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Autore: Camilla Boo    04/11/2014    1 recensioni
-Come puoi non aver paura di me, Bailee. Tutti hanno paura di me. Dovresti averne anche tu.-
-L'unica paura che ho, è che tu te ne vada.-
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sweet Blood

                  

-Questo è l'ultimo.- mia madre mi porse uno scatolone e mi fece cenno di metterlo nel baule dell'auto. Mi sistemai una ciocca di capelli lilla che mi era finita sul viso. Ancora poche ore e non sarei più stata una ragazza di Londra. Non capivo bene perché dovevamo trasferirci, mi trovavo così bene lì, avevo tantissimi amici, compresi quelli con cui avevo faticato tanto per legare, mi ero fatta una reputazione insomma. Ma ora sarebbe cambiato tutto. Tutto quello che mi ero impegnata a fare in tanto tempo stava per diventare inutile e sarebbe stato cancellato. “Tranquilla, Bailee, ti farai tanti nuovi amici” continuava a ripetermi mia madre. Non ne dubitavo, ma sapevo che quegli amici che conoscevo dall'asilo mi sarebbero mancati molto. Tipo Hazel o Abbie, sapevo che le avrei riviste al massimo un paio di volte all'anno e mi sembrava davvero troppo poco. Inoltre, non lasciavamo Londra per andare in un posto fighissimo, no, noi stavamo andando nel Northumberland, più precisamente a Chollerford. Io non ero neanche a conoscenza dell'esistenza di quel posto e mi toccava andarci a vivere. Non era come Londra, no, era un posto sperduto chissà dove e i miei genitori avevano anche avuto la brillante idea di prendere una casa lontana dal centro e completamente isolata. Che bello.

-Su tesoro, scommetto che Chollerford ti piacerà moltissimo.- fece mia madre prendendo le ultime cose da quella che, fra poco, non sarebbe più stata casa mia.

-Certo, mamma. Amo i luoghi sperduti in culo al mondo.- dissi ben poco entusiasta.

-Bailee!- la guardai scocciata -Starai bene, fidati di me.-

-Eccoci!- la vocina acuta di Molly mi fece voltare. Lei e mio padre erano usciti dalla porta e quest'ultimo fece per chiuderla quando: -Volete salutare la nostra casetta per l'ultima volta?- il modo in cui mio padre pronunciò questa frase mi fece innervosire, non sapevo neanche io perché, ma entrai comunque in casa: -Addio, casa. Non ti dimenticherò mai.- dissi in modo piuttosto teatrale mettendomi una mano sul cuore per poi aprire la portiera dell'auto di mio padre e lasciarmi cadere sul sedile.

 

Il viaggio fu piuttosto lungo: eravamo partiti alle sei di mattina ed era già pomeriggio inoltrato. Ci fermammo davanti ad una casa, era piuttosto grande, su due piani. Come casa non era neanche brutta, il problema era quello che c'era intorno: campagna e boschi, ovunque. Non un altra casa né qualsiasi altra struttura. Solo in lontananza potevo vedere il paese, era circa a tre chilometri di distanza ed era leggermente più elevato rispetto alla nostra casa. All'inizio i miei avevano detto che sarei dovuta andare a scuola in bicicletta, ma poi per fortuna avevamo scoperto che c'era uno scuolabus che passava abbastanza vicino a casa.

-Bailee, ti piace?- mio padre mi mise una mano sulla spalla guardando con gli occhi che brillavano la costruzione davanti a noi. -Non è male.- risposi. -E' questa la nostra casetta nuova?- ancora una volta sentii la voce della mia sorellina che, in quel momento, era più felice che mai. Certo, Molly aveva solo cinque anni, non aveva niente di così importante da lasciare a Londra, al contrario di me.

-E' proprio bella, eh?- disse mia madre con uno scatolone in mano -Dai, entriamo.-.

Mio padre tirò fuori dalla tasca dei vecchi jeans le chiavi scintillanti con le quali avrebbe aperto la porta un attimo dopo.

