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Autore: Aleena    02/11/2014    9 recensioni
C'è una strada che conduce alla libertà e una che porta alla morte,
Sono rosse, come le foglie d'Autunno. Come il sangue.
E io le sto seguendo entrambe.
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[Contest:
1a Classificata al contest "Sfumature d'amicizia" indetto da Red Wind e The_Grace_of_Undomiel
2a Classificata alcontest "Immaginazione e pacchetti CONTEST" indetto da halfblood22
3a Classificata al contest "ART TALK - Un contest olio su tela" indetto da ellie158
4a Classificata al contest "Momenti&Emozioni" indetto da DonnieTZ
7a Classificata al contest "Autumn winds" indetto da Chaotic Alaska e giudicato da DarkElf]
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IL SOGNO DELLA DONNA ROSSA



 

 

 

 
Capitolo I – Ricordi d'Autunno
  

 
  Come in un sogno Takrin si era ritrovata ancora a camminare lungo quel viale, avvolta strettamente nella logora giacca rossa. Sapeva che non c'era nulla di onirico in quello che la circondava: il crocchiare delle foglie secche sotto gli stivali vermigli era un eco in scala del rumore dei rami secchi sbattuti dal vento o che cadevano, morendo su un letto giallo e porpora insieme a ciò che restava dell'estate.
Si era lasciata la strada alle spalle da un po' e procedeva su un sentiero di campagna che saliva dolcemente, serpeggiando attraverso campi coperti d'erba indurita dal freddo, brillanti al sole del mattino. Alle sue spalle il rumore della strada si attenuava man mano, respinto indietro da quella brezza gelida che le scostava i capelli bianchi dal viso, ghiacciandole il respiro in nuvole evanescenti. Non era tipo da modernità, Takrin. Spesso, nel corso della sua lunga esistenza, aveva pensato di provare a salire su un'auto, ma la paura l'aveva sempre fermata. Preferiva camminare. Non la scoraggiavano i quaranta minuti di strada che avrebbe dovuto affrontare in quella gelida mattina di fine ottobre: andarla a trovare era uno dei suoi rituali più antichi e consolidati, forse l'unico che la teneva ancora legata a quel luogo – probabilmente l'unica cosa piacevole che le fosse rimasta del periodo più bello della sua intera esistenza.

Con un sospiro Takrin scosse il capo, cercando di cacciare via i fantasmi del tempo che cercavano ancora una volta di schiacciarla.


  «Se c'è qualcosa che non capisco è perché ti ostini a voler continuare a lottare per loro!» disse Astrea, fronteggiandola. Avevano il volto a un centimetro l'una dall'altra e si guardavano con un misto di ira e sorpresa, come se non fossero in grado di individuare nell'altra la persona che conoscevano da tutta una vita. 
«Loro sono la nostra vera fazione... i nostri simili! Per gli dei, perché non lo vuoi capire?» 

