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Autore: Ink Voice    06/11/2014    7 recensioni
Erano davvero bei vecchi tempi quelli in cui, pur avendo perso la propria quotidianità e la propria famiglia, si aveva un altro punto di riferimento a cui tornare con il proprio cuore; si era trovata una nuova casa rassicurante che scacciava i pericoli esterni e lasciava che, anche in tempi tanto burrascosi, ci si sentisse al sicuro dentro pareti e stanze che ormai si conoscevano come le proprie tasche.
Ma tutto questo si è dissolto nel nulla, o meglio: è stato demolito. L’Accademia che tanto rassicurava i giovani delle Forze del Bene è ormai un cumulo di macerie a causa dell’ennesima mossa andata a buon fine del Nemico: ora tutti sono chiamati a combattere, in un modo o nell’altro, volenti o nolenti.
Le ferite sono più intime che mai ed Eleonora lo imparerà a sue spese, perdendo le sue certezze e la spensieratezza di un tempo, in cambio di troppe tempeste da affrontare e nessuna sicurezza sul suo avvenire.
[La seconda di tre parti, serie Not the same story. Qualcuno mi ha detto di avvertire: non adatta ai depressi cronici.]
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Not the same story'
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IX
Il signor Enigma

Mossi dei primi, incerti passi sull’enorme viale che ci si era aperto davanti agli occhi dopo aver oltrepassato i cancelli di Città Nera. Anemone era molto più decisa di me - e anche di Melisse, che si trovava nella mia stessa situazione emotiva - e si inoltrò con una certa spavalderia lungo la stradona che a noi altre intimoriva non poco. Sulle prime non vedevamo altro che quel lungo corso davanti a noi, ma appena superammo le specie di mura costituite dagli stessi palazzoni neri, Città Nera si rivelò molto più piccola - ma ugualmente intimidatoria - di quanto avessi pensato all’inizio.
Era visibile, non lontana, una svolta del vialone, che si rivelò essere l’unica fino alla fine di esso - che conduceva da dei cancelli della città all’altra sua unica uscita. Il primo chilometro percorso fu poco interessante, perché sia sulla destra che sulla sinistra si affacciavano abitazioni. Sul lato esterno, a contatto con la Foresta Bianca, si trovavano i palazzi più alti. Formavano veramente una cerchia di mura imponente, anche se i veri grattacieli, in procinto di superare in altezza gli alberi della Foresta, si trovavano nel cuore della città. C’erano anche edifici più bassi, ma ebbi la stessa sensazione di pochi minuti prima, quand’eravamo nella selva: le costruzioni più piccole sparivano, insignificanti, al cospetto dei giganti dell’architettura che regnavano sovrani in quel luogo, allo stesso modo di come gli alberi più piccoli della Foresta erano invisibili se la si sorvolava dall’alto.
I palazzi che fungevano da mura erano una schiera priva di fessure: non vidi neanche un vicoletto o una stradina, un cortile né altro a creare degli isolati. Non che la situazione del resto della città fosse tanto diversa, perché le vie più grandi erano poche: i grattacieli sembravano attaccati gli uni agli altri, compatti come i palazzoni dei confini, quando in realtà erano separati tra di loro, ma da passaggi quasi insignificanti.
La cosa che mi rese più esterrefatta, dopo la stazza impressionante della maggioranza degli edifici, erano le persone che vivevano a Città Nera o che vi erano di passaggio. Qualsiasi fosse il motivo della loro presenza lì, erano molte più di quelle che avrei mai creduto. Inizialmente non me ne ero accorta, ma era bastato inoltrarsi un po’ per il vialone per essere poi costrette a fare lo slalom tra le centinaia di persone che correvano dirette chissà dove - pochi erano quelli che passeggiavano senza fretta. «Chi non corre è di passaggio» rispose Anemone a Melisse quando le chiese il perché di quel comportamento generale. «Come noi.»
«E dove corrono?» domandai io.
La Capopalestra scrollò le spalle. «Solo chi abita qui lo sa, immagino. Penso che Città Nera sia orribile.»
«Perché?» Mi stupii del suo tono di voce grave.
«Be’, ovviamente sono molto di parte, sono entrata nelle Forze del Bene appena sono state fondate, in pratica… ma la neutralità di quasi tutti gli abitanti di Città Nera è dovuta ad un egoismo spaventoso. Vogliono proteggere la propria vita senza combattere per un ideale che non porti a nessun guadagno materiale ed immediato. Questo è lo stile di vita di chi vive qui: compravendita di oggetti rarissimi, gioco - d’azzardo e non, impiego in uffici segreti e ovviamente lotte Pokémon. Tutto è usa e getta in questo luogo: appena uno strumento o un Pokémon sembra non essere più del tutto efficiente, viene sostituito. Non mi piace questa mentalità.»
Mi guardai intorno con un po’ di tristezza e delusione, sentendomi sempre più soffocata dalla frenesia - piena di negatività anche secondo me, se la giovane donna aveva ragione - di Città Nera. Anemone aggiunse: «Ovviamente non sono tutti così materialisti, pieni di sé e menefreghisti, gli abitanti… ma la maggioranza ha costruito questa stessa città, rendendola quello che è. Basta dare un’occhiata in giro per vedere che razza di passatempi hanno molte persone.» Alludeva ai casinò, ai negozi di compravendita di Pokémon e ad altre forme di divertimento affatto attraenti per me, o per qualsiasi ragazzo. Sicuramente gli uomini d’affare e le persone simili avevano tutto ciò che desideravano in quella città, ma personalmente, come anche Anemone, non mi sarebbe piaciuto vivere in un posto del genere.
«Chissà com’è la persona che incontreremo» mormorai.
«Proprio per questo non mi convinceva dover partire per questa missione» disse Anemone. «Non so quali siano le intenzioni di Bellocchio, ma anche conoscendolo poco come me dovrebbe avervi mandate da qualcuno che non è in una situazione irrimediabile come quella di cui vi ho parlato prima.»
Anemone non si incluse nell’appuntamento e pensai che si fosse semplicemente sbagliata. Individuammo un centro Pokémon - era la prima volta che ne vedevo uno in vita mia, in realtà - e accompagnammo Melisse che voleva curare il suo nuovo Zorua: quando glielo riconsegnarono pretese di star fuori dalla Ball e la ragazza si vide costretta ad accontentarlo, lasciandolo trotterellare accanto a lei.
«Dove dobbiamo andare?» chiesi quando arrivammo alla svolta del vialone principale.
«Dobbiamo proseguire per questa strada e arrivare più o meno agli altri cancelli. Chiunque dobbiate vedere abita in uno dei palazzoni che fanno da perimetro alla città.»
Usò un’altra volta il “voi” e lo fece in modo talmente esplicito che le dovetti chiedere, perplessa: «Noi? Perché, tu non ci accompagni?»
«Bellocchio mi ha detto di no» rispose Anemone scrollando le spalle.
