Anime & Manga > Jenny la tennista/Ace o nerae
Ricorda la storia  |      
Autore: Ninfea Blu    05/11/2014    5 recensioni
[Ace o nerae-Jenny la tennista]
[Seconda serie - OAV]
Il dolore di Jenny, le parole consolatorie di un amico che la spinge a non arrendersi alla sua pena.
Le impronte sono quelle lasciate da chi non c'è più.
"Forse l’unica che poteva capirla davvero era Rosy, la sola che stesse vivendo un dolore simile al suo. E se non era simile, era il dolore di una sorella ed era comunque intenso.
Rosy che probabilmente sapeva.
Aveva sempre saputo la sorte che attendeva suo fratello."
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Avversaria imbattibile

Impronte

 

 

 

 

 

Il cielo intravisto oltre i vetri della finestra era troppo limpido e azzurro, lontano dal suo umore tetro quanto la nostalgica felicità di un passato perduto per sempre. Erano diversi giorni che non usciva nemmeno dalla sua stanza.

 

Era passata una settimana… forse due. Aveva perso il conto.

 

Ma non avrebbe voluto ricordarlo.

 

Il tempo era fatto di polvere che si depositava sulle cose, ed era un altro avversario che non si poteva sconfiggere, inesorabile e severo.

 

 

Non mangiava e dormiva poco, né aveva alcuna voglia di allenarsi; i suoi genitori erano preoccupati e lei si dispiaceva per loro, ma pensava che nessuno al mondo in quel delicato momento potesse aiutarla. Né i suoi amici del circolo del tennis, né la sua amica del cuore Mary, sempre pronta allo scherzo, né Madama Butterfly, o Teddy, o chiunque altro.

Forse l’unica che poteva capirla davvero era Rosy, la sola che stesse vivendo un dolore simile al suo. E se non era simile, era il dolore di una sorella ed era comunque intenso. Rosy che probabilmente sapeva.

 

Aveva sempre saputo la sorte che attendeva suo fratello.

 

Ma non si può essere preparati ad un simile evento. Nessuno può esserlo.

 

Quello era l’unico allenamento che non aveva ricevuto. Jeremy non l’aveva preparata a questo.

 

La mangiatrice di uomini [1] lasciava addosso un peso di ineluttabilità impossibile da vincere, la sola avversaria che fosse davvero imbattibile e implacabile, contro cui non si potevano pretendere rivincite.

La morte non concedeva parità, era sempre in ampio vantaggio, e la sconfitta che infliggeva era una delle più salate e amare che si potesse subire.

Jeremy O’ Connors doveva saperlo, eppure aveva combattuto da solo la sua ultima partita contro il terribile avversario segreto che avvelenava il suo sangue, senza dire nulla ai suoi ragazzi, senza dire niente a lei, la protetta che si era sentita troppe volte una come tante, inadeguata a quello sport bellissimo e faticoso, sballottata tra i suoi desideri e rinunce, in bilico tra coraggio, paura, determinazione, sconfitta e voglia assoluta di vittoria.

 

Ventisette anni, tempo scaduto. Non esistevano tempi supplementari, né ultimi set.

E la lotta era già in atto quando si erano incontrati solo tre anni prima.

 

Tre anni.

Tre anni della sua vita.

Della vita di Jeremy divisa con lei.

 

Era tutto scritto in quel triste diario che Robin, il monaco amico di Jeremy, le aveva dato al tempio. Leggerlo era stato quanto di più penoso le fosse capitato di fare.

Leggerlo e capire tutto: la sofferenza, la speranza remota in un futuro irraggiungibile, tutti i sogni riposti in una piccola fragile adolescente, una dolce ragazzina dal carattere battagliero e tenace, attraverso cui poter rivivere e farsi ricordare.

 

Quel diario era lì, sul pavimento con lei, aperto su una pagina lasciata bianca e battezzata con le sue lacrime. L’inchiostro in una delle ultime pagine era sbavato in un punto, come se la mano nello scrivere, avesse improvvisamente tremato. Cercava di immaginarlo mentre lasciava scorrere il pennino sulla carta, cercava di pensarlo ancora vivo.

 

Lo aveva addirittura sognato, sereno e tranquillo, con un sorriso che non gli aveva mai visto, sotto un albero di pesco fiorito, felice per la sua vittoria. Era stato un bel sogno, durato lo spazio di un volo tra l’America e il Giappone, ma svegliarsi era stato tremendo.

 

Era terribile tutte le volte che doveva aprire gli occhi e affrontare la realtà della perdita.

 

Aveva già versato lacrime infinite, aveva urlato di rabbia e disperazione; ora non faceva nulla tranne starsene rannicchiata contro la sponda del letto, seduta sul pavimento, le ginocchia raccolte contro il petto e trattenute dalle braccia come se gli arti inferiori potessero crollare sotto il peso di quel dolore.

