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Autore: Feynman    06/11/2014    1 recensioni
Il fatto, inoltre, che siano le… 2:43, dando retta alla sveglia digitale sopra il tavolinetto da caffè di un soggiorno non mio, di un ormai sabato non dovrebbe stupirmi affatto. [...] Solitamente una così detta “persona normale”, non si sveglia nel soggiorno di qualcun altro, non apre il computer che ha davanti – assolutamente non suo –, e non inizia a delirarci sopra come se fosse la norma e appreso, dopo pochi minuti, la serie di dettagli estranianti e assolutamente non normali, dovrebbe cercare di fare qualcosa! [...]
Credo che se non mi servisse, l’avrei già uccisa per carpire qualche segreto del suo cervello. Sento i suoi ingranaggi muoversi anche da questa distanza. Sta pensando, sta valutando e lo sta facendo velocemente. Le sue sinapsi viaggiano a una velocità doppia – se non tripla – confronto qualsiasi altra ragazza che odorasse di mandorle amare.
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ringrazio quella buon'anima di Ludovica che non smette mai di sostenermi. 
Gli incauti lettori, invece, sono liberissimi di maledirla.





Nel bel mezzo di non so dove,
1 novembre ’14






 
 
Ogni anno è sempre la stessa storia e io mi occupo di chiudere il finale – come sempre, appunto.
Ogni volta mi dico che sarà l’ultima perché, questa storia, mi è venuta fin troppo a noia e anche io, come gli altri, vorrei leggere un altro libro e non rimanere ancorata a questo. Il finale è noioso, patetico e scontato. L’inizio è sempre promettente, positivo e allegro. Lo svolgimento – il corpo centrale di questa merdosa storia – è identico, e diverso, da quello di ogni altro anno.
Il finale, però, è sempre quello.
Un gruppo di amici, – quattro ragazzi e cinque ragazze – compagni fedeli dai tempi del liceo, stupidi sognatori durante il primo anno di università e spregevoli ingannatori durante il secondo, che decidono di rivedersi… come se otto di loro non lo facessero tutto l’anno.
Ai tempi, quando successe, non avrei mai detto che sarebbe stato uno dei finali più scontati che il Fato avesse deciso di mettere in scena, sul suo palcoscenico da tragi-commedia. Non dissi che quel loro mutare delle regole non scritte – e accettate da tutti, ugualmente – ci avrebbe condotti verso la serie improponibile di finali patetici della nostra personale messinscena.
Io non parlavo mai più del dovuto e quindi, per pigra abitudine, non dissi niente nemmeno quella volta; quando una mia parola, forse, avrebbe potuto evitarci quella successione di orribili cliché.
Cosa successe?
Non insultate le vostre menti, vi prego. Il finale è talmente ovvio e noioso da permettervi di indovinarlo da voi, con le vostre sole menti come aiuto…
…proprio niente?
Si fidanzarono, ovviamente!
Quattro ragazzi e quattro ragazze – i miei compagni d’una vita – decisero di unirsi spiritualmente e fisicamente – per quanto preferisca distogliere lo sguardo ogni volta che succede.
Semplicemente non so ancora cosa mi spinga – quale strana amnesia mi colga – ad accettare, ogni volta, un loro invito di un’uscita in gruppo come i bei vecchi tempi. Solo che queste uscite di “bello” hanno veramente molto poco, di “vecchio” c’è solo il solito sapore di bile che risale l’esofago – con un leggero retrogusto di pizza –, e di simile a ciò che, ormai, è passato c’è ancora meno: siamo tutti cresciuti e nessuno sembra volerlo accettare. Nessuno oltre la sottoscritta, a quanto pare.
Il fatto, inoltre, che siano le… 2:43, dando retta alla sveglia digitale sopra il tavolinetto da caffè di un soggiorno non mio, di un ormai sabato non dovrebbe stupirmi affatto. I venerdì come quello appena finito, sono all’ordine del giorno nella mia vita super movimentata da oltre ventenne dipendente da serie TV, pigiami di flanella dai colori improponibili e bevitrice accanita di tè e caffè – perché stranamente vanno d’accordo in un solo stomaco. Dove trovo il tempo per farmi sconvolgere il weekend in sbronze dimenticabili e ancora più labili discorsi? Non ne ho idea! E infatti, ripensandoci, sono alquanto indietro con la mia principale occupazione – dopo lo studio, ovviamente – che occupa gran parte delle ore che ho a disposizione in un giorno di riposo.
Il dettaglio innovativo – perché, stranamente, in questo soliloquio scritto c’è anche questo – è che, in effetti, il tavolinetto su cui è appoggiato il computer portatile, la sveglia e lo stesso computer non sono i miei!
La cosa mi stupisce perché la divertentissima e piacevolissima serata, è finita come suo solito: sbaciucchiamenti vari, quasi sesso sulle panchine del parco, bottiglie di birra, pacchetti di Marlboro e Chesterfield buttati a terra, chiacchiere e tanto silenzio pesante, colpevole, insofferente, soffocante… e piacevole – alle mie orecchie, almeno.
Non so come prendere quest’ultimo fatto, in effetti.
Solitamente una così detta “persona normale”, non si sveglia nel soggiorno di qualcun altro, non apre il computer che ha davanti – assolutamente non suo –, e non inizia a delirarci sopra come se fosse la norma e appreso, dopo pochi minuti, la serie di dettagli estranianti e assolutamente non normali, dovrebbe cercare di fare qualcosa!
Cosa fanno, però, le persone normali in certe situazioni? – le persone normali, prima di tutto, si ritrovano in queste situazioni?
Potrei – dovrei -  chiamare qualcuno, magari. Non sembra una cattiva idea.
Magari dovrei cercare aiuto dato che non riconosco, per nulla, la conformazione di questo salotto – splendido, per altro. Il pavimento dovrebbe essere in parquet di bambù, considerando il colore chiaro delle assi; il divano, completo di isola, a cinque posti e con l’angolo, è in tessuto e di un grigio molto scuro. Davanti al divano, probabilmente agganciata al muro, c’è una televisione a schermo piatto che mi regala il riflesso del mio viso apparentemente rilassato e per nulla sconvolto.
Dovrebbe allarmarmi, inoltre, il fatto che non riconosco ciò che produce le luci, all’esterno, che gettano il soggiorno in una leggera penombra e che mi ha permesso di descrivere il colore del divano e la natura del parquet.
Non è per nulla normale neanche che io continui a scrivere senza alzarmi e iniziare davvero a cercare un telefono, in giro per il salotto.
L’appartamento, penso, potrebbe essere anche una camera d’albergo, semplicemente. Le camere d’albergo sono dotate di telefoni che mettono in contatto con la reception e con l’esterno…
Sono vestita – il che, secondo alcuni, è molto importante perché esclude ogni tipo di violenza fisica ma non mentale, nel mio caso… non che ci sia rimasto qualcosa da violentare, temo.
Credo, in tutta franchezza, di dover iniziare a cercare qualcosa per capire dove sono…