Sia io che Melisse inarcammo vistosamente le sopracciglia, basite per quel dettaglio del programma che non ci era stato comunicato. «Non pensavo che dovessimo andare in due!» esclamai. «La persona che dovremmo incontrare potrebbe essere pericolosa, se il messaggio di Bellocchio la facesse arrabbiare o che ne so io… non è troppo rischioso mandare due ragazzine da sole da qualcuno che potrebbe essere ostile?»
«Inizialmente anche io ho protestato, mi sembrava una cosa veramente assurda» sospirò Anemone. «Ma ho parlato con Bellocchio e mi ha assicurato che è qualcosa che dovete fare voi due, e che non correrete nessun rischio. Ha detto di conoscere l’uomo con cui vi incontrerete… ma se ci pensate, era quasi scontato che non vi avrebbe mandate da nessuna parte se ci fossero stati dei pericoli. Tutto quello che dovrete fare è consegnare il messaggio di Bellocchio e andarvene, poi, quindi non correte alcun rischio.»
“A me sembra che stia cercando di farmi fuori: prima mi manda in una centrale nucleare difettosa, ora da una persona che potrebbe aggredirci se mettiamo a repentaglio la sua preziosa neutralità… mi sembra che Bellocchio stia esagerando!” mi dissi, dapprima con poca convinzione, arrivando poi quasi a fumare dalle orecchie per gli incarichi che l’uomo mi stava assegnando. “Va bene che ho fatto dei capricci quando mi sono vista inserire in un gruppo che avrebbe fatto una spedizione per disegnare la mappa di un territorio nemico… ma pensavo di poter prendere questo compito un po’ come una vacanza, invece sembra tutto sempre, ugualmente difficile!”
Proseguimmo la passeggiata quasi del tutto in silenzio. I pochi commenti che facemmo erano sulle persone che incrociavamo sulla nostra strada: ebbi la sensazione, come Melisse, che la maggior parte di esse si componesse di quelli che sembravano uomini d’affari, impiegati, tutti incravattati e vestiti quasi uniformemente con impermeabili o giacche, indumenti seri e di colori scuri, visto il freddo - ma mi sembrava che sia la Foresta Bianca che Città Nera fossero abbastanza calde rispetto al resto delle zone che avevamo attraversato, come se le solide barriere che le proteggevano le rendessero anche più indifferenti al gelo invernale. Mi accorsi solo guardando tutte quelle persone di corsa dell’assenza di macchine o altri mezzi, pubblici o privati.
Arrivammo ai cancelli nel giro di una buona mezz’ora, meno di quanto avessimo impiegato per l’altro pezzo di vialone percorso prima della svolta. Anemone ci guidò verso i palazzi alla nostra destra: aveva un po’ di difficoltà ad orientarsi, ostinata a non chiedere indicazioni ma non sapendo bene dove si trovasse l’edificio di cui Bellocchio le aveva dato l’indirizzo. Ci volle un altro po’, ma riuscimmo a trovare il condominio giusto: il portone era sprovvisto di usciere e si aprì con una nostra semplice spinta, così come i cancelli non avevano guardie e non erano chiusi: accedere a Città Nera era estremamente semplice. Mi ripetei che gli abitanti dovevano essere veramente degli ossi duri, sia nelle lotte Pokémon che nella loro irremovibilità quanto al fatto di essere neutrali, e che in questo modo sia le Forze del Bene che il Victory Team avevano lasciato perdere qualsiasi tentativo di appropriarsi della città e della foresta circostante. Mi chiesi se la Città si fosse mai vista attaccata dai Victory - davo per scontato che le Forze del Bene non ricorressero a certi mezzi per reclutare uomini che combattessero per loro - e, se sì, qual era stato l’esito di quell’eventuale battaglia. Pensai che i vincitori fossero stati gli abitanti di Città Nera.
«Va bene, ragazze. Io vi aspetto qui, a dopo. Fate presto» ci salutò Anemone. Sembrava un po’ preoccupata e anch’io non ero del tutto tranquilla, nonostante la giovane donna ci avesse rassicurate poco prima.
Una volta rimaste sole scambiai un’occhiata eloquente con Melisse. Quasi ci ritrovammo a sospirare all’unisono. «E io che credevo di andare in un posto calmo e di godermi un attimo di pace!»
«Spero che Bellocchio sappia davvero con chi stiamo per avere a che fare» replicò la ragazza.
L’interno del palazzo era tutto nero e piuttosto scarno, come da copione. «A che piano dobbiamo andare?»
«Al nono» rispose lei.
Tenevo le mani in tasca: sotto la giacca avevo la cintura con le Poké Ball, tra le quali spiccava quella di Nightmare, per cui avevo tenuto la sfera rossa e nera. Tra le dita della destra tormentavo la piccola busta per lettere, leggera come se fosse vuota. Fremevo dalla voglia di sapere cosa avesse da dire Bellocchio ad una persona neutrale e perché avesse scelto come mezzo due ragazze da mandare oltreoceano con una letterina, anziché usare un mezzo tecnologico più immediato. Quel metodo era sicuramente al riparo da intercettazioni, ma noi potevamo sempre essere attaccate.
L’ascensore ci portò al piano desiderato. Il condominio era perfettamente silenzioso ma, vista la quantità di persone riversata per le strade della città, di certo i palazzi non erano mezzi abbandonati - anche visto l’aspetto esteriore curato fin nei minimi dettagli. Erano ben tenuti, così come le vie. Sul pianerottolo si affacciava una sola porta, però. Sia io che Melisse eravamo perplesse - da quando eravamo arrivate non avevamo fatto altro che sorprenderci. Lei aveva un’espressione più ingenua sul viso, mentre io, con una certa acidità, commentai: «C’è un solo appartamento per ogni piano? Queste persone abusano della privacy o non riescono nemmeno a guardarsi in faccia tra di loro?»
Melisse ridacchiò un po’ nervosamente. «Almeno siamo sicure di non sbagliare.»
“Magra consolazione” pensai, andando a suonare il campanello.
I secondi passavano e nessuno rispondeva. Mi estraniai dalla realtà quando ebbi una specie di deja-vù: mi tornò alla mente il micidiale ricordo della brutta esperienza avuta a Nevepoli l’estate prima. Se nessuno mi avesse avvisata, quel giorno, del fatto che i miei genitori si fossero trasferiti chissà dove, avrei continuato imperterrita a suonare quel maledetto campanello senza sapere che non avrei mai ottenuto risposta. Mi portai una mano al viso, soffocando un gemito: quell’episodio mi aveva segnata profondamente e avrei potuto seriamente iniziare ad avere qualche problema con i campanelli e le attese troppo lunghe sulla soglia di una porta. Grazie al cielo non era una cosa che dovevo fare tutti i giorni, ma forse il problema stava proprio nel fatto che non fossi più abituata e che quello fosse il primo campanello che suonavo dopo mesi, il primo dopo quello di casa mia a Nevepoli.
Mi passai una mano sulla fronte, sperando che Melisse non notasse il mio disagio, e con enorme sforzo suonai il campanello una seconda volta, augurandomi che fosse l’ultima di tutta la giornata. Non ero sicura di sapere cosa avrei fatto se nessuno avesse risposto, se fossero successe le stesse cose accadute l’estate precedente, quando me n’ero tornata a Nevepoli ignara di ciò a cui le Forze del Bene avevano costretto i miei genitori, che erano stati obbligati a cambiare città, vita, a dimenticare me e il loro passato in cambio di ricordi fittizi.
