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Autore: vogliocalum    04/11/2014    1 recensioni
Scarlett non avrebbe dovuto sentire il calore di un angelo nato all’Inferno e bruciare tra le sue fiamme.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Portò una fragile mano alla bocca tossendo ripetutamente. Rametti e residui di mozziconi di sigarette si scontravano con la suola piatta delle sue scarpe, emettendo rumori fastidiosi per il suo udito. Rivolse lo sguardo verso la strada non molto curata che sottostava a lei, poi sistemò una ciocca mora di capelli dietro l’orecchio.
Quei viali erano il suo rifugio quotidiano, si confondeva tra il verde delle folte chiome degli alberi, tra lo scroscio del vento invernale, attraversato da piccole goccioline tramutate in una sostanza solida.
Si adagiò su di un’altalena malandata stringendo con forza le catene in ferro che la reggevano. Sollevò un po’ di terra con le scarpe per fare in modo che esse non avessero nessun contatto con il terreno.
Schiuse leggermente le labbra assaporando il calore che le trasmetteva il vento. Il terreno era distante da lei, non apparteneva al mondo in quegli istanti in cui l’aria e il suo corpo avevano contatti violenti.
I bulloni che permettevano alla mora di prendere il volo cigolavano, ma ciò non la turbava molto, il rumore di quei giochi abbandonati dal mondo le piacevano, le facevano lo stesso effetto che un carillon faceva ad un bambino.
A volte si sentiva come loro, un giocattolo. Quella era l’isola dei giocattoli difettosi. La sua isola. Non si sentiva affatto perduta, provava reclusione e smarrimento quando stava tra quattro mura grigie. Lei voleva essere libera, era convinta che nessuno sarebbe stato in grado di sottometterla.
Passi pesanti scostavano le foglie tinte di colori freddi alle sue spalle.
-Questo posto è solo mio.-
Era roca quella voce che aveva rotto la campana di vetro in cui la mora era intrappolata.
Chiuse gli occhi chiari e face aderire la suola delle sue Vans nere con il terreno compatto. Si aiutò ad alzarsi facendo pressione con i palmi sulla superficie nera e liscia.
Evitò di voltarsi verso la persona ignota. Lo sconosciuto si era da subito guadagnato un posto tra la lista delle persone da ignorare della mora. Reputava scorretto giudicare la gente superficialmente, discriminandola, ma maturando con il tempo aveva constatato che per avere una vita serena quella era l’unica via.
Il contatto che il ragazzo aveva creato tra i due era avvenuto con un tocco leggero, quasi inesistente. Il braccio candido e fragile era nella morsa di una mano ambrata. Con un gesto reattivo scansò il braccio dal suo corpo e proseguì per il viale delle foglie magiche.
-Scusa.-
La voce aveva tramutato timbro, era triste, quasi malinconico. Era un sussurro debole e spezzato.
Non resistette alla tentazione, così volse lo sguardo verso la figura ignota. I suoi polpastrelli si sfregavano incessantemente e prese il labbro inferiore tra le grinfie dei suoi denti.
Si concentrò sul nero dei suoi occhi, non si soffermò a calibrarne ogni sfumatura, semplicemente perché quelle iridi erano solo nere. L’unico paragone che fu in grado di elaborare fu la pece.
Neri erano anche i capelli ribelli del ragazzo, ciuffi corti e mossi ricadevano leggeri sulla fronte abbronzata.
La guardava voglioso di una risposta, di un solo cenno con il viso. Ma lei era lì, ferma, fredda, si sarebbe potuta confondere con i piccoli coriandoli bianchi che volavano a mezz’aria per poi atterrare dolcemente al suolo e sciogliersi lasciando piccole chiazze bagnate.
Il viso scavato si stava lentamente sgretolando, gli occhi spenti ti raccontavano il suo passato, le labbra bianche erano morte e lontanamente screpolate.
La ragazza appariva così agli occhi del moro che rimasero fissi su quella figura esile.
Lei era un pezzo di ghiaccio incapace di trasmettere emozioni.
Lui una fiamma che bruciava alimentata dalla sua benzina.
-Ho detto scusa.-
Sospirò il corvino con un tono lontanamente seccato e condensando dell’aria vicino alle labbra carnose.
Il corpo ambrato era tenuto al sicuro da un maglione nero dalle lunghe maniche. Il colore della morte fasciava interamente il fisico a prima vista scolpito. Portò la sigaretta che teneva franca tra le dita alla bocca, poi schiuse quest’ultima lasciando che il fumo prendesse la stessa densità dell’aria.
Custodì le piccole mani candide nelle tasche della felpa tinta di un verde spento. La fioca luce dei lampioni si rifletteva sul viso logorato della mora.
-Non importa. Me ne stavo andando.-
Sussurrò con un velo di voce girando le spalle verso il moro e avviandosi a grandi falcate per il viale.
-Calum Hood!-
Quelle parole rimbombarono come una pallina nel flipper.
-Scarlett Atwood.-
Pronunciò quasi mormorando.
Fece aderire la stoffa del cappuccio verde ai lunghi capelli leggermente arruffati alla radice.
Il corvino incrociò le braccia al petto e spostò il peso del corpo sulla gamba sinistra.
Rise prima di schiudere le labbra e pronunciare:
-Dove pensi di andare?-
 
   
 
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