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Autore: Easily Forgotten Love    20/10/2008    2 recensioni
Sia chiaro da subito che non sogno di fare il musicista rock. Non mi ha mai interessato davvero seguire le orme di mio padre, anzi. Avevo, credo, quattro anni quando per la prima volta sono entrato nel salotto di casa, dove mia madre stava prendendo il the con un gruppo di amiche, ed ho annunciato a tutti che da grande avrei fatto il medico.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Della festa dei quindici anni di Cody ricordo solo gli eventi davvero salienti. Tutta la prima parte mi è chiara, perché per tutta la prima parte non successe assolutamente nulla di eclatante. Eravamo organizzati nel parco dietro la villa, dove c’era la piscina ed un gazebo molto bello. I suoi avevano fatto preparare lì i tavoli con cibi e bevande, ordinandoli sul bordo della piscina. Alla fine tra Cody e suo padre erano arrivati alla decisione di non chiamare un dj, ma un gruppo che suonasse dal vivo e suo padre aveva entusiasticamente assoldato una delle band esordienti che curava personalmente. Cody aveva sbuffato, aveva accolto la band con aria imbarazzata e si era scusato un milione di volte per quella cosa, che a suo dire era umiliante oltre ogni ragione.
Loro lo avevano fissato stupiti, guardandosi poi tra loro come se dovessero stabilire esattamente cosa dire, alla fine avevano cercato di spiegargli che erano stati felici di questa cosa e che Brian era stato molto carino nel chiedergli il favore di suonare alla festa del figlio.
Cody aveva boccheggiato come un pesce fuori dall’acqua a sentire parlare di suo padre che chiedeva favori a qualcuno e non si limitava a dare ordini, approfittando della propria posizione di vantaggio.
Beh, come che fosse a loro faceva sinceramente piacere. Ed a noi fece sinceramente piacere averli lì. Cody gli si appiccicò addosso - a riprova di come fosse assolutamente disinteressato al mondo della musica - ed insieme a Mike li interrogarono su qualsiasi curiosità venisse loro in mente, impedendogli peraltro di fare ciò che per cui erano venuti. Li mollarono per lasciarli suonare solo quando le cose cominciarono a prendere la china disastrosa che dovevano.
Tutto cominciò in modo abbastanza soft, in realtà.
Mike aveva convinto Cody ad invitare alla festa anche i due fratelli che io e Gab avevamo incontrato nello scantinato punk: CJ e Nicky. Loro si presentarono con una compagnia molto ristretta di persone ed una scorta immensamente vasta di birra – ovviamente non c’erano alcolici alla festa prima che facessero il loro ingresso – e di erba.
….immagino sia inutile specificare che non c’era nemmeno droga, alla festa, prima che i due gemelli facessero il loro ingresso.
Cody prese la cosa nervosamente da subito, presagendo che sarebbero stati casini, ma siccome i suoi invitati erano molto più propensi di lui a salutare con clamore quell’inaspettato intervento, lui se ne stette zitto, fulminando comunque di sottecchi Mike che reputava responsabile di qualsiasi cosa fosse successa.
Da quel punto in poi, ricordo solo gli eventi salienti di quella serata. Che peraltro sono stati talmente tanti e talmente considerevoli che avrei potuto ingurgitare il doppio delle birra che ho mandato giù e fumare almeno altri dieci spinelli, oltre quello che Gab mi costrinse a dividere con lui, e comunque mi sarebbero rimasti scolpiti nella carne.
La prima cosa che mi ricordo, è proprio Gab, la birra e gli spinelli. Probabilmente lui aveva già bevuto e fumato troppo per i suoi standard, perché il suo atteggiamento era talmente diverso dal solito da lasciarmi disorientato. Mi venne vicino mentre sedevo in disparte cercando con lo sguardo Cody in mezzo alla folla in cui era sparito da qualche minuto. Gab mi si schiantò affianco ridendo e sospirò soddisfatto, scoccandomi poi un’occhiata indagatrice che mi fece venire la pelle d’oca.
-Sei sobrio.- constatò.
-Sono astemio.- confessai io.
Lui sbuffò, argomentando che ad una festa di compleanno come quella essere astemi non era una virtù ma un difetto, mi prese per un polso con entrambe le mani – ero comunque più ben piazzato di lui, anche se mi superava di qualche centimetro – e mi costrinse a rimettermi in piedi assieme a lui. A quel punto mi trascinò in un angolo, dove CJ distribuiva allegramente birra ed erba con eguale sollecitudine, e mi passò una bottiglia, afferrandone un’altra per sé e sedendo a terra accanto a CJ, che gli passò una canna già rollata.
-Non scappare!- mi richiamò quando si accorse che stavo per darmela effettivamente a gambe.
Batté la mano accanto a sé, ma io ritenni più prudente sedermi in un angolo discosto ed osservarlo da lì.
Tra lui e CJ riuscirono a farmi bere in quell’unica notte tutta la birra che non avevo mai bevuto nella mia vita; all’inizio Gab praticamente mi costrinse – un po’ con motteggi un po’ con moine – ma quando CJ parve riaversi, comprendendo finalmente che Gabriel era davvero lì accanto a lui ed era davvero su di giri, non ebbi più bisogno di incoraggiamenti per preferire mille volte stordirmi di birra che osservarli lanciarsi in un’appassionata sessione di preliminari sotto i miei occhi. Sbuffai, scivolai sul pavimento stendendo le gambe mentre incontravo la resistenza del muro e rimasi lì, imbronciato ed infastidito a scrutarli ridacchiare, baciarsi ed infilarsi le mani un po’ ovunque.
Fu Nicky a mettere bruscamente fine allo spettacolino, quando attaccò briga con il gruppo che stava suonando e CJ fu costretto ad alzarsi precipitosamente per andare a dare man forte al proprio fratello pronto a scatenare una rissa. Gab lo fissò laconicamente mentre si sollevava di scatto e gli prometteva di tornare subito da lui, osservò altrettanto laconicamente Cody mentre avanzava minaccioso attraverso il giardino per impedire il pestaggio, e si mosse solo quando anche io mi alzai per raggiungere Cody, mi afferrò per la cinta dei pantaloni mentre passavo e mi tirò bruscamente accanto a sé.
-Ti agiti troppo.- affermò stizzito, scavando nella tasca per tirare fuori cartine ed un sacchetto di marijuana.- Dovresti imparare a goderti la vita.
-Dovremmo aiutare Cody ad impedire a quei tizi di picchiarsi.- obiettai io, ripescando dal cumulo del mio cervello un minimo di raziocinio, sufficiente a farmi formulare quel proposito.
-Cody è in grado di cavarsela da sé.- mi disse lui rollando lo spinello.- E Mike afferrerà Nicky e CJ per la collottola molto prima che facciano qualunque cosa.- ci aggiunse per rassicurarmi.
Posò la sigaretta sottile tra le labbra ancora rosse e gonfie per i baci di poco prima ed accese.
Io m’incantai a guardarlo.
