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Autore: HeisWe    03/11/2014    1 recensioni
«Perché qualsiasi colore si trasforma in nero senza di te» sussurrai, parlando praticamente da sola.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa al Contest "Oscars EFPiani 2015" di Fandra.

Mentre leggete, se vi va, ascoltate questa canzone: The Man Who Can't Be Moved - The Script

The Woman in Black


Ero ferma davanti allo specchio da quasi mezz'ora, sul serio. 
Non riuscivo ad accettare di vedermi vestita così, di nero, di vedere nero ovunque: nei miei occhi, nei miei abiti, nei miei capelli, nelle persone che mi circondavano.

«Perché qualsiasi colore si trasforma in nero senza di te» sussurrai, parlando praticamente da sola. 

«Ellen, dobbiamo andare» mia madre mi risvegliò dai miei pensieri, per poi chiudersi la porta alle spalle lasciandomi di nuovo sprofondare nella mia solitudine. Ritornai a fissare la mia immagine riflessa di fronte a me, tentai un sorriso che si trasformò ben presto in una smorfia. 

«Non puoi pretendere che io sia felice in un giorno come questo, Caleb, non puoi» parlai con lo sguardo fisso nei miei occhi, come se da lì potessi vedere i suoi, ma riuscivo a vedere solo il nero delle mie iridi. Sì, ero una ragazza particolarmente.. nera. Avevo gli occhi più scuri che il mondo avesse mai visto, i capelli neri e, ironia della sorte, la carnagione chiara. 

«Bene, si va in scena.» Mossi qualche passo verso la porta, la spalancai ed entrai nel salone dove tutta la mia famiglia mi stava aspettando. Quando entrai, si girarono verso di me e mi puntarono addosso i loro sguardi carichi di compassione, odiavo tutto questo. 
«Possiamo andare?» chiesi, forse un po' troppo bruscamente, facendo annuire mia madre. Salimmo in macchina, diretti verso il cimitero, pronti per quella giornata da dimenticare. Ero seduta dietro, di fianco a mia madre e a mio fratello più grande, nell'auto regnava un silenzio di tomba, notare l'ironia

«Ellen?» mio fratello mi chiamò, prendendomi una mano tra le sue e rivolgendomi un altro di quegli sguardi pieni di comprensione che mi facevano sentire solo debole. Cercai di mostrargli la mia gratitudine sorridendogli, nonostante tutto provava a farmi capire che era lì per me. All'improvviso il paesaggio fuori dal finestrino cambiò, davanti a noi si aprì un campo brulicante di lapidi, un panorama davvero raccapricciante. Un brivido mi percorse la spina dorsale una volta scesa dalla macchina, mi strinsi nel mio cappotto nero e avanzai di qualche passo. Le ballerine scivolavano sul terreno bagnato dalla pioggia dei giorni passati, mentre mi avvicinavo lentamente all'entrata di quel posto così inquietante. Mi guardai intorno e incrociai lo sguardo della madre di Caleb, camminai verso di lei e la raggiunsi abbracciandola di slancio. Nascose il viso nella mia spalla, nonostante fosse molto più alta di me, nascondendo la sua fragilità dal resto del mondo. 

«Oh, piccola Ellen, sono così felice che tu sia qui. Non vedo l'ora di sentire il tuo discorso» si asciugò le lacrime mentre pronunciava quelle parole, interrompendo l'abbraccio e tornando la donna forte e fiera di sempre. Già, il discorso. 

«Ellen, sta cominciando» mia madre comparve alle mie spalle e mi invitò ad entrare nel cimitero con una mano sulla schiena. Mi lasciai portare, non del tutto sicura di riuscire a entrarci da sola. Lì, a pochi passi da me, chiuso in una cassa, c'era la persona che avevo amato e che tuttora amavo.
Cominciarono una breve messa in onore del defunto e io smisi di ascoltare, perdendomi nei miei pensieri e nell'atmosfera di quel posto. Cominciai ad immaginarmi le vite di tutte le persone ormai morte presenti in quel cimitero, sognai ballerine, cantanti, attori, scrittori, persone felici che avevano esaurito ogni scintilla di vita. 

«E ora, passiamo ai discorsi in onore di questo povero ragazzo.» Improvvisamente tutti gli occhi delle persone presenti si puntarono su di me, quasi invitandomi ad alzarmi e a parlare. Feci quello che tutti si stavano aspettando: mi scollai dalla sedia e mi diressi a grandi passi verso il piccolo altare allestito per l'occasione. A ogni passo mi sembrava di allontanarmi, i miei piedi erano pesanti sul terreno erboso e la mia testa era un groviglio di pensieri. Raggiunsi l'altare senza svenire o altro e mi aggrappai al bordo in legno per restare salda in piedi, solo a quel punto osai alzare lo sguardo sui presenti. Cercai un volto amico, qualcuno che sapesse infondermi coraggio, ma l'unica persona che era mai stata in grado di farlo era proprio quella per cui era stato organizzato il funerale. Presi un respiro profondo, contando mentalmente fino a tre e schiarendomi bene la voce, per poi cominciare. 

