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Autore: aturiel    05/11/2014    4 recensioni
Ci sono momenti in cui la vita cambia inesorabilmente, a causa di fatti, consapevolezze, desideri, passioni... o musica.
La vita cambia ed è come un'onda che si infrange sugli scogli, capendo che mai potrà raggiungerne però la cima, dimenticando le illusioni che da sempre la muovono. Ed è con Le Onde che la vita di una ragazzina può mutare, anche se, ormai vecchia, se n'è scordata.
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Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ero davvero stanca quella sera, tanto da non essere nemmeno più sicura del mio nome di battesimo. Eppure, grazie a non si sa bene quale forza divina, riuscii a sollevare dal letto il mio corpo esausto colpito ormai da anni dall'artrite e a dirigermi verso il tavolo della cucina, pronta per una sfida contro i cruciverba di quella settimana. Presi con coraggio e determinazione la penna, quella stilografica alla vecchia maniera regalatami da mia sorella pochi mesi prima che morisse, spalancai poi a dismisura gli occhi immaginando che, se mai fossi riuscita a trovare proprio il gioco enigmistico iniziato quella mattina, avrei avuto una minima possibilità di portarlo a termine prima di addormentarmi di botto. E ce la feci, non so come, ma ce la feci.

Afferrai il telecomando che controllava tutti gli apparecchi elettronici della stanza – ed erano davvero tanti -, e premetti il tasto d'accensione. Subito una voce elettronica impostata per assomigliare a quella della mia sorellina mi salutò e mi chiese quale dei centotrentuno arnesi ad alta tecnologia presenti nel mio appartamento volessi accendere. Scelsi lo stereo: sentivo un bisogno quasi fisico di ascoltare musica, magari una di quelle canzoni rock dei lontani – ma che dico, lontanissimi ormai – anni '90, eppure in quel momento la mia memoria mi tradì e, sotto la voce “nome dell'album”, non mi venne in mente nulla; infastidita dalla mia mancanza di memoria, grugnii un “random” a mezza voce, e uno dei miei quasi duemila album salvati partì.

Una musica rilassante si diffuse nell'aria: era chiaramente una melodia prodotta da un pianoforte accompagnato, di tanto in tanto, da degli archi. Ero certa di averla già udita, da qualche parte, in qualche epoca lontana che, di nuovo, la mia vecchia mente non ricordava. Che fosse una delle canzoni che mia sorella amava suonare? O forse una di quelle che, di tanto in tanto, ascoltavo io quando avevo la mania di fare tutti i viaggi in autobus con quelle dannate cuffiette nelle orecchie? Non avrei saputo dirlo, eppure ero sicura di conoscerla. E lì, seduta davanti quelle ridicole parole crociate, con la penna stilografica sospesa a mezz'aria, la mia memoria viaggiò nel mio passato da ragazza del ventunesimo secolo e individuò un ricordo tra i pochi che ormai mi erano rimasti.

***

Ricordai un ascensore troppo pieno, un gradevole odore di sandalo che si mescolava a quello invece fastidioso del sudore. Una delle mie mani era intrecciata a un'altra, chiaramente maschile, il mio dito mignolo portava un grazioso quanto inutile anello di semplice metallo e la mia pelle era coperta da una larga maglietta da uomo, molto probabilmente non mia ma di quel ragazzo accanto a me. Del suo viso non riuscii a ricordare nulla, se non quegli occhi neri come la pece che, ogni due per tre, spiavano il mio seno – che chiamavo e chiamo tutt'ora affettuosamente “il mio semipiano” - o il mio sedere, ma che, nonostante tutto, ero certa di aver amato alla follia.

Ricordai che mi trovavo lì per assistere a una prova della sua band, eppure, ancora con più precisione, ricordai che, invece della batteria sgangherata, delle due chitarre e del microfono con l'abitudine a mettersi a fischiare appena il cantante tentava di fare un acuto, trovai un pianoforte. Guardai il mio accompagnatore, annegando nel mare nero dei suoi occhi, e poi mi misi a piangere, felice. Chissà cosa aveva pensato la mia mente dolce e malauguratamente romantica vedendo quell'ammasso di tasti neri e bianchi, chissà cosa aveva sperato. Probabilmente avevo immaginato che volesse chiedermi di venire al ballo di fine anno con lui - un po' come succedeva nei film americani -, invece mi disse che aveva trovato un'insegnante di pianoforte in modo da poter imparare a suonarlo ed entrare così nella loro band. Per lui doveva essere uno splendido regalo, però non aveva contato che, della sua band, a me non fregava assolutamente nulla e che l'unico motivo per cui avevo deciso di assistere a tutte le loro prove, era che volevo smettesse di usarmi solo come “amica di letto” e mi invitasse, finalmente, a uscire con lui come vera ragazza.