Quasi trasalii quando lo spioncino della porta fece rumore, interrompendo il flusso dei miei dubbi pieni di ansia. La persona dall’altra parte della porta ci scrutò, a noi invisibile, per lunghi secondi. Lo spioncino si richiuse e per un po’ ci fu solo silenzio. Melisse esclamò: «Ehm… dovremmo entrare, abbiamo una lettera!»
«Non apro a delle ragazzine» fece la voce dall’altra parte. Era un borbottio burbero appartenente ad un uomo.
«Ma per favore» sbottai, sempre piuttosto acidamente, ancora innervosita dall’attesa. «Siamo venute da Sinnoh per conto di Bellocchio, vertice delle Forze del Bene. Non è nei nostri programmi tornare indietro a ma…»
Fui interrotta da un paio di giri di chiave, e la porta si aprì. Fummo onorate della presenza di un individuo sui sessant’anni, dalla pelle non chiara e nemmeno molto rugosa. Era molto alto e in gioventù doveva essere stato anche piuttosto magro, ma aveva una pancia di dimensioni non indifferenti, viziata con chissà quanti alcolici di qualità. Degli occhialetti tondi erano appoggiati sull’importante naso aquilino dell’uomo, attraverso i quali vidi degli occhi chiari, azzurri o verdi. Una certa calvizie aveva infierito sui capelli rossicci dell’uomo, mentre le sopracciglia dello stesso colore erano assai cespugliose.
«Entrate» disse a bassa voce, con tono piuttosto rassegnato. Pensai che avesse una bella voce profonda, in grado sicuramente di farsi autoritaria. Chiuse la porta alle mie spalle e ci seguì strascicando i piedi: la sua lunga vestaglia purpurea frusciava nel silenzio quasi totale del grande appartamento. Ci condusse nel salone e quasi mi sfuggì una maleducata esclamazione alla vista di una confusione eccezionale, che faceva invidia al disordine che io e Chiara eravamo state in grado di produrre ogni giorno nella nostra camera all’Accademia: una libreria occupava un’intera parete ed era riempita perlopiù con raccoglitori ad anelli e scartoffie di ogni tipo, affiancando una piccola quantità di libri - che avrebbero dovuto essere gli “abitanti” del mobile - e altrettanti CD. Numerose cartelle e fogli erano sparsi sul tavolino basso della stanza. “Almeno il divano e le poltrone sono agibili…”
L’uomo tirò le tende color argento e, con mio disappunto, mise al lavoro la luce artificiale. L’ambiente era pregno della puzza di fumo e di alcol. «Potete dirmi i vostri nomi o Bellocchio vuole che restiate in incognito?»
«Io sono Eleonora.»
«Io mi chiamo Melisse. E lei è…?»
Il signore fece un mezzo sorriso. «Chiamatemi Enigma. È così che mi sono sempre presentato. Allora, posso sapere il motivo della vostra visita?»
Tutto sommato la sua gentilezza lo rendeva simpatico, nonostante l’aspetto non gradevole - sia il suo che quello della casa. Ci aveva chiesto entrambe le volte il permesso di sapere qualcosa sul nostro conto: pensai che fosse vero che Bellocchio avesse saputo di aver mandato me e Melisse da una persona non ostile.
«Bellocchio ha un messaggio per lei» risposi, prendendo la busta per lettere e porgendola all’uomo, che si sporse in avanti dalla poltrona - vicina al divano su cui ci eravamo sistemate io e Melisse - e la prese.
Enigma, mentre la apriva, vide che eravamo tutte intente a guardare, sperando di essere rese partecipi del contenuto di essa. «Posso offrirvi qualcosa?»
«No, grazie» dissi all’unisono con Melisse, piuttosto delusa: il suo tono era stato più che decisivo nel farci capire che quella faccenda sarebbe rimasta una cosa in privato tra Enigma e Bellocchio. Continuai ad esplorare il salone con lo sguardo, anche se la confusione che regnava sovrana era stata una visione più che soddisfacente. Le pareti mi erano sembrate spoglie, a prima vista, ma capii che era stata un’impressione: erano talmente ordinate rispetto al resto della stanza che non avevo notato le numerose cornici appese.
Sfidai Enigma, che sembrava così tranquillo e bonario, a rimproverarmi quando mi alzai, intenzionata a farmi un giro per il salotto. L’uomo sollevò per un momento gli occhi dalla busta, che stava ancora aprendo, e l’intensità del suo sguardo mi fece vacillare: era profondo e penetrante; aveva capito benissimo le mie intenzioni senza che io gliele avessi annunciate. Tornò al suo messaggio e la sensazione di disagio sparì, così fui libera di farmi gli affari dell’uomo, anche per capire con chi stessimo avendo a che fare - a parte un sessantenne disordinato e amante del fumo e degli alcolici. “Ma come fa Bellocchio a conoscere una persona come lui?” non potei fare a meno di chiedermi. “Sono così diversi, a partire dall’età… che tipo di rapporto hanno?”
Non erano le carte e i documenti che affollavano la libreria e il resto della stanza ad interessarmi: a catturare la mia attenzione furono le cornici sulle pareti. Non erano quadri, ma fotografie. Qualcuna era stata sviluppata, artisticamente, in bianco e nero. Ritraevano quasi tutte, in linea di massima, un Enigma più giovane in compagnia della sua famiglia; individuai quella che pensai fosse sua moglie e mi chiesi dove fosse: era una bella signora, anche se Enigma non era, come già avevo appurato, di bell’aspetto. I bambini e i ragazzi catturati dall’obbiettivo dovevano essere i suoi figli.
Ma una foto tra tutte mi mozzò il fiato. «Questo è Bellocchio.»
Lo dissi con un filo di voce, e Melisse quasi mi assordò con un suo “Cosa?!”: corse accanto a me e trovò subito la foto che stavo contemplando. «Non ci credo, è lui! Oddio, com’è carino!» squittì emozionata.
Vedere il proprio capo più giovane faceva un certo effetto, soprattutto se sorrideva con sincerità e sembrava il ritratto della spensieratezza e della pace interiore. Melisse non riuscì a trattenere le sue esclamazioni intenerite mentre io mi ritrovai a sorridere come una scema rivolta al Bellocchio della fotografia, che mi stava veramente contagiando con il buonumore espresso in quello scatto. La sua bocca era un po’ aperta e gli occhi socchiusi in un’espressione sorridente: il suo aspetto non era molto cambiato, a parte il viso di un uomo più giovane - ma ad ogni modo il mio superiore non era molto avanti con l’età.
