Capitolo IX – Colazione a Furipan
La
mattinata non era iniziata col piede giusto per lei.
Bulma
non aveva quasi chiuso occhio durante la precedente nottata e la colpa era di
quel sadico bastardo del principe dei
saiyan.
E
anche di Yamcha, visto che aveva avuto la geniale
idea di intrufolarsi nel castello pur sapendo che ormai ci abitavano anche
alcuni invasori.
Perché,
ne era certa, lui lo sapeva.
Anche
se erano ancora le sei del mattino, Bulma non era
riuscita a rimanere a letto un secondo di più. In parte, lo stare sveglia tutte
quelle ore le aveva fatto venire fame; in parte, l’incontro con Yamcha prima e quello con Vegeta poi l’avevano spinta a
riflettere seriamente su cosa volesse fare della sua relazione sentimentale.
La
voracità con cui stava ingurgitando i biscottini alla crema preparati da Mamanu il giorno prima era il segno visibile e tangibile di
quanto la scienziata, sempre molto attenta alla linea, stesse vivendo un
momento di crisi.
Il
buio, poi, che ancora albergava in quell’enorme sala da pranzo, non l’aiutava
affatto a ragionare serenamente.
Era
davvero quello che voleva dalla vita?
Le
bastava un fidanzato di bell’aspetto, ma immaturo e fifone?
D’accordo,
lei aveva sbagliato a non fidarsi del suo intuito; ma era pur vero che, da
quando conosceva Yamcha, quella era in assoluto la
prima volta che ci vedeva giusto su qualcosa.
E
che dire, poi, del fatto che l’aveva lasciata lì, in quel castello, invaso da
un esercito di pazzi assassini?
Più
passavano i giorni e più Bulma si rendeva conto che Yamcha non era l’uomo che aveva sempre sognato. Poteva
andar bene quando era ancora un’adolescente, ma ora che era una donna – alle
prese con degli alieni cattivi, oltretutto – un uomo come lui non poteva più
fare al caso suo.
Quasi
in quel momento Bulma si stupì di essersene
innamorata tanti anni prima.
E
poi, di bei ragazzi in giro ce n’erano a bizzeffe.
A
dirla tutta, gli stessi saiyan erano uomini molto
affascinanti – fatte salve le dovute eccezioni, come Napa.
Era
inutile girarci intorno: quei maledetti usurpatori si muovevano con una
fierezza e una sicurezza in sé stessi tali che era impossibile non rimanerne
ammaliati guardandoli. E, oltretutto, avevano anche dei fisici molto scolpiti.
Bulma
si era lasciata sorprendere più di una volta da Vegeta mentre lo osservava.
Il
principe, più di ogni altro saiyan, aveva un portamento elegante e regale. Si muoveva
come se fosse consapevole di avere il mondo sotto i suoi piedi e guardava i
terrestri con una sufficienza tale da mettere in soggezione anche il più
impavido – o pazzo – degli esseri umani.
Eppure,
con lei non si era più permesso un simile atteggiamento da quando aveva
riparato alla perfezione le sue astronavi.
Ricordava
benissimo quel giorno, quello in cui ebbe il dispiacere di fare la conoscenza
del principe. Gok… Kakaroth
doveva avergli detto che lei era una scienziata e lui l’aveva svegliata dal suo
sonno per costringerla a seguirlo.
Durante
la lunga camminata che l’avrebbe portata nella valle di Furipan,
a tutto aveva pensato, tranne che volesse una mano per sistemare quelle stupide
astronavi.
Non
che a Bulma gratificasse particolarmente collaborare
con il nemico, ma avere la possibilità di toccare delle vere astronavi aliene era per lei quanto di più ambizioso ci fosse
tra i suoi progetti di vita.
E
Vegeta, con quella richiesta, glielo aveva appena fatto realizzare.
Certo,
la convivenza forzata col principe era stata tutt’altro che facile, così come
complicato era stato spesso esaudire le sue assurde richieste. Ma lei, alla fine,
ci era sempre riuscita; e lui, volente o nolente, non aveva potuto far altro
che rispettarla.
Fino
al giorno prima, per lo meno, quando il rientro in scena di Yamcha
aveva mandato il sovrano della stirpe guerriera più potente dell’universo su
tutte le furie.
Avvolta
nei suoi pensieri, Bulma non aveva notato l’ingresso
di Chichi nella sala da pranzo.
Più
o meno, erano passati dieci minuti da quando si era seduta e il sole stava
iniziando timidamente a sorgere. Possibile che la principessa si alzasse sempre
a quell’ora?
Tra
l’altro, la giovane figlia di Giumaho sembrava essere
di pessimo umore.
Non
che le altre volte che le era capitato di stare a tavola con lei sprizzasse
felicità e cordialità da tutti i pori, ma almeno non aveva l’aria afflitta.
Bulma
bevve un sorso di tè, poi riempì un’altra tazza e la passo a Chichi.
Magari,
un po’ di gentilezza nei confronti di quella ragazza avrebbe convinto qualche
divinità a cavarla dall’impaccio di dover uccidere il suo fidanzato.
Chichi
aveva notato quel gesto da parte della scienziata. In altre occasioni,
l’avrebbe sicuramente mandata al diavolo, ma gli ultimi eventi le avevano fatto
capire che avere un caratteraccio non significava automaticamente essere più
forte e decisa.
