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Autore: thatswhatfriendsarefor    06/11/2014    14 recensioni
Dopo essere stata ferita al funerale di Roy, Kate si rifugia nella baita di suo padre e in se stessa.
Riuscirà davvero a rimanere da sola?
La nostra personalissima versione della 4x01 o meglio una ipotetica 3x25
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Quasi tutti, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'E se l'inizio fosse stato diverso?'
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Introduzione

Ciao a tutti!

A un anno esatto dalla pubblicazione del primo capitolo di “Dreams come true” siamo tornate con una nuova storia! Per chi non conoscesse ancora chi si cela dietro questo nickname, siamo Monica e Debora e questa è una ff scritta a 4 mani.

Il procedimento è sempre lo stesso, come nei nostri due precedenti esperimenti: si parte da un’idea comune che si sviluppa a grandi linee insieme e poi si scrive un capitolo a testa. Ma ogni capitolo viene revisionato più e più volte e tutte e due interveniamo in maniera profonda e radicale, togliendo, aggiungendo, modificando quello che ha scritto l’altra.

Speriamo che anche questa storia vi piaccia. Buona lettura

Debora e Monica

Capitolo 1 – Messa alle strette

Le parole del libro hanno i contorni sfocati. Non faccio in tempo a concentrami sulla pagina che nuovamente la mia mente vaga senza riuscire ad andare avanti nella lettura. Le fitte al petto mi lasciano ancora senza respiro ogni qual volta cambio posizione, senza parlare di quando provo a prendere qualcosa dai pensili più alti: sento le ferite pulsare dolorosamente. Quel dolore è l’unica cosa che mi riporta alla realtà, mi ricorda dove sono e mi rammenta che l’attività principale della giornata è tentare di leggere un romanzo. Guardo distrattamente l’orologio, quello che mi ha regalato mio padre tanti anni fa, in un periodo della mia vita altrettanto buio, e penso che lui rientrerà presto. Ormai sono sola nella baita da più di tre ore e questo è sintomo del fatto che lui pensa che io stia meglio. Visto che nella dispensa c’è praticamente l’eco, papà è sceso in paese per fare scorte. Devo essere migliorata tantissimo: la scorsa settimana è dovuto tornare in città per lavoro per una mezza giornata e ha chiesto alla signora Buchanan di venire a farmi da babysitter, come quando ero piccola.

A me.

Alla detective Kate Beckett della Polizia di New York sezione omicidi!!!

Ma per loro il distintivo non conta: sono solo Katie, lo stesso scricciolo magro e con le trecce che a sei anni è caduta e si è sbucciata le ginocchia.

Provo a tornare al mio romanzo e mi rendo conto che da quando mio padre è uscito ho letto appena un paio di pagine, di cui tra l’altro non ricordo assolutamente nulla.

Scosto il plaid che papà mi ha messo sulle gambe, mi alzo con grande lentezza per evitare di fare movimenti bruschi e mi metto ad osservare fuori dalla finestra. La temperatura è mite. E’ fine maggio e mi hanno dimesso dall’ospedale solo una ventina di giorni fa. Sono dimagrita molto e sto per lo più ferma, per questo ho sempre freddo. Da poco ho iniziato a fare passeggiate con mio padre nei luoghi della mia infanzia, ogni giorno sempre un po’ più lunghe e non vedo l’ora che arrivi il pomeriggio e il momento della nostra camminata. Forse oggi riuscirò ad arrivare fino alla pista di pattinaggio, quella dove mi portava mamma tantissimi anni fa.

Porto istintivamente la mano sul cuore per sentire il suo battito regolare. Josh mi ha fatto capire senza mezzi termini che mi sono salvata per un miracolo e perché lui mi ha operato senza aspettare il chirurgo che lo avrebbe dovuto sostituire, come sempre accade in questi casi. Davvero non so come abbia fatto Josh a rimanere lucido e ad iniziare ad intervenire. Mi ha confessato che il problema più grande all’inizio erano state le lacrime che gli avevano offuscato la vista poi, fortunatamente per me, ha recuperato la concentrazione e il distacco necessari per affrontare l’intervento ed è riuscito a fare quello che doveva fare. E mi ha restituito la vita.

Mi sento in colpa nei confronti di Josh.

Non l’ho mai amato veramente, ma ho passato dei bellissimi momenti con lui e per un po’ ho pensato davvero che fra noi potesse funzionare. Finché non ho iniziato a sentirmi sempre sola, le sue assenze si sono fatte sempre più frequenti, e mi sono ritrovata con una rivale che non avrei mai potuto sconfiggere: la vita delle persone cardiopatiche.

Ma dopo quello che è successo al funerale di Roy, dopo che Castle mi ha confessato di essere innamorato di me, non sono più stata la stessa con lui. Non sono più riuscita a fingere che mi potessero bastare le briciole del suo tempo. In più devo essere onesta: è una bravissima persona e si merita di meglio, qualcuna che possa amarlo senza remore e seguirlo anche in capo al mondo. E quella donna non sono certo io.

Il rumore della macchina di papà mi risveglia dal turbine dei pensieri nei quali sono nuovamente caduta.