Nella stessa foto c’era Enigma, con un bel po’ di capelli in più e molta pancia in meno. Doveva essere stata scattata parecchi anni prima: c’era la signora che in altre foto avevo visto accanto all’ormai sessantenne, che avevo dedotto fosse sua moglie, e pure un’altra donna. Bellocchio le teneva una mano su un fianco e lei era mezza abbracciata a lui. L’unica vera bellezza tra i quattro era la signora molto vicina ad Enigma: quella vicinissima a Bellocchio era sì carina, ma il grande sorriso, ampio e sincero come quello di lui, la rendeva ancor più amabile, e lo stesso effetto aveva fatto sull’uomo al vertice delle Forze del Bene.
«Chi sono queste signore?» chiesi con tono sognante. Enigma non aveva fatto niente per ostacolare me e Melisse e il pensiero mi riportò con i piedi per terra. Mi voltai di scatto verso l’uomo, improvvisamente rossa in volto per l’imbarazzo, temendo solo in quel momento di aver esagerato. “Non avrei dovuto ficcanasare! Però… non potevo perdermi questa foto, Bellocchio è completamente diverso! Non pensavo fosse in grado di sorridere…!”
Ma Enigma se ne stava tranquillissimo seduto sulla poltrona, a gambe incrociate, con in mano il contenuto della lettera. Spalancai le palpebre nel vedere un misero fogliettino e Melisse ebbe la mia stessa reazione: fortunatamente non espresse la sua sorpresa ad alta voce. “Ho sopportato per ore ed ore le chiacchiere di Melisse per portare un bigliettino pietosamente minuscolo? Ma scherziamo?!”
L’uomo alzò lo sguardo, quegli occhi profondi e pieni di chissà quali e quanti ricordi ed altrettante emozioni. Il suo volto si distese in un sorriso incredibilmente malinconico, come se solo in quel momento si fosse accorto del perché Melisse avesse cacciato un urletto da ragazzina alla vista di una foto, come se non mi avesse sentito dire che avevo trovato una foto di Bellocchio. Mi parve che i suoi occhi si fossero fatti un po’ lucidi. Ero ancora stupita del fatto che non si fosse arrabbiato nel vedere che ci stavamo allegramente facendo gli affari suoi.
«Mia moglie e quella di Bellocchio» rispose semplicemente.
«Bellocchio è sposato?! Non penso di poter reggere questa notizia!» esclamò Melisse. Non aveva tutti i torti: pensai che fosse normale trovare sconvolgenti fatti come quello, avendo un’idea molto diversa della vita privata della persona in questione. Io non pensavo proprio che Bellocchio ne avesse una.
«Era» la corresse Enigma. «Lei è morta quasi dieci anni fa.»
Il sorriso trasognato che mi incurvava le labbra da minuti interi si spense miseramente. Smisi di guardare l’uomo, sentendomi all’improvviso in difficoltà, e tornai con gli occhi sulla fotografia; Melisse, teatralmente, portò una mano alla bocca. Il silenzio minacciava di scendere tra noi, ma Enigma sospirò con malinconia. «Anche mia moglie se n’è andata da qualche anno. Una malattia…» Scosse leggermente la testa. «Da quando non c’è più continuo a chiedermi a chi sia andata peggio, se a me o a Bellocchio.»
«Cos’è successo a sua moglie?» domandai, senza riuscire a nascondere un lieve tremito nella mia voce.
Enigma, con gravità, rispose: «Gliela portarono via i Victory poco dopo la fondazione delle Forze del Bene.»
Non seppi dire perché la notizia pesò sul mio cuore come un macigno. Eppure dopo aver sentito il nome dei miei nemici sentii qualcosa rompersi nell’equilibrio già precario, divenuto tale da quando avevo chiesto chi fossero le signore in compagnia dei due uomini. I sensi di colpa mi dicevano che avevo commesso un grosso sbaglio con quella domanda, che di certo sarebbe stato meglio se mi fossi fatta gli affari miei, nonostante Enigma non si fosse opposto quando mi ero alzata per studiare i soggetti ritratti nelle foto.
«Mi dispiace» mormorai.
Enigma capì a cosa mi riferivo e fece un altro mezzo sorriso, come poco prima. «È stato normale interessarsi. Un po’ indiscreto, ovviamente, ma normale. Chissà come vuole apparirvi Bellocchio ora…»
«Che rapporto c’è tra lei e Bellocchio?» chiesi.
«Prima che le Forze del Bene nascessero per opporsi all’ascesa del Victory Team e che quindi scoppiasse la guerra, io e lui lavoravamo nei servizi segreti della Polizia Internazionale. Eravamo due degli agenti migliori, a quanto pareva, anche se i passi più grandi li abbiamo fatti quando siamo diventati una squadra.»
Enigma infilò nella tasca della vestaglia il breve messaggio di quello che era stato, ai tempi, un suo collega. «Lui entrò nella Polizia Internazionale quando era giovanissimo, ed era veramente brillante. Capirete anche voi che non è da tutti essere candidati investigatori e agenti segreti quando si hanno sì e no venticinque anni, dopo essere stati sottratti agli studi universitari dalla Polizia stessa… la quale si vide ben presto costretta a promuoverlo di volta in volta, trasformando un agente semplice in uno dei punti di riferimento nei servizi segreti. Già da prima che ci conoscessimo avevo sentito il suo nome molto spesso. Quando lo incontrai per la prima volta nell’ambiente in cui io lavoravo da parecchio tempo e lui era stato da poco inserito, mi si presentò come Bellocchio.
«Io ero entrato nella Polizia Internazionale tempo prima di lui. Non nascondo di aver fatto anch’io progressi non indifferenti: dopo pochi anni fui promosso e rimasi un agente per il resto della mia carriera. Il giorno in cui ci incontrammo lui aveva quasi ventisei anni e io quasi trentotto. Me lo affidarono, per così dire, come se avesse dovuto fare un tirocinio: in teoria doveva essere il mio assistente. In pratica mi ritrovai a considerarlo un mio pari, e talvolta mi vidi costretto a chinare la testa dinanzi a lui.
«Aveva tanti punti di forza. Era sveglio e acuto, aveva uno stupefacente spirito d’osservazione e un intuito a dir poco invidiabile. Gli presentavo un problema da risolvere su cui io avevo già lavorato, giungendo anche ad una conclusione, e lui arrivava ai miei stessi risultati impiegando meno tempo di quanto ce ne fosse voluto a me. Dopo un po’ smisi di sorprendermi delle sue capacità. Iniziai a sentirmi incredibilmente motivato grazie a lui, e avevo la sensazione che pure la mia mente si fosse fatta più elastica, come se mi avesse trasmesso parte delle sue abilità. Ma la cosa più importante di cui Bellocchio era in possesso… ed è, immagino… è senz’altro il suo carisma. Anche la sua bravura nel parlare fu una delle chiavi del suo successo: senza questi due elementi, non avrebbe mai fatto tutta la strada che aveva percorso, o almeno non l’avrebbe fatta in così poco tempo.