Afferrò
la tazza e sussurrò un timido “grazie”.
«Tutto
bene?» chiese Bulma, notando lo strano atteggiamento
della ragazza.
No,
non andava tutto bene.
Quel
giorno avrebbe dovuto colpire Goku almeno una volta e, se non ci fosse
riuscita, lui l’avrebbe ammazzata.
Un’ottima
prospettiva di giornata, insomma.
E,
oltretutto, c’era pure il rischio che prima di toglierle la vita decidesse di
portarsela a letto.
In
quest’ultimo caso, il vero problema non erano le intenzioni di Goku in sé,
quanto il fatto che lei ci sarebbe stata.
Era
inutile negarlo. Più tentava di convincere sé stessa a odiare il saiyan, e più le tornavano in mente le sensazioni provate
durante il bacio che le aveva rubato.
Chichi
avvampò e cercò di nascondere il rossore abbassando lo sguardo.
«Sei
sicura? Ti vedo piuttosto strana, stamattina. Non ti senti bene? Magari hai
bisogno di prenderti una pausa degli allen…»
«Ti
ho detto che non ho niente, Bulma.»
«D’accordo.
Be’, avevi iniziato bene: sembravi un po’ più malleabile del solito oggi.»
Chichi
alzò di nuovo lo sguardo, quasi esasperata dalle chiacchiere insolenti di Bulma. Piuttosto, che diavolo ci faceva già sveglia a
quell’ora?
«Tu,
invece, non dovresti essere a letto come tutte le altre mattine?»
«Ah,
Chichi, pensi forse di essere l’unica ad avere delle
grane? Sono nei guai fino al collo e non sono riuscita a dormire. Ora vuoi
dirmi che cos’hai? Hai l’aria di una che sta per buttarsi sotto un ponte.»
La
principessa posò la tazza di tè, poi emise un lungo sospiro.
Bulma
non le piaceva affatto e, dunque, non le avrebbe detto niente di ciò che la
stava tormentando realmente. A dire il vero, non sapeva nemmeno se a farla
stare in quel pessimo stato fossero le minacce di morte di Goku o, piuttosto,
la consapevolezza di essersi innamorata di lui.
«Non
è necessario che ti preoccupi per la mia vita. So badare a me stessa.»
«A
guardarti così non si direbbe proprio. Che ha combinato Son Kakaroth?»
La
principessa trattenne a stento l’impulso di aggredire la scienziata.
Di
sicuro, però, non voleva darle la soddisfazione di farsi smascherare.
Sarebbe
stata l’ennesima umiliazione, oltretutto, e lei non poteva di certo permettersi
un’altra caduta di stile.
«Lui
non c’entra niente. Mi sono solo alzata col piede sbagliato, tutto qui.»
In
quel momento, Bardack e Kakaroth
fecero il loro ingresso in sala da pranzo.
Bulma
notò immediatamente come il viso di Chichi si fosse
fatto più contratto.
A
chi voleva darla a bere, quella sciocca ragazzina? Era chiaro come il sole che
era successo qualcosa. Un qualcosa che,
in qualche modo, doveva aver incrinato il rapporto tra lei e il suo protettore.
Ora
che ci pensava, Bulma aveva avuto il dispiacere, la
sera prima, di scambiare quattro chiacchiere col saiyan,
ma il suo pessimo umore le aveva impedito di prestare attenzione
all’atteggiamento di Kakaroth.
La
bella scienziata si voltò verso i nuovi arrivati, sorseggiando un po’ troppo
rumorosamente del tè.
Bardack
aveva il solito sguardo sprezzante e vagamente menefreghista. Quasi non si era
nemmeno degnato di posare gli occhi su di lei o su Chichi.
Possibile
che quell’uomo, già di prima mattina, fosse così dannatamente insolente e
affascinante?
Pareva
che lui non sentisse affatto la stanchezza o, quantomeno, quella sensazione di
affaticamento che si prova solitamente appena messo un piede giù dal letto.
In
fondo, era ancora molto presto e lei stessa, nonostante fosse in piedi già da
un po’, ancora faticava a tenere gli occhi completamente aperti.
Anche
Kakaroth sembrava già essere nel pieno delle energie,
nonostante il cipiglio severo – più severo del solito – che aveva.
Bulma
non fece immediatamente caso al suo sguardo corrucciato, ma ci mise comunque
poco ad accorgersi che anche lui, come Chichi, era di
pessimo umore.
Che
fosse colpa della principessa?
Quei
due dovevano aver combinato qualcosa.
Bulma
si voltò di sottecchi verso Chcihi che, all’arrivo
dei due saiyan, aveva posato sul tavolo la sua brioche.
E
non sembrava intenzionata a riprenderla in mano.
L’atmosfera
in quella sala da pranzo si era fatta improvvisamente tesa.
La
scienziata non riusciva a capire esattamente a cosa fosse dovuta quella strana
elettricità nell’aria, ma intuiva perfettamente che stava succedendo qualcosa.
Qualcosa
di buono?
Se
avesse dovuto azzardare una previsione basandosi sulle facce scure di Kakaroth e Chichi, Bulma avrebbe giurato che, entro la fine della giornata,
uno dei due sarebbe passato all’altro mondo.
Insieme
a Yamcha.
Accidenti,
ogni tanto tendeva a dimenticare l’ordine impartitole da Vegeta la sera prima.