 

Dopo la vittoria conseguita al torneo in America, aveva provato sentimenti di autentica euforia che sembravano impossibili da controllare, ma si erano dissolti in un baleno, travolti da un’ onda nera che aveva il colore profondo dell’angoscia.

E ora non le restava che il vuoto.

Un vuoto abissale in cui collassava tutto il suo mondo, il mondo del tennis, un luogo fatto di fatica, sudore e passione autentica che Jeremy aveva costruito insieme a lei, per lei.

Ogni colpo, ogni palla buttata contro la rete, lanciata oltre le linee del campo, i rovesci, le corse sulla terra rossa, le sfide e le umiliazioni, tutto era stato per lui. Solo per lui.

Perché solo lui, all’inizio aveva creduto in lei.

E lei, gli era profondamente grata per questa fiducia incondizionata.

 

Non c’era stato sacrificio che non fosse stata disposta a fare per ripagarlo di quella fede riposta.

 

Anche l’amore.

Sì, anche l’amore aveva messo da parte.

E aveva imparato ad amare il tennis, e attraverso il tennis aveva amato lui.

 

E tutto sembrava andare in pezzi.

Il mondo ora era fatto di macerie impossibili da ricostruire.

Cosa le restava adesso?

Il sacrificio non aveva più senso perché tutto era stato fatto per Jeremy.

 

Tutto quello che ho fatto, l’ ho fatto per te, mio dolce Jeremy. Tutta la forza, la passione che avevo dentro, me l’ hai data tu, pensò Jenny in quel momento, e i suoi grandi occhi chiari iniziarono a piangere di nuovo.

 

Forse non avevano mai smesso. Il dolore era sempre lì, inchiodato sul cuore, e non sarebbe andato via tanto presto. Forse non l'avrebbe abbandonata mai.

 

Era stato un amore strano, una specie di amore platonico. Sicuramente ricambiato.

Quasi segreto, eppure non del tutto, perché era un legame percepibile a chi stava loro intorno. Era tangibile, visibile con gli occhi. Lo aveva sentito l’amore di Jeremy per lei, una comunione dello spirito tra la creatura plasmata e il suo Pigmalione.

 

Era una passione autentica che la faceva vivere. E l’aveva fatta crescere.

 

Ma per Jenny era finita troppo presto e troppo tragicamente, come se un impietoso coltello affilato avesse reciso di netto il cordone emotivo che la legava a Jeremy.

 

 

C’era qualcuno che bussava alla porta della sua stanza.

Chissà da quanto tempo era lì dietro, che chiedeva di entrare; faticosamente Jenny risalì dal suo limbo di silenzio in cui si perdeva per ore, dove non arrivava suono né emozione che fosse vitale, ma solo sofferenza, e lentamente come se provenisse da chissà quali oscure profondità, riconobbe la voce.

Taddy era lì. Era tornato da lei e insisteva per poterla vedere.

 

Era un caro ragazzo Teddy, un amico sincero dall’animo sensibile.

 

“Jenny, per favore, fammi entrare. Non me ne andrò da qui, finché non mi permetterai di parlare con te, a costo di restare dietro questa porta chiusa tutta la notte.”

 

Lo avrebbe fatto davvero. Lo sapeva bene.

Era un ragazzo determinato in tutto quello che faceva.

Jenny trovò la forza per alzarsi dal pavimento e andare ad aprire la porta. Lo fece quasi per inerzia, senza una reale volontà. Non trovava impulsi per fare nulla e ogni movimento che imponeva al suo corpo, la torsione di un polso, sollevare un braccio o piegare un ginocchio, era un gesto meccanico, quasi fosse stata un’ automa. Spalancò la porta e si trovò davanti lo sguardo franco e preoccupato di Teddy, che la sovrastava in tutta la sua imponente statura di atleta prestante, forte e possente.

Era un gran bel ragazzo Teddy, e in molti momenti anche recenti le era capitato di guardarlo con autentico interesse.

 

Non era così adesso.

 

Lo guardò appena, distratta, lo sguardo assente e remoto, gli occhi cerchiati di stanchezza e lacrime seccate sulle guance. Abbassò lo sguardo al pavimento dandogli le spalle, senza dire una parola, avviandosi verso la finestra. Lo sentì fare un passo dentro la stanza e chiudere la porta alle sue spalle. Sentì il fruscio dei suoi jeans, mentre si sedeva sulla sedia accanto al letto.

Quante volte era venuto nella sua stanza?

Forse due o tre, e mai da solo.