Aveva i capelli in disordine, i vestiti stropicciati, il viso accaldato e rosso, un’aria palesemente stizzita e nervosa…eppure era bellissimo. Osservai la sua bocca mentre le labbra stringevano la canna e lui prendeva un respiro profondo, poi una mano inanellata si sollevò a raccogliere la sigaretta e la scostò, permettendogli di sbuffare il fumo. Mi passò lo spinello con naturalezza.
-Ah…Gab…?- biascicai io senza capire.
Lui sospirò.
-Luke, per favore,- mi implorò sfinito.- almeno stasera non fare domande. Lasciati andare, Cristo!
Ubbidii meccanicamente. Accettai lo spinello e lo portai alle labbra come aveva fatto lui.
Mentre aspiravo il fumo pensai che era lo stesso identico punto su cui anche lui aveva appoggiato la bocca, la sua lingua aveva giocato con la carta ancora umida di saliva, la sua saliva…che si mischiava con la mia...
Dio. ora sì che avevo un problema.
Soffocai, tossii fuori il fumo, mentre l’erba mi saliva rapida alla testa e la risata di Gab ci rimbombava dentro come se fosse completamente vuota. Inorridito cercai di non abbassare lo sguardo sui miei pantaloni, la stoffa dei quali si tendeva inequivocabilmente al livello dell’inguine. Mi augurai che la mia espressione non fosse così terribile come me la immaginavo. O in alternativa che Gabriel fosse abbastanza fatto da non accorgersene. Purtroppo mi sbagliavo su entrambi i punti: la mia espressione era lampante e Gab era ancora sufficientemente lucido da scoccare un’occhiata maliziosa al cavallo dei miei jeans e sporgersi a sfilarmi la sigaretta dalle dita per riprendere a fumare.
-…Cody ti piace ancora tanto, vero?- mi domandò senza guardarmi.
Riflettei sulla possibilità di non rispondere.
Invece risposi.
-Sì.- biascicai stentatamente, distogliendo anch’io gli occhi.
Mi ritrovai la sigaretta nuovamente sotto il naso e stavolta la presi senza pensarci e gliela ripassai dopo aver fatto un tiro. Gab si sistemò meglio contro il muro, tirandosi leggermente su a forza di braccia e scuotendo le spalle alla ricerca di un’improbabile posizione più comoda. Ogni tanto passava qualcuno che si prendeva una birra dalla cassa al nostro fianco, lui accennava un saluto con due dita e poi si disinteressava e tornava alla nostra chiacchierata ed allo spinello.
-Sai che ti capisco.- mi disse all’improvviso.- Anche a me piace un tizio, a cui io non interesso perché è già innamorato.- mi confidò in tono disinvolto.
-…oh.
-Sì, ma non m’importa.- aggiunse lui.- Tanto non sono mai stato molto fortunato in amore.- spiegò.
-Vuoi dire con Erik?- indagai.
Ma cominciavo ad avere difficoltà serie a tenere in piedi la conversazione. Tra alcool e fumo il mio stordimento aumentava velocemente e mi riusciva più facile concentrarmi sul movimento che faceva la mano di Gab quando si sporgeva a sfilarmi la sigaretta dalle dita che sulle sue parole.
“Ha delle mani stupende”, pensai estasiato.
E subito dopo me le immaginai impegnate ad infilarsi oltre l’apertura dei jeans di CJ come stavano facendo solo pochi minuti prima…Solo che al posto di CJ immaginai di esserci io.
Arrossii.
-Erik…CJ…te…- elencò Gab con indifferenza, stringendosi nelle spalle e continuando ad evitare i miei occhi.
In compenso io cercai i suoi istintivamente.
-…
Alla fine mi guardò anche lui, tentando di interpretare il silenzio che si prolungava nell’espressione del mio viso.
Doveva essere alquanto ridicola, perché lui scoppiò a ridere con sincerità additandomi con l’indice.
-Non prendermi per il culo!- sbottai io senza sapere bene a cosa mi stavo riferendo.
Gabriel finse di non sentirmi affatto. Mi si buttò contro a peso morto, continuando a ridere, ed io lo afferrai per puro miracolo – ubriaco com’era rischiò seriamente di appiccicarsi con la faccia al pavimento da solo – e finii lungo disteso con lui addosso e la sua bocca praticamente a due millimetri dalla mia. Gab mi fissò, vagamente sorpreso e decisamente intontito, registrando progressivamente i particolari della situazione, mentre la mia erezione – che non aveva accennato a scomparire – notificava ad entrambi che la situazione le era tutt’altro che sgradita.
-…scusa.- dissi io, rendendomi conto che c’era poco altro che potessi fare al momento.
Gab mugolò qualcosa a metà tra un assenso ed un’attestazione di soddisfazione di cui non compresi affatto il motivo. E poi, invece di tirarsi dritto, mi si sistemò meglio addosso, strusciandomisi contro e peggiorando notevolmente le cose.
Soffocai un gemito di puro ed involontario piacere e tentai di scostarlo senza successo, mentre provavo ad articolare una qualche forma di protesta ordinata. Ma la protesta ordinata si risolse in un mugolio molto simile a quello di Gab, anche se decisamente meno ispirato, e lui non lo ritenne esaustivo di un mio reale dissenso e non si spostò.
-Gab…- riuscii a dire, cercando di farmi capire a gesti visto che a parole non ero in grado di esprimermi.
Per tutta risposta Gabriel si sporse verso di me e mi baciò.
…ha la bocca morbidissima. Le sue labbra sono così piene e soffici che sembra di baciare la panna…se si potesse baciare la panna…
Sentii la lingua di Gabriel sporgersi a sfiorare la mia bocca ancora chiusa, la aprii d’istinto, lasciandogli spazio per affondare delicatamente a cercare la mia lingua, mentre le sue mani si spostavano a circondarmi i fianchi, impedendomi di allontanarmi da lui. Cosa che peraltro non pensai di fare finché il bacio non si fu spinto un po’ oltre, approfondendosi e trasformandosi in qualcosa di violento e trascinante. Gab mi morse le labbra con forza, accarezzandomi il viso con la bocca e respirandomi addosso con un fiato carico di odori, che mi mandò assolutamente fuori di me. Allungai le mani per afferrarlo anch’io, con decisione, agganciandomi ai passanti della sua cinta con l’idea di scostarlo, ma quando lui si mosse, scivolandomi di nuovo addosso per infilare una coscia tra le mie gambe, e sfiorò così la mia erezione, io persi il controllo ed invece di allontanarlo me lo strinsi contro con più forza, accorgendomi a livello quasi inconscio che ad essere eccitato non ero più soltanto io.
Gabriel si spostò di colpo, rimettendosi dritto e tirandosi in piedi con una velocità che mi lasciò completamente frastornato. Lo scrutai dal basso, confuso, vedendolo allungarsi ad afferrarmi il braccio per aiutarmi ad alzarmi anche io, e feci come voleva, mettendomi in piedi e barcollando al suo fianco quando lui mi si strinse di nuovo contro per ricominciare a baciarmi con foga.
Non capivo granché di quello che stava succedendo. Sapevo solo che la bocca di Gabriel era qualcosa che mi piaceva da impazzire – così come la consistenza della sua pancia sulla mia o dei suoi fianchi ossuti contro le dita – e quindi mi lasciai condurre docilmente, inseguendo distrattamente le sue labbra ed il suo corpo mentre si muovevano vicino a me.