C’era
poco da fare: doveva assolutamente dire a Crilin di
contattarlo e di intimargli di stare alla larga dal castello.
Kakaroth
non si era affatto svegliato col piede giusto e la crepa che aveva lasciato sul
frigorifero, richiudendolo dopo aver preso del latte, lo dimostrava in pieno.
Erano
anni che non gli capitava di passare una simile nottataccia.
Nemmeno
dopo aver ucciso il suo maestro Son Gohan aveva avuto
incubi tanto assillanti.
D’accordo,
l’idea di baciare Chichi si era rivelata pessima, ma
girovagare in piena notte per il castello di Furipan
era stata decisamente peggiore.
Già,
perché ora, oltre a quella dannata principessa, la sua testa non faceva altro
che pensare anche a suo padre.
E
alla puttana che si era scopato.
Che
diavolo gli era passato per la testa?
E
va bene, quelli non erano affari suoi, in fondo; ma ciò non significava che lui
non ci avrebbe riflettuto sopra. Era solo per sfogare i suoi istinti che Bardack era andato a letto con Mamanu?
A
rigor di logica, sì, perché era quello che ci si sarebbe aspettato da un saiyan – uno dei più potenti in circolazione, per giunta.
Il
vero problema era per quale assurdo motivo Mamanu ci
fosse stata.
Kakaroth
non era un idiota e sapeva che nemmeno la moglie di Giumaho
lo era. Sapeva anche che se Bardack avesse preteso
del sesso da lei, lo avrebbe ottenuto anche con la forza. Rifiutarsi, al caro
prezzo di rimetterci le penne, non sarebbe stata affatto una mossa
intelligente.
Qualunque
donna sarebbe scesa a simili compromessi pur di non perdere la vita.
Qualunque,
certo.
Ma
lui era convinto che per gli umani i sentimenti valessero più della vita.
La
propria vita.
Lui
era convinto che le donne terrestri, quelle dai principi più retti, ovviamente,
avrebbero preferito morire piuttosto che tradire il proprio uomo.
Mamanu
non gli aveva mai dato l’impressione di essere una moglie poco seria.
Che
anche lei avesse solamente recitato un ruolo?
Tra
l’altro, il giovane saiyan non era nemmeno certo che
suo padre l’avesse costretta.
Kakaroth
aveva osservato bene il suo sguardo quando l’aveva incrociata lungo quel
corridoio, e nei suoi occhi rilucevano due sentimenti contrastanti ma ben
definiti: la vergogna per essere stata smascherata
e l’appagamento.
No,
probabilmente Bardack non aveva usato violenza su di
lei.
Anche
Vegeta, nel frattempo, aveva fatto il suo ingresso.
Kakaroth,
nel guardarlo, ripensò immediatamente alle parole che gli aveva proferito la
scienziata la sera prima. Nemmeno lei doveva passarsela tanto bene a corte,
negli ultimi tempi, e il fatto che a quell’ora fosse già in piedi ne era la
palese dimostrazione.
Il
principe la osservò per qualche secondo prima di redarguirla.
Era
ovvio: il sovrano dei saiyan era piuttosto divertito
all’idea che Bulma non avesse chiuso occhio durante
la precedente nottata.
Era
pur vero, però, che da quando la conosceva, quella sciocca non aveva fatto
altro che ficcarsi nei guai in ogni modo. Sfidare il principe non era mai una
buona idea, nemmeno se si godeva del suo beneplacito.
Anzi,
forse a maggior ragione.
In
fondo, lui stesso era stato accusato da Vegeta di essere un doppiogiochista e sapeva perfettamente
che, dal momento in cui il principe aveva manifestato tale pensiero, gli occhi
di quest’ultimo su di lui si erano fatti più attenti.
Oltre
tutto, qualcosa da nascondere ce l’aveva per davvero, ed erano le sfere del drago; ma fino a che non
avesse deciso cosa fare di Chichi, sarebbe stato
meglio che quelle dannate palle di vetro restassero nelle mani del Supremo.
«Ma
guarda un po’ chi c’è. A fatica è sorto il sole e tu sei già in piedi?»
Vegeta
non era solito fare dell’ironia, ma evidentemente, in quella particolare
circostanza, lo cosa lo divertiva più del solito.
Tanto
più che Bulma non si era affatto lasciata intimorire
e aveva spostato, con aria di sfida, lo sguardo sul bel principe.
«Sai
com’è, qualcuno qui è molto esigente
e poco ci manca che da me pretenda anche la luna.»
Vegeta
non spense il sorriso beffardo che aveva in volto, nonostante la risposta
pungente della scienziata.
In
fondo, tutto si aspettava – e voleva – da lei, tranne che si dimostrasse una
rammollita.
Il
principe prese posto vicino alla scienziata, mentre, a poco a poco, anche gli
altri saiyan si mettevano a sedere.
Era
arrivato anche Napa, sebbene in ritardo, e l’insolita
faccia che trovò quella mattina non doveva piacergli per niente.
«Ah,
questa è bella! La scienziata è già
in piedi a quest’ora? Era ora che il principe ti mettesse a lavorare
seriamente!»
«Chi
ti ha detto di intervenire, razza di imbecille?»
Vegeta
riusciva a essere minaccioso anche quando parlava con estrema calma.
