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Autore: Soe Mame    04/11/2014    3 recensioni
Sì, ci sarebbe riuscito.
Avrebbe svolto il suo ruolo in modo impeccabile, avrebbe onorato la parola data da Gakupo ai signori e non avrebbe mai più fatto alcun pensiero sulla signorina Len.
Sì, ci sarebbe riuscito, per tutti e sei i mesi.
Era spacciato.
Genere: Angst, Demenziale, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gakupo Kamui, Kaito Shion, Len Kagamine
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Tutti i personaggi appartengono ai rispettivi proprietari; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

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- ... cosa? -
Aveva sentito Gakupo fare un paio di passi avanti. Quando guardò verso di lui, si accorse che aveva gli occhi sgranati. E che avevano un barlume di vita.
La cosa lo rincuorò un poco.
Tornò a guardare Len, l'espressione immutata.
- Voglio che dimentichiate tutto questo. - aprì un braccio: - Questi mesi. Questo luogo. Queste persone. Me. Voglio che cancelliate dalla vostra mente qualsiasi cosa vi ricordi me. -
"Cosa?"
Le braccia tornarono lungo i fianchi: - Voglio che cancelliate ogni vostro ricordo di me. Come se fossimo tornati indietro nel tempo, ad un anno fa. Come se tutto questo non fosse mai successo. Voglio che mi cancelliate dalla vostra esistenza. Voglio che cancelliate qualsiasi sentimento abbiate provato per me. Positivo o negativo. -
"..." sentiva freddo sulle guance. Doveva essere sbiancato.
- State scherzando. - non era una domanda.
Len scosse la testa: - Voglio che dimentichiate. Voglio che mi dimentichiate. Sarò solo io a ricordare. Ricorderò ogni momento. Con entrambi. Felice o triste. Anche questo istante. Ricorderò tutto. Fino alla fine. Quindi... - si avvicinò appena, solo due piccoli passi. Guardava entrambi. Poi uno, poi l'altro. Per poterli guardare negli occhi: - ... cancellate i vostri sentimenti. Siate felici. -.
"... cosa?" aveva perso il conto di quante volte l'avesse pensato. Forse ad una decina non aveva neppure fatto caso.
- Pensate davvero che basti così poco? - ribattè, la voce uscì più rabbiosa di quanto avrebbe voluto: - Che ci diciate "Dimenticatemi" e, per magia, dimentichiamo tutto? -
Una risata leggera. Come lui aveva sempre immaginato la risata sinistra di un fantasma nei racconti dell'orrore: - Sarebbe bello se fosse davvero così. - Len alzò le spalle: - Sarebbe tutto più facile. Però, potete iniziare a farlo. A non pensare più a me. Pian piano, mi dimenticherete. -
- Non credo sia possibile. - sentiva di poter parlare anche per Gakupo. Non sapeva perché, ma era sicuro di sì.
- Sì che è possibile. - quegli occhi fissi nei suoi: - Voi potete cambiare. Incontrerete altre persone. Vi legherete a qualcun altro. E i ricordi che avrete con loro finiranno per cancellare quelli che avete con me. Dopo un po', mi avrete dimenticata. Quando non ricorderete più i miei occhi e la mia voce, allora mi avrete dimenticata davvero. -
- Io ricordo tante persone che preferirei non ricordare. - disse Kyte, piano: - E le ricordo fin troppo bene. -
- Ma voi siete stupido, Kyte. -
L'aveva sentita un po' troppe volte.
- Intendevo... - trasse un profondo respiro: - Avere nuovi ricordi non significa cancellare i precedenti importanti. -
- Sono sicura che ci riuscirete. -
- Potremmo non volerlo. -
Len trasalì. Sbattè le palpebre. Ma i suoi occhi rimanevano vuoti: - Perché non dovreste volerlo? -
Kyte lanciò un'occhiata a Gakupo. Sì. Poteva rispondere anche per lui.
Tornò a guardare davanti a sé.
Sorrise. Neppure lui sapeva perché. O forse perché quella risposta era l'unica vera verità: - Perché siamo stupidi. -
- Accetto di essere accostato a te solo in questo caso. - aggiunse una voce roca alle sue spalle.
Len chiuse gli occhi. Quando li riaprì, nulla era cambiato: - A questo non c'è rimedio. -
- Temo di no. - annuì. La voce stava uscendo stranamente calma. Dentro si sentiva andare in pezzi. E c'era un cratere all'altezza del petto. E una sensazione sinistra. Troppo brutta per poter essere vera. Troppo palese per poter fuggire di nuovo.
- Voi, piuttosto. - riprese: - Perché dovreste ricordare tutto questo? -
Len tacque.
- Perché voi dovreste ricordare e noi dimenticare? Siete stupido anche voi? -
- Non accetto di essere accostata a voi, in nessun caso. - sorrise. Quel sorriso vacuo: - Ve l'ho detto prima. Se voglio vivere, posso vivere solo qui. Come ho sempre fatto. Assieme a voi, sono stata davvero felice. - la mano andò al cuore, lo sguardo si abbassò: - Quando ve ne sarete andati, io tornerò sola. Come è sempre stato. Ogni cosa tornerà alla normalità. Però io voglio ricordare quei momenti in cui sono stata felice. -.
Il sangue si ghiacciò nelle vene.
"... calmati." non poteva farsi prendere dal panico. Doveva tenere la voce calma. Non poteva essere diretto. Non avrebbe funzionato. Quel luogo enorme e buio in cui Len si era perso era la sua mente. Doveva-
"..."
- Piuttosto che ricordare i momenti con noi, perché non ne create di nuovi? -
Vide quegli occhi azzurri sgranarsi, più innaturali di prima. E le guance arrossarsi: - Mi state prendendo in giro. Vi ho detto- -
- Perché potete vivere solo qui? - continuava a guardarlo negli occhi.
- ... siete stupido. - un sospiro frustrato: - Persino un bambino scemo lo capirebbe! Se mi scoprissero- -
- Voi volete nascondervi? -
- ... eh? - confusione, sotto quel velo opaco degli occhi.
Sentiva lo sguardo di Gakupo addosso.
- Ricordate? - sorrise. Fu spontaneo: - Quando ci siamo incontrati. Volevate vedere la mia spada- - "Quella di ferro." - -sguainata. E poi avete accettato il whiskey. L'avete quasi finito, in realtà. O quando avete provato i miei vestiti. -
Len era impallidito di colpo. Aveva fatto un passo indietro. Per un istante, gli era parso che le gambe appesantite dalle calze fradicie non l'avrebbero più sostenuto.
- Quello... - parlò piano: - ... era Len. Lord Len Mirror. -
Vide quelle spalle sobbalzare. Aveva portato le braccia conserte.
- Non perché maschio. - continuò, senza distogliere lo sguardo: - Ma perché ciò che voi volete è smettere di fingere ciò che non siete. -.
Len schiuse le labbra. Ma non uscì alcun suono.
- Non so quale sia il vostro vero desiderio. - confessò: - L'unica cosa che credo di aver capito è che voi non volete continuare a fingervi Lady Len Mirror. -
Quel "credo" lo aveva aggiunto solo per non sembrare invadente. Quella era una delle poche cose per cui si sentiva davvero sicuro.
Di nuovo il rumore lieve della pioggia.
- ... devo farlo. E' giusto così. - Len rispose dopo qualche secondo. La voce era terribilmente calma. Lo sguardo era di nuovo del tutto vuoto.
- Perché? - parlò prima che l'altro potesse ribattere: - Chi è che l'ha deciso? -
- Gente che sa come funziona qui. - sibilò Len: - Non voglio essere umiliata pubblicamente e venduta come giocattolo sessuale! -
- Chi è che ha detto che finirà così? - aveva freddo. Strinse i pugni, ma non si scaldarono.
- E' ovvio! - aveva alzato la voce.
- E' ovvio soltanto in un caso. -
- Vorreste forse dirmi che ci sono altri casi in cui questo potrebbe non succedere? -
- Tutti gli altri. -
- Quali altri? -
- Quelli che potete scegliere. -
Len si bloccò. Era come se fosse diventato muto per un istante. Poi la voce uscì come se l'avesse buttata fuori con violenza: - Io non posso scegliere niente. Non mi è concesso scegliere niente. E' così e basta. In eterno. -
Continuava a ripeterlo.
"Ci crede o sta cercando di convincersi...?"
Inspirò. L'aria era davvero fredda: - Sapete... - mormorò: - ... qualche tempo fa, una persona mi disse che non esiste nulla che rimanga uguale per sempre. Né il mondo né le persone. - affondò la bocca nella sciarpa, per un istante: - Tutto cambia. E' una cosa che è così e basta. - sorrise. Len lo guardava male, dietro quel vetro degli occhi. Proseguì: - Mi ha anche detto che tutto ha un'ombra. O più ombre. Grandi o piccole che siano. - alzò lo sguardo al cielo: - Ora le nostre ombre non si vedono. Forse perché sono mescolate all'ombra delle nuvole, che è più grande di tutte le nostre insieme. - tornò a guardare Len. Era sicuro si stesse chiedendo se non fosse impazzito all'improvviso: - Però, visto che tutto cambia, anche le ombre cambiano. Possono diventare più grandi, più piccole, o sparire proprio. O possono apparirne di nuove. Possono diventare così grandi da venirne divorati. -
- Se si viene divorati, ogni cosa finisce. - lo interruppe Len: - Quindi non potrà più cambiare. -
- No. - la voce usciva calma, non aveva idea del perché, ma era quello che gli serviva: - Cappuccetto Rosso e la nonna sono uscite dalla pancia del lupo. -
- Cosa c'entrano Cappuccetto Rosso e la nonna. -
- Sono due persone che sono tornate dopo essere state divorate. - era sicurissimo di avere un sorriso idiota.
- Se non fosse arrivato il cacciatore, sarebbero rimaste lì. -
- Sì. Non sono state solo loro ad essere state salvate da qualcuno. - non avrebbe detto oltre, a riguardo. Non con quegli altri occhi puntati contro.
- E dunque? - Len aveva ancora le braccia conserte, il tono freddo.
- Dunque il solo fatto che esistiate implica che voi siate cambiato. Tante volte. -
Gli parve avesse tremato, per un istante: - Vi sbagliate. Se anche ci sono stati, sono stati cambiamenti talmente minuscoli da essere invisibili. -
- Oppure... - sussurrò: - ... siete stato voi ad ostinarvi a fermare ogni possibile cambiamento. -.
La pioggia si era fatta più intensa. Non troppo. Non era fastidiosa. Ma la sentiva con più chiarezza.
- Cosa? - un sibilo velenoso.
- Il mondo non è questa casa. - disse, fermo: - Non è neppure questa regione. Siete mai andato fino alla mia città natale? Siete mai andato in Scozia? In Galles? In Irlanda? Nel Continente? Nelle Americhe? In Giappone? - Len fece un passo indietro: - Se anche l'aveste fatto, ci sarebbe ancora da vedere. Voi studiate il giapponese, ma non sapete neanche cosa c'è ad un centinaio di chilometri da qui. - vide qualcosa tremare, nel suo sguardo: - C'è un mondo intero in cui potete andare e voi siete convinto di essere imprigionato in una casa di campagna. -