-…Gab…?- chiamai interrogativo quando lui mi spinse all’interno di quello che riconobbi come un bagno.
Lui non mi rispose. Chiuse la porta dietro di sé senza staccarmi gli occhi di dosso, inchiodando il suo sguardo – completamente folle. Totalmente incomprensibile. Spaventoso – nel mio, e continuò a spingermi finché mi ritrovai spalle al muro, ghiacciando al contatto gelido delle piastrelle decorate. Sussultai sbattendo la schiena e sentendomi improvvisamente libero ed improvvisamente solo, al buio, mentre Gab si muoveva da qualche parte lontano da me. La luce mi accecò, perché nel giardino non era così forte come il neon chiaro del bagno, e strinsi gli occhi intuendo la figura di Gabriel tornarmi vicino.
Sentii la sua bocca ricominciare ad esplorarmi il viso e spostarsi poi a tracciare una scia umida e piacevolissima lungo il collo, ma a lasciarmi completamente senza fiato ed a farmi perdere forza nelle gambe furono le sue dita, sottilissime, che scivolarono rapide infilandosi sotto la maglietta e strappandomi un brivido che giustificai nella mia testa annebbiata con il freddo che percepivo attraverso i polpastrelli piatti e morbidi. Serrai gli occhi perché avevo davvero paura di guardare e lasciai che fossero gli altri sensi a dirmi quello che succedeva. Così percepii al “tatto” che le mani di Gab si spostavano, scivolando in basso e costringendomi a trattenere il fiato per l’aspettativa ed il desiderio che mi assalirono con forza.
Non so dire se Gabriel fosse consapevole di quello che provavo in quel momento, se si fosse fermato anche solo un momento a valutare le reazioni che suscitava in me. Io di lui percepivo solo il profumo, i movimenti inebrianti, la forza magnetica che avevano sui miei sensi, ma non mi fermai mai a cercare di capire cosa stesse pensando o quale fosse il senso delle poche parole che gli avevo sentito pronunciare prima. Non sapevo perché mi avesse baciato o perché ora fossimo lì, non me lo chiesi nemmeno quando lui sganciò con sicurezza il bottone dei miei jeans ed abbassò la cerniera per poi piegarsi repentinamente in ginocchio abbassandosi al livello del mio inguine. Cosa volesse fare mi fu chiaro nell’istante stesso in cui avvertii la sua bocca premuta contro il mio sesso, attraverso la stoffa leggerissima dei boxer. Soffocai un singhiozzo mentre il suo fiato caldo mi circondava e mi allungai sulla parete come se volessi arrampicarmici per fuggire via da lì. L’impulso di fuggire lo provai per davvero, ma non ne ebbi né la forza né la volontà, cancellate entrambe dalla sensazione sconvolgente della bocca di Gabriel che si avvolgeva dolcemente intorno alla mia erezione subito dopo averla liberata dai boxer.
A quel punto, tutto ciò che pensai fu di abbassare il viso e guardarlo, perché era stupendo anche in quel momento ed era la visione più oscenamente sexy ed erotica che io avessi mai avuto davanti agli occhi, od anche solo che fossi mai riuscito ad immaginare.
Ed il movimento della sua bocca, della sua lingua…la sensazione dei suoi palmi che mi risalivano su per lo stomaco, infilandosi ancora sotto la maglietta e cercando la pelle per stringerla e carezzarla con forza…affondando…i gesti lenti del capo che assecondava il mio bacino che aveva preso a muoversi indipendentemente dalla mia volontà…Rilasciai la testa contro il muro, sollevando gli occhi al soffitto, respirando a fatica mentre sentivo il cuore impazzire insieme con il ritmo delle sue carezze, delle spinte, del suo succhiare.
-Gab…?- invocai strozzato.
Lui mi ignorò come aveva fatto tutte le volte precedenti ed io ricacciai indietro un singulto quando i suoi movimenti si fecero più rapidi, perdendo del tutto quel poco di facoltà mentale che mi restava.
L’orgasmo ed il senso di nausea arrivarono assieme, stringendo entrambi allo stomaco e presentandosi ugualmente violenti ed inaspettati. Ebbi voglia di gridare senza sapere se volevo farlo per rabbia, frustrazione e dolore o per quel piacere primitivo che mi afferrò improvvisamente e che mi costrinse a svuotarmi nella bocca di Gabriel.
Non so dire cosa fece lui a quel punto, subito dopo avermi lasciato, perché io rimasi esattamente com’ero, i pantaloni e le mutande calati sui fianchi, il respiro affannato e gli occhi chiusi. Avvertii che non si era allontanato perché la sua presenza fisica me la sentivo ancora addosso e, dopo pochi istanti, mi sentii addosso anche le sue mani e la bocca che si posava leggera sul mio collo sudato, leccando via le gocce che scivolavano verso lo scollo della maglia. Il suo respiro mi affondò nell’orecchio e sulla pelle resa sensibile dall’acutizzarsi delle mie percezioni dopo l’orgasmo, mi infastidì aumentando il senso di nausea finché non divenne così presente da essere claustrofobico ed io pensai stupidamente che volevo che Gabriel mi lasciasse, perché avevo bisogno di aria e lui me la toglieva. E volevo uscire da lì, trovare la forza di rivestirmi ed uscire. Ma non potevo farlo se lui non mi lasciava e…
Mike irruppe nella stanza, annunciandosi con urla che mi fecero letteralmente accapponare la pelle e giurando e spergiurando a gran voce che “avrebbe fatto fuori quel figlio di puttana con le sue mani e preso a calci nel culo suo fratello finché si fosse deciso a mettere giudizio una buona volta!”. Io spalancai gli occhi, terrorizzato, nello stesso istante in cui Gabriel si voltava di scatto, corrucciato, a fronteggiare una porta che veniva spalancata brutalmente da suo fratello. Mike si precipitò dentro infuriato, ritrovandosi la figura alta di Gab che gl’impediva la visuale, lo raccattò per le spalle e lo spinse via in malo modo, fissando lo sguardo furente su di me.
-Cosa diavolo credi di fare, Perrington?!- mi apostrofò rabbioso.
-Lui non crede di fare nulla, Mike.- asserì Gab tranquillamente, staccandosi dal muro a cui suo fratello lo aveva appiccicato e rimettendosi esattamente tra noi mentre io deglutivo, ripescavo da qualche parte un po’ di amor proprio e mi decidevo a tirarmi su boxer e pantaloni per rivestirmi.- Io gli ho fatto un pompino.- chiarì intanto Gab con una calma serafica che gli invidiai ma che detestai subito dopo. Mike non sembrava particolarmente contento delle delucidazioni offertegli, infatti, ed io seppi che non l’avrei scampata facilmente.
-Mi stai ascoltando?!- scattò Gab intanto, accorgendosi che gli occhi di suo fratello trovavano più utile dardeggiare contro di me, cercando la via più rapida per raggiungermi, piuttosto che non fermarsi a considerare seriamente la sua presenza.- Cazzo, Mike, quante altre volte dobbiamo farlo ‘sto cavolo di discorso? Scopo con chi mi pare!- ruggì Gab arrabbiato.