Come
aveva appena fatto.
Il
principe sapeva perfettamente che per zittire Napa
bastava qualche insulto proferito dalla sua bocca e raramente gli concedeva il
lusso di alzare lo sguardo su di lui, o addirittura la voce.
In
fondo, quel colosso era l’ultimo dei suoi pensieri e, probabilmente, la persona
di cui avrebbe dovuto preoccuparsi di meno tra tutti i presenti.
Ah,
già. Mancava Mamanum quella mattina.
Che
fine aveva fatto la moglie di Giumaho?
Di
solito era la prima a mettere piede nella sala da pranzo la mattina ed era
anche l’ultima ad andarsene, dato che provvedeva lei a pulire.
A
Vegeta quella donna piaceva molto poco.
Non
avrebbe saputo spiegare il perché di una simile antipatia a pelle, ma dentro di
sé era assolutamente convinto che Mamanu fosse meno
accondiscendente e fedele di quanto volesse far credere. Il principe aveva
imparato fin da bambino a diffidare di quelle persone che non avevano mai nulla
da obbiettare; era chiaro: tipi del genere erano o degli opportunisti o dei
menomati.
E
Mamanu, a occhio e croce, non sembrava appartenere a
quest’ultima categoria.
Il
fatto, però, che la donna non avesse mai opposto la benché minima resistenza
agli ordini impartiteli lo aveva in qualche modo messo in allarme.
Il
suo non sembrava di certo un comportamento coerente col ruolo che ricopriva.
D’accordo,
quel regno non era il suo, ma a Vegeta sembrava davvero strano che proprio non
le importasse niente. Piuttosto, era molto più probabile che stesse
architettando qualcosa, o che, per lo meno, sarebbe stata la prima a voltare le
spalle in caso di necessità.
Già,
ma voltare le spalle a chi?
La
risposta non sembrava essere poi così scontata.
Il
principe aveva osservato più di una volta l’atteggiamento di Mamanu nei confronti di tutti
gli abitanti – vecchi e nuovi – del castello ed era quasi certo del fatto che a
lei il ruolo di moglie dello stregone del
toro non fosse poi così gradito.
Ma,
probabilmente, da lì a dire che avrebbe pugnalato alle spalle il marito e la
figlia di quest’ultimo forse era troppo.
Forse.
Kakaroth,
nel frattempo, aveva appena frantumato la seconda tazza in pochi secondi.
Che
diavolo aveva quell’idiota?
Vegeta
alzò lo sguardo su di lui e si accorse che era piuttosto nervoso.
Nemmeno
a Bardack sfuggì lo strano comportamento del figlio,
tanto che lui e il principe si scambiarono un’occhiata d’intesa.
Chi
non batté ciglio fu Chichi, la quale evitò accuratamente
di alzare lo sguardo dal tavolo nonostante il rumore del coccio frantumato.
«Kakaroth, se sei tanto nervoso perché non vai a spaccare le
ossa a qualche terrestre nullafacente invece che prendertela con delle stupide
tazze e un frigorifero?»
«Non
preoccuparti, padre, è quello che intendo fare oggi stesso.»
Il
giovane saiyan si alzò dal proprio posto senza aver
quasi toccato cibo.
L’idea
di mettere in bocca i dolci preparati da Mamanu gli
dava improvvisamente disgusto.
In
un attimo i suoi occhi si posarono su Chichi, che
invece non sembrava intenzionata a ricambiare il suo sguardo.
Come
sempre.
Stupida,
inesperta e innamorata.
Di
lui.
Sul
volto di Kakaroth si delineò una smorfia di disprezzo
quasi impercettibile, ma che Vegeta colse benissimo.
«Credo
che tu abbia mangiato abbastanza, Chichi. Oggi è il
tuo giorno: devi dimostrarmi quanto vali.»
La
ragazza non rispose. Si limitò a lasciar cadere a terra le braccia in modo
rassegnato.
Subito
dopo si alzò.
Anche
se sapeva di essere spacciata, non avrebbe mai lasciato che Goku la chiamasse
più di una volta.
Fisicamente
era debole, certo; ma mai avrebbe voluto dimostrarsi fragile anche a livello
emotivo.
L’uscita
di scena di Kakaroth e Chichi
diede modo agli altri commensali di parlare di loro.
Era
da parecchio tempo che Vegeta desiderava mettere in chiaro alcune cose con Bardack circa suo figlio e lo strano comportamento tenuto
dal ragazzo quella mattina lo aveva convinto del fatto che bisognasse agire in
fretta.
In
lui c’era qualcosa di strano, qualcosa di anomalo
per un saiyan.
Vegeta
non aveva molti ricordi piacevoli del proprio padre, ma alcuni discorsi che gli
faceva quando era ancora un bambino o poco più li aveva ben stampati in testa.
Uno
di questi riguardava i saiyan mandati in missione su
altri pianeti quando erano ancora in fasce.
È raro che uno di quei
guerrieri torni sul pianeta Vegeta; ma se lo fa, è meglio che non ti fidi
troppo di lui. Un uomo del genere rimane saiyan
nell’aspetto, ma spesso il suo animo viene forgiato sull’onda delle abitudini
del pianeta su cui ha vissuto. E poco importa che lo abbia conquistato e
distrutto: un pezzo di quel pianeta rimarrà sempre in lui e sopravvivrà in
eterno nella sua anima.