- Voi continuate a non capire che io non posso fare ciò che fate voi! -
- Perché? -
- Perché vi ostinate a fare domande stupide? - la voce era fin troppo alta.
- Perché vi ostinate a fare ciò che vi dicono gli altri piuttosto che fare ciò che desiderate? -
Non sentiva più la pioggia. Era sicuro ci fosse, ma non la sentiva.
Sembrava davvero si fosse bloccato tutto.
Poi Len scosse la testa, senza staccare lo sguardo dal suo.
Nei suoi occhi era tornato qualcosa, fin troppo visibile.
Era terrorizzato.
- E' così che volete punirmi? Smettetela. - qualcosa contro il petto: - SMETTETELA! - un leggero dolore, poi un altro sullo stomaco.
Un altro più forte, un altro più debole, più fastidioso che doloroso.
Poi Kyte gli prese i polsi - la pelle era gelida come immaginava - e gli impedì di continuare a prenderlo a pugni.
Sentì che provava a liberarsi. Ma Len non aveva questa grande forza fisica e probabilmente, in quel momento, non aveva neppure abbastanza volontà per usarla.
Un fruscìo alle sue spalle.
Gakupo apparve dietro Len. Vide le sue mani posarsi sulle spalle, per poi stringerle appena. Dopo qualche secondo, con quello che sembrava un ringhio, Len lasciò le braccia molli nella sua presa e Kyte lo liberò.
- Len. - i capelli gli coprivano gli occhi: - Non si può dimenticare a comando. E neppure imporsi di ricordare. Soprattutto... - gli posò una mano sulla testa: - ... noi tre siamo essenzialmente stupidi. -
- Per voi non ho alcun dubbio. Soprattutto per voi, Kyte. -
- Io non credo potrò dimenticare ciò che è successo. Né ciò che c'è stato di bello, né ciò che è successo oggi. Non so quando o se sarò in grado di perdonarvi. - alzò gli occhi, incontrò lo sguardo chiaro di Gakupo. Poteva parlare al plurale di nuovo. Tornò a guardare Len: - Ci avete ferito. Le ferite fisiche guariscono in fretta. - sfiorò con le dita i graffi sulla metà del volto: - Le altre, invece, tendono a metterci un po' di più. Forse non guariscono mai del tutto. -
- Avete un libro per le frasi fatte da sfoggiare ad ogni occasione? -
- Una delle poche cose di cui sono certo, però... - gli scompigliò i capelli: - ... è che, se lo si desidera, si può avere un'altra occasione. Perché ogni cosa cambia. - sospirò: - Quando quella persona me lo disse, non capii una parola. Mi chiese anche di cambiare rimanendo come sono. Credo, semplicemente... - vide degli scorci azzurri tra le ciocche bionde: - ... che ognuno può decidere di fare ciò che vuole per poter essere se stesso. E il "se stesso" delle persone cambia a seconda di ciò che si vive. E' qualcosa che si influenza a vicenda. - cominciava a sentire un leggero mal di testa: - Credo. -.
Len alzò lo sguardo. Era esitante: - State cercando di dire cose troppo complicate per voi. -.
- Devo riconoscerlo. - abbozzò un sorriso di scuse: - Però, io non credo sarete mai davvero felice con solo un ricordo che si fa sempre più lontano. -
Quello sguardo tornò spaventato.
- E non credo neppure potrete mai essere felice qui. Così. - trasse un profondo respiro: - Voi sarete felice. Sono sicuro riuscirete a trovare la vostra felicità, se lo desiderate. Fosse anche ai confini del mondo. -.
La pioggia. La sentiva di nuovo.
- Sapete di fare ragionamenti stupidi. - mormorò Len: - E vi fidate dei vostri ragionamenti stupidi. E andate avanti seguendo i vostri ragionamenti stupidi. Siete una persona orribile. -
- E voi siete sfacciato e inoppurtuno. - accennò ad un sorriso.
Len abbassò di nuovo lo sguardo.
Poi si spostò, Gakupo lo lasciò andare.
Fece qualche passo, allontanandosi da loro. Alzò appena la testa. Guardava l'orizzonte pieno di alberi, davanti alla casa. O forse stava guardando qualcosa nello specifico. Kyte non ne aveva idea, Len non disse niente. Continuava a rimanere in silenzio, dando loro le spalle.
Non sapeva se avesse iniziato a piovere più forte o se solo in quel momento avesse iniziato a prestare davvero attenzione alla pioggia. Però non aveva più così tanto freddo. Assurdo, visto che si sentiva come se si trovasse completamente immerso nel laghetto - a parte l'essere in grado di respirare.
Len si voltò.
Stavolta la parte del viso che vedeva meglio era quella lacerata.
Gli parve di vedere le sue labbra appena curvate verso l'alto: - Quando avete intenzione di partire? -
- Domani. - Gakupo anticipò la sua risposta, la voce bassa: - Se stanotte smetterà di piovere. -
Un accenno di risata: - I miei genitori ve l'hanno permesso? -
- Ho già pagato quanto potrebbe essere necessario per eventuali riparazioni alla carrozza. E dato una mancia ad una persona abbastanza coraggiosa da farci da cocchiere in mezzo al fango. -
- Notevole, Gakupo-sensei. - Len si voltò del tutto. Sorrideva. Gli occhi non erano tornati come li aveva sempre visti, ma non sembrava una bambola: - Allora... - mormorò: - ... credo sia giunto il momento di salutarci. -.
Un brivido lungo la schiena. Non per il freddo, lo sapeva.
Len gli tornò vicino, lo guardò negli occhi. Sentì una mano ghiacciata sulla guancia.
"Avrei voluto salutarlo in una situazione diversa." si chinò e lo baciò. Anche le labbra erano terribilmente fredde.
"In realtà, non avrei voluto salutarlo affatto." gli passò le dita tra i capelli bagnati. Avrebbe voluto scioglierli, ma il nastro sembrava essere diventato di pietra.
Tuttavia, andava bene. Quello era un bacio di Len. Non della cosa che aveva le sue sembianze. Almeno quello avrebbe scacciato l'altro.
Quando si scostarono, sentì un muro. Non l'avrebbe più baciato, non l'avrebbe più toccato. Era una cosa che avrebbe desiderato fare ma, al tempo stesso, qualcosa che non avrebbe mai più voluto fare.
- Siete stato bravo, per essere un precettore temporaneo non madrelingua. Molto meno nel fingervi una persona dedita alle formalità. - un sorriso: - Però, grazie a voi, ora conosco il kanji di "banana". -
- Felice di esservi stato tanto utile. -
- Anch'io sono stata felice. - il sorriso si fece malinconico, per un istante, si spense. Len inspirò, tornò a sorridere: - Addio. -.
E si allontanò da lui.
Quando lo vide andare da Gakupo, Kyte distolse lo sguardo. Chiuse gli occhi. Non perché potesse far male. Non faceva più male. Ma era una cosa che riguardava loro due.
- Non era una cosa che avevo previsto. - la voce di Gakupo. Era triste.
- Sono stata in grado di cogliervi di sorpresa. - la voce di Len, una risata leggera: - Sono stata una brava attrice! - il tono era spezzato. Li aveva visti, prima, i suoi occhi. Arrossati.
- Se aveste messo tutto questo impegno nello studio, a quest'ora sareste al livello di un madrelingua. -
- Volete dire che non sono brava? -
- Avrei potuto valutarlo meglio se avessi avuto l'occasione di vedere i vostri compiti svolti. -
- Ogni tanto li ho fatti! -
- Ogni tanto. Sì. -.
Di nuovo il rumore della pioggia. Forse, più che aumentata, stava persino diminuendo. Non riusciva a capirlo.
- Era bello avere un precettore esotico e di bell'aspetto. E poterlo sfoggiare come accompagnatore ai balli. Mi avete fatta interessare alla lingua giapponese. -
- Avevo notato, oujo-sama. - forse aveva accennato ad un sorriso, amaro.
Poi ci fu di nuovo il silenzio. Ma era un silenzio diverso da quello precedente. Un fruscìo.
Forse si sarebbe dovuto sentire a disagio, imbarazzato o ferito. Ma non provava niente di tutto quello. Non era nemmeno vuoto. Solo, non si sentì affatto colpito, in nessun modo.
Un altro fruscìo, sentì di nuovo la voce di Len: - Anche se non riuscite a separarvi dal vostro lavoro principale, siete stato un bravo insegnante. Sono stata felice di avervi come precettore. - sentì dei passi nell'erba bagnata: - Addio. -.
Kyte tornò a guardarlo.
Len li guardò entrambi. Uno, l'altro. Di nuovo entrambi. Sorrise.
Poi si voltò e s'incamminò.
Andò tra gli alberi.
E scomparve.
La pioggia continuava a cadere. Chissà quanto forte.
- Credevo fosse giusto così. - la voce di Gakupo lo fece voltare verso di lui. Il viso era inespressivo: - Che fosse giusto che Ren vivesse come una donna. Non mi sono mai posto il problema che potesse non essere del tutto felice, così. -.
Kyte sbattè le palpebre: "... a me sembrava piuttosto palese."
- Stavolta... - un tentativo di accennare un sorriso: - ... sei stato tu a parlare anche per me. Per alcune cose. Altre non le avevo comprese neanch'io. -
- Non puoi prenderti sempre il ruolo di quello che sa parlare. - gli sorrise. La stanchezza tornò, di colpo. I vestiti erano pesantissimi, zuppi d'acqua fredda. Voleva tornare al caldo. Chissà che ore erano.
- Comunque... - Gakupo parlò di nuovo. Stavolta, il tono sembrava più tranquillo: - ... non credo che quella persona intendesse ciò che hai detto, riguardo il cambiare rimanendo se stessi. -
- Eh? - "Pensavo di aver capito! Non distruggere così le mie speranze!" - Cosa, allora? -
- Niente. - un sorriso pacato. C'era.
- Non puoi iniziare un discorso del genere e poi pretendere che io non ti chieda niente! Allora? Cosa? -
- Non ha importanza, Kaito. - gli posò una mano sulla schiena: - Hai già esaudito la sua richiesta. -
- Eh? - era decisamente confuso.
- Torniamo dentro. - plateale cambio di discorso: - Sempre se non ci siamo già presi il peggiore dei raffreddori. -
"... non me lo dirà mai." si arrese: - Sì. -.
S'incamminarono verso l'entrata della magione. I loro passi risuonavano nell'erba bagnata.
- Secondo te... - mormorò, ma era sicuro che l'altro lo sentisse benissimo: - ... quanto tempo ci vorrà prima di smetterla di fare incubi? - perché sapeva li avrebbero avuti: - E prima che i fantasmi smettano di perseguitarci? -
Gakupo sospirò: - Gli incubi e i sogni non sono qualcosa che si può controllare appieno. Neanche con talismani e preghiere. Quanto ai fantasmi... - chiuse gli occhi, li riaprì un istante dopo: - ... di loro non devi avere paura. Se ne sono appena andati. -
- ... eh? -.