-Certo che ti ascolto, coglione che non sei altro!- ritorse Mike, decidendosi a mollarmi per puntare davvero la propria attenzione sul fratello.- E se ho ben sentito mi ha appena finito di dire che te la fai con lo sfigato!- notò cattivo.
-Me la faccio con chi voglio, Mike!- ribadì Gab.- Io non vengo certo a farti la paternale perché scopi con Vale!
-Io non sono come te, Gabriel!- gli gridò contro Mike al colmo dell’esasperazione.- Io non sono sistematicamente uno straccio ogni sacrosanta volta che l’imbecille di turno mi spezza il cuore! Io non me lo faccio spezzare il mio cazzo di cuore, Gabriel! Tu sì, invece! Perché sei un coglione ed un sentimentale del cazzo!- sbraitò in una paternale che mi ferì più di qualsiasi cazzotto ben assestato.
Perché a quel punto il senso esatto delle parole di Gabriel – poco prima che finissimo chiusi in quel dannato bagno – mi fu fin troppo chiaro ed io mi ritrovai a non poterlo ignorare ancora. La nausea crebbe a livelli tali da non poterle più tenere testa. Mi guardai attorno spaesato, estraniandomi alla discussione dei due fratelli: Gab era davvero furioso, afferrai soltanto, lo sentii ribattere qualcosa mandando “a fanculo” Mike, mi resi conto che erano arrivati anche a mettersi le mani addosso…o meglio, che Gabriel aveva alzato le mani al fratello, spintonandolo con rabbia fuori del bagno. Fu l’ultima cosa di cui mi accorsi e che riuscì ad attirare la mia attenzione, il secondo dopo stavo già scavalcando il davanzale della finestra e mi lasciavo cadere nel giardino, svoltando rapidamente per allontanarmi dal casino e cercarmi un posto tranquillo. Raggiunsi rapido un cespuglio di rose dietro la casa, vi girai attorno, mi piegai e vomitai qualsiasi cosa avessi ingerito, fumato o anche solo pensato in quelle ultime tre ore.
Quando mi sollevai e mi pulii la bocca non stavo affatto meglio, ma mi sentivo decisamente più sporco di prima.
Ed anche più stordito.
Pensai che camminare mi avrebbe aiutato a schiarirmi le idee e presi a muovermi ancora, allontanandomi ulteriormente dal casino e dalla musica, tenendo una mano sul muro della casa quasi a volermi assicurare una guida per non perdermi nel parco. Ma l’aria fresca non mi aiutò affatto, nella mia testa i pensieri si erano aggrovigliati indissolubilmente con il senso di nausea e con la vergogna: ripensavo a Gab ed alla sua faccia mentre affrontava Mike. Sembrava così genuinamente disperato da darmi il capogiro già solo per questo. Ma poi ripensavo anche a Gab, alla sua bocca sulla mia e poi alla stessa bocca su di me ed il capogiro si trasformava e si spostava in basso, allo stomaco ed ancora più giù. E se a tutto questo ci aggiungevo il viso di Cody, il suo sorriso quando a scuola avevo trovato il coraggio di presentarmi, la sua voce quando aveva annunciato a Mike che mollava il gruppo, le sue dita che sfioravano il pianoforte mentre suonava…! quel capogiro ritornava su e confondeva le immagini di Cody e di Gab, collegandole a sensazioni ed emozioni così diverse tra loro da rendere tutto troppo complicato.
Trovai a tentoni la porta secondaria. Per un caso della sorte era aperta ed io dovetti semplicemente spingerla per entrare in cucina e muovermi al buio all’interno della casa. Mappai mentalmente la disposizione delle stanze e dei corridoi, tentando di ricordare ogni cosa perché questo sforzo di concentrazione m’impediva di soffermarmi su altro. Mi persi comunque ed a quel punto tentai solo di raggiungere un posto isolato che non fosse in ogni caso troppo lontano dagli altri. Aprii una porta interna stavolta, ed entrai in una stanza in penombra che non riconobbi. Vidi però qualcosa di bianco ed enorme che riluceva in un angolo e vicino scorsi e riconobbi la sagoma accogliente di un divano. Attraverso il vetro delle finestre a vetrata entrava luce a sufficienza per aiutarmi a raggiungere il divano, e da dietro i muri mi raggiungeva solo un eco basso e caldo della musica e del rumore fuori, che mi cullò mentre mi raggomitolavo nell’angolo più nascosto, contro un mucchio di cuscini, e chiudevo gli occhi stancamente.
Non penso che dormii moltissimo. Era già tardi quando CJ e Nicky erano arrivati alla festa con la birra e doveva essersi fatto ancora più tardi mentre sedevo con CJ e Gab in giardino. A svegliarmi fu il rumore della porta che sbatteva e, mentre mi riscuotevo sforzandomi di aprire gli occhi, passi affrettati e parole irate sibilate a forza.
-…non m’interessa, Helena!- stava dicendo una voce roca di rabbia, facendo un evidente sforzo per contenere il volume delle affermazioni che si spandevano pericolosamente basse nell’ambiente ancora buio.- Non me ne frega un cazzo delle sue ragioni! Stavolta l’ha fatta grossa e ne paga le conseguenze!
-Ha quindici anni, Brian!- ritorse una voce femminile che riconobbi come quella della madre di Cody.- Tu non hai mai fatto cazzate a quindici anni?- domandò ironicamente.
-Non certo organizzare una festa di minorenni in casa dei miei e portare dentro birra e fumo per tutti!- ruggì quella che, a quel punto, qualificai senza problemi come la voce di Brian Molko.- E di certo non avrei certo preteso di farla franca in quel caso!
-Ma dovresti comunque stare a sentire quello che deve dirti, Brian!- ribatté Helena.- Non ho mai detto che non lo avremmo punito, ma tu sei inferocito e se lo affronti ora finirete per litigare come sempre e tu dirai senz’altro qualcosa di stupido che farà credere a Cody che lui ha ragione!- spiegò pazientemente.
-Stronzate!- scattò Brian furibondo.
Ma non protestò quando lei si voltò per uscire di nuovo dopo avergli assicurato che “se ne sarebbe occupata lei”. Avvertii i tacchi di Helena allontanarsi e la porta cigolare appena mentre veniva richiusa, poi ci fu un momento in cui tutto rimase perfettamente immobile ed io non pensai neppure di respirare.
Quindi, la luce si accese.
-…e tu cosa accidenti saresti?- mi chiese gelidamente Brian Molko, fissandomi mentre, ritto in piedi accanto all’interruttore, indugiava un minuto di più con le dita sul pulsante chiaro.
Io deglutii e non trovai nulla da rispondere.
Dovetti aspettare di districarmi dal groviglio di cuscini e di pezzi di corpo che ero diventato e di mettere a terra i piedi, sollevandoli dal divano di pelle e posandoli sul tappeto senza un suono, per ritrovare voce e forza a sufficienza da borbottare un “Luke Perrington, signore” che si perse tra le pieghe del mio ego ormai in frantumi.
Lui inarcò un sopracciglio, scettico e vagamente disgustato.