«Credo
che quella ragazzina abbia fatto incazzare tuo figlio, Bardack.
Ah, mi chiedo come sia possibile che un saiyan si
faccia mancare di rispetto così! Vivere sulla Terra lo ha fatto diventare un
rammollito.»
«Io
invece penso che dovresti tapparti la bocca e osservare di più, Napa.»
Le
parole del principe, proferite con tono un po’ troppo serioso, ebbero il
curioso effetto di ridestare anche l’attenzione di Bulma.
La
scienziata sospettava già da tempo che a Vegeta Goku non piacesse poi molto e
il fatto che per la prima volta da quando lo aveva conosciuto si fosse deciso a
parlare di lui non poteva che essere un buon segno.
Se
fosse stata in grado di dare il giusto valore alle sue parole, magari avrebbe
potuto carpire al principe qualche utile informazione.
Qualche,
certo.
Doveva
ammetterlo: lei e Vegeta parlavano molto insieme, più di quanto si sarebbe
aspettata all’inizio; ma gli argomenti che toccavano non si allontanavano mai
troppo dalla scienza e dalla tecnologia.
Scoprire
che il principe dei saiyan avesse una cultura tanto
raffinata in materia di scienza, e che fosse decisamente più intelligente di
quanto ci si potesse aspettare sapendo che aveva trascorso gran parte della sua
vita a sterminare popolazioni innocenti, fu per lei un’interessante sorpresa.
Probabilmente,
nemmeno lui aveva immaginato che sulla Terra potesse esserci qualcuno in grado
di sostenere con lui conversazioni inerenti i bosoni e i buchi neri e ciò lo
aveva portato a cercarla più del dovuto.
E
anche a farla lavorare parecchio.
Dei
suoi compagni, però, il principe non aveva mai parlato.
Bulma
non sapeva esattamente quale opinione avesse dei suoi commilitoni.
Immaginava
che stimasse molto Bardack e che invece mal
sopportasse Napa, ma esplicitamente a lei non aveva
mai dato alcuna conferma di ciò.
Di
cosa pensasse esattamente su Kakaroth, poi, non
poteva averne la benché minima idea.
Da
quando i saiyan erano giunti sulla Terra, quella era
la prima volta che le capitava di vedere il principe e il protettore nella stessa stanza.
Che
si evitassero di proposito?
Forse.
Per
quel che ne sapeva lei era possibilissimo che tra quei due non scorresse buon
sangue.
In
fondo, Bulma aveva sempre avuto la sensazione che
Goku, in quella corte, fosse di troppo. Se non fosse stato per il legame che
aveva con Chichi, probabilmente Vegeta e Bardack nemmeno gli avrebbero permesso di restare lì.
E,
forse, nemmeno sarebbe stato un male.
Come
lei, Vegeta doveva aver notato che a Kakaroth quella
convivenza forzata stava un po’ stretta.
Bulma
non sapeva nulla dei rapporti tra il giovane finto protettore e la sua famiglia di origine, ma aveva il sospetto che,
in realtà, questi rapporti fossero
meramente limitati a qualche contatto via rilevatore.
E
se così fosse stato, non c’era da stupirsi che le cose tra lui e gli altri saiyan non andassero a gonfie vele.
«Non
so cosa abbia, principe. In parte, Napa ha ragione.
Oggi non si è comportato da vero saiyan e non ne
capisco il motivo.»
«Appunto,
Bardack, oggi.
Credo che il lato terrestre di tuo figlio stia iniziando a venire a galla e la
cosa, ovviamente, non mi piace per niente.»
Bardack
spalancò gli occhi.
«Questo
è impossibile, Vegeta. Non avrebbe permesso la nostra venuta se avesse avuto
dei dubbi su chi veramente volesse appoggiare.»
«Questo
lo so perfettamente. Rimane il fatto, però, che ancora non si sappia dove siano
le sfere del drago. Spero tanto di
sbagliarmi, ma credo che tuo figlio c’entri qualcosa. Tienilo d’occhio e, se
necessario, seguilo.»
Vegeta
non diede a Bardack il tempo di replicare.
Si
alzò di scatto e si diresse verso la porta, intimando a Bulma
di seguirlo.
La
scienziata preferì non intervenire nella discussione di fronte agli altri due saiyan. Dato che il principe si era concesso il lusso di
obbligarla a uccidere il suo ragazzo, avrebbe quanto meno potuto anche
rispondere a qualche sua domanda.
In
privato, però.
***
Il
modo in cui Kakroth si sbatté la porta della palestra
alle spalle aveva fatto sussultare Chichi.
Quel
saiyan era decisamente
più arrabbiato del solito.
Molto
di più.
Ma
che colpa ne aveva lei, in fondo?
D’accordo,
era debole; e d’accordo, si era anche lasciata baciare da lui. Ma di sicuro non
era stata lei a obbligarlo a fare una simile sciocchezza. Se davvero quel
maledetto bacio lo aveva reso tanto nervoso, bastava evitare di ripeterlo. In
fondo, lei non si sarebbe mai azzardata a tentare un approccio con lui di sua
iniziativa e il saiyan lo sapeva perfettamente.
Goku
non andò subito da lei, che, al contrario, si era già posizionata al centro
della palestra in attesa dei suoi attacchi.