Ricordai che finsi un sorriso e poi gli chiesi di andarmi a prendere una lattina di birra. Lui mi accontentò, ovviamente senza nemmeno accorgersi della mia delusione, e quindi rimasi sola nella stanza, sola insieme a quel pianoforte. Sorrisi amaramente davanti a quello strumento: quel coglione non si era nemmeno degnato di chiedermi la mia opinione e si dava il caso che io, il pianoforte, lo suonavo da sempre. E quindi iniziai a pigiare quei tasti familiari, seguendo le note degli spartiti che, casualmente, si trovavano sul leggio.

In quel momento uscii dal mio corpo e divenni solo luce e musica, con come unico collegamento con la vita terrena e umana quelle dieci dita che si muovevano senza sosta a creare una melodia simile alle onde del mare che, sempre più impetuose, si infrangevano sulla scogliera. Muovevo le mani e tutto il mio busto faceva lo stesso, rapito da un qualche spirito errante che faceva viaggiare la mia mente a suon di musica. Continuai, ricordando tutte le volte che, sdraiata sul letto tra le lenzuola sfatte, osservavo la figura lontana della schiena del mio amore che si allontanava senza nemmeno salutarmi, tutte le volte che si era confessato con me e mi chiedeva consiglio sulla sua nuova cotta, tutte le volte che venivo a sentir suonare la sua band e lui nemmeno si degnava di ringraziarmi. E iniziai a piangere come una bambina, permettendomi finalmente di sfogare tutto il rancore represso, la tristezza e quell'amore un po' sciocco che mi legava a lui. Ogni nota che le mie dita, attraverso il piano, emettevano, era un mattone dell'immenso castello in aria che mi ero creata che cadeva rovinosamente a terra e liberava il mio cuore da illusioni e delusioni. Mi stavo lentamente purificando, e avevo intenzione di farlo fino in fondo.

Ero solo una ragazzina, ma quell'ammasso di merda che era stato il mio primo amore mi cambiò radicalmente e mi rese una donna dura e inattaccabile da ogni fronte.

Ricordai che, quando lui tornò con quella lattina di birra in mano e mi vide con il viso tutto arrossato e il trucco sbavato, si bloccò in mezzo alla stanza cercando una risposta che non avrebbe mai trovato; così mi alzai e mi diressi verso quegli occhi neri e, appena fui abbastanza vicina, gli tirai uno schiaffo sonoro sul volto. Me ne andai, quel giorno, e così feci molte altre volte; me ne andai spesso, da allora, dalla vita di uomini che mi avevano trattata come un oggetto, e ancora più spesso suonai il pianoforte, come fosse la cura di una malattia.

***

Tornai al presente e mi sorpresi a piangere di nuovo ascoltando quella composizione di suoni, quel pianoforte che tanto aveva significato per me ma che, a causa dell'età, avevo scordato. Piansi per quell'idiota e per tutti quelli a venire, piansi per quello che era stato mio marito – forse il più idiota di tutti -, piansi per tutto il tempo sprecato a piangere e piansi ancora, ancora, ancora, tanto da non riuscire più a distinguere i contorni delle cose che mi circondavano.

Smisi solo quando la voce elettronica, quella che assomigliava a mia sorella, mi ricordò che avevo un appuntamento con il dottore una decina di minuti dopo. Allora pigiai su uno dei pulsanti alla destra della poltrona e mi cambiai d'abito, sperando ardentemente che non notasse gli occhi arrossati.

Esattamente dieci minuti dopo sentii suonare alla porta. Con un altro tasto aprii e feci un respiro profondo, pronta a relazionarmi di nuovo con il genere umano.


 


 

 

Note:

Spero si capisca, comunque il presente è ambientato in un futuro vicino. Ho immaginato fossi io a parlare, ormai vecchia, della nostra generazione e della mia vita.

La canzone che suona la protagonista è Le Onde di Ludovico Einaudi, e da qui anche il titolo.

 

   
 
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