-Ubriaco e fatto come gli altri, vero?-indagò malignamente, concedendomi un sorrisetto che trovai orribile.- Dio!- scattò dopo passandosi una mano sugli occhi e decidendo di spostarsi dalla parete per raggiungere la propria scrivania.- Ma cosa accidenti c’è di sbagliato in quel ragazzino?!- s’interrogò a voce alta mentre sprofondava affranto nella poltrona girevole e si voltava per posare le braccia sul piano dello scrittoio.
Rimasi in silenzio ancora una volta. Fermo davanti al divano nella stessa identica posa cascante che ero riuscito a tirar su quando mi ero alzato. Lo guardai e mi dissi che faceva veramente pietà.
E non perché Cody aveva organizzato una festa a casa sua ed aveva portato dentro birra e fumo così da fargli trovare un gruppo di minorenni fatti ed ubriachi che gli invadeva casa. No, lui faceva pietà perché trovava ancora utile domandarsi cosa ci fosse di sbagliato in Cody, invece di domandare a Cody cosa ci fosse di sbagliato in assoluto.
-Non si ricorda davvero di me?-domandai quieto.
Lo vidi sollevare il viso stancamente, scrutandomi come se si fosse accorto in quel momento che ero ancora lì. Non mi rispose subito, ma poi scosse il capo come se la cosa fosse comunque irrilevante.
-Mi ha visto con Cody.- dissi io.- Pochi giorni fa.- spiegai meglio.- Cody le ha chiesto di firmarmi un autografo e lei ha anche scritto una dedica.- elencai.
-…mi spiace, ragazzino, se dovessi ricordarmi tutti quelli a cui firmo autografi…- mormorò lui senza interesse.
-No. Non tutti. Però magari potrebbe fare uno sforzo per ricordarsi almeno le facce degli amici di Cody.- aggiunsi.
Lui mi guardò ancora, studiandomi da lontano con un’espressione contrariata e furibonda che gli alterava i lineamenti. Io riflettei che qualsiasi cosa avessi detto con tutta probabilità si sarebbe persa tra i meandri della sua boria saccente: in fondo ero solo un moccioso e lui una persona adulta e matura…La sola idea che Cody dovesse avere a che fare giornalmente con un tale idiota mi fece ribollire il sangue nelle vene.
-Ascoltami bene, Luke o come diamine ti chiami.- mi disse sforzandosi di rispondermi senza alzare il tono della voce e senza aggredirmi, nonostante la sua idea fosse palesemente diversa in quel momento.- Potrà anche essere vero che non sono il padre più attento dell’Universo, e non ho mai preteso che fosse diversamente da così perché sono perfettamente consapevole dei miei limiti, ma direi che da qui ad essere additato da un perfetto estraneo come il padre peggiore dell’Universo ce ne passi.- mi fece notare con una cortesia fredda.
Ed io magari avrei dovuto valutare che in effetti aveva anche ragione. E quindi stare zitto ed uscire dalla stanza, chiedendo anche scusa per quella invasione non giustificata dei suoi spazi. Ma poi mi guardai attorno e catturai l’immagine di quello studio perfetto, chiuso come un castello delle favole arroccato sulla propria montagna, ed ebbi una visione precisa di quanto spessi potessero essere stati per Cody i muri che mi circondavano o di quanto potesse essere stato difficile per lui superare quella stessa soglia che ora fissavo senza vedere davvero, in attesa di varcarla di nuovo per uscire in un mondo reale a cui Brian Molko di fatto si negava. Almeno per ciò che riguardava la sua famiglia e suo figlio.
-…io penso di sapere di Cody più cose di quante ne sa lei.- sussurrai prendendo il coraggio a due mani e decidendo che, come che andasse, avrei detto esattamente la verità per quella che era.- E lo conosco da poco più di una settimana. Lei ci vive da quindici anni,- continuai imperterrito nonostante avessi visto con facilità il gesto d’impazienza con cui aveva accompagnato un sospiro rassegnato e gonfio a dismisura. Distolse gli occhi da me, ritenendo di avermi concesso sufficiente attenzione, e si rimise a fissare con ostinazione la propria scrivania, cercando febbrilmente qualcosa con cui impegnare la mente finché io non mi fossi deciso ad andarmene.- e non si è nemmeno accorto di quanto fosse splendida la canzone che ha scritto.- completai pacatamente.
Brian Molko lasciò cadere sul tavolo la propria agenda, che si richiuse di botto con un tonfo sordo.
-Lei era nella stanza di fianco, ma non si è neanche accorto che lui suonava.- proseguii impietoso.- So che ora con tutta probabilità sta pensando “quale canzone?” e poi magari “da quando Cody scrive canzoni?”. Ed io trovo questa cosa molto triste. Per lei oltre che per Cody.- ammisi annuendo, rifiutandomi io di guardarlo stavolta mentre lui tornava a puntarmi addosso due occhi che mi bruciavano la pelle.- E trovo triste che Cody non possa dirle della band e del concorso.- raccontai.- Trovo ancora più triste, alla fine, che Cody non abbia neanche bisogno di sforzarsi per non farle sapere del concorso e della band.
-…quale band?- mormorò una voce sforzata e bassissima.
Mi voltai.
-Ha importanza?- chiesi laconico con una smorfia di disinteresse.
Brian Molko scattò in piedi, spalancò la porta dello studio e si precipitò fuori. Attraversò rapidamente una casa che andava svuotandosi, mostrando gli ingloriosi postumi di una baldoria male organizzata, ma lui non vide nulla e non sentì nessuno. Spintonò un paio di ragazzetti che gli intralciarono la strada ed uscì nel giardino ormai semivuoto.
-Cody!- ringhiò chiamando il figlio.
Lui lo sentì. Ancora impegnato a convincere tutti dell’opportunità di dileguarsi in tempi rapidi. Mandò giù la saliva e respirò a fondo, mentre Amy lo fissava terrorizzata, girando lo sguardo da lui al padre, ritto sulla soglia di casa. Poi Cody raccolse il coraggio e si mosse, nello stesso istante in cui anche sua madre raggiungeva il marito e lo fissava, rendendosi conto che era più furioso di prima e che quindi doveva essere successo qualcos’altro rispetto a quando lo aveva lasciato pochi minuti prima.
-Papà, non è stata una mia idea!- ammise rapidamente Cody.
-Anche la band non è stata una tua idea?!- sibilò Brian spiazzandolo completamente.
Gli occhi di Cody si sgranarono, spaventati, e lui girò attorno uno sguardo spaesato.
-Chi te lo ha detto?- mormorò strozzato.
E quando mi vide apparire alle spalle di suo padre, intercettò la mia espressione colpevole e capì.
Lo sentii sospirare, tornando a fronteggiare la rabbia di suo padre con aria rassegnata, ed io mi sentii immensamente colpevole e stupido. Cosa avevo creduto di fare esattamente?!
-No, quella è stata una mia idea.- confessò recuperando coraggio e dignità e rimettendosi dritto di fronte al padre.
Lui sembrò non riuscire nemmeno a trovare le parole adatte per spiegare quello che provava. I suoi occhi si staccarono da Cody come se non ne tollerassero la vista e, mentre Helena tentava di farsi avanti e mettersi in mezzo, lui le fece cenno di non intromettersi e ritornò a scrutare attentamente il figlio.
