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Autore: Tide    01/11/2014    1 recensioni
Episodio d'infanzia (più o meno plausibile) di Hannibal Lecter.
"Noi siamo zingarelle/ venute da lontano;/ d'ognuno sulla mano/ leggiamo l'avvenir"
(Traviata, atto II, scena X; Verdi)
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hannibal Lecter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~ZINGARELLE

Camminava nel bosco, ora osservando con interesse le foglie, ora cercando con gli occhi socchiusi qualche animale, ora passeggiando distratto, assorto.
Gli avevano detto di non allontanarsi e si stava chiedendo quanto ancora potesse procedere, quando sentì la musica di un flauto, uno scalpiccio di passi leggeri sul sottobosco. Alzò subito lo sguardo e vide sbucare serena da dietro un albero una bambina, più o meno della sua età, dai capelli scuri e spettinati sotto un fazzoletto ingiallito. Indossava vestiti vecchi e rovinati, soffiava piano in flauto fatto a mano, forse da lei stessa.
In quell’istante anche lei alzò gli occhi neri e di colpo smise di suonare. Fissò un momento il bambino, col visino serio e attento, senza togliersi lo strumento di bocca, poi riprese la melodia, si girò e con pochi, leggeri passi si rituffò tra gli alberi.
Il bambino rimase a fissare il punto in cui la zingarella era scomparsa, indeciso sul da farsi. Non avrebbe dovuto allontanarsi ancora …
Il suono del flauto si interruppe un istante, come in attesa. Poi riprese e il bambino decise di seguirlo.
Si teneva a una certa distanza e si fermava alcuni secondi quando intravedeva la bambina saltare da una radice o passare il ruscello. Probabilmente era perfettamente ignara di lui.
Poi la bambina lasciò ricadere il flauto sul petto e con uno slancio si gettò in corsa in uno spiazzo sgombro dagli alberi, chiamando
“Mamma, mamma!”
Il bambino si avvicinò affacciandosi da un tronco. Nello spiazzo era acceso un fuoco e intorno erano state allestite alcune baracche. Pareva una sorta di accampamento di nomadi, facile da montare, rapido da smontare, leggero da caricare su un carro.
In quell’istante la bambina volò tra le braccia di una donna dai capelli neri raccolti in una treccia, i vestiti trasandati, come quelli della figlia. La donna la prese in braccio e girò sbrigativa su sé stessa, dando uno sguardo diffidente al bosco intorno, poi entrò in una delle catapecchie con la bambina al collo.
Il bambino allora uscì un poco allo scoperto per osservare meglio le abitazioni, le armi da caccia lasciate distrattamente alla parete, le stoviglie da lavare e gli abiti stesi ad asciugare tra un fragile tetto e l’altro.
Passando attentamente lo sguardo sui muri di legno e lamiera, s’accorse d’una vecchia avvolta in uno scialle scuro, seduta tra due delle baracche, perfettamente mimetizzata. Lo stava guardando sorridente e gli fecce maternamente cenno di avvicinarsi.
Lui esitò un istante. Non aveva paura, ma trovava razionalmente inutile, sbagliato essere lì. Ecco: s’era allontanato troppo da casa. Ma ormai non poteva ritirarsi. Prese ad avvicinarsi e dalla casupola cominciò a suonare la musica del flauto.
Il bambino si fermò a un metro dalla vecchia signora e per un momento fissò serio il suo volto rugoso e i luminosi occhietti grigi che a loro volta lo osservavano.
“voi siete zingari?” le chiese infine, quasi come affermandolo. Il flauto s’era arrestato.
La vecchia annuì e gli fece cenno di sedersi su uno sgabello di fronte a lei. Il bambino obbedì.
“Da dove venite?” le chiese
“Polonia” rispose la donna con un lituano appena incerto
“è da molto che siete in Lituania?”
“Abbastanza”
La vecchia tese le mani verso di lui, a palmo aperto, con una particolare dignità
“Vuoi che ti legga le mani?” gli chiese
Lui esitò, poi posò le proprie mani in quelle della donna. La vecchia le trattenne delicatamente e le osservò concentrata. Il suo volto serio lentamente si fece quasi cupo. Gli chiuse le mani e le strinse tra le sue.
“Ascoltami, ragazzo” Prese a dirgli ferma, con una saggezza matriarcale “Dimmi: cosa fa un cucciolo se gli dai da mangiare?”
“Cresce.”
“Esatto, figliolo: cresce. Lo stesso vale per la vendetta, ricordalo. Tieni chiuse queste mani quando vorrai usarle. Mi hai ascoltato bene?”
Lui annuì, vagamente turbato.
La bambina era comparsa come un fantasma alle spalle della vecchia, da dietro la catapecchia; fissava seria il bambino, stringeva il flauto tra le mani, all’altezza del petto.
Il bambino tornò a guardare gli occhi grigi della donna , che lo ricambiava attenta, con fermezza.
“Ricordalo bene, ragazzo.”
Gli lasciò le mani e subito il bambino si alzò dallo sgabello. Per un attimo osservò la vecchia e la bambina, senza sapere come salutare, poi si allontanò rapido, mentre il flauto riprendeva a suonare. 
 
La Traviata fu un fisco alla prima rappresentazione. Verdi scrisse che qualcosa forse era dovuto all’opera stessa, ma sopratutto la regia e gli interpreti avevano avuto parte in tale risultato. Hannibal Lecter è convinto che a quella prima debba esserci stato anche un certo assortimento di gente inadeguata tra il pubblico.
Oggi la Traviata è l’opera più rappresentata al mondo e lui l’ha vista diverse volte a teatro, ma ogni volta c’è un momento che lo lascia particolarmente perplesso: quando al coro delle Zingarelle, nella decima scena del secondo atto, sotto le parole “ Noi siamo zingarelle/ venute da lontano;/ d’ognuno sulla mano/ leggiamo l’avvenir …” si aspetta di sentire il suono lieve di un flauto emergere disarticolato dall’amalgama orchestrale, benché ormai sappia benissimo che quel flauto non si sentirà. E alle volte si ritrova davvero a cercare di distinguere l’immagine nebulosa di un ricordo, ma appena se ne accorge abbandona il pensiero. D’altra parte se non lo ricorda, significa che non ha voluto ricordarlo.  

 

 





La mia domanda è: quanto è dovuto alle circostanze e quanto alla volontà?
Spero che la mia one-shot sia plausibile. Se così non fosse, allora spero che siate comprensivi voi.

   
 
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