Ennesima one shot... bè, abbastanza sconclusionata. Le mie dita scorrevano veloci sui
tasti d’avorio, strappando al pianoforte mormorii deliziati che suonavano come
gemiti d’amore di due amanti impazienti. Le ultime note della melodia
preferita di Esme si stavano spegnendo – in un progressivo calare d’intensità –
nel silenzio della stanza. Mi voltai, osservando la mia
famiglia. Alice e Jasper erano ancora
impegnati in una complicata partita a scacchi; Rosalie ed Emmett, persi nella
contemplazione reciproca, avevano escluso il resto
dell’universo. Esme, con gli occhi arrossati da
lacrime che non avrebbero potuto scendere, sfiorò brevemente il braccio di
Carlisle seduto sul divano accanto a lei, si alzò con un movimento aggraziato e
si avvicinò al pianoforte, fino a posarmi delicatamente le mani sulle
spalle. «Hai suonato divinamente, Edward.
Grazie», mormorò con dolcezza. Mi voltai verso di lei con un
sorriso. «Sono lieto che ti sia piaciuta,
Esme». In quel momento, Emmett si alzò
con un sorriso. «Se volete scusarci», annunciò,
«noi ci ritiriamo». Mi ci vollero appena due secondi
per realizzare. «Emmett, ti prego! Un po’ di
contegno!», esclamai scandalizzato. Era già abbastanza imbarazzante
udirli in azione, per non parlare delle continue vanterie sulle sue prodezze
sessuali che mi sventolava davanti; non ci tenevo ad osservare tramite i suoi
pensieri i progetti per quella notte. Emmett scoppiò a ridere, per nulla
a disagio. «Invidioso, fratellino?»,
sghignazzò divertito. Odioso, perfido
Emmett! Rosalie borbottò qualcosa di
incomprensibile, poi lo prese per mano trascinandolo verso le
scale. «Non sei uscito con Bella stasera,
Edward?», mi domandò Carlisle, sollevando gli occhi dal tomo infinito che stava
studiando. Ma certo. Giriamo il coltello nella
piaga. «E’ dal cane», tagliai corto
scocciato. Con l’ombra di un sorriso sulle
labbra pallide, mio padre tornò alle sue letture. «Come va la sua gamba?», domandò
dopo un attimo. «Credo sia quasi guarita. Tra un
po’ potrai toglierle il gesso». ‘Fino alla prossima volta che non
cade dalle scale’, pensai con un sospiro ‘o inciampa nel
porta ombrelli. O si schianta contro un
vetro’. «Oh, finalmente! Non ne posso
più!», esclamò Alice, battendo le mani entusiasta. «Prego?», chiesi accigliato, quasi
sovrappensiero Quattro paia di occhi dorati si
voltarono ad osservarla incuriositi. Non se ne rese conto fino a quando
Jasper non si schiarì la voce, cercando di scuoterla dai suoi
pensieri. «Non sapete che razza di titanica
impresa sia farle la doccia», spiegò con noncuranza alzando gli occhi al cielo.
«Charlie non vuole metterci mano, e Bella ha questa assurda convinzione che io
sia troppo perfetta per vederla nuda», continuò divertita. Si accarezzò il mento distratta, e
un lieve sorriso le increspò gli angoli delle labbra. Ma a che diavolo stava
pensando? Più per curiosità che per altro,
decisi di dare un’occhiata alla sua mente. OH MIO DIO. Non che in precedenza mi fossi
astenuto dall’immaginare una scena del genere… ma di solito nelle mie fantasie
ero io quello nella doccia con Bella! Ciò che vidi nei pensieri di
Alice, tuttavia, andava ben al di là di ogni mia fantasia, di ogni mio sogno, di
ogni mia immaginazione. La gamba ingessata di Bella
spuntava dal box doccia mentre Alice si girava affaccendata intorno a
lei. Si spostò di lato per prendere
qualcosa dal beauty case, e in quel momento il respiro mi si bloccò in
gola. Non avevo mai visto in cento anni
niente di così perfetto, di così sconvolgente. Le gambe slanciate, la vita
sottile, i fianchi leggermente pronunciati, la lieve curva del seno con l’areola
rosata dei capezzoli appena accennata, il triangolino nero di peli pubici ben
visibile sul corpo pallido… Era una visione, semplicemente la
creatura più bella che avessi mai visto. Avrei dato qualsiasi cosa per
poterla accarezzare, per sfiorare con le mie labbra gelide ogni centimetro di
quella pelle perfetta. La volevo, in modo assoluto e
disperato. Volevo che fosse mia,
completamente, nell’anima, nel corpo, nella mente e nel
sangue. Tutto di lei doveva portare il
marchio delle mie labbra, il sigillo delle mie carezze ; tutto il suo corpo