La casa non era questo granché, era abbastanza rustica e molto luminosa. La prima cosa che si notava entrando era il divanetto, girato verso il caminetto che stava sulla parete alla mia sinistra. La tappezzeria era di un bianco/azzurro e in alcuni punti pendeva leggermente dalla parete: -Beh, non vi preoccupate se qualcosa non è perfetto, lo aggiusterò prima possibile.- mio padre posò una scatola sul pavimento e alzò la testa per vedere le condizioni del soffitto. -Evviva...- farfugliai, conoscendo le scarse abilità di tutto fare di mio padre. -Bailee, la tua stanza è l'ultima in fondo al corridoio del piano di sopra, perché non vai a dare un occhiata?- mi sorrise mia madre, indicandomi le scale in legno dipinto di bianco che si trovavano alla mia destra. -Certo, mamma.- feci come mi aveva detto. Gli scalini scricchiolavano sotto ai miei passi e mi diedero l'impressione di star per cadere, ma, fortunatamente, ciò non accadde e arrivai al piano di sopra. C'era un corridoio abbastanza lungo che finiva con una porta bianca, la mia camera. Camminai velocemente sul legno del pavimento e tirai la maniglia d'argento, era una stanza abbastanza grande, più di quella di Londra, ma era piuttosto spoglia. Attaccato al muro al centro c'era un letto, il mio letto, a una piazza e mezza, forse. Le coperte erano in pizzo bianco e avevano qualche rifinitura in azzurro. Poteva andarmi peggio.

 

 

Il pomeriggio lo passai a svuotare valigie e scatoloni, decorando più che potevo la mia stanza, giusto per darle un aspetto un po' meno noioso. Sopra al letto attaccai tutte le foto che trovai: le mie foto preferite di quando ero piccola, alcune foto della mia famiglia, alcune foto mie e dei miei amici e un po' di paesaggi, il tutto circondato dalle vecchie lucine di Natale che mio padre aveva scartato circa due anni prima. Avevo inoltre attaccato qualche poster, qualche disegno e messo un vaso con una piantina in un lato.
Ero abbastanza soddisfatta del mio lavoro. Presi il mio libro preferito: “White Death” di Jason Budder e lo misi sullo scaffale in bella vista. Non so perché mi piacesse tanto quel libro, era tutta una storia un po' sovrannaturale e io, francamente, sono sempre stata molto scettica riguardo a ciò. Nonostante questo, leggevo e rileggevo quel libro da quando ero in terza media, tanto che la copertina originale era tutta rovinata e avevo dovuto ricoprirla con un po' di cartoncino bordeaux e ci avevo riscritto sopra il titolo a mano.

Uscì dalla mia stanza per andare a cena quando, dall'altra parte del corridoio, sul soffitto, notai una specie di botola rettangolare.

-Che guardi, tesoro?- mia madre comparve di fianco a me. -Cos'è quella?- chiesi indicando con il dito la botola. -E' una soffitta, vuoi vedere?- annuii e lei tirò una cordina che penzolava e, con uno scatto, una scala scivolò giù. -Vieni.- mia madre mi fece cenno di salire e subito dopo mi seguì anche lei. Ci ritrovammo in uno spazio piuttosto ampio, tutto in legno. Il soffitto non era molto alto, circa due metri, e c'erano degli enormi finestroni che davano sul giardino. Non so perché ma quel posto mi piaceva, era come nascosto. Faceva un po' freddo, quello sì, ma sarebbe stato un ottimo posto per fare un pigiama-party o semplicemente per stare con gli amici o da sola.

 

 

 

Il fastidioso drin della sveglia sul mio comodino mi fece svegliare, erano passati tre giorni da quando ci eravamo trasferiti e quel giorno iniziava la scuola. Già, il solo pensiero mi faceva stare male, un po' perché l'autunno stava cominciando, anche se si stava facendo sentire ormai già da un po', ma soprattutto perché sarei andata in un luogo dove non conoscevo nessuno e, come tutti sanno, all'inizio della terza superiore i gruppetti sono già formati e sarebbe stato difficile integrarsi con gli altri, ma speravo che ce l'avrei fatta.

Mi alzai dal letto mezza assonnata e, non so perché, per un attimo pensai di essere ancora nella vecchia casa di Londra. Mi diressi verso il bagno, che era poco distante dalla mia camera, e mi guardai attraverso lo specchio per cercare di sistemare il possibile per sembrare almeno umana, avevo tutti i capelli in disordine: ciocche lilla che andavano in tutte le direzioni possibili. Ci misi un po' per sistemarli e poi mi andai a preparare. Misi un maglione blu, pantaloncini jeans, collant neri con sopra le parigine dello stesso colore e le mie vecchie e ormai logore ma amate vans. Ero quasi decente. Scesi in salotto per fare colazione ma, quando guardai l'orologio, mi accorsi di essere in ritardo e dovetti mangiare la brioche lungo il tragitto verso la fermata del bus. C'erano pochi ragazzi alla stazione, probabilmente perché la maggior parte degli studenti viveva in paese e non in mezzo al nulla come me.