Era rimasto solo il vestito rosso ed era stato costretto ad indossare quello - giusto per fare una partenza in grande stile.
I vestiti della sera prima si erano asciugati con il calore del camino, miracolosamente senza prendere fuoco. Quello gli era successo almeno due volte. Non era stato bello.
Quella notte aveva smesso di piovere. La strada era ora una scia di fango fresco in cui le ruote della carrozza sprofondavano di dieci centimetri buoni.
Si aggiustò il jabot scuro, scoccò un'occhiata a Gakupo. Anche a lui era rimasto il vestito rosso. Non erano abiti uguali, ma erano molto simili. Tuttavia, i duchi di Mirror dovevano essere abituati a vederli abbigliati allo stesso modo o quasi, quindi non fecero domande né parvero stupiti - o, più probabile, a nessuno dei due importava.
I suoi bagagli e quelli di Gakupo erano già stati caricati. Il duca e la duchessa erano in cima alle scale, assieme ad un piccolo gruppo di servitori, al maggiordomo e alla governante.
Più della loro noncuranza verso il loro essere vestiti quasi allo stesso modo, Kyte rimase più perplesso dalla loro noncuranza verso l'assenza di Len. Non fecero domande, non lo nominarono.
Forse avevano capito.
Il che avrebbe implicato che avessero prestato attenzione a qualcosa.
- Vi auguriamo buon viaggio! - disse il duca: - Con la speranza di rivedervi. -
- Vi ringrazio, mio signore. - Gakupo chinò la testa, Kyte lo imitò.
- Arrivederci. - salutò la duchessa: - I nostri ringraziamenti per il vostro servizio. -
- E' stato un onore, mia signora. -
Con gli ultimi saluti, lui e Gakupo salirono sulla carrozza. Quando la porta fu chiusa, i cavalli iniziarono a camminare, la carrozza si mosse con lentezza quasi esasperante.
Kyte sospirò. Non tirò la tendina, ma non aveva voglia di guardare fuori. Rimase con lo sguardo fisso davanti a sé.
- Secondo te... - esordì: - ... quanto tempo ci metteremo? -
- Minimo il doppio del normale tempo di percorrenza. - rispose Gakupo, pacato: - Per arrivare in paese, intendo. -
Kyte annuì.
Chiuse gli occhi.
Li riaprì, piano.
- Gakupo. -
- Sì? -
- Questa è una fuga? -
- Non c'è più niente da cui fuggire. -
- Mh. -
- Però... - la voce si abbassò appena: - ... abbiamo bisogno di cambiare luogo. -
- ... sì. -.