 
Così fece, in effetti.

Si alzò dal pavimento e, lasciando il computer acceso, cercò a tentoni l’interruttore della luce – di qualsiasi luce – che trovò accanto alla porta di quello che sarebbe dovuto essere l’ingresso. La piccola ispezione preliminare, e al buio, le permise di notare la grandezza di quella che, a quel punto, non poteva essere una normale camera d’albergo – una suite, forse? Ma chi si sarebbe preso la briga di prendere una suite d’albergo per portarci una ragazza sconosciuta?

Un pazzo, forse. Un pazzo l’avrebbe fatto di certo.

Il fatto di essere fra le mani di un novello Joker, non sembrava averla messa in allarme: il suo viso non era contratto dal panico, il suo respiro non era irregolare, le sue mani non erano sudate e, dopo aver acceso la luce, posso dire che non ha neanche le pupille dilatate.
La vedo sussultare un attimo – più sorpresa che spaventata –, dopo aver notato anche la mia presenza nella stanza.

Mi ha svegliato il rumore delle sue dita sulla tastiera del computer. Ho un udito molto sensibile, “fuori dall’ordinario” direbbe qualcuno perché, modestamente, di normale non ho proprio niente e, ovviamente, il tutto è intelligentemente nascosto.

La ragazza ha i capelli lunghi e di una sfumatura arancione, molto particolare. Da lontano, sotto la luce calda dei lampioni, i suoi capelli avevano lo stesso colore delle zucche esposte fuori dalle porte. Mi aveva attirato, in un primo momento, l’odore pungente di fumo e di zucchero – decisamente troppo zucchero – che contrastava, prepotentemente, con quell’aria così oscura che aveva da dietro.
Mi ci è voluto decisamente poco per catturarla. Ha lottato, in un primo momento, mentre il sonnifero faceva il suo compito. Il suo odore mi aveva riempito le narici, in quel momento, e oltre allo zucchero c’era il netto odore di mandorle amare… e non era certamente la pezzuola che stavo usando per addormentarla, ad emanarlo. La caccia è stata decisamente proficua, stanotte.

«Chi sei?»

Oh, andiamo! Potresti fare di meglio, bambina. Chissà perché è sempre questa, la prima domanda. “Chi sei?”. Prima o poi condurrò uno studio psico-sociologico su questo fatto del “chi sei”.

«Vuoi un caffè, per caso? Magari una camomilla… oppure qualcosa da mangiare?»

Decisamente ottima mossa, amico mio: una pacifica offerta di cibo.