Takrin urlava. Astrea non l'aveva mai sentita gridare, ma dovette ammettere che l'altra ne perdeva in forza morale: era molto peggio quando la squadrava gelida e piena di disprezzo.
«Capire? Se c’è qualcuna che non vuole capire quella sei tu! Come fai tu a non rendertene conto? Ti stanno usando, Takrin! Vogliono il tuo potere, il tuo dono! Vogliono che ci uccidi tutti e poi faranno lo stesso a te. Sei troppo potente e intelligente per... »
«Per non rendermene conto? Oddei, Astrea, potrei dire lo stesso di te. Cosa credi, che ti lasceranno vivere nel mondo che stanno per creare? Che ti accoglieranno come se fossi davvero una di loro?»
«Io voglio evitare che altre città siano spazzate via da maghi e stregoni che considerano gli esseri umani meno che schiavi!» disse Astrea, accorata. Aveva il tono di chi cerchi di afferrare il vento, o di spiegare i colori ad un cieco.
«E vuoi farlo con la guerra?» domandò Takrin, sprezzante. Ora il suo tono era derisorio, intriso di un divertimento amaro. «Tu credi che sia giusto che noi moriamo per lasciare loro vivere?»
«Non deve andare così. Io... sono qui per trattare. Le loro condizioni sono...»
«Eque?» Takrin alzò le mani e spinse lontano da sé l'altra, con violenza, guardandola scivolare all'indietro, cercando di riprendere l'equilibrio. Era disgustata. «Vogliono il bando della magia, e aree controllate entro le quali rinchiuderci. Come bestie!» gridò, azzerando la distanza mentre in silenzio recitava un incantesimo. La sua mano destra prese a brillare di una luce verde, fredda e infetta.
«Non... loro... vogliono difendersi! Vogliono solo che bruciate i grimori, e...» Astrea incespicò, cercando la spada con una mano, freneticamente. Non la trovò: aveva accettato un incontro in stato di tregua e le armi non erano ammesse - almeno, quelle che fossero divisibili dall'ambasciatore.
«Lo so cosa vogliono. Ma noi non ci lasceremo uccidere» sibilò Takrin, muovendo la sfera acida fino a meno di un centimetro dal volto di Astrea prima di rendersi conto di cosa stava facendo. Tirò via la mano come se fosse stata lei stessa a ustionarsi e si allontanò, cercando il contegno che non si era resa conto di aver perso.
«Nessuno ha parlato di...» riprese Astrea, cauta. Era finita in ginocchio quindi provò a rialzarsi, lenta e circospetta.
«Quella è la nostra vita. L'Arte! E, per gli dei, sterminerò tutti gli esseri umani che oseranno solo tentare di portarmela via! Diglielo. Striscia da loro e diglielo!»


  Il muro alla sua destra terminò bruscamente, lasciandosi dietro solo qualche ciottolo verde di muschio. Takrin alzò lo sguardo come faceva sempre, sfidando quella luce troppo fredda e bassa per il tempo necessario a guardarsi intorno.La valle si apriva come un sogno, sinuosa e colorata come una vecchia coperta stesa su un letto sfatto. La luce del mattino ne illuminava i contorni, delineandoli con una nitidezza che aveva del divino. 
È in posti come questi che puoi trovare Dio, le aveva detto Astrea alla fine e solo in quel momento Takrin se ne era resa veramente conto - e aveva cominciato a osservare tutto con voracità, come una bambina che per la prima volta apre gli occhi. 
Tuttora, a distanza di secoli, continuava a sorprendersi della bellezza di quel luogo, che riluceva di pace e silenzio nonostante le ossa dimenticate che riposavano sotto la coltre di foglie e terra. Forse per questo sfidò il sole e sorrise, provando una scintilla feroce di quella che definiva pace... finché i rumori della battaglia non presero a risuonarle nella testa.