-…mi odi così tanto?- realizzò improvvisamente.
Cody si strinse nelle spalle e si morse le labbra a sangue, ricacciando indietro quelle che erano lacrime e che vidi distintamente fare capolino sull’angolo delle sue ciglia. Mi resi conto che per lui quella serata doveva essere stata un autentico incubo ed io avevo appena fatto in modo che quell’incubo si concretizzasse nella forma che lui aveva sempre temuto di più.
-Te ne importa qualcosa?!- ritorse bruscamente Cody quando fu certo di poter parlare senza che la voce vacillasse.
Suo padre annuì.
-Sta bene.- disse freddamente.- Visto che ci tieni tanto ad avermi fuori dalla tua vita, starò fuori dalla tua vita per davvero.
***
In realtà, il senso esatto di quella minaccia mi arrivò dritto e preciso nell’attimo stesso in cui mio padre la formulò.
Fu la sensazione di freddo e di abbandono, che strinse alla pancia, a darmene la percezione. Lui si voltò senza aggiungere un’altra parola e, nel silenzio irreale di quel piccolo pubblico di spettatori che avevamo avuto, rientrò in casa senza voltarsi.
Sgombrai la villa con l’aiuto di mamma, di Luke e di Amy. Mike venne a dirmi che lui e Gab andavano via perché avevano una cosa di cui discutere, era torvo come nei momenti peggiori, quelli in cui suo fratello combinava un disastro dei suoi. Sapevo che in quelle condizioni non mi sarebbe servito averli con me e, visto che Gab non si era fatto nemmeno vedere, mi limitai ad annuire. Mike non ritenne necessario scusarsi per aver portato Nicky e CJ alla festa ed io, del resto, non me la sentii nemmeno di rimproverarlo: ero perfettamente in grado di capire da solo che sarebbe potuto succedere quel casino e, come precisò mia madre mentre rimettevamo in ordine quel che si poteva del saloncino sul retro della casa, la responsabilità era completamente mia.
Luke in compenso si scusò un milione di volte, cercando inutilmente di spiegarmi le proprie ragioni – che si perdevano da qualche parte nel discorso sconclusionato che la droga e l’alcool gli tiravano fuori dalla testa. Io cercai di rassicurarlo in modo scarno del fatto che non ero arrabbiato con lui. E non lo ero davvero, ma avevo decisamente troppi problemi nell’immediato perché anche lui entrasse a farne parte e stavo ancora metabolizzando il senso esatto di quella serata e dello scontro avuto con mio padre.
Così Amy recuperò Luke e salutò mia madre quando tutti quanti ci rendemmo conto che non saremmo riusciti a combinare altro per quella notte. Io li accompagnai alla porta e li salutai lì e mamma mi aspettò pazientemente, a braccia conserte, in fondo alle scale che portavano al piano di sopra.
-Sai che stavolta non la passerai liscia, vero?- mi disse.
Mi strinsi nelle spalle. Avevo sonno, ero amareggiato, confuso ed arrabbiato. Non m’importava davvero che lei mi punisse, pensavo, anzi, che mi avrebbe aiutato a sentirmi meno colpevole.
Ovviamente lei non mi punì affatto. Mia madre non ha mai avuto difficoltà a capire quello che mi frulla nella testa.
Aspettai inutilmente che continuasse, attendendo a capo chino che mi dicesse il modo in cui avrei dovuto scontare la mia bravata. Ma finì che semplicemente la sentii sospirare e sciogliere le braccia, sollevai gli occhi ed il suo profumo m’investì, mentre si piegava in avanti e mi baciava la fronte.
-Oramai sei grande, Cody,- sussurrò accarezzandomi una guancia.- puoi assumerti la responsabilità delle tue azioni senza che io debba necessariamente sgravartene.- affermò.
Rimasi fermo ai piedi della scala guardandola mentre risaliva lentamente i gradini, badando a non fare rumore per non svegliare mio padre, che si era ritirato a dormire nello studio come faceva ogni volta che qualcosa andava male. Quando lei fu sparita nel corridoio al piano di sopra, io rimasi comunque lì con gli occhi puntati sul buio che l’aveva inghiottita e mi chiesi di cosa stesse parlando.
…ma in realtà ne ero già consapevole.
Il pomeriggio del concorso si aprì con Gab che frugava nel mio armadio.
-Easattamente: per quale ragione devi essere tu a scegliere i miei vestiti?- obiettai io, mentre Gabriel scartava abiti come fossero stati caramelle, gettando occhiate critiche ad ogni singolo capo che gli passasse sotto le dita o sotto gli occhi.
-Perché tu non sei in grado di farlo.- mi spiegò in tono pratico. Continuando impietoso mentre studiava diversi paia di jeans a mio dire tutti uguali- Seriamente, Cody, tu non hai alcun gusto e, per quanto mi costi dare ragione a Mike, l’immagine è una necessità anche per le band rock.
Si voltò rapido e sfarfaleggiante come suo solito e mi tirò addosso con indifferenza il paio di jeans selezionato ed una maglietta marrone.
-Il tuo…stile- decise con qualche difficoltà arruffando il naso con aria palesemente perplessa ed affatto convinta.- è adatto ad un gruppo metal…o meglio ancora grunge! Qualcosa che gridi al mondo “siamo sfigati, ma molto intelligenti e conosciamo verità profonde della vita e dei rapporti umani che ci hanno segnato in modo irreparabile…a cominciare dal nostro abbigliamento”.
-Carino.- commentai io scansando di lato i vestiti ed osservando Gab annuire con convinzione, soddisfatto della definizione appena coniata, e poi rigettarsi nell’armadio aprendo i cassetti alla rinfusa e sparpagliandone il contenuto all’esterno.
-Ora cosa cerchi?- tornai ad interrogarlo, buttando un occhio, disinteressato, a pantaloni e maglietta al mio fianco sul letto.
-Gli accessori sono importanti quasi quanto i vestiti.- mi rispose lui pazientemente, esattamente con il tono che avrebbe usato con un bambino.
Sfoderò dal cassetto qualcosa che si aprì con uno schiocco poco rassicurante, liberandolo da una matassa di calzini, e poi lo fece sparire in una delle innumerevoli tasche che adornavano graziosamente i suoi di pantaloni. A quel punto passò all’esame della cassettiera di fianco all’armadio.
-Vuoi cominciare a vestirti o devo farlo io?!- sbuffò mentre, spostandosi, notava il mio atteggiamento poco collaborativo.
A quel punto fui costretto a sbuffare anch’io e tirarmi dritto, spogliandomi della maglia che portavo ed allargando quella che lui aveva scelto.
E che era marrone, estremamente attillata, decorata con un paio di righine sottilissime azzurre e bianche sulla fascia dei pettorali e dotata di uno scollo a V e di un paio di maniche cortissime e bordate di bianco. Quando me la ritrovai addosso, appiccicata alla pelle come se dovesse fondercisi e decisamente corta sullo stomaco, ne afferrai un lembo con aria poco convinta e tirai, osservandolo tornare al proprio posto irrispettoso di ogni mia volontà in senso contrario. Corrugai la fronte ma sfilai anche i jeans e misi quelli che Gab aveva preso: più scuri di quelli che usavo di solito, strappati sotto il ginocchio ed appena sotto il sedere…bassi in vita ed attillati sui fianchi da fare paura…
-…ma questa roba è mia?- mi domandai seriamente puntando gli occhi in basso per studiare la fascia di pancia che usciva dai pantaloni e dalla maglietta.