 

Jeremy non era mai entrato nella sua stanza. Mai una volta che fosse venuto a trovarla a casa. Non aveva ricordi di lui, lì, e improvvisamente pensò che avrebbe voluto trovarsi altrove, in un luogo dove lui fosse stato presente.

 

“Jenny… - Teddy l’aveva chiamata per nome, e lei parve ridestarsi dal suo torpore. Puntò lo sguardo su di lui e non ricordò di averlo mai visto così triste. Una tristezza che le fece male. – Devi trovare la forza di reagire. Devi farlo per te stessa, e poi per Jeremy. Per Reika, Rosy… e anche un po’ per me.”

Le ultime parole furono quasi un sussurro inudibile.

“Oh Teddy… io non ho più voglia di giocare a tennis. Non ha più senso continuare…” confessò Jenny, senza poter nascondere tutta la sua afflizione.

“Non devi neppure pensarlo. Il tennis è il tuo mondo, la tua vita: non puoi buttare via anni di sacrificio serviti per arrivare fin qui. Renderesti vano tutto il lavoro di Jeremy, e sono certo che non lo vuoi.”

“Avevo ancora bisogno di lui, dei suoi consigli. Non posso farcela Teddy, non posso… è troppo difficile…”

I brevi singhiozzi di Jenny erano come spine contro il cuore affranto dell’amico. Teddy lasciò che si sfogasse, la guardò in silenzio, mentre appoggiava la fronte al vetro freddo della finestra. Attese pochi minuti, poi si alzò dalla sedia per avvicinarsi alla ragazza che continuava a volgergli le spalle.

Lei non lo sentì avvicinarsi.

Si accorse di lui, solo quando avvertì le mani calde del ragazzo posate con dolcezza sulle sue spalle. Senza che se lo fosse aspettato, provò un subitaneo senso si sollievo per quella vicinanza inaspettata. Gliene fu grata.

I suoi singhiozzi si calmarono, pur non cessando del tutto.

“Puoi contare su di me, Jenny. Ce la farai e io ti aiuterò se me lo permetterai. Non arrenderti, ti prego. Appoggiati a me e io ti sosterrò in questo momento difficile.”

 

Non è giusto… non è giusto… non è giusto…

 

Jenny non faceva che ripetere le stesse parole ossessive, un lamento che aveva il suono insistente di una cantilena. Teddy all’udirle, accentuò la pressione delle mani sulle spalle della ragazza. Avrebbe tanto voluto circondarla in un abbraccio consolatorio, stringerla con la schiena contro il suo petto, ma si trattenne.

Restò fermo, in attesa, le mani sempre appoggiate su di lei a cogliere i fremiti convulsi del suo corpo, che pareva sul punto di scoppiare di dolore.

Voleva che fosse lei, e lui voleva essere pronto, preparato a quella deflagrazione e attutire il colpo.

La sentì singhiozzare, prima sommessamente, nel disperato, impossibile tentativo di soffocare le lacrime che spingevano per uscire. E quando gli argini di quella pena si ruppero, Teddy avvertì uno scossone violento e crudele sul cuore: il pianto di Jenny si fece disperato e senza più controllo, si sciolse bagnando le guance della ragazza fino a scivolarle sul mento. E quando Jenny straziata e vinta affondò il viso e le mani contro il maglione di Taddy, lui sentì l’ umidità arrivare fino alla sua pelle.

E sulla lingua gli parve di sentire un sapore di sale. [2]

 

Non gli era mai sembrata così fragile, sul punto di spezzarsi come cristallo sottile. Se fosse accaduto, i cocci non si sarebbero mai più ricomposti. Anche Robin diceva la stessa cosa, temeva addirittura qualche gesto sconsiderato, e tutti gli amici erano in ansia per questo.

Era un’ idea che lo atterriva, e faceva ogni possibile sforzo per allontanare da sé quel pensiero orribile. Ma poteva non bastare.

 

Amava Jenny.

Forse un tempo anche lei aveva provato qualcosa per lui, un pensiero che qualche volta era stato perfino consolatorio, quando non si ammantava di amaro rimpianto.

L’amava in silenzio, da anni, di un amore sincero, costante e profondo, consapevole che prima di tutto c’era sempre stato Jeremy.

Eppure non l’aveva mai invidiato e aveva nutrito per l’allenatore sempre e solo un grande rispetto. Certo, avrebbe voluto prenderne il posto, ma mai in un modo simile.

Fu terribile sapere della sua morte, di quanto fosse stata rapida e improvvisa, e fingere di fronte a lei per proteggerla dalla terribile verità che le sarebbe comunque piombata addosso.

Eppure lo aveva fatto, con indicibile sforzo.

Per amor suo.

 

E sempre per amore, ora era lì a offrirle il suo sostegno, a infonderle coraggio per uscire da quella stanza, e tornare a lottare su un campo da tennis, a sfidare la vita.