La carrozza divenne sempre più piccola, man mano che proseguiva. Poco dopo essere diventata un punto tra il cielo e i prati, scomparve nell'orizzonte.
Il pizzo delle maniche del vestito sbatacchiò contro le mani. Len rabbrividì. Faceva davvero freddo, lassù.
"Io non sono necessaria.".
Quando li aveva visti rifiutarlo, era stato sicuro che sarebbero stati spacciati: il loro mondo si era completamente distrutto e avevano rinnegato l'unica cosa che vi era rimasta integra. Avrebbero sofferto. Perché non era rimasto più niente. Le loro vite si erano svuotate. Avevano perso di significato.
Se avevano fatto quella scelta, allora lui avrebbe posto fine alla loro sofferenza. Avrebbe posto fine alle loro vite vuote.
Ma, quando era andato da loro, non aveva trovato nessuno nella camera di Gakupo. E, quando aveva socchiuso la porta della camera di Kyte, la verità l'aveva colpito come un pugno allo stomaco.
Lui non era necessario.
Quello che stavano facendo non lo stavano facendo per lui. Stavano benissimo da soli. In quella parte di mondo che avevano ricostruito così velocemente, un luogo da cui lui era escluso.
Sorrise al ricordo: - Eravate così belli... - non aveva provato dolore. Era come se quel pugno l'avesse stordito troppo per fargli capire tutto. L'unica cosa che gli era stata chiara era che lui non era necessario e che le loro vite non erano vuote. Al contrario della sua.
Un altro brivido lungo la schiena. Il vento si era alzato ancora di più, come se lì in cima al tetto non soffiasse abbastanza.
Abbassò lo sguardo. Era in alto. Davvero davvero in alto.
- Non ho un gran equilibrio... - sorrise, riportò lo sguardo lì dov'era sparita la carrozza: - Chissà se farà male. -.
Strinse la stoffa blu.
Ormai era tutto distrutto. Il suo mondo era andato distrutto un'altra volta, stavolta per sua volontà. Non era rimasto più niente. Gli unici brandelli se n'erano appena andati.
Era tutto finito.
Era quasi tutto finito.
"Manca soltanto un'ultima cosa." alzò lo sguardo verso il cielo. Il vento stava iniziando a soffiare via le nuvole. Sorrise: "Poi sarà davvero tutto finito. Per sempre.".
Tornò a guardare davanti a sè. Sulle guance bagnate sentiva più freddo.
- Anche se ora non sono più necessaria... - un sussurro: - ... grazie... - inspirò: - ... per avermi resa la regina dei vostri mondi. Anche se è durato pochi mesi. - chiuse gli occhi: - Sono stata davvero felice. - li riaprì.
Guardò il verde così tanti metri sotto di lui.
- Ora sarà davvero tutto finito. -
Aprì le braccia.
Il vento gonfiò la gonna blu.

L'odore salmastro del mare. Riusciva a sentirlo benissimo.
"Quindi non mi sono preso il raffreddore." Kyte sospirò.
Notò Gakupo tornare verso di lui, lo raggiunse. Il rumore degli stivali contro il legno della nave riuscì a sovrastare tutto il chiacchiericcio in sottofondo. Si impose di camminare più piano e di non cercare di spaccare le assi con i tacchi.
Non era davvero il caso che scattasse in quel modo. Ancora lo inquietava l'anche solo pensare di aver accettato.
- Quando partiamo? - chiese, forse con troppa enfasi.
Ma era rimasto chiuso nella stanza di una locanda per un giorno intero e in un paio di carrozze per un tempo imprecisato, era su quella nave da almeno due ore e ne aveva già percorso l'intero perimetro almeno quattro volte.
- Tra mezz'ora. -
Seconda ottima notizia della giornata dopo la sua inaspettata resistenza nonostante l'abbigliamento diversamente adatto agli agenti atmosferici in corso.
- Hai già visto la cabina? -
Kyte annuì: - E' più piccola di quella dell'altra volta. -
- L'altra volta ho avuto più tempo per cercare una nave adeguata. - Gakupo prese a camminare, lui lo seguì: - Stavolta ho dovuto prendere la prima che salpasse per Osaka. E ho anche avuto fortuna, visto che ne parte una ogni due settimane. -
- E come hai fatto a trovare una cabina disponibile? -
- Perché i motivi che potrebbero spingere qualcuno ad andare ad Osaka sono estremamente ridotti. A prescindere dalla nave che parte una volta ogni due settimane. -
"... anche lui ha ragione."
- Hai trovato qualcosa d'interessante? -
Gakupo era stranamente in vena di chiacchiere.
O forse era felice del fatto che avesse accettato di fargli da assistente. Kyte s'impose di non ricordarselo, almeno per un po'.
- Ci sono poche donne, su questa nave. La più giovane avrà trent'anni. O forse ha meno di nove anni. Senza vie di mezzo. - sbuffò, vide l'altro accennare ad un sorriso forse divertito.
- Piuttosto... - gli tornò in mente una cosa che avrebbe voluto chiedergli da molto tempo. Non aveva più avuto modo di ripensarci ma ora gli sembrava un'ottima occasione: - Gakupo... -
- Sì? -
- Tu sai di che colore sono i pesci abissali? -
Lo vide sollevare le sopracciglia, quasi non avesse capito. Pochi secondi dopo, però, la risposta arrivò: - Non lo so con certezza. Ma credo viola. -
- Uhm. -
"Ipotesi interessant-" si bloccò.
Erano passati due marinai e un gruppetto di passeggeri.
Poi una figura nera era entrata nel suo campo visivo.
Una persona, di schiena, appoggiata al parapetto della nave.
Era più piccola di lui. Aveva un cappello da cui sfuggiva una coda bassa. Bionda. Bionda piumaggio dei canarini.
Fece qualche passo nella sua direzione.
Anche Gakupo si era fermato. Anche lui guardava quella persona.
Forse avrebbe dovuto sentire un gelo improvviso. Ma non sentì niente. Solo il cuore contro il petto. Si era ricomposto, alla fine.
- ... Len? -
Due occhi azzurri, di colpo. Sgranati.
Uno era coperto da ciuffi biondi sfuggiti alla coda, o forse messi davanti per coprire metà del viso. Sopra il naso, riusciva ad intravedere un paio di cicatrici.
Era completamente vestito di nero, le rifiniture e i bottoni dorati. Un cappello con la visiera sottile, pantaloni, stivali alti, guanti, una cintura con appesa...
"Una pistola?"
Somigliava ad una divisa militare. Forse lo era davvero.
Soltanto, era addosso a Len di Mirror.
"Cosa...?"
Len di Mirror che si trovava in quello stesso istante sulla loro stessa nave.
E, a giudicare dagli occhi spalancati e dal pallore improvviso - nonché dal fatto che fino ad un attimo prima stesse tranquillamente guardando il mare -, non era lì perché li aveva seguiti.
Gli parve si fosse appena svegliato dalla dormiveglia. Diede un colpo di tosse - forse non per schiarsi la voce -, la mano chiusa a pugno davanti alla bocca.
Quando la abbassò, il suo sguardo si era fatto esitante.
- Buon pomeriggio, signor Kyte. -
"Signor-"
Quegli occhi azzurri andarono al suo fianco: - Konnichiwa, Gakupo-san. -.
La voce vibrava appena, nervosa.
E il naso era tappato. Ora che lo guardava bene, era anche arrossato. Quasi a volergli dare conferma, Len tirò su col naso.
"..."
- Buon pomeriggio... - parlò piano, indeciso su come rivolgerglisi: - ... Lord Len- -
- Signor- - Len tacque di colpo. Tirò di nuovo su con il naso, anche le guance erano diventate rosse: - ... signor. - lo guardò negli occhi: - Va bene "signor". -.
Sentì caldo, all'altezza del petto. Era strano. O forse non lo era del tutto. Gli veniva da sorridere. Non vide perché non farlo.
- Allora, buon pomeriggio, signor Len. -
- Konnichiwa, Ren-san. -
Scoccò un'occhiata a Gakupo, con un po' di disappunto: "... in giapponese si dice allo stesso modo sia al maschile che al femminile.".
Lui aveva la stessa espressione di sempre. Il tono era tranquillo. Sembrava stesse salutando una lontana conoscenza.
Quando tornò a guardare Len, lui distolse lo sguardo, lo riportò al mare.
Kyte riprese a camminare, insieme a Gakupo.
Quel calore piacevole era ancora lì.
- Mi sembra... - mormorò, anche se non stava esattamente parlando con l'altro: - ... di essere riuscito a fare qualcosa. -.
Era una bella sensazione. Gli sembrava quasi in grado di rimediare alle volte in cui era fuggito.
Sentì lo sguardo di Gakupo su di sé.
Si voltò verso di lui.
Era uno sguardo molto insistente.
- ... cos- -
- Siamo entrambi qui. -
- ... eh? -
Gakupo continuò a camminare come se non avesse parlato, lo sguardo verso il mare. Kyte capì che non avrebbe aggiunto altro.
"Perché ai giapponesi piace tanto dire frasi a caso?" ci pensò: "... forse non è qualcosa che riguarda i giapponesi in generale." sospirò, arresosi.
- Sei spaventato? - dopo pochi metri, Gakupo parlò di nuovo. Stavolta, non ebbe bisogno di chiedergli a cosa si riferisse.
Scosse la testa, sincero: - Tu? -
- Iya. -.
Non aveva paura.
Len era cambiato.
Quello, a lui conosciuto, a lui sconosciuto, era il suo vero se stesso.
Non c'era più niente da dover nascondere.
Non c'era più niente di cui aver paura.
- Comunque. - esordì, deciso.
- Sì? -
- Per me, i pesci abissali sono blu. -
- Sarebbe troppo scontato. -.