  «... per questo stanotte combatteremo. Per questo moriremo, cercando di portarci dietro quanti più invasori possibile!» tuonava Kars'ht davanti a loro, dritto e inflessibile come un dio vendicativo. Spire di luce verdastra circondavano le mani, il volto e il corpo dello stregone, rendendo la sua figura ancora più eterea e minacciosa.
Vuole spaventare tanto i nemici quanto gli alleati, pensò Takrin con rammarico, fermandosi un minuto prima di scuotere il capo. Era in prima fila, fra la delegazione della Torre Nera: qualcuno l'avrebbe di sicuro notata e il senso del discorso sarebbe andato a farsi maledire.
Non che fosse incoraggiante, secondo lei: trovava che le parole dell’Arcimago fossero un singolare miscuglio di vuoto e inutilità, troppo simili a quelle di un bravo politico - tanta scena, poca sostanza.
In fondo, lui è sempre stato più voce che braccio, si disse, e non poté impedirsi di sorridere.
Gasta le diede una gomitata, colpendola al ginocchio e facendole abbassare lo sguardo per incontrare quello del goblin, che la squadrava con l'aria di severo rimprovero. Takrin allargò di più il sorriso, sollevò le mani grigiastre in alto sopra la testa e fece partire un applauso. Dietro di lei esplose un boato di gioia violenta ed esultate timore. Compiaciuto, Kars'ht le indirizzò un cenno del capo e Takrin gli rispose sollevando il pungo in aria, un gesto che scoprì il serpente verde che le avvolgeva l'avambraccio, affondando i canini nel reticolo di vene al polso.
Il simbolo della Torre Nera. L'emblema dei Necromanti.
Vide il volto di Kars'ht irrigidirsi e se ne compiacque. Lasciò il braccio alzato fino a quando un mormorio basso e carico di timore le arrivò alle orecchie sensibili, quindi abbasso piano l'arto, voltandosi nuovamente verso il Maestro. Gasta aveva il volto livido e sembrava sul punto di scoppiare in una delle sfuriate che tanto l'avevano fatta piangere durante i primi anni alla Torre, ma si trattenne, conscio che una sola scintilla di caos avrebbe portato l'esercito allo sbaraglio.
«Se sopravvivi alla giornata giuro che ti strappo a frustate quella pelle grigia da bastarda dalle ossa. E lo farò senza usare la magia.» Il goblin aveva parlato con una vocetta bassa e stridula, talmente fievole da essere sovrastata dal sibilo degli amuleti e dalle voci che gridavano ordini. Gasta sapeva che Takrin l'avrebbe sentito: le sue orecchie fini, retaggio della sua metà oscura, erano ciò che le aveva fatto fare carriera all'interno della Torre. Quello, e il suo viso di una bellezza disarmante. 
«Ho sempre apprezzato la tua nota sadica, Gasta» disse Takrin, sorridendo ancora. Il goblin tentò di ribattere poi distolse lo sguardo, stizzito: per quanto fosse un convinto sostenitore della superiorità fisica delle femmine della sua razza, Gasta non riusciva a fare a meno di apprezzare i tratti di quella ragazza. Quel sorriso era sempre stato la sua debolezza.
Qualcuno li stava chiamando, invitandoli a radunarsi. Lei e gli altri ventuno adepti della Torre Nera vennero inviati a far da supporto al contingente ovest, quello meno esposto: avrebbero dovuto essere la barriera contro eventuali attacchi provenienti dai boschi. Takrin ne fu lieta: quegli alberi erano da secoli dimora di spiriti della natura, che gli Elementalisti o i Druidi avevano sicuramente già istruito. Qualunque nemico fosse penetrato fra quella boscaglia non ne sarebbe uscito vivo.
Siryo