«Conosciamo tutti il motivo per cui ci troviamo qui riuniti oggi. Non avrei mai pensato di trovarmi in questa situazione così spiacevole, qui davanti a tutti voi. Con questo discorso non ho intenzione di affermare che il mio dolore è più grande del vostro, so bene di non essere nessuno per poter dire una cosa simile. Posso dire, però, che il mio dolore è grande e distruttivo ed è praticamente l'unica cosa che mi resta di lui.» Mi fermai un attimo per impedirmi di piangere, cercando di interpretare le emozioni che si affollavano sul volto dei presenti: dolore, tristezza, comprensione. 
«Probabilmente lui direbbe che non devo piangere, diceva che non piangeva mai. Io non gli credevo, tutti piangono, ognuno a modo suo. C'è chi cerca di trattenersi, chi invece piange con tutto se stesso, chi si nasconde e chi non si fa problemi a farlo in pubblico, e poi c'era lui, che non ammetteva mai di piangere.» A quel punto molti crollarono e lasciarono le lacrime scendere liberamente, tra questi c'erano anche i genitori di Caleb. 
«Faceva di tutto per vedermi felice, di tutto. Mi portava tutto quello che volevo, era una persona stupenda. Non si meritava tutto questo, neanche io mi meritavo questa fine. No, non sono ipocrita, semplicemente conosco i miei limiti e li ho già superati tutti. Vorrei solo tornare indietro, con lui, quanto eravamo felici. So che non potrà mai succedere, lo sappiamo tutti.» Feci un'altra pausa, era difficile sopportare tutto questo senza piangere. 
«Lui era tutto quello che di più bello avevo. Era una di quelle persone che si facevano amare, una di quelle che piacevano a chiunque ed era difficile da sopportare. Mettete insieme una persona gelosa e insicura e una persona amata da tutti, non possono esistere insieme. Io e lui, però, esistevamo, eravamo tutto, pensavo che niente sarebbe riuscito a separarci, come potete vedere in questo momento sono qui da sola. Lui era felicità, era battute stupide, chiamate piene di risate e sospiri, vuoti incolmabili, conversazioni serie e complessi stupidi. Era sorrisi, lacrime senza senso, gelosie distruttive, cambiamenti, giornate che sembravano così corte quando eravamo insieme, era emozioni indescrivibili. Era una persona fragile, una di quelle che puoi ferire con una sola parola detta nel momento sbagliato, ma non te lo diceva, non lo ammetteva e ti faceva stare col dubbio. Poteva annullare ogni tuo singolo errore nel momento in cui lo facevi se gli stavi davvero a cuore e per questo, per tutto questo, io lo consideravo anche forte. Era tra le persone più tranquille di questo pianeta, non si arrabbiava, non urlava, non mi insultava neanche quando ero io a farlo con lui, era così buono con me. Era il mio rapporto più bello, la mia conquista più grande, l'unico che poteva fidarsi incondizionatamente di me sapendo che non sarei mai riuscita a tradirlo. Se c'è una cosa che odio è proprio associare qualcuno alla perfezione, ma lui, non c'erano parole più grandi per descriverlo. Era immensità, umiltà, profondità, era amore e fedeltà, era esserci sempre e non lasciarmi mai, era farsi amare e ricambiare il favore. Era il mio presente per sempre, la mia costante, la mia ragione, parte di me. Era tutto quello che chiedevo dal futuro, era il risultato di tante piccole felicità insieme, era la mia poesia.» Mi bloccai, prendendo un respiro profondo, le lacrime che ormai scendevano incontrollate sul mio viso. Non avevo finito, no, potevo stare delle ore a parlare di lui. Guardai la folla, ormai tutti piangevano con me, scossi dai singhiozzi, disperati, si aggrappavano all'ultimo ricordo di quel ragazzo che io stavo dando loro, al ricordo che io avevo di lui. 
«Era quella persona che volevo vedere sempre felice, lui e la sua paura di litigare, tutte le volte che si faceva complessi sulla sua intelligenza, tutti i complimenti ripetuti all'infinito per farglieli entrare in testa. Era piani assurdi pur di vedersi, abbracci sulle panchine, quello che si rifiutava di darti la mano ma poi si lasciava convincere. Era giornate condivisi, mesi, anni condivisi, sorrisi insieme. Colui che ti incoraggiava sempre, non aveva mai una parola negativa per me. Era scuse ripetute mille volte e mai accettate, era gelosia dolce e sincera ma infondata. Era vita, dolcezza, compagnia, era tutto quello che di più bello esisteva al mondo. Era sentimenti veri, era certezze e presenza. Era qualcuno che ti ascoltava, qualcuno che non ti faceva pesare niente. Era un libro dalle mille pagine, ragazzo dai mille pregi e zero difetti, persona stupenda. E dopo tutto questo, come si dimentica una persona così?» Presi fiato, cercando di riacquistare un respiro regolare, rischiando di finire soffoccata dai miei stessi singhiozzi e dalle mie stesse lacrime. Il mio corpo era scosso da tremiti, piangevo incontrollatamente.

«E vi giuro, dopo tutto questo, dopo tutto quello che abbiamo passato, pronunciare tutti questi verbi all'imperfetto fa più male di qualsiasi altra cosa al mondo.» 


 


 

 


 



 

   
 
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