Mi alzo con cautela dal divano e mi affaccio sulla porta. Vedo mio padre aprire il portabagagli e tirare fuori quattro grandi buste della spesa. Sorrido pensando che ha deciso di mettermi all’ingrasso e, tutto sommato, i primi frutti dei suoi tentativi si iniziano a vedere.

“Ciao, papà. Mi dai qualcosa?” provo a chiedere allungando una mano verso una delle buste ma ovviamente non è ancora il caso di portare i pesi e papà lo sa bene.

“Sì, un abbraccio. Appena le poso.” Mi fa l’occhiolino e mi sorpassa mentre io rimango interdetta. Per quanto ancora mi tratterà come una malata? Poi scuoto la testa e mi rassegno. Forse non ha tutti i torti. Ho ancora bisogno di recuperare.

Lo aiuto a riporre la spesa in dispensa per quanto il lavoro maggiore lo faccia lui. I miei movimenti e i riflessi sono ancora lenti e la fiacca che mi sento in corpo non aiuta di certo.

Cuciniamo insieme, o meglio, io gli faccio compagnia seduta su una sedia della cucina e mio padre approfitta di un mio momento di debolezza per farmi il terzo grado.

“Allora Kate, sei riuscita a leggere questa mattina?” mi chiede. Ha sicuramente notato il libro lasciato aperto sempre alla stessa pagina sul divano.

“No, non molto.” rispondo guardinga.

“Ti sei addormentata come ieri?”

“Più o meno” mento osservando con attenzione i suoi movimenti. Ha un tono strano e le mie antenne da detective mi tengono sulle spine. Almeno qualcosa in questo mio corpo sfregiato e malandato funziona ancora bene.

“Ha telefonato zia Theresa questa mattina presto. Quando puoi, richiamala. Ha chiamato ogni giorno e credo che le farebbe piacere sentirlo dalla tua voce che stai meglio”.

Annuisco.

Sono giorni che dovrei farlo ma non ho voglia di parlare con nessuno. Ho liquidato velocemente anche Lanie dicendo che mi stanco a stare al telefono e sono riuscita a convincerla che ancora non me la sento di ricevere visite. Il fatto che la baita di mio padre sia a qualche ora di macchina da New York non è di certo l’ideale per brevi visite di cortesia e il mio bisogno di solitudine è stato facilmente rispettato.

Dopo essere uscita dall’ospedale non ho più parlato con nessuno al di fuori di mio padre e di un paio di chiamate di Lanie, anche se speravo invano che papà non se ne fosse accorto.

“Kate!”

Mi riscuoto dai miei pensieri. Ormai sta diventando un’abitudine isolarmi anche in sua presenza. Gli sorrido. Un sorriso mesto, come sempre ultimamente.

“Kate, da quand’è che non senti Josh?”

Bingo!

Ha fatto centro.

Faccio un ultimo disperato tentativo di evasione da una conversazione che avrei voluto ancora rimandare.

Indico il cellulare buttato sul divano vicino al libro.

“Lo chiamo la mattina quando tu non ci sei. Perché?” Fingo di stupirmi della domanda e di rispondere adducendo improbabili motivi di privacy.

“Non credo proprio. Kate, che succede?”

“Come non credi proprio?” provo a ribattere, sentendomi sempre più vicino alla spiegazione che non mi va di dare.

“Kate, Josh è un medico ospedaliero e la mattina, la maggior parte delle volte, è in sala operatoria o in reparto a fare visite.” Mi guarda come quando avevo dieci anni e mi ero inventata l’ennesima balla. Riesce ancora a far leva sui miei sensi di colpa come quando ero una ragazzina. Certe cose non cambiano mai.

“Mi chiama lui, quando può” tento ancora, con lo sguardo fisso allo scaffale subito dietro mio padre. Non abbassare gli occhi è la prima regola! E’ incredibile come sia facile farlo contro i criminali mentre ancora non mi riesce bene quando sono di fronte all’autorità genitoriale.

“Mi stai dicendo che la sua fidanzata è qui, convalescente dopo un’operazione a cuore aperto in cui ha avuto anche un arresto cardiaco e lui non viene a trovarla per vedere come sta, neanche nella giornata di riposo?” Papà ha il brutto vizio di guardarmi sempre fisso e questo mi rende più difficile continuare ad omettere la verità.

“Lo sai che è molto impegnato!” provo a ribattere con enfasi.

“Kate. Basta!” Dice con un tono perentorio di cui sembra pentirsi subito dopo. “Non è normale che dopo quello che hai passato sei qui, sola, e non senti più nessuno. Dimmi cosa succede!”

“Guarda che Josh… e poi … ho sentito Lanie.” Mi sto palesemente arrampicando sugli specchi e mio padre è un uomo troppo intelligente e determinato per bersela.

“Kate ho detto… basta!” dice dolcemente; poi mi si avvicina, prende una sedia e si mette a sedere proprio davanti a me.

“Cosa sta succedendo Kate, perché ti isoli da tutti?”

“Non mi sto isolando, sono solo sempre stanca” provo ancora a sviare.