Con un moto improvviso Takrin cominciò a correre scansando, senza troppa cura, chi le si parava davanti con un semplice gesto della lunghe dita affusolate, fino a raggiungere il piccolo avvallamento dove erano già riuniti i Druidi, intenti a recitare le loro preghiere alla Madre Terra.
«Siryo?» chiamò Takrin a voce alta, cercando di allontanare il senso di nausea e distogliendo più di un'apprendista dallo stato di concentrazione meditativa, guadagnandosi occhiate infuocate. Non se ne curò, come era suo modo. Se bastava una voce nel silenzio a farli perdere, come avrebbero fatto quando i sibili delle frecce e degli incanti, i tonfi delle macchine da guerra e delle esplosioni o le litanie di evocazione e i canti di guerra fossero arrivati a loro?
Non ci vorrà molto per saperlo, pensò, volgendo lo sguardo alla prima linea, dove già il combattimento infuriava. Stanno per essere messi alla prova, si disse e ne sorrise, sadica e divertita. Odiava gli inetti e i Druidi erano fra i più idioti e inutili esseri che il mondo magico avrebbe mai conosciuto. Figli della Terra! Come se a quel mondo fosse importato qualcosa di loro.
«Siryo?» chiamò ancora, stavolta a voce più alta, contrastando il senso di nausea e repellenza che i luoghi sacri le davano. Qualcuno la afferrò per una manica e la costrinse a voltarsi, prendendo poi a trascinarla senza alcuna grazia fino a un cerchio poco lontano. Allungando una mano rinsecchita, il vecchio Druido indicò la figura di un ragazzo, immerso nella Litania. Takrin si liberò dalla sua presa con uno strattone e, combattendo il disgusto e il dolore che l'attanagliavano, rimase ferma ad osservare il giovane, cullando in seno la soddisfazione di saperlo dalla sua parte. 
Aveva vinto, finalmente!
Fu quel momento di compiacimento a distrarla. Persa nel sapore di quella vittoria a lungo sperata, non si accorse delle parole che venivano pronunciate.
Così, quando il pugnale le carezzò dolcemente la gola come un morso gelido, Takrin provò una vera, intensa paura, quanta non ne aveva mai sentita dal giorno in cui era riuscita a fuggire dal sottosuolo.
«Ti colgo impreparata, amica mia? Questo si che è straordinario» disse la voce di Astrea all'orecchio di Takrin – che, in un lampo di ira e disorientamento, comprese. Come aveva potuto non capire cosa stavano dicendo? Aveva passato tutta l'infanzia nel loro stradannatissimo monastero!
«Cantavano per voi...» disse Takrin, immobile. Tese ogni muscolo allo spasmo, cercando di riattivare tutte quelle corde di difesa che aveva allentato per un momento, fatalmente – e li sentì: la sua gente che gridava, attaccata alle spalle dai soldati umani e dalle dita di roccia e legno evocate dai Druidi.
Tradimento! gridò una voce dentro di lei, e fu come se una forza sorgesse direttamente dal suo cuore spingendola a tutto pur di trionfare. Facendo appello a ogni briciola del potere innato che aveva in corpo Takrin evocò una barriera di acido che le bruciò carne e ossa, provando solo soddisfazione quando scivolò lungo l'arma di Astrea fino al suo braccio, cominciando a scavare. Gli occhi del serpente presero a brillare, impietosi e carichi di brama, mentre le piccole narici si dilatavano all'odore del sangue di amici e nemici che già cominciava a macchiare la terra vergine, trasferendo un brivido di desiderio e passione direttamente al cuore di Takrin.
«Buffo, non trovi? Stanotte sarà un anno preciso che non ci vediamo. Le tradizioni sono dure a morire, vero?» disse Takrin con odio, caricando un incanto silenzioso che le fece rilucere le mani pian piano. «Avresti dovuto uccidermi quando potevi farlo, Astrea! Ora, finalmente, salderemo ogni conto.»



