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Autore: Ladradilucciole    05/11/2014    6 recensioni
Seguito di "The cold never bothered me anyway"
Sono passati due mesi da quando Elsa è partita, e Jack si trova a fare i conti con...il suo compleanno. ma non è tutto rose e fiori: entrambi nascondono segreti troppo grossi per due adolescenti, segreti che se forse fossero condivisi sembrerebbero un po' più piccoli...
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jack Frost, Nuovo personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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~Pensavo a me
col mondo in mano,
ma senza te
dov'è che vado...

-Ma che diavolo?!?!-
Rotolo malamente giù dal letto, atterrando con un tonfo sordo sul tappeto.
Mi ci vuole qualche secondo per capire che la musica proviene dal cellulare, segno che qualcuno mi sta chiamando.
Lo afferro ancora con gli occhi semichiusi e guardo l'ora sullo schermo, impresa difficile visto che il sonno mi annebbia la vista.
Otto e...OTTO E UN QUARTO?!?!
-Pronto?- biascico
-Ciao Jacky- trilla la voce femminile dall'altro capo del telefono.
-Ciao zia Tooth- da quando ha iniziato a lavorare in uno studio dentistico, questo è diventato il suo soprannome -Che c'è?-
-Volevo solo dirti che oggi devo lavorare fino a tardi. Mi dispiace caro. Sul tavolo ci sono la torta e il mio regalo-
Regalo? Che regalo?
-Perchè, scusa? Che c'è oggi di importante?- mi passo una mano sul volto cercando di risvegliarmi dal torpore.
-Come che c'è? Oggi è il 17 febbraio Jack, è...-
-...il mio compleanno!- concludo, ritrovando un pizzico di lucidità
-Già- dal suo tono di voce sembra stia sorridendo -Bhe, ci vediamo stasera-
-Ciao, zia-
Chiudo in fretta la chiamata gettando il cellulare sul comodino per poi avviarmi verso il bagno. Mi do una sciacquata veloce alla faccia e poi mi avvicino all'armadio per infilarmi un paio di jeans beige sbiaditi e una maglia bianca con su stampata quella che sembra una palma. Faccio correre lo sguardo sulle felpe, indeciso su quale mettere: felpa blu, felpa blu, felpa blu, felpa blu, felpa blu, felpa indaco.
Volto di scatto la testa e mi metto a fissare il pavimento. Non ho più messo quella felpa da quando lei è partita, è più forte di me, quel maledetto pezzo di stoffa mi ricorda troppe cose.
Afferro in fretta una delle cinque felpe blu e me la infilo, chiudendo l'armadio con un po' troppa foga.
Arrivo in sala da pranzo, dove noto la torta e il regalo appoggiati sopra al lungo tavolo di legno scuro. Mi avvicino per studiarli meglio: il dolce è uno di quelli da fare in cinque minuti che trovi al supermercato; sembra allo yogurt, con delle fragole come decorazione e un 19 sbilenco disegnato con la glassa blu.
-Io odio le fragole- sussurro con un sorriso tirato.
Sposto lo sguardo sul pacchetto: un piccolo parallelepipedo avvolto in una carta da regalo verde prato. Lo straccio cercando di essere delicato. Dentro c'è un MP3. Uno di quelli abbastanza economici, certo, però sembra bello.
Lo accendo e noto con piacere che ci sono già delle canzoni nella playlist: David Guetta, Simple Plan, Emis Killa, Demi Lovato.
I miei occhi si fermano su un titolo in particolare: Demi Lovato, Let it go.
Lancio l'affare sul divano in un impeto di frustrazione, abbandonandomi ad un urlo liberatorio.
Perchè, perchè se ne è andata?
“Non essere sciocco, Jack, doveva seguire i suoi, loro viaggiano tanto e...”
-BALLE!- sbotto -Sono solo balle! Se mi avesse voluto bene non mi avrebbe lasciato solo!-
Mi butto a mia volta sul divano di pelle rossa, affondando la faccia nel cuscino.
So che quello che ho detto non è vero, ma pensare che non le importi più niente di me rende la cosa più sopportabile.
D'un tratto, un'idea mi balena in mente: magari potrei chiamarla, giusto per sentire la sua voce...
“Ma certo, e poi cosa le diresti? Ehi ciao, senti, so che probabilmente sei dall'altra parte del globo e che non ci sentiamo da due mesi, ma ti andrebbe di prendere un aereo e venire a casa mia per festeggiare il mio compleanno?”
-Idiota- dico con quella che non sembra neanche la mia voce.
E poi sento qualcosa di caldo scivolarmi sulle guance: lacrime. Le lascio fluire, tanto nessuno può vedermi qui, sono solo. Solo a festeggiare il mio diciannovesimo compleanno, solo in un maledettissimo appartamento di un maledettissimo paesino. Solo e basta.
È la stessa storia da due schifosissimi anni, da quando i miei sono morti durante una gita in montagna a causa di una valanga il marzo di tre anni fa, lasciandomi solo. Ma poi i servizi sociali hanno scoperto dell'esistenza della zia Tooth e mi hanno sistemato. E da due anni ormai, l'unico regalo che vorrei ricevere e poterli vedere ancora. Anche solo per un giorno.
Sto iniziando a singhiozzare, tramutando quello che era un pianto sommesso in una cosa che sembra più il lamento di un animale ferito.
“Bella roba, riesci a sorridere davanti agli altri ma dentro sei un debole. Fai pena”
Già faccio pena. È con questo pensiero che mi addormento di nuovo sul divano, raggomitolato con le mani che stringono i lembi del cuscino, un po' per il sonno, un po' perchè restare cosciente anche solo un altro minuto sarebbe troppo doloroso.