Rimase
appoggiato alla porta per qualche secondo, con la testa bassa e i pugni
stretti.
Da
quando lo conosceva, quella era la prima volta in assoluto che il saiyan si comportava in quel modo.
La
rabbia che aveva in corpo trasudava da ogni poro della sua pelle e Chichi riusciva a cogliere perfettamente l’energia negativa
emanata dal corpo statuario del saiyan.
Kakaroth
stava perdendo il controllo.
Quella
situazione a Chichi non piaceva affatto.
Nonostante
il ragazzo avesse rivelato la sua vera identità già da qualche giorno, non le
era mai capitato prima di allora di sentirsi davvero in pericolo.
Nemmeno
quando l’aveva rapita dalla sua stanza e portata al cospetto di Vegeta.
La
cosa che più la preoccupava era il non riuscire a capire quale fosse realmente
il motivo di tanta rabbia.
Ce
l’aveva con lei?
O
con sé stesso?
E
se ce l’aveva con sé stesso, quale poteva essere il motivo?
Possibile
che quel bacio lo avesse sconvolto a tal punto da metterlo in crisi?
Se
così fosse stato, Chichi doveva sperare che
l’orgoglio di Goku non avesse la meglio sul suo buonsenso.
In
quel momento, la ragazza non sapeva come comportarsi.
Affrontarlo
e chiedergli cosa avesse non le sembrava un granché come idea, ma nemmeno aveva
intenzione di stare lì impalata in attesa che magari le tirasse un pugno in
faccia senza alcun motivo plausibile.
Perché,
ne era certa, presto l’avrebbe attaccata.
«E
va bene, Gok… Kakaroth. A
quanto pare ti sei alzato col piede sbagliato e, se l’intuito non mi inganna,
la colpa è mia. Vuoi che ti dica che mi dispiace? Se ci tieni lo farò; ma giuro
che non capisco perché tu ce l’abbia tanto con me.»
La
sua stessa presa di coraggio le aveva anche dato la forza di schiodarsi dal
centro della palestra e di avvicinarsi a lui.
Chichi
non era una codarda e, in fondo, era già nei guai fino al collo. Che differenza
potava fare qualche passo più in là? Se lui avesse voluto, le avrebbe fatto del
male comunque.
Tanto
valeva affrontare la questione.
Cosa
credeva, quello stupido guerriero?
Anche
lei si sentiva uno schifo per essersi lasciata baciare.
E
la sua posizione era decisamente più scomoda di quella del saiyan:
perché lei era la vittima e Kakaroth il carnefice.
Goku
avrebbe potuto liberarsi di lei in qualsiasi momento, mentre Chichi avrebbe dovuto aspettare con pazienza che fosse il
ragazzo a stancarsi.
Non
erano affatto pari, insomma.
E
non lo sarebbero mai stati se la ragazza non avesse trovato dentro di sé la
forza di affrontarlo a parole.
Tanto,
coi pugni non aveva alcuna speranza di batterlo.
«Mi
avevi detto che oggi avrei dovuto colpirti almeno una volta, Kakaroth. È questo che stai aspettando? Perché sto per
farlo. O, per lo meno, sto per provarci.
E pazienza se il mio colpo andrà a vuoto: se c’è una cosa che detesto è passare
per vigliacca.»
La
ragazza si avvicinò ulteriormente al saiyan e gli
tirò un pugno, usando tutta la forza che aveva in corpo. Non aspettò nemmeno
che Kakroth reagisse alle sue parole: vederlo ridere
divertito probabilmente l’avrebbe convinta a desistere.
E
lei non voleva.
Con
gli occhi chiusi e la bocca digrignata, Chichi si
avventò sul petto del saiyan e sferrò il suo pugno.
Un
pugno che, ne era certa, non sarebbe mai arrivato a destinazione.
Invece,
lo colpì.
In
pieno.
Il
silenzio che seguì a quel colpo fu più assordante delle ossa scricchiolanti
della mano di Chichi.
D’accordo,
probabilmente si era fatta più male lei del suo avversario, ma rimaneva il
fatto che lo aveva preso. O, meglio, Kakaroth si era
lasciato prendere.
Perché,
accidenti? Perché?
«Ora
sei contenta?» proferì a bassa voce il guerriero.
Lo
sgomento di Chichi fu tale che solo dopo qualche
secondo di imbarazzante silenzio riuscì a ribattere.
«Dovrei
essere io a chiedertelo. Eri tu quello che desiderava ricevere un pugno da me.»
«Sì,
certo. E come non ricordarlo!»
Kakaroth
non aveva affatto voglia di scherzare, ma di continuare quella farsa non voleva
proprio saperne. Quando aveva capito che Chichi
voleva davvero tentare di colpirlo, aveva preferito lasciarla fare.
Tanto
lo sapeva che da sola non ce l’avrebbe mai fatta.
Tanto
lo sapeva che quella ragazza era troppo debole.
Fisicamente,
certo; ma dentro di sé aveva una forza spaventosa.
Era
quello che gli umani chiamavano coraggio?
Lui
non era affatto sicuro di possederlo perché, in fondo, non gli era mai capitato
di affrontare qualcuno più forte di lui.
Chichi
lo aveva fatto, invece. Da giorni e giorni si lasciava allenare da un pazzoide
extraterrestre che in teoria avrebbe dovuto rubarle le sfere del drago.