La condivisione del proprio cibo, infatti, permette all’uomo di entrare in un contatto molto intimo, di fiducia reciproca e di fratellanza. Si fidano del cibo che gli stai offrendo e decidono, così, che sei degno della loro fiducia. L’avvelenamento del cibo era segno di tradimento – solitamente erano sempre le persone più intime ad avvelenare i re e le personalità importanti.

Mi dirigo, tranquillamente, in cucina.

Sento i suoi occhi – una buffa sfumatura di marrone – fissarmi la schiena. È ancora indecisa: dopotutto non ho risposto alla sua prima domanda e, ora, non sa se fidarsi o meno ad accettare del cibo, dal sottoscritto. Credo sia anche colpa del fatto che, improvvisamente, si sia risvegliata in un luogo che non le è famigliare per nulla – nonostante abbia aperto un computer non suo per scriverci sopra. Mossa molto buffa, devo dire; una normalissima ragazza della sua età si sarebbe messa a urlare… non lei, però.

Odore di mandorle amare, dopotutto. Non mente mai.

Mi segue, dopo poco, in cucina e la sento appoggiarsi allo stipite della porta. Rimane lontana, sul chi va là. La ragazza è decisamente intelligente: non sa se fidarsi o meno. la porta d’ingresso è relativamente vicina e le basterebbero, se è abbastanza veloce, pochi passi per uscire fuori e scappare via, definitivamente. Questo non vuol dire che non la riprenderei, ovviamente: è troppo preziosa per lasciarla andare così – per lasciarmela sfuggire.

«Sicura di non volere niente? Il mio caffè non è così male» dico sorridendole. Il sorriso è una buona cosa e mia madre mi diceva sempre che ho un bel sorriso – credo sia per i denti bianchi.

«Vorrei sapere chi sei»

Non è sulla difensiva. Le braccia sono distese, vicino ai fianchi ed è appoggiata allo stipite della porta. Non risulta spaventata, non sembra stupita – più del dovuto, almeno – e non sembra intenzionata, a un’analisi superficiale, a voler scappare.

«Mi chiamo John e…»

«…e ovviamente non è il tuo vero nome»

Fin troppo intelligente.
Credo che se non mi servisse, l’avrei già uccisa per carpire qualche segreto del suo cervello. Sento i suoi ingranaggi muoversi anche da questa distanza. Sta pensando, sta valutando e lo sta facendo velocemente. Le sue sinapsi viaggiano a una velocità doppia – se non tripla – confronto qualsiasi altra ragazza che odorasse di mandorle amare.
 




«Si può sapere che c’entrano le mandorle amare?»

«Ancora non lo so, ad essere sincera»

La ragazza, certamente delusa dalla risposta dell’amica, sollevò gli occhi al cielo e lasciò le spalle dell’altra che, dimentica di quelle domande pressanti, tornò con le dita sulla tastiera del computer portatile.

«Tu… cosa vorresti che succedesse?» le chiese con le dita sospese sopra i tasti.

L’altra sbuffò, scostandosi i capelli dalla fronte e tornando ai suoi bozzetti del fumetto.

«Niente, Joan. Ogni mio consiglio, con te, cade nel dimenticatoio… soprattutto se si tratta delle storie»

«Sei ingiusta, Isabelle! Sai benissimo che non è vero…»

Isabelle poggiò la matita sulla base del tavolo da disegno inclinato e, togliendosi lentamente gli occhiali, tornò a guardare Joan come a volerle dire “non stiamo parlando di questo, vero?!”.

«Ah… quindi non devo ricordarti le migliaia di storie che hai mandato a puttane solo perché l’ispirazione, nonostante il mio “utilissimo aiuto”, spariva per magia, vero? O la quantità di racconti nonsense che continui a scrivere rimandando, di giorno in giorno, il nostro duro lavoro»

«Io ci tengo, alle nostre storie»

«Allora fatti venire in mente qualche buona idea sul giallo, piuttosto»

«Va bene, va bene. Agli ordini…»

«Ottimo!» le disse Isabelle, soddisfatta, tornando alla bozza in matita.

«E comunque: questa delle mandorle amare era una buona idea»








**Angolo Autrice**

Eheheheheheh... salve a voi. La mia prima nonsense anche se, conoscendomi, tutte le mie storie dovrebbero far parte di questa categoria. 
Spero che nessuno di voi si sia sentito offeso da questa "cosa", ma quando l'Ispirazione - o una pista di coca, visto il risultato - si fa sentire, io non posso far altro se non rispondere. 
Mi scuso con chi si è sentito offeso, mi scuso con chi ha letto e spero non vogliate uccidermi. 
Un grazie particolare, come sempre, alla mia bellissima moglie Ludovica che anche se mi riempie di consigli per continuare le mie storie, io non le do mai retta e escono queste cose. 

Alla prossima,
Feynman

 
   
 
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