 Chiuse gli occhi e rese omaggio, silenziosamente, alle anime che ancora vagavano su campi di battaglia dimenticati. Poteva vederle - era sempre stato il suo scopo - e sapeva che anche loro potevano, benché il tempo stesso li separasse.
Dunque chinò il capo e portò la mano alla bocca, alla fronte e poi, con un mezzo giro fluido, al petto, nel saluto rituale ai caduti. Uno di essi, un uomo dal viso duro congelato nell'atto di trafiggere il suo nemico, si voltò e le sorrise - un sorriso triste, carico di rimpianto e gratitudine.
Nessuno ormai li omaggiava più da secoli.
Nessuno ricordava.


  «Il mondo è degli umani, e loro hanno la memoria e la vita breve» disse Astrea con un sorriso triste. Takrin, seduta accanto a lei, si allungò quel tanto che bastava perché le sue braccia potessero avvolgere il corpo dell'amica. Astrea iniziò a piangere: lunghi singhiozzi frammentati, carichi di disperazione.
Sedevano nel cortile del monastero che tanti anni prima avevano chiamato casa a osservare le foglie dell'autunno che cadevano lente.
«Ma noi ricordiamo. Noi saremo qui per così tanti anni che la memoria di quello che siamo, di quello che abbiamo fatto e costruito, non scomparirà mai. E poi lo racconteremo ai nostri figli, e loro, a loro volta...» disse Takrin, cercando di consolarla. Non era capace a farlo e non era difficile intuirlo: le sue parole suonavano vuote, prive di convinzione.
«Non userai la mia stessa dottrina contro di me, vero?» disse Astrea tra le lacrime, improvvisamente sollevata. Strinse a sé le braccia dell'amica come fossero l'unica cosa vera in un mondo in rovina e si guardò intorno, sbattendo con le ciglia le lacrime via dagli occhi. «Dovremmo farlo ancora, sai?»
«Cosa?»
«Vederci qui. Come una volta. Dovremmo farlo ogni anno.»
«È già stato un miracolo che i Druidi mi abbiano fatta entrare questa volta. Se non fosse stato per Siryo io...» una pausa. Astrea non poteva vederlo, ma la bocca di Takrin si era piegata in un sorriso amaro. «Non posso tornare qui, Astrea. Loro mi odiano. E sospetto che la cosa sia reciproca.»
«Allora troviamo un altro posto. Qualunque! Voglio solo poter parlare in pace con qualcuno che mi capisce... che mi conosce!»
«Hai Siryo.» Takrin aveva la voce spenta, lontana. Senza che se ne accorgesse, le sue mani presero a scivolare via dall'abbraccio.
«Anche tu. E questo stupido triangolo deve finire. Io non lo voglio, Takrin.»
«E lui non vuole me.»
«Proverò a parlargli. Io voglio solo...»
«Smettila di fare i capricci, Astrea. Non si può sempre avere tutto, né sistemare ogni cosa! E poi lui è appena stato iniziato.» Takrin si mise a ridere, allontanando con un gesto violento Astrea da sé. «Nessun Druido vorrà mai avere a che fare con un Negromante. Loro predicano la vita, noi manipoliamo la morte. Se anche ci fosse stato futuro, per me e Siryo non potrà mai più esserci.» concluse Takrin con un'alzata di spalle che mascherava tutto il dolore, sminuendolo. Cominciò a muoversi lentamente, il mantello verde acido che le ondeggiava attorno alla vita.
«Fra un anno tornerai? Alla piazza, dove giocavamo insieme da bambine... ci sarai?» le chiese Astrea con disperazione. Takrin sollevò ancora le spalle e si allontanò, lasciandola sola.
Dall'altra parte del cortile, un giovane elfo dai capelli color malva si alzò e mosse due passi, incerto. Poi si sedette e sospirò. Aveva perso Takrin per sempre, ma non ora: lei gli aveva voltato le spalle già da tempo, il giorno in cui aveva lasciato il monastero per imboccare il cammino sacrilego dei Necromanti.
Astrea, però, non l'avrebbe mai accettato.



  Dodici passi e fu fra gli alberi, nuovamente. Non c'era però la campagna oltre, ma solo altra boscaglia, man mano più fitta. 
La macchia era lì da così tanti anni che, rientrandovi, Takrin sentì di ritrovare un vecchio amico trascurato, ma mai veramente dimenticato. Una lingua d'asfalto correva dritta davanti a lei, perdendosi nella prospettiva d'ocra nebuloso e apparentemente infinito.
Qui i colori cambiavano drasticamente, come per un volontario intervento: non erano più le tinte del marrone e del giallo a regnare, ma quelle del rosso. Porpora, carminio, scarlatto, cremisi, vermiglio... era il suo colore a regnare ora. 
Sorrise sollevandosi il cappuccio sul capo, a coprire i capelli candidi. 
E mentre la sua figura si perdeva nella variopinta uniformità del bosco in autunno, Takrin si sentì finalmente libera e viva.
Come una foglia caduta.