«In linea di massima, tutti lo ritenevano eccezionale» continuò Enigma. Teneva le sue grandi mani dalle dita affusolate incrociate in grembo. «Già… intelligentissimo, carismatico, ottimista, solare… chi più ne ha…! I suoi principali difetti erano l’ambizione sfrenata, tanto che il più delle volte trascurava la sua vita privata, e la frenesia quasi febbrile con cui voleva assolvere i suoi incarichi. Accadde, ogni tanto, che fossi costretto a ricordargli che lavoravamo in due… già, avevamo iniziato a fare coppia fissa fin da subito. Amavo lavorare con lui, ma a volte quasi mi inquietavano i suoi modi di fare. C’erano tutti i segnali di un lupo solitario, diciamo così. Mia moglie e la sua compagna si erano conosciute e più volte mi disse proprio quest’ultima che Bellocchio sembrava disposto ad abbandonare lei e tutto il resto per amore del lavoro. Sembrò molto più felice, finalmente rassicurata, quando lui, maturando con il passare degli anni, le fece una proposta di matrimonio e smise di spendere tutte le sue energie per il lavoro. Non ebbero figli, non ne vollero. Visto quello che successe a lei, è stato meglio così.» Enigma sospirò. «Ma ancora ce ne voleva di tempo perché il Victory Team nascesse, e anche la sua comparsa era imprevedibile.
«Noi due non eravamo semplici amici» riprese dopo un attimo di pausa. «Anche definirci migliori amici mi sembra riduttivo, a volte: non c’era bisogno di parlarci per intenderci, spesso a entrambi fu detto che le nostre menti sembravano lavorare in sintonia, contemporaneamente!… Io consideravo Bellocchio come un fratellino: lui era molto più rigido di me quando si trattava di rapporti interpersonali, come avete già potuto immaginare dalle lamentele di quella che sarebbe diventata sua moglie. Faceva di tutto per non dimostrarlo, e a recitare era davvero bravo… ma a me teneva in una considerazione del tutto particolare, quindi non mi ponevo alcun problema. La differenza d’età sembrava essere insignificante per noi due. La mia maggiore esperienza lo guidava, anche se a volte poteva benissimo fare a meno di consultarmi, ma non poteva fare a meno di chiedermi conferma per ogni suo progetto. Io, da questo punto di vista, me ne stavo più per i fatti miei.
«E dopo questa lunga digressione sulla storia di Bellocchio e sulla mia, per cui mi scuso se è stata noiosa… immagino vi stiate chiedendo cosa è stato a dividerci. Io sono qui a Città Nera, con la sola compagnia di queste fotografie - e dei miei figli, che pur abitando lontano fanno di tutto per venirmi a trovare quando possono…» sorrise leggermente. «Mentre Bellocchio è uno dei vertici delle cosiddette Forze del Bene, per di più è stato lui stesso a fondarle, ben intenzionato a impedire al fantomatico Victory Team di farsi strada in questo mondo.»
Enigma smise di parlare. Capii che adesso era il nostro turno: talmente tante domande si erano affacciate alla mia mente che l’unica che riuscii a fare fu: «Perché cosiddette?» Quella parola mi aveva messa a disagio e cercavo di capire perché l’avesse usata per definire l’organizzazione del suo vecchio, carissimo amico.
«Chi è dalla parte della ragione e chi è in torto, in questo conflitto?»
La domanda spiazzò sia me che Melisse; la ragazza riuscì a dire solo un “come?”. Enigma si sporse verso di noi e mi sentii messa a nudo dai suoi occhi chiari, sempre più sicura che fossero in grado di oltrepassare le barriere del pensiero e di capire cosa ci fosse nella mente dell’interlocutore. «Secondo quali criteri giudicate malvagi i Victory?»
«I loro mezzi e le loro intenzioni…»
«Quali sono le loro intenzioni?»
«Dominare il mondo.» Enigma mi aveva interrotta, prima, ma diedi prontamente entrambe le risposte.
«E cosa significa dominare il mondo?»
«Eh? Per… i Victory…?»
L’uomo annuì. Aprii bocca per rispondere ancora ma Melisse mi precedette. Con una serietà inaudita rispose: «I loro obbiettivi sono tutte le sfere del potere. Economico e politico in primis. Poi anche sociale, ovviamente: visto il modo in cui appiattiscono le loro reclute, lo stesso destino potrebbe toccare ai civili, se nessuno li fermasse. Anche gli eserciti finirebbero tra le loro mani. I Comandanti sembra che non abbiano abbandonato i loro vecchi intenti, quando ognuno di loro comandava un Team diverso… sono giunti a dei compromessi e si sono divisi le rispettive sfere di influenza, anzi di comando, se riuscissero nel loro intento di dominare il mondo.»
Era una risposta molto più completa e matura di quella che avrei dato io e quasi arrossii pensando a come sarei apparsa se fossi stata io a dire qualcosa, frettolosamente e senza rifletterci. Ammisi con me stessa che volevo fare “bella figura” con Enigma, che era un uomo intelligente, saggio e che conosceva così bene Bellocchio - ma dovevo dire che non ritrovato completamente il mio capo nella descrizione che ci era stata fornita.
L’uomo sbuffò. «Certo che il modo in cui sono riusciti a mettersi d’accordo, sempre che sia successo davvero, è invidiabile. Non lo credete anche voi?»
«Be’, sì.» Melisse quasi balbettò.
«È innegabile» mormorai io con tono piuttosto lugubre.
«E ora ditemi: perché così tante persone, inizialmente schieratesi dalla parte di Bellocchio, hanno tradito le Forze del Bene preferendo stare tra i Victory? È una bella domanda, immagino che anche voi ve la siate posta più di una volta.» Annuii. «Insomma, cosa devono avere questi scellerati assassini sanguinari di così attraente, per aver richiamato dalla loro, senza andarle a cercare, tante persone insospettabili di un simile voltafaccia? Perché mai passare dalla loro, che sono così brutti e cattivi?» Enigma si mise quasi a ridacchiare.
«Di motivi ce ne potrebbero essere tanti» dissi, sentendomi sempre più a disagio. «Promesse di ricchezza, di potere, protezione e…»
«Ma ho detto» mi interruppe Enigma, «che i Victory non sono andati a cercare l’alleanza di nessuno. Avevano fin da subito i Comandanti, una gerarchia, uno stuolo di reclute adoranti e sufficienti fondi. Quindi di quali promesse mi vuoi parlare, cara Eleonora? Un conto è la protezione che possono offrire, tutt’altro il potere.»
Mi morsi il labbro inferiore e subito dopo ripresi: «Be’, evidentemente dovevano apparire così forti… devono» mi corressi a malincuore, «che molte persone hanno visto il Victory Team più solido e promettente delle Forze del Bene! E quindi, pensando ad un futuro nel conflitto, hanno ritenuto che, in caso di vittoria dei Victory» non feci molto caso al gioco di parole, «fosse più conveniente trovarsi dalla loro. Non ho esperienza in questo genere di cose, ma quali altre ragioni potrebbero esserci?»
«Solo un’altra, secondo me» disse Enigma, «ma anche questo è uno dei punti principali. Il Victory Team ha fin da subito dato prova di grande forza e solidità. Persino Bellocchio deve ammetterlo.»
«Allora qual è l’altra ragione?» chiesi.
«Evidentemente la prospettiva di un mondo dominato da Cyrus, Elisio, Giovanni e quant’altri non era così poco allettante, come la popolazione media delle Forze del Bene invece crede.»
