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Autore: adria    01/11/2014    4 recensioni
"Non restare a piangere sulla mia tomba.
Non sono lì, non dormo.
Sono mille venti che soffiano.
Sono la scintilla diamante sulla neve.
Sono la luce del sole sul grano maturo.
Sono la pioggerellina d’autunno.
Quando ti svegli nella quiete del mattino …
Sono le stelle che brillano la notte.
Non restare a piangere sulla mia tomba.
Non sono lì, non dormo."
Canto Navajo
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Essendo la prima volta che posto qualcosa di originale, sarebbe gradita una recensione, grazie mille.
Ho modificato alcune cose e modificato i capitoli (oltre ad averne aggiunto di nuovi), spero vi piacciano!!!
Genere: Avventura, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4
 
 
15 Luglio 2014
 Pistis, Comune di Arbus
Villa Mare
 
Adriana, mentre saliva i gradini che la separavano dal portone a doppio battente, faceva dei respiri profondi nel tentativo di calmare il fiatone che la corsa le aveva provocato.
Non era mai stata un’atleta, non aveva mai desiderato esserlo, ma tutto cambia.
Tutto cambia sempre.
Fece girare la chiave nella toppa, il respiro più regolare, s’infilò dentro e si affrettò a disinserire l’allarme.
Si tolse le scarpe da ginnastica per riporle al loro posto nell’armadio sostituendole con le infradito che usava in casa e lasciò cadere le chiavi nel contenitore di vetro alla destra della prima rampa di scale e salì. Alla biforcazione prese quella a destra che portava verso la camera padronale, mentre quella sinistra portava verso le altre due stanze e l’open space.
Adriana si tolse la giacca leggera e la gettò nel cesto della biancheria sporca entrando nel bagno on-suite, aprì il rubinetto della doccia, si tolse velocemente il resto degli abiti e senza aspettare che l’acqua raggiungesse la giusta temperatura, entrò.
Il getto di acqua fresca l’avvolse facendole venire la pelle d’oca.
Sorrise.
Era una di quelle cosa che prima non avrebbe mai fatto, lei aveva sempre sofferto il freddo e detestava tutto ciò che era freddo e non era gelato al lampone, ma adesso era diverso, il freddo la faceva sentire viva, i brividi lungo la schiena la facevano sentire vigile, pronta a tutto.
Iniziò ad insaponarsi i capelli nel momento esatto in cui l’acqua diventava tiepida. Sentì i muscoli distendersi sotto il getto caldo, adorava quella sensazione di rilassamento totale esattamente come adorava sentire i muscoli indolenziti dallo sforzo, i polmoni in fiamme che reclamavano più aria di quanta ne potessero inglobare e il vento sul viso mentre sfrecciava senza una meta precisa.
Aveva scoperto il potere terapeutico della corsa qualche settimana dopo il “famigerato incontro” con Derek. Quando ancora non dormiva, aveva timore ad andare in giro da sola e non si fermava con nessuno, neanche per dare indicazioni stradali a dei poveri disgraziati, per non parlare del fatto che non riusciva a concentrarsi, a studiare e non poteva fare a meno di guardarsi intorno con sospetto, viveva nel costante terrore. Di cosa esattamente non lo aveva mai capito, l’unica cosa che voleva era scappare. Lontano e ovunque. E un pomeriggio, quando la tensione era diventata insopportabile, l’aveva fatto. Era stata la sua salvezza. Certo, non era andata molto lontano, giusto il tanto che la sua preparazione fisica consentiva al tempo, ma quelle poche decine di metri le aveva ridato la lucidità necessaria per risollevarsi dal baratro in cui si era gettata con le sue stesse mani. Non era stato facile trovare un nuovo equilibrio, ma non aveva mollato, aveva fatto una scelta, forse, in qualche modo si era sentita obbligata, ma nessuno le aveva puntato una pistola alla testa. E adesso aveva un lavoro part – time, viveva da sola, si sentiva più sicura di sé, le mancavano pochi esami alla laurea ed era in procinto di passare le vacanze estive con le sorelle.
Si avvolse nel telo bagno e iniziò a frizionarsi i capelli.