Si strinse nella vestaglia, continuò a frugare dentro l'armadio.
"Sono sicura che- AH!" tirò fuori la sacca nera che stava cercando. Era sicuro di averne una.
Fece una falcata larga, per evitare le schegge a terra, e raggiunse il pupazzo sul letto: - Se rimanessi qui, ti butterebbero via. - lo prese per la collottola e lo mise nella sacca: - Immagino sia scomoda. Scusami, ma non ho altro modo. -.
Gattonò sul letto, raggiunse la toeletta, spostò il doppio fondo del portacipria e prese la chiave della cassaforte. Un istante dopo, un comodino era a venti centimetri dalla sua solita posizione e un numero indefinito di banconote e pochi sacchetti di monete gonfiavano la borsa.
Andò alla porta, si bloccò sulla soglia.
Serrò la presa sulla maniglia.
Non si voltò.
Mentre camminava a passo svelto per i corridoi, più silenzioso che poteva, notò come il cielo si stesse riannuvolando.
"Anche se riprendesse a piovere, non potrei rimandare.".
Doveva fare in fretta. Non solo per la pioggia.
Ancora non sentiva il suo nome urlato e la porta della sua camera l'aveva trovata chiusa. Aveva un minimo di vantaggio.
Anche se non era sicuro di riuscire a sentire qualcuno chiamarlo, con il cuore che gli assordava le orecchie in quel modo.
Raggiunse la soffitta dell'ala est. Nessuno chiudeva a chiave le soffitte. Non sapeva neppure se esistessero le chiavi delle loro soffitte. Quando entrò, notò tre cose: non veniva aperta da minimo un anno; il quantitativo di polvere era molto meno di quanto avesse previsto; il soffitto era basso, ma lui riusciva a camminare senza doversi piegare - la cosa non gli piacque eccessivamente.
Non aveva idea di dove cercare. Ma qualcosa gli diceva che i grossi bauli in un angolo potevano essere un ottimo inizio.
Vi posò la sacca vicino e ne aprì uno - niente che avesse a che fare con le soffitte era provvisto di chiave.
"E' questo!" tirò fuori una camicia: "Se l'ho trovato al primo colpo, allora sto facendo la cosa giusta!".
Frugò nel baule, cercò di raccapezzarsi.
Sapeva nel dettaglio come si vestisse un uomo. Ne aveva visti rivestirsi due tante volte. Ma doverlo fare lui-
Per la seconda volta, ricevette un aiuto superiore: trovò un completo, con tanto di scarpe e accessori, proprio sul fondo.
Lo tirò fuori: "... sembra una divisa...".
Lo guardò meglio: "...
è una divisa.". Una divisa militare.
Datata, ma in ottime condizioni.
"... gli ufficiali..."
Scosse la testa. Valutò la larghezza e la lunghezza dei pantaloni - tremò un istante: forse erano un po' grandi, ma la cintura sembrava avere abbastanza buchi.
Gettò la vestaglia a terra, cercò di capire come mettere ciascuna cosa. L'unica sua certezza era che la camicia andasse direttamente contro la pelle. Tanto valeva mettere prima quella.
Toccò poi ai pantaloni, alla giacca - era più pesante di quanto avesse pensato -, quindi infilò i guanti - molto molto meno delicati di quelli che era abituato ad indossare - e gli stivali.
Mise il cappello, tirò fuori dalla camicia la coda bassa in cui aveva legato i capelli.
Recuperò la sacca, fece qualche passo.
Trattenne un verso di disappunto.
La camicia e la giacca gli stavano alla perfezione. Anche gli stivali si calzavano bene.
I pantaloni erano fastidiosamente attaccati alle gambe.
Gli sembrava di star andando in giro con qualcosa fasciato attorno alle gambe, che ne limitava i movimenti. Quando aveva provato i vestiti di Kyte - il cuore sussultò al ricordo -, non aveva fatto troppi passi, non si era accorto della sensazione strana e fastidiosa che dessero quei cosi.
"Come fanno a camminarci...?".
Un urlo in lontananza.
Fin troppo familiare.
"... mi hanno scoperta."
Raggiungere l'ingresso sarebbe stato complicato. Forse l'avevano già sbarrato. Forse l'avrebbero accolto puntandogli contro delle spade, per non farlo passare.
"... spade...?" tornò a guardare il baule: "... se la divisa era qui, allora..." alzò lo sguardo: c'era una mensola, nascosta nell'ombra. E sulla mensola c'era quella che sembrava una grossa custodia.
La aprì, piano.
"..."
Il fodero pieno di una spada, nero. Accanto, cinque pistole. In fondo, un sacchetto pieno di proiettili.
Chiuse le dita attorno all'elsa, piano. Rimise la sacca a terra, afferrò il fodero, sfilò la spada.
Il polso protestò.
"...
pesa?".
Era sicuro che una spada fosse pesante quanto un ramo della stessa grandezza. Invece doveva pesare almeno tre o quattro chili. "Pesa.
Pesa.".
Provò a tirarla su. Riusciva a muoverla senza problemi ma, quando provò a fendere l'aria, la lama andò in tutt'altra direzione e quasi gli si conficcò in un piede.
"... per questo tutti mi hanno sempre impedito di toccare delle spade...?"
Di certo, non avrebbe potuto usarla come arma di difesa. Non in quel momento, almeno.
Rimise tutto al suo posto. Osservò le cinque cose allineate accanto.
Ne prese una.
Non era leggera come una piuma, ma gli sembrava ben più manovrabile della spada. Non era sicuro della sua mira, però.
Un altro urlo.
Non c'era davvero più tempo.
Controllò che il caricatore fosse pieno - ovviamente no, ma non aveva tempo per rimediare -, prese il sacchetto e lo infilò nella borsa - sperando di non ritrovarsi a pagare in proiettili e a caricare la pistola con le monete.
Appese la fondina con la pistola alla cintura - processo più elaborato del previsto - e uscì dalla soffitta.
Ora veniva la parte difficile.
Il cielo era di nuovo del tutto annuvolato. La pioggia sarebbe reiniziata di lì a poco.
Non avevano ancora acceso le candele: i corridoi erano bui.
I domestici avevano bisogno delle candele per vedere, le zone di luce gli avrebbero permesso di notarli prima che loro notassero lui.
Di sicuro doveva esserci un folto gruppo davanti alla sua camera; per quel piano, sarebbe dovuto passare dalla parte opposta.
Il piano più alto non fu difficile. Non incontrò nessuno.
Al piano successivo, riuscì a non farsi notare da ben due persone, nascondendosi in un angolo buio alla prima e cambiando direzione alla seconda - il bello dei piani continui.
Arrivò il piano con la sua camera. Troppo vociare. Come aveva immaginato.
Prese la direzione opposta alla sua stanza e corse. C'era davvero troppa gente. Se fosse andato piano, prima o poi qualcuno l'avrebbe scoperto. Tutte quelle voci, in compenso, potevano coprire il rumore di una corsa - e il tappeto attutiva il suono dei tacchi.
Scese le scale più in fretta che potè.
"Più facile del previst-"
Una luce lo illuminò.
Si bloccò.
Un istante, prima di riuscire a vedere il volto incredulo della signorina Johnson. La guardò negli occhi perfettamente rotondi. Lei non emise suono, anche se aveva la bocca aperta.
Non aveva urlato "al ladro". "... mi ha riconosciuta." ecco perché quell'espressione.
La aggirò e proseguì verso il piano inferiore.
"LA SIGNORINA STA FUGGENDO!"
Per l'appunto.
Si rannicchiò in un angolo buio non appena vide delle luci in lontananza, lasciò che passassero prima di tornare a camminare attaccato al muro.