“Sono parte della plebaglia delle Forze del Bene, secondo lui” borbottai mentalmente.
«Ma lei stesso, signor Enigma, ha definito i Victory degli scellerati sanguinari» obbiettò timidamente Melisse.
«E se ti rispondessi che il fine giustifica i mezzi?»
«Non mi sembra una spiegazione accettabile» quasi ringhiai.
Enigma mi guardò con aria divertita per il mio tono inviperito. «Ma gli uomini al comando del Victory Team sono sorprendentemente intelligenti. Ricordo come se fosse ieri… una riunione dei servizi segreti a cui partecipai anch’io, e ovviamente c’era pure Bellocchio. Non dimenticherò mai la sua espressione quando fu resa ufficiale, tra di noi, la nascita di questi Victory. E poco tempo dopo i suoi commenti già pieni di odio verso quegli uomini: “La guerra ancora non è cominciata e con poche mosse stanno mettendo alle strette la Polizia Internazionale.” Non era già così disperata la situazione, ma l’arrivo di questo nuovo nemico lo depresse in un modo preoccupante, rendendolo irriconoscibile anche ai miei occhi, a me che lo conoscevo come un fratello…!
«Bellocchio ora sa bene quanto il Victory Team sia attraente, ma ai tempi lo imparò a sue spese. Fondò le Forze del Bene senza venirmi a dire nulla: per la prima volta in vita sua non mi chiese una consulenza. Pensate come dovesse essere sicuro di sé, sicuro di essere nel giusto! Quando gli comunicai la mia posizione gli crollò il mondo addosso. Prese le distanze e non fui in grado di riavvicinarlo: me ne andai a Città Nera insieme alla mia famiglia, a malincuore, dopo che Bellocchio mi aveva detto implicitamente addio. Sua moglie fece di tutto per cercare di convincermi a rimanere, dicendomi che avrebbe cambiato idea… ma sia io che lei sapevamo benissimo che non l’avrebbe mai fatto, testardo com’era. Poco tempo dopo mi giunse la notizia che sua moglie era stata assassinata, in risposta alla creazione stessa delle Forze del Bene. Questo non fece che accrescere il suo odio.»
«Mi scuserà, Enigma» intervenni, approfittando di una sua pausa, «ma io non amo la filosofia “il fine giustifica i mezzi”. Quel che è successo a Bellocchio è assolutamente comprensibile, almeno per me.» “Per me… mi sono immedesimata così tanto in lui, pur non avendo idea di cosa abbia potuto provare alla morte della sua amata per colpa dei Victory… questa storia mi fa così tanta tristezza.”
«Liberissima di non condividerla, Eleonora» sorrise lui. «Ce ne sono tantissimi che la pensano come te. Peccato che Bellocchio, addestrato dall’élite della Polizia Internazionale e parte stessa di quell’élite, non dovesse in alcun modo lasciare che la sfera personale prendesse il sopravvento sulla ragione. È una persona estremamente emotiva, anche se sicuramente riesce a mascherarlo, adesso sarà pure più controllato… ma prima era molto volubile e timoroso di muoversi senza l’approvazione di qualcuno. Mi chiedo come si trovi senza di me, che ero un fratello maggiore per lui. Non ho idea di come sia il confronto costante con gli altri al vertice delle Forze del Bene…»
«Prova pena per lui?» domandai.
«Non oserei mai. Lo ammiro ancora con tutto me stesso, anche se ci siamo separati per una complessa questione di punti di vista.» Fece una pausa. «Spero abbiate capito cosa vi ho voluto dire e che ci ragioniate attentamente. Non commettete gli stessi sbagli che Bellocchio ha fatto, una volta ritrovatosi praticamente solo. Ha perso di vista ciò che era necessario fare e ciò che avrebbe voluto fare, ecco perché provo una certa preoccupazione per le sue condizioni attuali. Ma non voglio farmi gli affari suoi, non finché non si sentirà pronto per tornare.»
Mi chiesi se quel giorno sarebbe mai arrivato, o se quella di Enigma fosse solo una speranza intrisa di nostalgia.
Melisse ribatté: «Penso che sia stato illuminante, signor Enigma, anche se non condivido tutte le sue opinioni.»
«Il mondo è bello perché è vario.» La ragazza ridacchiò per il tono noncurante dell’uomo, che sorrise e rivolse le sue attenzioni a me. «Ti senti ostile nei miei confronti, Eleonora?»
Anche le mie labbra si curvarono. «Credo sappia già la risposta.»
«Ti aspetti troppo da un povero vecchio come me! Mi stai simpatica, tutto sommato. Anche te, ovviamente, cara Melisse» aggiunse, provocando un’altra risatina da parte della ragazza.
«Anche lei mi è simpatico» mormorai. “Col cavolo che sei un povero vecchio!”
«Be’, care ragazze, temo di avervi trattenute un po’ troppo. Chi vi ha accompagnate?»
«Anemone. La Capopalestra» precisai.
«Ah, Anemone! Chissà com’è diventata grande… la incontrai solo un paio di volte quand’era una ragazzina, poco più grande di voi, credo. Divenne Capopalestra prestissimo e ricevette una bella batosta da Touko…»
«Conosce anche lei?» domandò Melisse sorpresa.
«I Dexholders furono sempre tenuti d’occhio dalla Polizia Internazionale, consci o meno» ammiccò Enigma. «Dalle imprese di ognuno di loro sono passati più o meno vent’anni… sembra che il tempo sia volato via, detta così, invece i vari Team diedero parecchie rogne ai tempi. Fu una reazione a catena: arrivarono i Rocket, poi, quasi contemporaneamente, sorsero sulla stessa lunghezza d’onda i Galassia, i Magma e gli Idro, i Plasma e i Flare. Tutti non poco fastidiosi… Bellocchio si interessò particolarmente ai Galassia e ai Plasma.»
Melisse diede un’occhiata all’orologio, appeso alla parete come un intruso tra le numerosissime fotografie, e quasi sobbalzò. «Inizia a cercare una scusa per tutto il tempo che ci abbiamo messo, Ele! Dobbiamo andare!»
«Chiedo venia per avervi trattenute così a lungo» sorrise Enigma, «ma quando i poveri vecchi si mettono a raccontare… i ricordi tornano in vita e le parole sono sempre poche per descriverli.»
«Lei non è per niente un povero vecchio» mi decisi a dire mentre mi alzavo in piedi.
«Eh, magari! Non abbiate aspettative troppo alte» ribadì.
«Grazie per tutto, signor Enigma. Addio!» salutò Melisse, stringendogli la mano tutta emozionata. Faceva una strana impressione vedere la piccola mano di lei in quella grande dell’uomo.
«Addio» dissi, a voce più bassa di Melisse e con una nota molto malinconica. Mi ero sentita incredibilmente partecipe del passato tormentato e intenso di Bellocchio, e non poter vedere mai più Enigma avrebbe fatto finire quella specie di sogno così affascinante. Di certo non avrei più guardato il mio capo con occhi critici e distanti.