Un paio di tonfi mi costringono a svegliarmi. Non ho idea di che ore siano, ne da dove provenga quel rumore.
Mi fisso il polso cercando di mettere a fuoco il quadrante dell'orologio: sono le tre del pomeriggio.
Ma quanto diavolo ho dormito?
Ancora un'altra serie di quei tonfi; mi volto e mi accorgo che provengono dalla porta, qualcuno sta bussando.
Mi avvicino ancora barcollante, per poi aprire l'uscio stropicciandomi gli occhi.
-Zia Tooth, avevi detto che oggi stavi via tutto il giorno..-
Ma non è la zia Tooth:  davanti a me c'è una ragazza magra e slanciata; ha dei capelli biondo platino raccolti in uno chignon e, nonostante fuori stia nevicando, indossa solo una camicetta bianca a palloncino infilata in una gonna celeste a vita alta che le arriva appena sopra al ginocchio.È lei.
-Ciao Jack- la sua voce è come me la ricordavo: leggera, delicata, come un fiocco di neve, come il ciondolo che le ho regalato due mesi fa, e che vedo ancora brillare sopra la stoffa bianca. Allora non si è dimenticata di me.
-Elsa- è tutto quello che riesco a dire.
Poi mi abbraccia. Accade tutto in una frazione di secondo: un attimo prima ci stiamo fissando, e quello dopo sento le sue braccia attorno al mio collo, mentre ogni mio singolo muscolo si contrae per poi distendersi e ricambiare quell'abbraccio di cui avevo avuto nostalgia per troppo tempo.
-Mi sei mancata tanto- sussurro contro la sua guancia.
-Anche tu-
Ci separiamo e la faccio entrare, per poi invitarla a sedersi sul divano che cerco di sistemare alla meglio.
Si accomoda con le mani in grembo e io mi siedo di fianco a lei.
Stiamo in silenzio per quelle che mi sembrano ore, poi mi faccio coraggio e tiro fuori quella frase che per due mesi mi aveva martellato incessantemente in testa
-Pensavo che mi avessi dimenticato- mormoro, abbassando lo sguardo -Credevo che avessi trovato qualcun altro e che io per te non contassi più nulla e...-
La frase mi si smorza in gola, mentre sento ancora quella presenza tiepida sul volto: sto piangendo. Io sono davanti a lei e sto piangendo come un bambino di cinque anni.
“Sei un debole Jack, non eri tu quello che la faceva ridere? E ora stai piangendo. Bel lavoro”
La vedo sporgersi verso di me per abbracciarmi di nuovo. La lascio fare, non ho la forza di fare il duro. Mi accarezza i capelli, e la sento cantare.
-It's funny how some distance, makes everything seem small...and the fears that once controlled me...-
-...Can't get to me at all- mi sorprendo a cantare anch'io. Non pensavo neanche di essere capace di farlo.
-Ora hai capito?- mi fissa con quei cristalli di ghiaccio -Anche se la distanza fa sembrare le cose più piccole di quanto non siano, queste continuano ad esserci. Loro esistono, non cedono, e non permettono alla paura di prendere il sopravvento.-
Annuisco.
-Quindi tu non...-
-No Jack, non c'è nessun altro. Per il semplice fatto che nessuno sarà mai in grado di farmi ridere come te, nessuno riuscirà mai a consolarmi come te, nessuno riuscirà mai a farmi innamorare come te-
È arrossita leggermente, credo che le ci sia voluto uno sforzo immane per pronunciare quest'ultima frase, vista la sua solita timidezza. Eppure l'ha fatto. Eppure mi ha appena reso la persona più felice del pianeta.
-Ma tu come...come hai fatto ad arrivare qui? Cioè pensavo che fossi dall'altra parte della Terra.-
-Oggi è il tuo compleanno, no? Volevo farti gli auguri- sorride, ma i suoi occhi non fanno altrettanto.
-Elsa, lo vedo quando sei triste, sorridi per sembrare forte. Ma tu sei forte, non hai bisogno di dimostrarlo a nessuno, tanto meno a me. Quindi, cosa c'è che non va?- le poggio una mano sulla spalla.
-Vuoi la verità?- le sue labbra tornano a incurvarsi verso il basso, mentre si torce nervosamente le dita -I miei si sono separati, eccola la verità. Era da un po' che non andavano più d'accordo, ma pensavo che sarebbero rimasti insieme, per loro, per Anna, per me. Ma non l'hanno fatto. Mio padre ha estromesso mia mamma dalla società, ed io e Anna l'abbiamo seguita. Non avevamo ancora venduto la casa che avevamo comprato, così le ho proposto di tornare ad abitare qui, perchè qui ci sei tu-
Il suo corpo è scosso da tanti singhiozzi che cerca di mascherare, ma io le vedo quelle lacrime, io la vedo la fragile Elsa che cerca di essere forte per tutti, dimenticandosi di se stessa. Io la vedo.
Questa volta sono io ad abbracciarla, mentre sento la stoffa in corrispondenza a dove ha appoggiato il volto inumidirsi.
Sta iniziando a tremare; per la prima volta, la mia regina di ghiaccio sta tremando.
Sollevo il lembo inferiore della felpa per poi farlo passare sopra la sua testa, che sbuca in corrispondenza del colletto accanto alla mia. Una felpa per due.
-Così rischi di sformarla- mormora
-Non importa- la abbraccio ancora più stretta -La mia preferita è un'altra.-
La vedo sorridere, questa volta per davvero.
-Grazie- si volta e mi sembra di essere di nuovo davanti a quella cartina in quell'aula di un giallo sbiadito, con i nostri nasi uno a pochi centimetri dall'altro. E come due mesi fa, la bacio. Sa di cioccolata, come la prima volta.
Ci allontaniamo e lei sta ancora sorridendo, mentre noto che anche io ho gli angoli della bocca curvati verso l'alto.
Mi sdraio, facendole poggiare la testa sulla mia spalla. Ed è così che rimaniamo. Non so per quanto, ma so perchè: perchè anche se la distanza non divide, noi non vogliamo correre rischi.