Aumentò il passo, dovette nascondersi un altro paio di volte - una persino nello studio di suo padre -, fino a raggiungere il piano terra.
Quella era decisamente la parte più difficile.
Fino a quel momento, il suo vantaggio era stato il fatto che non sapessero esattamente dove lui fosse e che servisse tempo per organizzarsi - difatti non si erano minimamente organizzati e tutti andavano a caso, con l'unico indizio che fosse
sceso e nessuna garanzia che non fosse risalito.
Per questo era ovvio che la maggior parte si fosse accentrata davanti alla porta d'ingresso.
Li vedeva, nascosto dietro un angolo.
C'erano dieci uomini davanti alla porta.
Di sicuro, la signora Smith stava pattugliando la cucina e tutte le finestre del piano terra erano state sigillate - aveva provato ad aprirne qualcuna, invano - e le imposte chiuse.
Aveva visto qualcuno di guardia anche davanti alle due porte per il giardino interno.
"..." serrò i denti: "... non ho altra scelta, vero...?" strinse il manico della sacca, mise una mano sulla pistola, ma non la tirò fuori.
Trasse un profondo respiro: "... devo davvero aver avuto un incremento di pazzia.". Camminò verso la porta.
- CHI E'? - lo urlò più di una persona. Tutti i presenti si tirarono su, come a voler creare un muro umano.
Len si limitò a guardarli.
- Toglietevi. - disse, piano: - Devo passare. -.
Tanti sguardi puntati contro. Sembrava volessero trapassarlo, tanto erano intensi.
- COS- -
- Signorina? - qualcuno lo capì. Gli altri tacquero di colpo. Len continuò a guardarli. Non avrebbe abbassato lo sguardo. Non poteva.
- Len! -
"..."
Si voltò, piano.
Sua madre, le mani alla bocca, il viso sconvolto; suo padre, gli occhi fissi nei suoi, impietrito.
Non doveva farsi intaccare. Non doveva abbassare lo sguardo.
Era quello che aveva deciso.
- Len, cosa stai facendo? - sua madre abbassò piano le mani, fece un passo avanti: - Perché sei conciata così? - accennò ad un sorriso. Era ovvio che non ci credesse davvero e che non fosse abituata a farne: - Su, smettila con questa pagliacciata. Torna in camera e mettiti abiti più adatti a te. -
- Sono questi gli abiti più adatti a me. - "Anche se questi pantaloni sono scomodissimi.".
La voce era uscita fredda. Ottimo.
Vide una luce negli occhi di sua madre - terrore: - Non dire sciocchezze, Len. Se proprio vuoi, potresti indossare i miei abiti vecchi, non quelli di tuo padre... -
- I vostri sono abiti da donna. - si mise con le spalle verso il muro, per assicurarsi che nessuna delle persone davanti alla porta ne approfittasse per dargli una botta in testa.
- A-appunto. - il suo sorriso disperato si accentuò: - Quindi ti starebbero bene. -
- Non ne dubito. - la guardò negli occhi. Non poteva esitare. Sentiva una sensazione irreale, freddo e caldo al tempo stesso. E si sentiva come se fosse incapace di rimanere fermo: - Ma io sono un uomo. -.
Da una parte, il silenzio. Dall'altra, lo scrosciare della pioggia. Aveva reiniziato, alla fine.
- Len... - era una supplica: - Ti prego... -
- E' questo che vuoi? - suo padre parve ricordarsi all'improvviso di essere lì: - Gettare il disonore sull'intera famiglia? Sull'intero casato Dewsen? -
Il caldo prevalse sul freddo: - Non m'importa niente del casato Dewsen, del casato Mirror, del ducato, della Famiglia Reale, dell'Inghilterra, del Regno Unito e dei gradini scivolosi! -
- Cosa? -
- Dite ciò che volete! - strinse i pugni: - Dite che Lady Len Mirror non è più qui! Dite che è morta! - li vide trasalire: - Io non sono più Lady Len Mirror! -
- Smettila di dire sciocchezze! - sua madre intervenne: - Cosa ti è successo, Len? Perché stai dicendo queste cose senza senso? -
- Consideratele pure "senza senso" ma, se la vostra opinione è così alta, non vedo perché dovrei perdere tempo a spiegarvele! -
- Hai distrutto lo specchio della tua camera. - disse suo padre, il tono stranamente grave: - Di nuovo. E hai distrutto il tuo vestito per le grandi occasioni. -
"... mio padre è stato graziato del dono della perspicacia?"
- Hai anche gettato nel fango il tuo vestito preferito, quello blu! - riprese parola sua madre: - Perché l'hai fatto, Len? Era così sporco! -
"Ehi! Io l'ho solo buttato dal tetto, non ho calcolato la traiettoria! Era un'importante scena pregna di significato, con il vento che soffiava ovunque e la pioggia di lacrime ormai alle spalle, non sminuitemela così!"
- Len! -
- Come immaginavo, sarebbe inutile spiegarvelo. - inspirò: - L'unica cosa che può bastarvi sapere è che... - non doveva esitare: - ... sono stanco di tutto questo. E ho intenzione di porvi fine definitivamente. -
Prese la pistola, se la puntò alla tempia.
Un urlo, un vociare.
Vide gente correre giù per i gradini. Incrociò lo sguardo della signora Tod, della signorina Johnson, della signora Smith spuntata fuori da nonsisadove; il signor Anderson, il maggiordomo, la governante.
"Davvero entriamo tutti nell'ingresso...?"
- LEN! -
- Fatemi passare. -
- Non oseresti! -
- Fatemi passare. - tolse la sicura.
- LEN! -
Vide suo padre afferrare sua madre per un braccio, prima che potesse correre verso di lui. Avevano entrambi gli occhi lucidi.
Ora si era intaccato. Ma ora poteva permetterselo.
- Madre... padre... - li guardò, entrambi: - ... so perché avete fatto tutto questo. E perché volete che rimanga qui. - sorrise: - Grazie. Di tutto. -
"Siete persone così disinteressate a qualsiasi cosa che, per assurdo, non vi importa davvero dell'onore della famiglia. Il fatto che abbiate deciso di tenermi nonostante tutto lo dimostra.".
- Len... -
- Fatemi passare. Vi prego. -.
Il rumore della pioggia. Si era fatta più forte.
- ... potrebbero scoprirti. - suo padre.
- Non rimarrò qui. - l'aveva già deciso.
- ... sarà difficile. -
- Lo so. -
- No, non puoi saperlo. -
- So che sarà difficile, proprio perché non so cosa ci sarà. -
Gli era parso di sentire il rombo di un tuono.
- ... hai deciso? -
- Sì. -
- A questo prezzo? - sua madre.
- Sì. -
Suo padre e sua madre si guardarono.
Poi i loro sguardi andarono alla porta.
- Fatelo passare. -.
Gli sfuggì un sorriso. L'avevano detto insieme, con lo stesso tono. Non avevano mai detto niente insieme.
- Grazie. -
Con un ultimo sguardo a tutte quelle persone, ai suoi genitori, strinse la sacca, abbassò la pistola e si gettò fuori dal portone aperto.
Era buio.
La pioggia era violenta. Le gocce erano dei minuscoli schiaffi sul viso. Rimise la pistola nella fondina, la mano ora libera andò a premersi sul cappello. C'era vento. E, dopo qualche passo, le gambe affondarono nel fango fino a metà polpaccio.
La strada c'era. Doveva riuscire a seguirla.
Correre era fuori discussione. Avanzò a falcate ampie, il fango sembrava ogni volta volergli catturare gli stivali.
Faceva freddo. Se avesse fatto un poco più freddo, avrebbe iniziato a battere i denti.