«Arrivederci» ribatté l’uomo. Gli sorrisi con più decisione per quel saluto: fu come se avesse sottinteso un furbo, eloquente “semmai”, e abbandonai casa sua con la speranza che quello non fosse l’ultimo nostro incontro.

«Mi sono preoccupata come poche volte in vita mia!»
«Scusa, Anemone, scusa… avevamo fame e il signore ci ha offerto qualcosa, è stato molto gentile ma abbiamo perso un sacco di tempo. Ci stavamo pure quasi dimenticando di dargli il messaggio di Bellocchio, figurati!»
Questa, in linea di massima, fu la giustificazione a cui Anemone si sforzò di credere. Ovviamente ci disse, come una mamma apprensiva, che non avremmo dovuto accettare niente da uno sconosciuto e che, se non avesse chiesto consiglio a Bellocchio, che le aveva detto di pazientare rassicurandola sul fatto che quella persona fosse del tutto inoffensiva, non si sarebbe fatta scrupoli e sarebbe venuta a cercarci.
Ce ne andammo da Città Nera quasi di corsa. Durante il tragitto cercai di non vedere soltanto uomini e donne acconciati come se fossero tutti in affari, ma feci più attenzione e notai numerose persone lanciarsi in sfide Pokémon. Tenevo la cintura con le Balls fuori: passai la mano su ognuna delle sfere e rabbrividii sfiorando quella di Nightmare, sentendolo più avverso che mai nei confronti del mondo intero. “Una settimana fa l’ho catturato e mi è stato reso soltanto ieri, dopo che hanno fatto tutti i dovuti accertamenti… una delle prime cose che dovrò fare, al ritorno nella base segreta, sarà farmelo amico. Penso che sarà più arduo che cercare di metabolizzare le parole di Enigma!”
Infatti i discorsi dell’uomo mi avevano scombussolata non poco. Non ce l’avrei fatta a discuterne con Melisse, non ancora perlomeno, ma il confronto con me stessa era inevitabile.  Capii ben presto di essere divisa in due: una parte di me era disposta a trovarsi d’accordo con Enigma sul fatto che i Victory, a parte i mezzi violenti e piuttosto sanguinari, non fossero una prospettiva tanto malvagia, se si trattava di governare il mondo. Questo perché nessuno mi assicurava che sarebbero stati pessimi e spaventosi, i Comandanti, anche se fossero saliti al potere nelle regioni per arrivare ad avere il mondo intero sotto il loro dominio. Sarebbe stata una dittatura, ma avrebbe fatto come tutte leva sul popolo, e sarebbe stata accettata dalla maggioranza. L’altra parte di me scuoteva la testa ad ogni affermazione di Enigma e preferiva il Bellocchio attuale a quello sorridente del passato.
Avevo la sensazione che l’uomo, con il passare degli anni, si fosse fatto più freddo, addirittura cinico, dopo tutte le delusioni e i voltafaccia che aveva dovuto affrontare. Che avesse perso, insomma, la sensibilità che per tanto tempo aveva accresciuto il suo odio incondizionato nei confronti dei Victory alla morte della moglie. Non riuscivo a non essere impietosita dalla sua condizione, molto più di quanto mi fosse dispiaciuto per ciò che era successo alla moglie di Enigma. Mentre osservavo gli abitanti frettolosi di Città Nera, arrivai a credere che egli fosse fuori posto in un luogo del genere. Sembrava volersi fingere solo un uomo sulla via dell’anzianità con alcuni vizi di troppo, magari nati in seguito alla perdita della sua donna, e del tutto solo se non per i figli a cui aveva accennato, che pur vivendo lontani da lui andavano a trovarlo ogniqualvolta potevano.
Ma scoprire il passato di Bellocchio, del mio capo, l’imperturbabile e gelido uomo al comando delle Forze del Bene… Bellocchio, che solo nel nostro ultimo incontro mi era sembrato più emozionato e quindi più vicino, più umano. Anche la prima volta in cui ci eravamo visti, all’Accademia, poco dopo il mio arrivo, non mi era sembrato un tipo molto riservato. Invece, stando a quanto aveva detto Enigma, sembrava intenzionato a fare di tutto pur di non mostrarsi debole e vulnerabile come era stato in passato. Che si pentisse di aver dato troppo credito alle emozioni e alle questioni personali? Sapeva bene che i Victory non erano così ripugnanti, se si accettavano i mezzi con cui agivano; e, pensandoci, finché non si è coinvolti in un omicidio - o in un altro tipo di reato - e si lascia il lavoro sporco a qualcun altro, sono poche le persone che rimangono non intenzionate ad accettare tale metodo, anche se le motivazioni possono essere giuste.
“Ma è una cosa estremamente ipocrita” pensai con disapprovazione. “Se riesco a non sporcarmi le mani, a non avere rimorsi dalla coscienza, allora mi va bene tutto, basta che siano gli altri a sbrigare faccende che non mi piacciono, ma per il resto che m’importa dei mezzi del mio schieramento!… Questo modo di ragionare mi fa veramente schifo. Non riesco nemmeno a realizzare come si possa accettarlo!
“Ma d’altronde” obbiettai poco dopo con un certo disagio, “se io non fossi membro delle Forze del Bene, e se non fossi, soprattutto, una quindicenne quasi innocua… se non fossi così legata all’organizzazione che si è sempre presentata come mia protettrice dalle grinfie del Nemico, allora ripudierei ancora i Victory?
“Rischio di farne una questione personale come Bellocchio” capii quasi all’improvviso. Chissà quali ombre di espressioni balenavano sul mio viso in quei lunghi minuti di riflessione: mi adiravo contro i miei nemici e subito dopo mi mortificavo pensando che non avessero tutti i torti, mi impensierivo, quasi mi mettevo a scuotere la testa in momenti di disapprovazione… “I Victory mi hanno strappata alla mia realtà, quel primo settembre di un anno e mezzo fa. Li odio perché per colpa loro è cominciata questa storia terribile e sono finita nel vortice di una guerra, sono costretta a vivere nel silenzio, e se non fosse per la mia identità, avrei ancora una famiglia. I miei genitori si ricorderebbero di me, così come i miei amici e i miei parenti. È vero che ho trovato tante persone meravigliose in questo nuovo mondo, ma a che prezzo…! E di chi è la colpa di tutto ciò, se non loro?
“Non so più cosa pensare… dire che Enigma mi ha confusa è un eufemismo! Ho bisogno di schiarirmi le idee, devo parlarne con qualcuno… ma perché non è più facile scegliere? Perché le Forze del Bene si oppongono al Victory Team, che tanto male non è? Devo confrontarmi con qualcuno. Daniel, Ilenia… e Chiara! Non l’ho vista praticamente per niente in questa settimana, anche se eravamo tutte e due nella base segreta… è da tanto che non ci facciamo una chiacchierata come si deve… però pure Daniel e Ilenia non sono stati granché, da questo punto di vista, dopo la missione a Flemminia.”