“Katie, non è così. Non sei più tu in questi giorni. Sei distratta. Sei assente. Sei pensierosa, molto pensierosa…”

“Certo che non sono più io. Non mi avevano mai sparato prima! Sono spaventata per quello che è successo. Ho visto la morte in faccia… molto da vicino” aggiungo con un filo di voce “mi sono attaccata alla vita, ad un pensiero fisso e sono ancora qui. Ma i mostri sono sempre dietro l’angolo!”

Papà sospira e mi abbraccia stando attento a non stringere troppo per non farmi male. Ma non molla la presa subito quando tento di svincolarmi.

“Kate, te lo richiedo un’altra volta. Perché Josh non è venuto a trovarti? Sono passati venti giorni dalla dimissione dall’ospedale… ”

Non so più cosa inventarmi e la stanchezza e la debolezza del mio corpo hanno anche intaccato la mia tenacia. Tanto, prima o poi, questo discorso avrei dovuto affrontarlo.

“Quando sono uscita dall’ospedale e Josh ci ha accompagnati qui… be’ l’ha fatto per cortesia, per essere sicuro, come medico, che il posto andava bene. Lo sai, avrebbe preferito che fossi rimasta a New York in modo che per ogni emergenza…”

Smetto di parlare, non sapendo bene come affrontare la cosa e se rimanere sul vago, ma ci pensa lui a togliermi d’impaccio con le sue domande pressanti.

“Continua…” fa un chiaro cenno con la mano per invitarmi a proseguire.

“Papà, ci siamo lasciati.” Ci guardiamo negli occhi per qualche istante, finché proseguo “Josh è un uomo sempre impegnato a salvare vite umane e io già da tempo sentivo di non poter competere con la sua missione. Mi sono sentita molto sola ultimamente. E’ vero, spesso l’ho fatto in passato e anche questa volta sono stata io a cercare una relazione in cui potessi tenere un piede fuori dalla porta ma ad un certo punto ho cominciato a capire quanto mi mancasse un uomo a cui affidarmi e su cui poter contare, sempre. Josh non potrà mai esserci in pieno in una storia. Lui è sposato con la medicina. Non si dedicherà mai completamente ad una donna.”

Mi guarda come se fossi un’altra persona, come se non mi riconoscesse.

“Katie, ascolta. Non mi sono mai impicciato nelle tue storie, almeno dopo la tua maggiore età”. Lo guardo sorridendo, pensando a Paul Fisher che era finito in strada mezzo nudo con a mala pena i suoi vestiti in mano, una sera che mio padre era rientrato a casa prima in seguito all’annullamento di un’udienza.

Mi accarezza il viso.

“Non è Josh! Cioè, sicuramente c’entra anche lui ma…” fa una pausa per sollevarmi il mento. Vuole essere sicuro che senta bene le parole successive “tu non hai più parlato con nessuno. Una? Forse due telefonate con Lanie e basta. Dove sono i tuoi amici del distretto? Dov’è Castle? Prima, ad ogni nostro incontro, mi parlavi sempre di lui e in questi venti giorni non lo hai nominato neanche una volta…” si ferma ma vedendo che non ho intenzione di parlare aggiunge “… e non venirmi a dire che hai sentito Lanie più spesso, perché ha chiamato me sul cellulare per sapere come stavi e così hanno fatto anche Ryan ed Esposito”.

Sono stata messa all’angolo.

Scacco matto.

“Ho bisogno di riflettere… da sola” esclamo in un flebile sussurro.

“Permettimi di dissentire, Katie. Credo invece che tu abbia bisogno di parlare e, al momento, ci sono solo io, quindi, mi dispiace ma ti devi accontentare di me. Parliamone… Sei viva! Cosa ti succede? Dov’è la mia piccola Katie, grintosa e determinata?”

Mio padre è rimasto l’unico punto fermo della mia vita, merita per lo meno una spiegazione per smettere di preoccuparsi.

“Ho paura. Non mi sono mai sentita così.”

“Di cosa hai paura? Lo prenderanno presto il cecchino…” Si interrompe vedendomi scuotere piano il capo.

“Quando ero a terra, dopo lo sparo, mi sono ritrovata addosso Castle che mi chiamava e … io non riuscivo a tenere gli occhi aperti e… papà, non solo Rick ha rischiato di prendere la pallottola la posto mio, ma mi ha anche detto che mi ama.” Vedendo mio padre rimanere a bocca aperta, gli prendo entrambe le mani fra le mie.

“Tu sai quanto Castle ed io siamo inseparabili sul lavoro. Lui ha reso le mie giornate meno dure portando sempre un po’ di leggerezza e allegria ma negli anni ecco… quello che ti ho detto prima su Josh, be’ mi sono resa conto di volere una relazione diversa da quando Castle … Lui c’è sempre papà e …”

“Lo ami? E’ per questo che hai lasciato Josh?” diretto come al solito, mio padre non conosce le mezze misure.

Colpita e affondata.

Mi prendo un bel po’ di tempo prima di rispondere tenendolo sulle spine. Ma quello che sto per dire ad alta voce è un’ammissione terribile anche per me stessa.

  
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