NOTE DELL'AUTRICE FLUFFOSA:
Buon ciao a tout le monde!
Ed ecci qua col seguito di “The cold never bothered me anyway”, 'sta volta raccontato dal punto di vista di Jack.
Devo dire che le mie più grandi paure sono quelle di aver fatto dei personaggi un po' troppo OOC, o di essere risultata troppo mielosa, quindi se vi sembra esagerato vi prego di riferirmelo e provvederò a sistemare ;)
Che altro? Ah sì, la mia scena preferita è quella della felpa stile pubblicità della Milka (era da un po' che volevo inserire questo dettaglio in una Jelsa v.v) e spero che non risulti...superflua, per così dire.
Bhe, tutto qua, vi prego di farmi sapere cosa ne pensate perchè ho mille dubbi a riguardo :o sono uno di quei periodi in cui ho mille ispirazioni, ma quando scrivo il testo mi fa schifo, infatti avevo anche in mente di fare un'altra long, questa volta con i personaggi di A Tutto Reality, e magari anche una OS su OUAT, ma per ora è meglio che finisca la long coi Big Six....okay, probabilmente non ve ne fregava un tubero, ma io ve l'ho detto lo stesso c':  baci,
Ladradilucciole

P.S.: la canzone iniziale è “scordarmi chi ero” di Emis Killa, l'ho scelta perchè credo si addica molto a Jack, anche pensando al film, dove lui non sa niente del suo passato :3

 

   
 
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