Gab si voltò, afferrò la mia immagine nell’insieme e mi scrutò con attenzione per qualche momento, durante il quale io pensai seriamente di strapparmi tutto di dosso. E cominciai anche a farlo, slacciando i jeans per sfilarli.
-Che cavolo fai?!- strillò Gabriel afferrandomi prima che potessi mettere in atto i miei propositi.
-Mi rendo presentabile!- affermai io categorico. E rimasi fermo mentre lui mi scansava via le mani da cerniera e bottoni solo perché mi accorsi di qualcosa di molto più preoccupante.- Uh, Gab!- gridai puntandogli un dito contro il viso.- Quella è matita?!- domandai terrorizzato.
-Sì.- rispose lui sempre con la solita pazienza “adulta”, scuotendo la testa.
Sfilò dalla tasca il qualcosa che aveva schioccato nell’essere liberato dal cassetto e dai calzini ed io scoprii che si trattava di una cintura a quadretti neri e bianchi di cui ignoravo totalmente l’esistenza e sicuramente la provenienza e che mi si strinse attorno alla vita soffocandomi insieme ai jeans stretti. Sbottai un fiotto d’aria, ma la cosa non valse ad impietosire Gab, che continuò felicemente a strattonarmi stringendo intorno ai passanti.
-Susu, sopravvivrai!- mi rassicurò sorridendo amabile e strozzandomi subito dopo nello stringermi al collo un pendente d’oro e avorio che mia madre mi aveva regalato al ritorno da un viaggio di lavoro in Egitto e che non ricordavo nemmeno dove avessi messo da allora.
Forse avrei dovuto ringraziarlo per averlo ritrovato, ma siccome rimasi completamente senza ossigeno al cervello me ne scordai.
-Bene!- sentenziò Gab mollandomi e facendosi qualche passo indietro per potermi osservare. Puntò un dito alla propria destra, in basso, ed indicò le scarpe a quadretti neri e bianchi che attendevano pazientemente di essere indossate.- Le Vans.- specificò per sicurezza.
-Sono scomode!- piagnucolai io.
-Perché ce le hai da tre mesi e non le hai ancora messe una volta!- ribatté lui arrabbiato, sollevando le mani sui fianchi.- Dopo tutta la fatica che ho fatto per fartele comprare!
Sbuffai che la fatica l’avevo fatta io a tollerarlo per un pomeriggio intero, dal quale ero tornato con della roba che non avrei mai utilizzato, ma mi trascinai fino alle scarpe e mi chiesi seriamente se anche maglia, jeans e cintura non fossero residuati bellici di quel pomeriggio di shopping. No, ma non mi ricordavo di aver preso niente del genere…quindi dovevo averli comprati in qualche altra occasione e per i fatti miei…Mia madre? A volte ci provava a…
-…Aaah!- strepitai quando il dolore che mi si espanse dalla radice dei capelli al resto del corpo mi trafisse così forte da farmi dimenticare anche di formulare il pensiero fino in fondo.
Gab tirò uno scappellotto alla mano che sollevai istintivamente a reggermi la testa e la allontanò così dalla spazzola con la quale stava impietosamente tirando le ciocche, nel tentativo di districarle.
-Ti capita mai di pettinarti?- mi domandò intanto.- Che so, una volta al mese…
-Mi pettino sempre!- ribattei stizzito.- Ogni volta che devo uscire. Ma non cerco di diventare calvo quando lo faccio.- aggiunsi riprovando a sollevare una mano per impossessarmi dello strumento di tortura che stava utilizzando contro di me.
Mi beccai un altro scappellotto, ma decisamente più forte e dato con il piatto della spazzola. Sbottai un “ahi!” istericamente convinto e ritirai le dita, massaggiandomele e soffiandoci su per far passare il dolore. Gab non mi badò e raccolse rapidamente l’intera capigliatura in una coda bassa, che legò morbidamente con un elastico nero.
-Voltati.- ordinò.
Ubbidii borbottando imprecazioni a fior di labbra e mi ritrovai la faccia di Gabriel appiccicata alla mia – ad una distanza a cui la sua matita intorno agli occhi era ancora più inquietante! – che mi studiava con aria professionale.
Sospirò pesantemente, socchiudendo gli occhi come se quella cosa gli costasse una fatica enorme e scrollò le spalle.
-O.k., ora sta fermo che ti trucco.- mi annunciò.
-…cosa?
Il resto fu un inseguimento da cartone animato tra i rimasugli dei miei vestiti, sparpagliati a terra, la poltrona accanto al letto, il letto stesso, la sedia della scrivania ed il mobile della TV. Gab continuava a ripetermi di fermarmi, invocando il mio nome in tono sempre più spazientito ed assicurandomi che quella cosa andava fatta, che tutti si erano sottoposti – Mike compreso – senza fare tutte quelle storie e che in fondo era solo un po’ di matita. Dal canto mio sostenevo fieramente che “in quanto maschio” non c’era nemmeno un motivo valido per cui dovessi ritenere che quella cosa “andasse fatta”, avrei protestato fino alla fine dei miei giorni, ed “un po’ di matita” era il principio da cui si passava prima di arrivare a…
Gab mi raggiunse e, complice uno sgambetto ben eseguito, un dannatissimo pantalone della tuta e la borsa della piscina che non avevo ancora spostato da giovedì – mamma mi raccomandava sempre di essere ordinato – riuscì a schienarmi ed a montarmi addosso. Afferrò nello stesso momento una matita nera che teneva accuratamente riposta in tasca e me la agitò davanti al naso mentre ancora io mi difendevo con le unghie – visto che per ovvi motivi non potevo muovermi e provare a morderlo.
-Piantala, Cody! Stai facendo un casino senza senso!- affermò Gab spazientito, ricacciando le mie mani per impedirmi di impossessarmi della matita e tentando inutilmente di liberarsi della loro presenza per poter raggiungere il viso.
-Non è senza senso!- strillai io sconvolto.- Sto difendendo la mia virilità!
-Tu non hai una virilità.- mi spiegò Gab scuotendo il capo.- Hai quindici anni! Come tuo padre quando ne aveva 26 con un po’ di trucco e di rossetto sembreresti una graziosa…
-NON DIRLO!- ruggii sollevando di scatto il busto e riuscendo quasi a rovesciarlo.
-Oh, insomma!- scattò lui, abbattendosi sul mio petto per rischiacciarmi in basso.- È una cosa che abbiamo fatto tutti e puoi fare anche tu! Se tutto il gruppo è truccato nessuno noterà che lo sei tu in particolare,- argomentò- e comunque è solo un po’ di matita!
Sbuffai imbronciato ma mi arresi all’evidenza che lui non avrebbe mollato. Così mi lasciai ricadere all’indietro e rimasi buono mentre lui sorrideva e si sistemava tranquillamente sulla mia pancia per trovare la posizione più comoda e portare a termine la propria opera.
