo sorpreso che poco gli si addice, gli occhi cerchiati di rosso e un sorriso amaro sulle labbra. Lo trova piccolo e fragile e pallido come sempre, il collo scoperto e i capelli sparati in tutte le direzioni. Lo trova umano, docile e infreddolito e – non dovresti essere qui – gli bisbiglia e a stento riconosce la propria voce, roca, amara e irriconoscibile. L’osserva tremare un poco e sbattere gli occhi e oh, arrossire leggermente, lì, vicino alle guance.
- Non riuscivo a dormire – si sente rispondere – Boyd ecco lui – Stiles deglutisce e prende a fissare insistentemente la pioggia battergli troppo vicino al naso – continuo a vederlo e anche Erica e – una pausa – non sono riuscito a dormire – ripete e, con la coda dell’occhio, scorge Derek irrigidirsi e stringere i pugni e si pente immediatamente di tutto, di essere arrivato fino a casa Hale e di avergli rivolto la parola, perché magari, ragiona, Derek avrebbe voluto rimanere solo, coi propri demoni e col proprio dolore. Stringe forte il manico dell’ombrello e sente le dita addormentarsi per il freddo, poi abbassa il mento e si blocca a fissargli la destra. Ha gli artigli sfoderati e il pugno chiuso e la pelle è coperta di sangue secco e gocciolante di pioggia. Trema un po’ e Stiles rivede, nella propria mente, l’immagine sbiadita del loft, di Derek e di Boyd e uhm in quel momento il suo cervello pare spegnersi e abbandonarlo, perché si ritrova a seguire uno di quegli impulsi sconsiderati che spesso l’aggrediscono. Ruota il busto e allunga la mano libera e afferra le dita fredde di Derek tra le sue e lo sente sussultare, quasi spaventato, e allargare le nocche e ritirare gli artigli e ah, ci si sente così bene, adesso e Stiles ha il cuore pieno di tenerezza e di dispiacere inespresso e gli bruciano gli occhi e li avverte stanchi e umidi e non riesce a trattenersi, non più e calde lacrime gli distruggono il viso e sporcano le guance e il collo scoperto. Si ritrova a piangere così, senza rendersene conto, una mano ancora appoggiata a quella di Derek, un ombrello storto sulla testa e la felpa rossa aperta su una spalla, le scarpe umide e chiazze scure sui jeans vecchi.
Nemmeno lui sa perché piange. Per quelli che sono caduti, certo, per Erica e Boyd, e per quelli che adesso soffrono la loro mancanza, ma, soprattutto, crede di piangere – egoista – per se stesso e per Derek e per quello che stanno attraversando. Per gli assassini che li hanno costretti a fare quello che hanno fatto, per il peso enorme che devono sopportare e per le spalle di Derek, ormai fragili e ingombre, per il suo viso e per quel fantasma di morte che pare nascergli in volto.
Piange al suo posto, perché sa che non è ancora riuscito a farlo. Piange lui perché spera che Derek non lo faccia, che rimanga forte e non gli crolli tra le braccia. Sa che poi si sentirebbe debole e vulnerabile e perderebbe se stesso e allora singhiozza per tutto quello che si porta dentro e stringe fino a stritolargli la pelle.
Derek avverte la puzza salata delle sue lacrime e la sua stretta calda e riprende a fissalo e sembra un bambino, si dice con un accenno di sorriso. Ha gli occhi gonfi e le guance scarlatte, il moccio al naso e i vestiti penzolanti, i capelli disordinati e la pelle d’oca ed è dolce, tenero quasi e gli riporta alla mente episodi d’infanzia ormai sopiti da tempo, fotogrammi che fanno a cazzotti coi suoi ricordi presenti. Un sorriso scappa al suo controllo e gli raggiunge gli occhi, gli si addolcisce l’espressione e ammorbidiscono i lineamenti, ma Stiles non riesce a vederlo e ha gli occhi inondati di lacrime e il braccio sinistro completamente indolenzito, mentre sfoga una rabbia e un dolore che poco gli appartengono.
- Non dovresti piangere per gli altri – si sente dire e tira su col naso e prova ad aprire gli occhi e a ritirare la mano per asciugarsi il viso, ma Derek lo precede e gl’afferra le dita e le intreccia alle sue, mentre Stiles tenta di darsi almeno un contegno e balbetta mozziconi di frasi senza senso – mi dispiace – singhiozza – è che…mi dispiace così tanto e loro, loro erano sono miei amici e tu…è solo che fa così male – e Derek in realtà vuole dirgli che va bene, fa ancora male è vero, ma va tutto bene, proveranno a conviverci e a non impazzire e, alla fine, intreccia le loro mani e fa aderire i palmi e si volge a guardare il cielo.
Stiles sente il sangue appiccicargli la pelle e l’umido toccargli le falangi e stringe più forte che può, mentre le mani gli tremano e l’ombrello gli balla in testa e gocce d’acqua che gli bagnano le spalle e, involontariamente, pensa a pelle scura e occhi profondi, a capelli biondi e occhi rossi, ma poi si sofferma sul calore che sente scaldargli il braccio e prova a credere, per un secondo solo, che non sia tutto perduto e che, dopotutto – anche con il cuore a pezzi e la faccia stravolta – ci sia ancora qualcuno a cui aggrapparsi e con cui – distrutti e spezzati – continuare a camminare.






 


 

  
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