Il pullman arrivò, era giallo, abbastanza scolorito e con la scritta Schoolbus in nero sul cofano e su entrambe le fiancate. L'uomo alla guida era piuttosto vecchio e indossava una vecchia divisa blu scura. Appena l'uomo aprì le porte, si udirono gli schiamazzi dei ragazzi all'interno del veicolo. Salii e mi misi alla disperata ricerca di un posto e lo trovai, al centro, vicino al finestrino. Due donne di mezza età sedute poco dietro di me si misero indisturbatamente a fare commenti sui miei capelli e sul mio abbigliamento, non era la prima volta e non ci feci caso. Dopo circa dieciquindici minuti di viaggio, il bus si fermò davanti ad una grossa struttura che riconobbi come la mia nuova scuola: era alta, rettangolare e piuttosto severa, con la scritta Chollerford School su un cartello appena dilato al cancello di ferro. Scesi dal mezzo e seguii gli altri ragazzi fino al cortile della scuola. Come temevo, i gruppi erano già formati e mi sedetti su una delle cinque panchine in legno non curato che si trovavano intorno alla struttura. Guardandomi in giro, notai che le persone vestivano differentemente da quelle di Londra e che sembravano tutti poco simpatici. Ma questo non potevo ancora dirlo per certo. Il mio sguardo si fermò su una persona in particolare, un ragazzo moro e abbastanza alto. La cosa che più mi colpiva di lui erano gli occhi, erano molto ambrati, quasi gialli e brillavano di una luce che non avevo mai visto prima. Aveva uno sguardo strano, quasi sovrannaturale. Si girò di scatto con un sorriso strano, non un sorriso gentile, come se sapesse che lo stavo guardando, anche se ciò era impossibile dato che sembrava essere piuttosto preso dalla conversazione tra lui e gli altri ragazzi che erano vicino a lui. Fece una risatina rigirandosi verso i suoi amici e si passò una mano tra i capelli scuri.

La campanella suonò, si sentirono alcuni ragazzi lamentarsi ma poi tutti si diressero verso l'entrata dell'edificio. Mi trovai un po' in difficoltà, speravo che qualcuno sarebbe venuto lì a dirmi che fare, che qualcuno semplicemente notasse che ero nuova. Ma dovetti aspettare un po' prima che qualcuno se ne accorse. -Hey, tu sei quella nuova? Devi fare la quarta, giusto?- mi voltai, dietro di me trovai una ragazza, più alta di me, con lunghi capelli castani e grandi occhi blu. -Eh..sì. Non so dove sia la mia classe, aspettavo che qualcuno mi notasse ma nessuno lo faceva e non potevo mica alzare la mano e urlare 'che diamine, sono nuova, aiutatemi'.- dissi ironicamente, facendo scoppiare a ridere la ragazza davanti a me. -Capisco. Tu sei nella mia classe, la quarta F, seguimi.- la ragazza iniziò a camminare, fermandosi poi per dire -Oh, non mi sono neanche presentata, scusa. Sono Nadya, piacere.- le sorrisi, pensai che forse avrei potuto trovare in lei un'amica, ma era presto per dirlo. Mentre camminavamo, notai che la ragazza aveva una cicatrice sul collo, era abbastanza profonda, come un breve taglio nella carne. Mi incuriosì, ma non mi sembrava il momento di chiederle come se l'era fatta.

Ci fermammo davanti a un'aula, la quarta F, e Nadya aprì la porta. C'erano molti ragazzi e ragazze, all'incirca venti, se ne stavano sparsi per la classe, nonostante una donna magra e bassetta, probabilmente la nostra insegnante, continuava a ripetere di sedersi e di fare silenzio. Tra uno di quei gruppetti riconobbi anche il ragazzo di prima, questa volta stava parlandopomiciando con una ragazza bionda e magra. Buon per loro.

-Ragazzi, per favore, sedetevi.- la donna si alzò in piedi e cominciò l'appello. -Vedo che abbiamo una ragazza nuova, vuoi venire a presentarti? Mi venne quasi da rispondere no, ma vedendo la donna sorridermi presi coraggio e mi alzai in piedi. Per qualche motivo la classe si zittì in un attimo, ciò mi mise più ansia di quanta già ne avessi. -Beh..io sono Bailee Josephine Evans..vengo da Londra..- qualche fischio di approvazione si alzò dalla parte maschile, ma credo che lo facessero con tutte. Mi risedetti. -Bene, questa è la vostra nuova compagna, fatela integrare, starà con noi fino alla fine delle superiori.-. Detto ciò, la lezione iniziò.

 








Hey hey. Eccomi con una nuova storia! Spero che vi piaccia! Mi raccomando, se vi piace, fatemelo sapere! Perchè la vostra scrittrice qui, di solito tende ad eliminare le storie se non piacciono a nessuno (ne ho già eliminate due ahi ahi)! Comunque spero che apprezzerete lo sforzo (dato che sto scrivendo da tipo tre ore e mia madre crede che io sia morta), alla prossimaa.
 

Camilla Boo

   
 
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