-Sai, è per quella cosa del nome della band.- mi disse mentre litigava con le mie palpebre, tutt’altro che ben disposte all’idea di essere invase di colore e terrorizzate dalla prospettiva di una matita appuntita che gli si ficcava proprio all’interno dell’iride. Mi sforzai di rimanere immobile e con gli occhi aperti, ricacciando l’immagine di bulbi oculari sanguinolenti da dove era venuta.- Luke ha detto che era un’idea carina.- aggiunse felice come un bambino.
-Luke?- domandai io vagamente.
-Ahah.- ribatté Gab, tirandosi dritto per vedere se la linea sulla palpebra superiore fosse venuta come voleva.
-…e tu e Luke…- indagai discretamente, pensando che in effetti non gli avevo più chiesto nulla di quella storia.
Gab arrossì.
Fu una cosa strana vederlo diventare rosso, scoppiai a ridere e lui protestò che se mi agitavo avrei finito per fare un disastro. Mi scusai rapidamente, soffocando le risate e rimettendomi buono mentre lui passava alla palpebra inferiore.
-È finita che ieri l’ho baciato.- mi raccontò intanto.- L’ho trascinato in bagno e…
-Fermati quando diventa a luci rosse e mettici un “bip”, grazie.- richiesi prima che fosse troppo tardi.
Lui ridacchiò e riprese con un bel “bip” sonoro, al quale risposi sghignazzando anch’io.
-Fatto sta che adesso stiamo assieme.- continuò con semplicità cambiando occhio.
-Oh.- commentai io stupito.
-Sì, Luke è venuto da me stamattina facendomi tutto un discorso assurdo sul senso di quello che era successo ieri sera alla festa.- spiegò Gab perplesso, sollevando le sopracciglia.- Ha detto che lui non aveva voglia di essere con me come tutti gli altri, di usarmi come facevano gli altri…
-Quali altri?!- chiesi senza capire.
-Ah, non so.- ritorse Gab.- Luke si è messo in testa questa cosa che io sono una specie di donzella di cui tutti usano ed abusano liberamente.- disse.
-Sposta la matita.- chiesi io.
Gab fece come gli dicevo ed io ricominciai a ridere, con lui che mi veniva dietro sogghignando divertito. Quando mi calmai tornò al proprio lavoro per completarlo con la riga inferiore all’occhio destro.
-Beh, fatto sta che mi ha detto che lui a me ci tiene, che io gli piaccio e tanto e che, se volevo, potevamo stare assieme, perché a lui faceva piacere che io diventassi il suo ragazzo.
-Non si era capito, Perrington.- ridacchiai.
Gabriel annuì. Si sollevò in piedi dicendomi di stare buono ancora un po’ ed io tirai un respiro profondo mentre lui raggiungeva il bagno e ne riemergeva poco dopo con la boccetta del gel in mano. Quando mi si sedette addosso un’altra volta, ricominciai a soffocare spiacevolmente.
-Questi vestiti sono stretti e tu sei pesante.- affermai mentre lui armeggiava con il gel e con la mia frangetta.
-Sì, ma tu sembri un cane rabbioso e bisogna fare qualcosa per migliorarti o farai fuggire i giudici del concorso.- mi illustrò pacato lui, finendo di acconciare il ciuffo in modo che non mi finisse completamente sugli occhi ma fosse tirato di lato, ordinato.- Resisterà fino a stasera.- sospirò mentre contemplava l’opera terminata.
Si tirò su chiedendomi se volessi vedermi allo specchio, ma io risposi che se lo avessi fatto avrei finito per cambiarmi in fretta e furia e disfare tutta la sua sapiente opera di parruccheria e maquillage, per cui era molto più sicuro lasciarmi nella mia beata ignoranza.
Gab sghignazzò, deridendomi ferocemente, e scese per primo al piano di sotto, annunciando a gran voce che era stata dura ma era riuscito a rendere un essere umano anche me. Io sbottai un “vaffanculo” sentito, mia madre mi apostrofò con un “Cody!” scandalizzato uscendo dalla cucina e poi scesi la scala e mi ritrovai in mezzo allo stupore generale.
-Nyaaah!- commentò Amy con gli occhi che le brillavano.- Cody, sei un figo! Ma quando è successo?!- s’informò.
Pensai di mandare al diavolo anche lei, ma siccome mia madre adesso mi stava di fianco e mi guardava con aria estasiata, ritenni che non sarei riuscito a sopportare di vederle cambiare repentinamente la propria espressione in quella da “mamma è molto arrabbiata per il tuo linguaggio, ragazzino”. Per cui mi astenni.
-Bah.- affermai imbronciandomi.
-Dio, no, Cody!- scattò Gab.- Quella faccia da emo-boy levatela ora!- mi ordinò.- Siamo una band rock seria, noi!
Amy e mia madre scoppiarono a ridere e perfino Luke accennò una risatina, fissandomi di sottecchi come se stesse ancora decidendo quale dovesse essere la reazione giusta per quel cambio di stile.
-La volete piantare di prendermi in giro?!- indagai furioso, sollevando una mano per scostare il ciuffo di Gab, che mi dava noia con la sua rigidità studiata.
Lui mi allungò una manata elegante e mi fece capire con un’occhiata che mi avrebbe ammazzato per molto meno ed io desistetti.
-Andiamo, su.- ci incitò mia madre intanto.- Faremo tardi. Cody, avvisa tuo padre che stiamo uscendo, per favore.- mi disse prendendo le chiavi della macchina dal mobile all’ingresso e precedendo il gruppetto mentre usciva con lei.
Io tornai sui miei passi, correndo per quei pochi metri che mi separavano dallo studio, mi fermai davanti alla porta ed allungai le nocche per bussare. Dall’altro lato arrivava musica ad alto volume, una cosa molto meno tranquilla e piacevole di quella con cui mio padre lavorava di solito. Quando urtai il legno della porta, non mi rispose nessuno ed il suono si perse nel sottofondo musicale di chitarre che stridevano a tutto volume.
-Papà?- chiamai inutilmente. Mi resi conto che dal giorno prima non ci eravamo neppure incrociati. Sapevo che non era uscito di casa, ma non aveva pranzato con noi, né lo avevo visto in giro per tutta la giornata.- Papà, noi andiamo via…- provai a dire.
Ma quando mi rispose il silenzio arrabbiato della musica, capii esattamente il senso di quello che mi aveva detto la notte precedente.
 
Nota di fine capitolo:
 
Capitolo lunghissimo che preannuncia il termine della storia. Il prossimo è l’ultimo, tuttavia non vi lasciamo a bocca asciutta, cari lettori e lettrici! è_é
Pronte per voi ci sono ben due shottine, una ad opera della Lizzie ed una ad opera della Nai.
Linkeremo gli indirizzi alla fine del prossimo capitolo, così che possiate raggiungerle con facilità ^_^
 
Nel frattempo, approfittiamo per ringraziare Chemical_kira, Ginnyred e Martunza per le recensioni e per l’affetto, speriamo che la storia vi sia piaciuta fin qui! XD
Un bacio ed alla prossima!
  
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