In
teoria, appunto; perché, in realtà, non era più tanto convinto che gli
interessassero per davvero.
Interessavano
a Vegeta, ma quello era un altro discorso.
In
fondo, lui col principe dei saiyan non aveva nulla a
che spartire se non il sangue alieno e la consapevolezza di appartenere alla
sua stessa razza, da qualche ora a quella parte, non lo riempiva più tanto di
orgoglio.
Sì,
perché, per quanto i saiyan volessero far credere di
essere crudeli e spietati più di qualunque altra creatura vivente,
probabilmente le cose non stavano esattamente così. Che fino ad allora si
fossero mossi solo in base alla convenienza non c’era alcun dubbio, ma che
nessuno di loro potesse provare dei sentimenti diversi dall’odio, be’… forse non era del tutto vero.
Fino
alla notte precedente si sentiva in difetto perché aveva capito di non riuscire
a provare indifferenza nei confronti di Chichi; poi
aveva scoperto che suo padre – suo padre, accidenti! – si era
abbandonato ai piaceri della carne con Mamanu, la
matrigna della principessa e futura sovrana di Furipan.
Come
se ciò non bastasse, aveva il forte sospetto che a Bardack
Mamanu piacesse sul serio.
In
fondo, quando lui aveva baciato Chichi, aveva dovuto
faticare parecchio per non farle male. C’era un abisso praticamente incolmabile
tra la forza fisica di una saiyan e quella di una
terrestre. Se Mamanu era uscita intatta,
completamente intatta, da un rapporto sessuale con uno dei guerrieri più
potenti della galassia, evidentemente il guerriero in questione, per qualche
motivo, aveva deciso di andarci piano.
E
perché farlo?
Di
donne sulla Terra ce n’erano a bizzeffe.
Avrebbe
potuto scoparsi una puttana al giorno e poi lasciare il suo corpo a marcire
nella valle di Furipan.
Ma
non lo aveva fatto.
Aveva
preferito andare a letto con lei e lasciarla vivere piuttosto che godere delle
grazie di mille sgualdrine.
E
chissà cosa avrebbe fatto Chichi se lo avesse saputo.
Da
quel poco che aveva intuito, tra lei e la sua matrigna non correva affatto buon
sangue.
Non
che la cosa gli interessasse più di tanto, ma era certo che la principessa
avrebbe reagito parecchio male.
Ma,
in fondo, non aveva nessuna intenzione di dirglielo.
Per
quale motivo avrebbe dovuto farlo?
Quelli
non erano affari loro, né suoi, né di Chichi e, vista
la strana tensione che si era creata a corte nelle ultime ore anche tra Bulma e Vegeta, sarebbe stato decisamente più opportuno non
gettare benzina sul fuoco.
Già,
ma intanto aveva deciso di farsi colpire da Chichi.
In
parte le faceva pena, quella strana ragazza dalla forza fisica misera ma
dall’incredibile coraggio; in parte, però, provava nei suoi confronti anche un’inspiegabile
ammirazione.
Era
in gamba, più di quanto potesse sembrare prestando fede al suo pessimo
carattere, e, oltretutto, sapeva il fatto suo.
Forse,
aveva imparato a trattare con lui meglio di quanto egli stesso non si
aspettasse e, sempre forse, aveva già
capito che lui presto avrebbe vacillato.
«Be’,
non mi piacciono le vittorie facili, Kakaroth. Se
pensi che non valga la pena mettermi alla prova, ti prego di non farlo. Ma,
d’ora in poi, evita di prendermi in giro, per favore.»
«Prenderti
in giro? Io? Oh, andiamo…»
Il
saiyan si mosse finalmente dalla posizione in cui era
e avanzò di qualche passo verso la principessa. Le afferrò il pugno e, con
grande sorpresa da parte della ragazza, non le fece male.
Non
ce n’era bisogno, in fondo.
Ormai
sapevano entrambi chi era il più forte e Kakaroth aveva
capito che continuare a umiliare quella ragazza non avrebbe portato a niente di
buono.
No.
Perché,
evidentemente, il problema non era lei
ma lui, i suoi fottuti ideali, il suo
senso di lealtà nei confronti del popolo saiyan e la
terribile consapevolezza di aver preso un abbaglio.
Lo
stesso abbaglio che, probabilmente, aveva preso anche suo padre.
I
saiyan, come tutte le altre creature viventi,
potevano cedere.
E
lui, dannazione, lo aveva già fatto con Chichi.
Tanto
valeva andare fino in fondo.
«Ti
ho solo risparmiato l’ennesima umiliazione, Chichi.
Tanto non mi avresti mai colpito.»
«Lo
so perfettamente. E allora perché ieri hai preteso che lo facessi?»
«Perché
era arrabbiato con te e non è detto che mi sia passata.»
«E
saresti così gentile da spiegarmi che cosa avrei fatto di sbagliato?»
«Questo,
Chichi.»
Goku
si avvicinò ulteriormente a lei che, in modo inaspettato, non tentò nemmeno di
indietreggiare.
Le
sorrise beffardamente, ormai a pochi millimetri dal suo viso, e fissò con
disarmante intensità gli occhi neri e smarriti della ragazza.
Smarriti,
sì; ma comunque consapevoli di ciò che Kakaroth stava
per fare.
Di
nuovo.
Per
la seconda volta in due giorni.