Perché vi ostinate a fare ciò che vi dicono gli altri piuttosto che fare ciò che desiderate?
"Cos'è che desidero davvero?"

Se anche mi sposassi, cosa cambierebbe?


"Cos'è che desidero davvero?"

Ogni volta che aveva raggiunto il suo sogno, quello si era frantumato tra le sue dita.


"Cos'è che desidero davvero?"
"Cos'è che desidero davvero?"

Non m'importa essere un uomo o una donna
Voglio solo essere
me.


Perché vi ostinate a fare ciò che vi dicono gli altri piuttosto che fare ciò che desiderate?

Quello siete voi. Ogni volta, siete sempre stato voi.
In quei momenti, voi eravate davvero voi. Voi stesso. Non stavate nascondendo niente. Era quello il vero Len.


"Ero felice. Ed è tutto finito. Se ponessi fine ad ogni cosa, smetterei anche di non essere più felice.".

Si può avere un'altra occasione.


Perché vi ostinate a fare ciò che vi dicono gli altri piuttosto che fare ciò che desiderate?
"Potrei porre fine ad ogni cosa o vedere se anch'io posso avere un'altra occasione. Un'altra occasione per cui dovrò porre fine ad ogni cosa passata. E' questa l'alternativa di cui parlavate?"

Cadde nel fango.
Si tirò su, prima di soffocarsi. Si passò una mano sulla faccia, la pioggia lo aiutò a levare la fanghiglia. Era arrivato tra gli alberi.
Si era fatto tutto ancora più buio.
Il vento che ululava sembrava dover sradicare i tronchi.
Singhiozzò.
Un altro singhiozzo. Un altro ancora.
Si voltò.
La sua casa.
Se fosse tornato indietro, gli avrebbero dato dei vestiti asciutti, sarebbe stato davanti al camino acceso, tutti avrebbero fatto finta che non fosse successo niente e ogni cosa sarebbe tornata come prima.
Si voltò.
Buio.
Se fosse andato avanti, non aveva idea di cosa sarebbe successo. Forse sarebbe affogato nel fango a metà strada e non sarebbe mai arrivato in paese.
Forse sarebbe stato preso in pieno da un fulmine, da un ramo colpito da un fulmine, da Qualcosa. Forse sarebbe riuscito ad arrivare in paese e sarebbe morto di freddo lì. Forse sarebbe andato tutto bene, per poi essere derubato, rapito, violentato, torturato o ucciso.
Forse sarebbe riuscito ad ottenere ciò che voleva.
Non ne aveva idea.
Un fulmine illuminò ogni cosa, un tuono sembrò un terremoto.
Per un istante, gli alberi sembrarono tante creature ghignanti pronte a catturarlo con i loro artigli di legno. Quasi gli era parso di vedere tanti occhi rossi fissarlo.
Tremò.
Tremava da prima.
Piangeva da prima.
"Ho paura..."
Non c'era nessun altro lì.
Era solo.
Era quello che aveva scelto.
Poteva tornare indietro.
Si passò una manica bagnata sugli occhi.
Andò avanti.


Ricordava vagamente di aver riconosciuto un paio di edifici, ed un colpo di sonno improvviso a cui non era riuscito a resistere.
Si era risvegliato in quella che scoprì essere la locanda del paese - da lui sempre vista solo e soltanto dall'esterno. Stando a quanto gli raccontarono i proprietari, era stato trovato svenuto e condotto prima dal dottore, poi lì.
- Etciù! -
Aveva un brutto raffreddore, gli dissero. Come se la testa pesantissima, gli occhi che bruciavano e il naso che colava tanto da fargli credere, in un primo momento, di star perdendo litri di sangue non fossero indizi abbastanza evidenti.
Sarebbe volentieri rimasto una o due settimane arrotolato in quelle coperte, ma voleva andarsene quel giorno stesso.
I locandieri lo convinsero a rimanere almeno fino al giorno seguente, per permettere ai suoi vestiti di asciugarsi e a lui di riscaldarsi e riposarsi.
Così, si rifocillò, constatò che almeno un paio di mazzette di banconote erano diventate poltiglia e mise ad asciugare il suo pupazzo: - Hai visto? - gli sorrise: - Siamo arrivati fin qui! Ora dobbiamo solo... -
Non aveva ancora finito.
C'era un ultimo passo da compiere.
Il giorno successivo, pagò la locanda - e lasciò una mancia che fece sgranare gli occhi ad entrambi i gestori - e prese una carrozza per il molo più vicino con navi verso un certo luogo.
- Bagagli, signore? -
"Signore..."
- No, ho solo questa. - mostrò la sacca.
Si era portato dietro una coperta pesante dalla locanda - i proprietari non avevano avuto niente da ridire, lui aveva pagato il cocchiere affinché poi la riportasse loro - e, per tutto il tragitto, vi dormì raggomitolato sotto, la sacca e il cappello come cuscino e il pupazzo stretto al petto.
Ci mise qualche minuto a prendere sonno.
"Signore...".
Quando il cocchiere lo svegliò, annunciando di essere arrivati a destinazione, ringraziò, pagò e andò ad esplorare il molo, ancora rintontito. Il mal di testa era decisamente diminuito ma, anche se aveva trascorso tutto il giorno precedente nel letto, non era in forma. Almeno non doveva più soffiarsi il naso cinque volte al minuto.
Chiese in giro, finché gli venne indicata una nave.
- Quella lì! Parte tra meno di un'ora! -
- Vi ringrazio. -
Riuscì a comprare il biglietto appena in tempo e salì sulla nave.
La prima cosa che fece fu rinchiudersi nella sua cabina.
Piccola. Minuscola.
Un letto singolo, una sedia, un tavolino, una finestra rotonda, quadrato d'aria centrale per muoversi. Doveva avere il perimetro lungo dodici falcate. Sue.
Tirò fuori il pupazzo dalla sacca, lo mise sul tavolino. Gli sorrise, posò la sacca sulla sedia.
- Ci siamo. -
Anche se era circondato da cose di legno, anche se si trovava in una stanzetta minuscola, anche se sentiva i passi delle persone ovunque, anche se sentiva tutto quel vociare, faticava a credere di essere davvero lì.
Forse ancora non osava crederci.
"Uh?" solo in quel momento si accorse di un foglio ripiegato sul tavolino. Lo prese e lo aprì: una mappa. Era completamente azzurra, salvo una strisciolina verde costellata di puntini rossi più o meno grandi e-
"Kanji." ripiegò il foglio e lo mise nella tasca dei pantaloni. Magari avrebbe provato a decifrarli dopo.
- Io vado a dare un'occhiata in giro. - accarezzò la testa del pupazzo: - Tu fai il bravo e controlla che non entri nessuno! - tuttavia, per sicurezza, si premurò di chiudere la porta a chiave e di mettere la suddetta chiave nell'altra tasca dei pantaloni. Che continuavano ad essere scomodi.
"... non ho comprato vestiti nuovi." aveva solo quella divisa. Per una traversata di tre mesi.
Si sentì istantaneamente un idiota.
Con un sospiro - e uno starnuto che parve rimbombargli per tutta la testa -, salì sul ponte e si appoggiò al parapetto. C'era un po' di vento ed era sicuro che l'odore del mare impregnasse qualsiasi cosa. Lui non sentiva nessun odore. Ogni tanto, poi, il naso decideva anche di tapparsi del tutto e doveva respirare con la bocca.
"Chissà se l'aria di mare fa bene al raffreddore..." tirò su col naso: "Ugh... qual era quella pianta che andava bene? La salvia azzurra...?" era sicuro esistessero piante adatte a farlo tornare a respirare in modo decente - più che il dolore alla testa, quello che non gli dava tregua era il naso che si alternava tra il tapparsi e il colare.
- Etciù! - e gli starnuti.
Chiuse gli occhi. Gli diede un po' di sollievo. Quando li riaprì, davanti a lui c'era una distesa azzurra.
Non era come quella del lago: nel lago, in lontananza, si vedeva un'altra riva. Anche guardandosi intorno c'erano rive. Lì no. La riva era solo dietro di lui.
Davanti, l'azzurro del mare si fondeva con l'azzurro del cielo sulla linea dell'orizzonte.
Almeno, ci sarebbe stata quest'immagine poetica se il cielo non fosse stato chiazzato di nuvole bianche, grige e persino nere, ma tant'era.
"... è la prima volta che salgo su una nave per un viaggio così lungo...". Confidò nel fatto che a bordo ci fossero medici. Non era sicurissimo di non soffrire il mal di mare - non aveva mai avuto modo di sperimentare e non aveva neanche voglia di provarci.
- ... Len? -
Il cuore sobbalzò. Gli parve fosse arrivato a schiantarglisi contro la gola, per poi rituffarsi al suo posto.
Si voltò.
Sentì uno strano freddo alle guance.
Kyte.
Gakupo.
Erano lì, in piedi davanti a lui, entrambi vestiti di rosso, e lo guardavano increduli.
"... cosa ci fanno qui...?"
Una nave verso il Giappone.
"Anche loro...?"
Coprì la bocca con un pugno, tossì. Sperò di non doversi soffiare il naso.
"Cosa dovrei dire, ora...?".
Capì: "... no. Non è come prima. Non siamo come prima.".
Aveva un po' paura.
Ma provò lo stesso: - Buon pomeriggio, signor Kyte. Konnichiwa, Gakupo-san. - tirò su col naso. Dovette impedirsi di portare una mano al petto, anche se il cuore minacciava di uscirne da un momento all'altro. Sentiva le dita tremare appena.
Poi Kyte parlò: - Buon pomeriggio... - esitava. Ma, comprese, non perché non volesse parlargli: - ... Lord Len- -
"Lord."
- Signor- - si bloccò. Il suo titolo. Il suo vero titolo. Ciò che era davvero. Poteva usarlo. Lo stava facendo, lo stavano facendo.
Tirò su col naso, ancora una volta: - ... signor. - assaporò quella parola. Il suo titolo.
Guardò Kyte negli occhi: - Va bene "signor". -.
"Signore."
In quel momento, Kyte sorrise. Non era uno di quei sorrisi amari del giorno e della sera precedenti. Non era neppure uno dei suoi sorrisi luminosi.
Però aveva accettato che non fosse più come prima.
- Allora, buon promeriggio, signor Len. -
- Konnichiwa, Ren-san. -
"... Ren." guardò Gakupo. Il suo volto era tranquillo, la voce pacata. Come la prima volta che l'aveva incontrato, tanti mesi prima, quando gli si presentò in qualità di suo precettore di giapponese.
Era lì che aveva avuto inizio tutto.
Anche lui aveva accettato che ci fosse un altro inizio.
Fece un cenno con la testa ad entrambi e si voltò, tornando a guardare il mare.
Per il momento, non avevano altro da dirsi.
Li sentì andare via pochi secondi dopo.
Gli sfuggì un sorriso.
Aveva gli occhi umidi, non per il raffreddore.
Avevano accettato che fosse cambiato.
"... sono cambiato.".
Sapeva che sarebbe stato difficile. Terribilmente difficile.
Questa volta, però, non aveva intenzione di distruggere niente. Tanto meno ciò che gli era più caro.
Si lasciò cadere a terra, posò la schiena contro il parapetto e tirò fuori dalla tasca la cartina.
Individuò subito Tokyo - più perché sapeva dove fosse che con la lettura dei kanji.
Tuttavia, non era quello il puntino cerchiato: era molto più a sud, in una città che dava su un golfo.
Lesse: "... Osaka." aveva già sentito quel nome, molto tempo prima: "... Lily non era in un posto con un nome simile...?". Rabbrividì: "Allora direi che non posso rimanere lì. Non subito, almeno.".
Sapeva che né Lily né suo marito l'avrebbero mai pubblicamente smascherato. Ma, per il momento, voleva tenersi lontano da qualsiasi cosa gli ricordasse il casato Dewsen.
"Uhm, vediamo, città grandi nelle vicinanze..." i collegamenti sarebbero dovuti essere molto migliori da grande città a grande città piuttosto che verso paesini sperduti: "Oh, questa!" ne vide una grande proprio sopra Osaka, neanche troppo distante.
"Com'è che si chiama?" lesse i kanji: "... Kyoto.".