Infatti Ilenia era sembrata occupata su chissà quali fronti e mi aveva degnata di pochi saluti e attenzioni in quei sette giorni di pausa. L’avevo vista spesso in compagnia di Cynthia e Lorenzo e avevo ipotizzato che fossero stati inseriti tutti e tre in un gruppo per una missione imminente, altrimenti non sapevo come spiegarmi il fatto che la ragazza, che in quei mesi di addestramento per noi guerrieri era diventata un punto di riferimento, una sorella maggiore, si fosse allontanata tutto d’un tratto. Ci eravamo fatte quella breve chiacchierata prima che lei mi dicesse che Bellocchio desiderava parlarmi, e già lì avevo dubitato che avesse avuto davvero intenzione di parlare, semmai che il capo le avesse chiesto di mettermi in contatto con lui. In effetti era da quando eravamo state assegnate a quella missione che mi era sembrata sempre più occupata in chissà cosa.
Daniel, poi, dopo aver insistito tanto, inutilmente, per farsi spiegare cosa significassero le parole di Cyrus nello scontro alla centrale di Flemminia, era quasi del tutto sparito. Sulle prime avevo pensato, indispettita, che stesse mettendo il broncio perché non gli avevo dato una spiegazione; poi mi ero detta che, essendo lui il mio migliore amico, avrei dovuto raccontargli parecchie cose che gli avevo taciuto per mesi, come il rapimento dei Victory e la perdita dei miei genitori, entrambi gli eventi di estrema importanza ma che non ero mai riuscita a raccontargli, per un motivo o per un altro. Ma mi ero anche accorta di quanto il suo sguardo si fosse fatto diverso, più distante. I sorrisetti di saluto che mi aveva rivolti in quei giorni, le poche volte in cui ci eravamo incontrati senza poi dirci nient’altro, erano molto meno decisi e beffardi di quanto fossi abituata con lui. Sembrava essersi fatto più serio e silenzioso, non pareva più disposto a fermarsi a scambiare due chiacchiere con la sua migliore amica… che d’altra parte si comportava male, davvero male, siccome non gli parlava mai di nulla che la riguardasse e manteneva, senza un vero motivo, troppi silenzi.
“Mi sembra di aver intrattenuto contatti più vivaci con Oxygen, il che è tutto dire…” pensai: avevo seguito poche lezioni del giovane maestro e non ci eravamo rivolti quasi mai la parola.
Mi resi conto di aver paura di star perdendo le persone per me più importanti. E la colpa nella maggior parte dei casi di chi era, se non mia? Con Chiara non stavo facendo niente per mantenere dei contatti costanti da quando i corsi di addestramento per guerrieri mi avevano totalmente assorbita, e avevo la sensazione di aver vanificato, quasi senza rendermene conto, ogni tentativo della ragazza per cercare di ricordarmi che eravamo migliori amiche e che la stavo trascurando parecchio. Era come se dessi per scontato che fosse una delle persone che mi stavano più a cuore e che mi erano più vicine, e che la lasciassi in secondo piano sicura che non sarebbe mai successo niente che avrebbe rovinato il nostro rapporto.
Lo stesso rischiava di accadere con Daniel, se non mi fossi decisa a parlargli con chiarezza di cosa era successo nell’estate precedente e del tipo di rapporto che avevo con Cyrus. Con i Victory stessi, casomai: già sentivo di dovermi confrontare con lui sulle parole di Enigma, che avevo memorizzato con un’attenzione che non avevo mai dimostrato, per non dimenticarmene mai più. Poi c’era la questione della mia presunta identità speciale che mi aveva resa uno degli obbiettivi preferiti dal Team nemico.
“Chissà come reagiresti, Dani” mi dissi con un tono mesto. “Cosa mi dirai quando ti avrò detto tutto ciò su cui ho fatto silenzio, dopo un anno che ti considero il mio migliore amico? Ti arrabbierai, già sto male così, al pensiero di rivelarti tutto e doverti affrontare… è molto egoistico… ma spero tu possa perdonarmi. Non so perché non riesco a parlare con te, mi è così difficile. Ma me lo prometto ora - e farò di tutto per tenere fede a questo” strinsi i pugni, “mi prometto e ti prometto che appena ti rivedrò, qualsiasi sia la situazione, ti racconterò tutto ciò che non sai su quello che mi è successo.”
Dopo un po’ mi domandai, cambiando discorso con me stessa, per poi rispondermi subito dopo: “A Bellocchio dovrò riferire tutte le parole di Enigma, rivelargli che il suo vecchio collega e sorta di fratello maggiore mi ha raccontato praticamente tutta la sua carriera e fatto capire com’è il suo carattere?… Ma vedrò, magari insieme a Melisse. Penso che farò finta di niente, sulle prime… e se tirerà in ballo il discorso gli accennerò qualcosa. Anzi, proprio no: solo se mi metterà alle strette e mi vedrò costretta a vuotare il sacco! Sono argomenti troppo sensibili e non so come affrontarli. Già non so più in che modo guardarlo in faccia, dopo le cose che ho scoperto… dopo la pena che provo per lui, sinceramente… sono tasti troppo dolenti per parlarne con il diretto interessato. Nonostante abbia saputo molte cose su di lui, rimane un perfetto sconosciuto con cui non posso permettermi di parlare a tu per tu, anche perché sarà sicuramente cambiato dopo dieci anni in cui non si vede con Enigma…
“E mannaggia a lui, mannaggia a te, Enigma!” sbottò all’improvviso la voce dei miei pensieri. “Ti fai credere un povero vecchio che ha rassegnato le dimissioni dal suo lavoro cent’anni prima, che è rimasto vedovo e solo e che si è appassionato un po’ troppo al fumo e all’alcool, ma porca miseria se sei riuscito a mettermi in una brutta situazione! Se me la vedo brutta con Bellocchio sarà soltanto colpa tua!”
Per parecchio tempo mi dedicai a strepitare mentalmente nei confronti dell’ex agente segreto, anche se esternamente non mostravo niente che non fosse un volto di quindicenne leggermente corrucciato, mentre ero occupata ad augurare qualche accidente poco serio alla persona che poteva avermi messa in seria difficoltà nei rapporti già complessi che ogni uomo ha con il proprio capo. “Sono una ragazzina, per l’amor del cielo, non dovrei ritrovarmi a quindici anni con problemi di questo tipo… Enigma, se ci rivedremo…”
Sia io che Melisse e Anemone fummo silenziose per parecchio tempo. Ritrovammo l’uso della parola, chi per un motivo e chi per un altro, solo quando ci librammo in volo sui nostri Pokémon Volante una volta abbandonata la spaventosa, opprimente Città Nera, e messo piede nella ben più confortevole e piacevole Foresta Bianca.
Ci mettemmo poco ad arrivare a Ponentopoli, ed eravamo pronte per ripartire dopo un veloce pranzo - anche se, nella bugia che avevamo raccontato alla Capopalestra, io e Melisse avevamo già mangiato. Fu nel momento in cui ci stavamo avviando per salire sull’aereo che Anemone ricevette una chiamata da parte di Bellocchio.






Capitolo IX - Rivisto a dicembre 2015 e di nuovo a luglio 2016. Il titolo è rimasto lo stesso.
  
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