Sorrise al suo riflesso posando l’asciugamano per i capelli sul bordo della vasca in modo che si asciugasse per bene, poi tornò a guardare la sua figura riflessa, aveva sviluppato dei muscoli, alcuni dei quali non sapeva neanche che esistessero, aveva un corpo più tonico e atletico ed era una cosa di cui andava fiera. Le piaceva la sensazione di forza che il suo nuovo corpo emanava.
Si appoggiò al mobile del lavabo per godersi la tranquillità senza pensare a nulla.
Tranquillità, uno dei tanti motivi per cui tutte le mattine alle sei, puntuale come un orologio svizzero, usciva a corre indipendentemente dal tempo che faceva. Correva sotto pioggia, neve e grandine, non rinunciava a quel momento per nulla al mondo, quasi né dipendesse la sua stessa vita e, forse, era così.
Improvvisamente la bolla di sapone che si era costruita attorno venne rotta dalla musica di una suoneria, di quelle standard impostate quando acquisti il telefono, si appuntò mentalmente che doveva ricordarsi di cambiare quell’oscenità.
Rientrò nella camera e si diresse alla scrivania dove aveva lasciato il cellulare prima di uscire. Lo schermo era nero.
Non era il suo.
Il cuore prese a batterle all’impazzata, sentì la scarica d’adrenalina incendiarle le vene come non accadeva da tempo, come quella notte.
Anche quella notte il cuore pareva volerle uscire dal petto mentre correva per la campagna buia sotto la pioggia. Era stanca, bagnata, aveva il fiatone, non sentiva più le gambe e la potente scarica di adrenalina era l’unica cosa che la teneva in piedi, vigile e pronta a dar battaglia.
Se doveva morire, avrebbe venduto cara la pelle si era detta.
Ad un tratto inciampò su qualcosa e finì per l’ennesima volta nel fango. Si rialzò il più velocemente possibile e riprese a correre senza guardare cosa aveva provocato la caduta. Non avrebbe dato nessun vantaggio a quel bastardo!
Scrash!
Quel suono la riscosse dai ricordi che minacciavano di sopraffarla facendola sobbalzare.
Guardò il pavimento e vide che il portapenne di vetro era finito in mille pezzi.
Non si era neanche accorda di averlo toccato.
La musica terminò.
Le mani le tremavano e si appoggiò alla scrivania in cerca di sostegno.
Trasse un respiro profondo nel vano tentativo di riprendere il controllo e, in uno slancio di inaspettato coraggio si chinò recuperare il taglierino dai vetri per poi lasciare la stanza.
Percorse lentamente il corridoio fino al salotto open space.
I sensi all’erta e il taglierino davanti a sé.
La musica riprese.
Veniva dalla cucina e senza esitazione si diresse li, pronta a colpire.
Infondo al bancone di lavoro dell’isola c’era una scatola color ciliegia con una grande coccarda verde smeraldo al centro.
Non c’era quando era uscita.
Qualcuno era entrato in casa senza far scattare l’allarme.
Chi?
Si diede subito della stupida per esserselo chiesto, c’era una sola persona di sua conoscenza che avrebbe potuto fare una cosa del genere.
Conosceva lo stile.
Senza mettere via l’arma si avvicinò al pacco e con la mano libera sollevò il coperchio svelando il contenuto, uno smartphone con l’immagine di lei che correva nello sfondo.
Fece un respiro profondo, prese il telefono e accettò la chiamata.
Decisamente conosceva quello stile.
- No. – disse secca mentre il nervoso iniziava a chiuderle lo stomaco prendendo il posto della paura.
- Non sai neanche che cosa volevo dirti! – esclamò allegra la voce di Derek Cabrera dall’altro capo della linea.
- Sono fuori dai giochi. Avevamo un accordo! – lo aggredì lei senza lasciarsi spiazzare.
- Comunque, buongiorno. – riprese l’altro senza cambiare tono, poteva percepire il suo sorriso smagliante attraverso il ricevitore e la cosa la irritò ancora di più.