Note:
* "Cancellate i vostri sentimenti. Siate felici.": Arrest Rose.
[Cancella i sentimenti. / Sii felice.]
* "[...] riuscirete a trovare la vostra felicità [...]" / "Fosse anche ai confini del mondo.": Lovelessxxx.
[Ai confini del mondo / Sicuramente, sicuramente / Troverai la tua felicità (lett. Ci sarà la tua felicità).]
* "Fuga": Escape, cantata da Kaito e Gakupo. *Anche se si sente pure Len...*
* "Incremento": Increase, cantata solo da Len - con Kaito e Gakupo a fare il coro natalizio. (?)
* "Pioggia di lacrime": Tears Rain, cantata solo da Kaito.
* "Salvia azzurra": Blue Salvia.
* Ebbene sì, i "vestiti rossi" di Kyte e Gakupo sono quelli - un po' (tanto) modificati - di Fate: Rebirth. U.U/
* Ebbene sì 2, l'abbigliamento di Len, dopo tanti vestiti femminili più o meno colorati, è quello di Arrest Rose - senza sigaretta di cioccolato. *O*/




Stavolta sì. Stavolta non ci sono altri capitoli da dividere in 150.
Questo è ufficialmente l'ultimo capitolo. \*A*/
... è sempre strano da dire. Soprattutto per le long molto long. *respiro profondo*
Con 15 capitoli che all'inizio erano 6, ma non c'è bisogno di ricordarlo, questa sarebbe la mia seconda long più long completa *fissa la parola*, dato che la mia attualmente più lunga consta di 16 capitoli...
... molto più brevi. Quindi, in teoria e in pratica, questa... *si allontana piano piano*

*torna*
E, alla fin fine, l'effettiva citazione al PV di Lovelessxxx c'era! *O*/
Pensavate fossero solo i servitori nel(l'eterno) flashback? Invece no, Len non ha ancora imparato a non aprire le porte - soprattutto di notte.
Ammirevole, però, come ogni volta che apra una porta di notte ci trovi cose.
Come detto nel capitolo precedente, nelle mie idee quello e questo dovrebbero essere degli pseudosong-chapter molto pseudo di Haitoku no Kioku - The Lost Memory. E qui, magari, anche un po' di Lovelessxxx e Fate: Rebirth - in accezione positiva, magari. *Altro?* *Quali siano poi i risultati... >__>*

Ormai le cose sono giunte alla loro conclusione, ogni cosa è stata spiegata e risolta.
Quindi, se ci fossero ancora dubbi... °A° *Vuol dire che non sei stata capace di sistemare le cose.* ... oAo
- E le frasi di Gakupo a Kyte a cui non ha voluto dare spiegazione?
Quelle, invece, sono volutamente lasciate "avvolte nel mistero". U.U
... beh, in realtà, per una ci sono indizi nei flashback (di Kyte.), per l'altra basta ricordarsi come/perché Gakupo versasse in quelle condizioni dopo Era tutta un'imitazione, Ogni cosa sprofonda nel nero, eccetera... U__U
*E in realtà avevano capito tutti, quindi piantala di fare come se fossero Frasi Misteriose.*
Ehm, coffcoff.

Quanto al finale... cosa succederà, di lì in poi? Una volta a Kyoto, si separeranno e non si reincontreranno mai più? Faranno pace sulla nave e rimarranno in buoni rapporti? Non si parleranno mai per tre mesi? Si daranno alla threesome? Ognuno andrà per conto proprio? Tireranno su una catena di bancarelle di sushi? Ognuno può pensarla come vuole.
Quella è un'altra storia. Questa si conclude qui.
E l'unica cosa certa è che Gakupo si è effettivamente fatto nove mesi di nave.

"Un giorno, sicuramente, rinasceremo."
E' un po' il cardine delle loro canzoni, no? Spero di essere riuscita a dare un finale degno. *china testa*

E' stato alquanto particolare scrivere di loro tre. °^°
Se, bene o male, avevo una mia idea di Kaito e Len, per me Gakupo era un personaggio molto "fumoso"; la Kaito/Len è una coppia che mi piace, la Gakupo/Kaito mi era sempre stata assolutamente indifferente e la Gakupo/Len mi appariva quasi come una coppia crack (!!!). Proseguendo, mi sono fatta una mia idea di Gakupo sempre più precisa, la Gakupo/Len ha per me improvvisamente assunto un senso e ora la Gakupo/Kaito mi incuriosisce.
All'inizio, temevo molto per i capitoli Gakupo/Len e, in generale, non ero sicura di riuscire a rendere bene Gakupo e le interazioni con lui. Però, magari non avrò fatto un lavoro sublime&incomparabile *decisamente no, Soe.*, ma il risultato è stato molto al di sopra delle mie aspettative. *Quante avversative ci sono in questa frase?*
Inutile dire che la storia ha preso e se n'è andata per conto suo. Len e il suo flashback per metà storia lo dimostrano senza bisogno di aggiungere altro.
E' stato particolare, sì, in tutti i sensi positivi. *O*/

In tutto ciò, davvero GRAZIE a tutte le persone che hanno avuto la pazienza/forza di seguire questa matassa di deliri - in ogni senso, sia le psicosi allo specchio che dubbi sogni tra petali e bolle di sapone. ^^
Quindi, GRAZIE a FraZelda33, Kirakora, Mistryss e Nivees per averla inserita nelle Seguite! ^^
E GRAZIE a Roro Siad per averla messa nelle Ricordate! *O*
E GRAZIE a CrucifySorrow, Kiara_99, Suiseiseki00 e Tayr Soranance Eyes per aver deciso di metterla nelle Preferite anche se ancora in corso. *__*
Anzi, Tayr è un caso a parte, perché già conosceva tutta la trama, le è stato sottoposto ogni capitolo per la betatura spietata e le sono arrivate tante richieste lacrimose di uso/aiuto per le traduzioni. Grazie per l'aiuto! **
A tutte le persone che l'hanno inserita in una lista, vi ringrazio per la fiducia. ^^
E GRAZIE a Mistryss, Suiseiseki00 e Directionaremyaddiction per le recensioni lasciate! **
Infine, ma non meno importante, GRAZIE anche a chi ha solo letto. ^^

E' stata una storia dove ho sperimentato con cose che non avevo mai davvero scritto - su tutti, il rating fail!arancio sbiadito, l'angst integrale (?) e il triangolo distorto (?) -, quindi spero di essere riuscita a trattarli bene. ^^"
E spero anche che, giunti alla fine, la storia vi sia stata di gradimento. ^^
Come sempre, se ci sono critiche da farmi o consigli da darmi - soprattutto riguardo le cose sopracitate -, dite pure. ^^
  
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