E forse, chissà quando, sarebbe arrivato anche per lui il momento di ricominciare.

E forse, no.

Ma non importava.

La cosa veramente importante era che Jenny superasse quella difficile prova, a qualsiasi costo, anche se voleva dire rinunciare a lei, che continuava a bagnare di lacrime il suo maglione, e lui la stringeva a sé, immobile.

“Lo so che non è giusto, Jenny. Lo so cosa provi. Ma sarebbe ancora più ingiusto se tu ti lasciassi vincere dal tuo dolore. Considera questa la tua partita più importante, una sfida che non devi assolutamente perdere. Perché se tu perdi, perdiamo tutti e anche Jeremy avrà perso.”

A quelle parole Jenny sollevò lo sguardo verso il suo viso.

Incontrò gli occhi seri e dolci del ragazzo, che la guardavano mesti, eppure con estrema decisione. Lo fissò qualche istante, poi Jenny abbassò nuovamente lo sguardo, ma Teddy le sollevò delicatamente il viso.

“Ti prego Jenny, devi andare al tempio.”

“A fare cosa? Non vedo a che servirebbe…” obbiettò lievemente sorpresa.

“Invece ti aiuterebbe. È stato Robin a chiederlo; ci ha detto che dobbiamo convincerti ad andare là. Jeremy ha lasciato a Robin il compito di proteggerti, e tutti noi, i tuoi amici vogliamo solo il tuo bene. Faresti questa piccola cosa per me, Jenny? Se non per me… allora, ti prego, fallo per Jeremy.”

“Oh…”

La vide sussultare lievemente, e altre lacrime rigarono ancora le sue guance pallide. Teddy si allontanò un poco da lei, solo per raccogliere quel diario che era rimasto abbandonato sul pavimento. “Posso?” Le chiese. Lei annuì.

Iniziò a sfogliarlo, a scorrerlo velocemente con gli occhi; la scrittura di Jeremy era ordinata e riempiva i fogli di sogni, speranze, delusioni e inevitabile amarezza. Improvvisamente il suo interesse si focalizzò su una pagina, su alcune frasi particolari.

Lo porse a Jenny perché lei lo leggesse.

“Sono parole sue.” Le disse.

 

 

(…) Robin, amico mio, devo chiederti un ultimo grande favore, e so che potrò contare su di te. Quando non ci sarò più, dovresti stare vicino a Jenny, aiutarla e sostenerla nel difficile momento che si troverà ad attraversare. È forte e fragile allo stesso tempo, ma ho paura che il trauma potrebbe essere troppo forte. Non lasciare che l’angoscia prenda il sopravvento su di lei, non permettere che si arrenda, a qualsiasi costo. Il suo destino è diventare una campionessa, ho consacrato gli ultimi tre anni della mia vita a questo, e la mia morte non dovrà essere la fine di tutto. Così io vivrò in lei, e lei andrà avanti con la sua vita. Ti prego, fa che sia così (…)

 

 

Teddy si diresse verso la porta e la aprì, ma prima di uscire si voltò ancora a guardarla, quel diario sempre aperto tra le mani.

“Jenny, affronta questa prova e ricomincia a vivere.”

Combatti amore mio, pensò. Varcò la soglia e la chiuse dietro sé.

 

Jenny, gli occhi troppo stanchi, brucianti e ancora lucidi di pianto, tratteneva il diario aperto stretto contro il petto.

Le sembrava scottare contro la pelle, come se le parole di Jeremy fossero impronte impresse col fuoco sulla sua anima.

 

Come se fossero vive.

Impronte che aveva lasciato Jeremy su di lei.

 

Improvviso, il pensiero sovvenne alla superficie da chissà quale remota profondità della coscienza.

 

Lo erano davvero.

 

Vive.

 

Lei poteva sentirle.

 

 

 

********

 

 

Salve a tutti. Mi è capitato di recente di vedere la seconda serie di “Jenny la tennista” (gli OAV del maestro Dezaki, il compianto regista della mia amata Lady Oscar) e l’ ho trovata bellissima nei disegni, profonda e commovente nella storia più adulta, rispetto alla prima serie vista nella mia infanzia.

La morte dall’allenatore Jeremy mi ha lasciato di sasso, mai avrei immaginato una tale tragedia.

Il tono della mia fiction logicamente è triste, ma non senza speranza, almeno spero che si percepisca.

Grazie a chiunque avrà la bontà di lasciare un piccolo commento.

Ninfea.

 

 

 

 

 



[1] Titolo di una canzone di Paola Turci

[2] Ispirazione derivata dalla lettura di “Sa di sale la morte” di Macchia Argentata

   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Jenny la tennista/Ace o nerae / Vai alla pagina dell'autore: Ninfea Blu