Nelle settimane che avevano passato insieme aveva imparato a conoscerlo e ad apprezzarlo, era bravo nel suo lavoro, ma in quel momento l’avrebbe volentieri strangolato con le sue stesse mani. Detestava l’arroganza che l’altro esibiva convinto che il mondo girasse intorno a lui seguendo le sue direttive.
Fortunatamente non era lui che prendeva le decisioni.
Fortunatamente era il gemello.
Alan era tutto l’opposto di Derek.
Alle volte Adriana faticava a credere che avessero davvero lo stesso DNA tanto erano diversi.
Alan non avrebbe mai messo su un simile teatrino, non le avrebbe fatto prendere uno spavento simile, non si sarebbe mai permesso di fare cose simili, non era nel suo stile.
No.
Quello era lo stile di quel sequestratore free-lance.
Non sapeva che cavolo avesse in mente, ma se il Signor Cabrera si era messo in testa di rovinarle la vita aveva fatto male i conti.
Dei fruscii dall’altro lato la lasciarono interdetta per qualche minuto.
- Scusalo, sai com’è fatto. – la voce di Alan le ferì l’orecchio come una lama – Siamo alla piscina, raggiungici. Dobbiamo parlare. –
La telefonata si interruppe.
Adriana rimase congelata, il telefono ancora attaccato all’orecchio.
Non se lo sarebbe mai aspettato, neanche tra cent’anni, non da Alan.
Chi si credevano di essere?
Sentì la rabbia montare, lasciò scivolare il cellulare nella scatola e uscì in balcone come una furia facendo i gradini a tre a tre incurante del fatto che rischiava l’osso del collo, del fatto che era scalza e che indossava solamente il telo bagno.
Li avrebbe rimessi in riga lei.
Non vedeva l’ora di mettergli le mani addosso.
- CHI VI CREDETE DI ESSERE? – iniziò a stillare appena messo piede sul pavimento, vedeva rosso e non le importava che i vicini potessero sentirla.
- Ehi splendore! – disse Derek, a bordo piscina, sorrideva beato ed era solo.
- Se ti metto le mani addosso giuro … - le sibilò arrabbiata avvicinandosi a passo di marcia con il taglierino stretto in mano, non le importava che Alan non fosse li, anche se le aveva parlato pochi secondi prima, qualcuno doveva pagare per quella faccenda e non le importava chi.
- Per quanto mi esalti l’idea di un nuovo incontro corpo a corpo con te, temo di non averne il tempo. E neanche tu, credimi. –
Fece finta di non aver sentito la lieve provocazione e continuò – Credevo di essere stata abbastanza chiara. Era la prima e l’ultima volta! – il respiro era affannoso, il cuore a mille. Prese fiato e strillò – AVEVAMO UN PATTO! –
- Vero. – disse pacatamente Alan arrivandole alle spalle silenziosamente.
Si voltò pronta a dar battaglia, aveva faticato per trovare un nuovo equilibrio e non avrebbe permesso neanche a Satana in persona di mandare tutto a monte.
Si ritrovò a pochi centimetri dalla faccia di colui che era stato il suo capo per tre settimane, fissava le lenti scure dietro i quali, sapeva bene, c’erano gli occhi più stupefacenti che avesse mai visto, ma che non avrebbero potuto mai vederla.
- Prima che rincominci ad urlare ti giro che non avevamo intenzione di sabotare le tue vacanze o la tua vita. Siamo stati costretti. –
- Da cosa? Uno psicopatico che minaccia di scatenare l’apocalisse attirando un asteroide con una calamita gigante? Perché solo in quel caso posso pensare di giustificare quest’invasione! –
- Peggio. –
Che poteva mai essere peggio dell’apocalisse?
Istintivamente si voltò verso Derek.
Era serio.
Lui non era mai serio.
Sembrava che qualsiasi cosa gli accadesse intorno fosse una grossa barzelletta creata al solo scopo d’intrattenerlo!
Se lui era serio significava solo una cosa, la situazione era molto più grave di quanto potesse immaginare.
Il ragazzo la guardò scuro in volto, gli occhi improvvisamente scuri e disse lapidario – Qualcuno vuole ucciderti. –
  
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