Entrambi
erano pronti, anche se in maniera diversa, ed entrambi lo volevano.
Chichi
lasciò che il saiyan le cingesse la vita con un
braccio e che con la mano libera le accarezzasse prima il viso e poi il collo.
E
poi, ancora più giù.
La
mano di Goku scivolava con estrema delicatezza lungo la pelle nuda della ragazza,
mentre le bocche dei due giovani erano di nuovo unite in un bacio.
Le
dita del ragazzo sfioravano ogni parte del corpo di lei che non fosse coperto
dalla veste: le gote, il collo, la parte superiore del petto, il braccio
sinistro.
Solo
quando il bacio era divenuto più intenso e nessuno dei due fingeva più di
volerlo sciogliere, anche Chichi trovò il coraggio di
toccare il suo amante.
L’idea
che lui potesse rifiutare quel tocco appena accennato sul suo fianco la sfiorò
appena, ma svanì non appena si rese conto che Kakaroth
voleva lasciarla fare.
Fu
così che Chichi tentò di prendere la mano del saiyan, quella che la stava accarezzando con più
delicatezza di quanto non si aspettasse.
Riuscì
ad afferrarla ma non a tenerla stretta: quella mano era già scivolata più in
basso, lungo la tunica, e si era posata sul ventre della principessa.
La
porta della palestra si spalancò all’improvviso, facendo accelerare di colpo il
cuore di Chichi.
«Chichi, ascoltami, devo darti una notiz…
Ehm… Ecco…»
Farfugliava,
e ne aveva ben ragione.
Farfugliava
dall’imbarazzo e la cosa era ovviamente più che comprensibile.
Ma
di sicuro, quella più imbarazzata di tutti era lei, che si era vista
precipitare il suo amico dentro quella maledetta palestra mentre era
avvinghiata a Goku.
A
Kakaroth, anzi.
Al
nemico.
La
sorpresa fu tale che l’abbraccio tra i due non si sciolse subito.
E
se Chichi sembrava volesse sotterrarsi dalla
vergogna, Kakaroth pareva invece piuttosto
infastidito.
Quasi
furente, a dire il vero.
«Spero
che tu abbia avuto un motivo più che valido per recarti qui, razza di idiota!
Oppure devo provvedere nell’immediato a spedirti all’altro mondo?»
Crilin
ancora balbettava dallo shock.
Ok,
in fondo era prevedibile.
Cioè,
sarebbe stato prevedibile se Goku non fosse stato in realtà Kakaroth.
Ci
aveva pensato, qualche volta; si era accorto che Chichi,
quando ancora lo credeva il suo protettore,
si era invaghita di lui.
Però,
credeva che la cose fosse finita lì, che quel sentimento si fosse spento nel
momento esatto in cui il saiyan aveva rivelato la
propria identità.
E
le proprie intenzioni.
Aveva
fatto male i conti, evidentemente.
Aveva
preso un grosso abbaglio.
Il
guaio peggiore era che non sapeva assolutamente come comportarsi a quel punto.
Crilin
sapeva che anche Kakaroth era in quella palestra, e
sapeva anche che era stato lui a permettere alla ragazza di far sparire le
preziose sfere del drago. Non avrebbe
avuto problemi, insomma, a metterla a conoscenza di ciò che era successo in
presenza del saiyan.
Ma
non immaginava che tra i due ci fosse quel
tipo di rapporto.
Perché,
certo, lui stesso era stato il primo a fidarsi ciecamente di quel guerriero
sconosciuto; ma gli eventi lo avevano portato a ricredersi, purtroppo.
A
rigor di logica, lei avrebbe dovuto fare la stessa cosa.
Kakaroth,
nel frattempo si era allontanato da Chichi e si era
avvicinato a Crilin, afferrandolo per la maglia.
«Hai
deciso di farmi incazzare sul serio, nanerottolo? Che diavolo sei venuto a fare
qui?»
«Io… Io volevo solo informarvi che…
che mi ha contattato Popo e mi ha detto che le sfere del drago sono scomparse.»
CONTINUA
Angolo dell’autrice
Ciao
a tutti!
Scusatemi
per questo capitolo infinito.
Mi
era preso un attacco di “ispirazione”, ed eccomi qui, con l’ennesima prova della
mia infermità mentale. È un capitolo molto lungo, come avete potuto vedere, e
in gran parte introspettivo. Avevo bisogno di sviscerare le menti di alcuni
personaggi chiave per spiegare gli eventi futuri e quindi mi sono dilungata un
bel po’.
Avete
avuto modo di leggere le opinioni di alcuni protagonisti su altri. Forse non
era indispensabile fornire certi dettagli, ma credo che sia comunque importante
capire la psicologia dei personaggi. Vegeta è sospettoso praticamente di
chiunque, Kakaroth è in crisi esistenziale (e di
identità), Mamanu ha preferito non farsi vedere, Chichi alterna momenti di paura a vampate di coraggio, Bulma osserva e
studia la situazione, Bardack pensa a Mamanu, Napa pensa a sé stesso e Crilin… Arriva nel momento sbagliato (e con una pessima
notizia).
Una
svolta nella storia ci voleva, dopo tutto.
Per
ora, lascio a voi ogni congettura sulla sparizione delle sfere del drago.
Vi
mando nuovamente tanti baci e vi ringrazio di cuore!
9dolina0