  Nel sottosuolo la vita era stata dura ma non l'aveva preparata di certo a quello che l'attendeva in superficie.
Sapeva bene qual era il suo ruolo nell'Underdark: tacere e servire senza mai alzare gli occhi o farsi vedere. Nessuno si aspettava che una mezzadrow come lei rimanesse in vita abbastanza da poter imparare a camminare da sola, eppure quel decennio c'era stata penuria di schiavi. Dunque lei puliva e si muoveva a testa bassa, avvolta nelle vesti grigie e stinte degli schiavi.
Indossare un abito colorato era stata la prima cosa che aveva fatto quando aveva conquistato la libertà. Takrin aveva sempre invidiato le Matrone Drow e i loro vestiti dalle tonalità cariche e sgargianti, che ostentavano camminando per le strade o nei salotti. Dunque quando la ribellione era iniziata e lei, furtiva e silenziosa come il suo sangue d'Elfo e Drow combinato la rendeva, era strisciata nella camera della sua signora e aveva tagliato la gola da un orecchio all'altro a lei e al suo amante nel sonno, non aveva resistito e s'era impadronita della prima cosa che aveva trovato, fuggendo senza osservare neppure cosa fosse.
Con quel pezzo di stoffa rossa aveva corso fra i dedali delle strade ed era scivolata nelle caverne oscure, dove i suoi occhi potevano vedere a breve distanza. Era emersa alla luce del sole che albeggiava e quella luminosità fievole aveva bruciato la pelle delicata che mai, in centotré anni, era stata esposta all'Astro della superficie.
I Druidi l'avevano trovata e curata. Le avevano insegnato a parlare e a tollerare il giorno, a non avere paura e a capire che il mondo non era quello in cui era sempre vissuta... e avevano provato a toglierle la stoffa dalle piccole manine di bambina per scoprire, poi, che nulla scatenava la furia della sua magia innata come cercare di sottrarle qualcosa che considerava suo.
Takrin non si fidava di loro – non si fidava di nessuno, per la verità. Vagava sola, aspettando il momento in cui sarebbe stata abbastanza grande e forte per andarsene, indossando la giacca rossa che aveva portato con sé dal sottosuolo. Una giacca da maschio!
L'ironia avrebbe potuto ucciderla.
Molte cose le erano rimaste dalla sua infanzia: un sarcasmo pungente, la convinzione che un Drow fosse sempre e comunque superiore a qualsiasi altra razza e la credenza che i maschi non erano altro che feccia inutile, se paragonati alle femmine – e forse era per questo che aveva legato con la piccola Elfa Astrea, che con lei aveva in comune metà della genia?
Eppure avrebbe indossato quella giacca perché l'aveva desiderata tanto, coi suoi colori feroci e vivi. L’amava. 
E poi, dalla fuga aveva ricavato solo una tunica di un celeste così smorto da somigliare troppo al grigio.

 

 
Piccolo spazio-me: Hola a tutti e ben ritrovati, spero. 
Ho pensato a lungo se aggiornare questa storia o no e alla fine ho deciso che si, aveva decisamente bisogno di essere rivista. 
L'ho corretta e spezzata, facendola diventare miniLong (una OS di più di settemila parole era pesante da leggere) quindi eccola qua. Rinnovata nella forma ma abbastanza invariata nel contenuto. 
Sto pensando di farne una long, tempo permettendo... incrociate le dite per me perché ho tanta voglia di fare e troppo poco tempo, ora come ora! :S
Tornando a noi, ho meditato a lungo sulle parti dei ricordi: avevo inizialmente pensato di mettere il passato in ordine sparso, creando una sorta di "via dei ricordi" che, solo alla fine, avesse un senso logico e potesse essere ricondotta alla storia della vita di Takrin ma, alla fine, ho deciso di metterli in ordine più possibile cronologico, cercando comunque di mantenere l'associazione "camminata-ricordo"... in fondo lei ripercorre la sua vita attraverso i dettagli che le vengono in mente mentre raggiunge il cimitero, e siccome lei conosce com'è andata mi sembrava illogico che potesse pensarli in ordine strettamente cronologico :D
Ok, ho scritto un pippone infinito :D Tutte le ispirazioni dei contest (che trovate nell'introduzione) sono servite a darmi l'idea - non mi era mai successo con così tanti imput diversi *_* - e sono abbastanza contenta di come sia venuta... spero sia piaciuta anche a voi! Fatemelo sapere mi raccomando!
Al prossimo capitolo! :) 
 
 
Grimorio: Libro di magia
Drow: splendidi ma malvagi elfi dai capelli bianchi e dalla pelle nera come l'ebano.
Elementalisti: Tipologia di maghi che esercita il controllo degli Elementali, creature leggendarie costituite da uno solo dei quattro elementi: acqua, aria, terra e fuoco.
Negromante: Mago o Stregone che esercita una forma di divinazione in cui i praticanti cercano di evocare spiriti o di riportare in vita i morti per varie ragioni.
Ars: la magia come viene definita da chi la pratica (“Arte”).

Mi trovate anche qui > RELEESHAHN
 
Credits: MilyKnight - Las-t - Kyoux (fateci un salto, ne vale la pena!)
 
  
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