doveva gridare che Isabella Marie Swan non avrebbe conosciuto altra bocca e
altre mani che quelle di Edward Anthony Masen Cullen. Nemmeno mi accorsi che Carlisle ed
Esme se n’erano andati, e che Jasper mi osservava allarmato, gli occhi topazio
grandi come piattini. Tutta la mia concentrazione girava
intorno ad un unico pensiero: Bella, nuda, nella doccia. Già al “Bella” avrei potuto
perdere la testa; con “nuda” sfiorai più volte la pazzia, ma se fossi stato un
comune essere umano quel “nella doccia” mi avrebbe ucciso
all’istante. Credo che sarei morto per arresto
cardiaco e, probabilmente, anche per iperventilazione. Per fortuna sono un
vampiro. A volte ha i suoi
vantaggi. Non mi restavano molte
alternative: o tornavo a sbirciare nella mente di Alice, o mi dedicavo ad altre
e meno pericolose attività, come un angolo della mia mente continuava
educatamente a suggerirmi di fare. La lotta con la mia coscienza fu
eccezionalmente breve, e con un sospiro tornai a concentrarmi sui pensieri della
mia sadica sorellina. In un istante, tornai al bagno di
Bella. Eccomi. Il vampiro più sfigato della
storia, ridotto a guardare la propria ragazza nuda dalla mente della
sorella. Mi sentivo un
pervertito. Con la differenza che un
pervertito non sbircia nelle teste altrui. Bella era voltata di spalle, e
Alice le insaponava dolcemente la schiena, sfregando con una spugna morbida la
sua pelle di seta. «Un giorno potrebbe esserci Edward
al mio posto», disse Alice con una punta di malizia nella
voce. Sorella
degenere! Bella si girò di scatto, le guance
imporporate da quell’irresistibile rossore di cui ormai non avrei più potuto
fare a meno. «Alice! Smettila ti prego! Sono
certa che Edward non vorrebbe mai…» «Oh, si che vorrebbe!», esclamò
Alice ridendo. Poi, senza lasciarle il tempo di
rispondere, si tese ad afferrare un asciugamani pulito. «Ora sciacquati. Veloce, o
prenderai freddo». Con le guance ancora arrossate,
Bella si sporse ad aprire l’acqua, che scese veloce in una nuvola di
vapore. Le gocce le scivolavano sui
capelli profumati, sulle spalle lisce, sulla schiena in rivoli
caldi. Credevo di aver superato il
peggio, ma quando la vidi inarcare la schiena all’indietro con un movimento
inconsapevole e sensuale, appoggiando delicatamente una mano alla parete di
vetro del box, e sollevare il viso fino a quando le labbra carnose e perfette
non incontrarono il getto d’acqua, una carica di desiderio che non avevo mai
provato m’investì, un’ondata tanto intensa da stupirmi. Battei con forza le mani sul
pianoforte da cui si levò una nota di protesta acuta e sgraziata, e mi alzai di
scatto. «Vado a caccia», annunciai
disperato, e sono certo che a Jasper non sfuggì il tremito angosciato nella mia
voce. «Sbaglio o ci sei andato ieri con
Carlisle ed Emmett?», domandò prevenuta la mia perfida
sorella. Le lanciai
un’occhiataccia. «Ho sete»,
risposi irritato. Poi
corsi verso la porta, deciso a mettere più distanza possibile tra me e le mie
deplorevoli tentazioni. Mentre
correvo avevo davanti agli occhi l’immagine di Bella avvolta dall’acqua calda,
in quella posa così dannatamente sexy, e immaginai i suoi mormorii eccitati se
solo fosse stata in balia delle mie mani. Di
nuovo mi colpì il bisogno urgente di toccarla, di approfondire quei baci a fior
di labbra che avevano sempre segnato il confine ultimo della nostra intimità, di
trascinarla sul divano di pelle della mia stanza e passare ore, giorni anche, ad
esplorare ogni parte di lei. Maledizione,
basta! Dovevo
smettere di pensarci, smettere di illudermi, smettere di sognare qualcosa che
non avrei mai potuto concedermi. Era
troppo, troppo pericoloso. Avrei
potuto farle del male. Avrei
potuto ucciderla. Il
pensiero di lei immobile, uccisa dalla mia incapacità di frenare un istinto
umano che, per mia stessa natura, nemmeno avrei dovuto avere fu sufficiente a
placare almeno in parte le ondate di desiderio che mi
assalivano. Ne
rimaneva comunque abbastanza da farmi impazzire. Afflitto,
mi accasciai sul tappeto erboso della foresta, con la schiena appoggiata ad un
albero, incurante della pioggia che grondava dalle chiome e dell’erba umida che
mi inzuppava i pantaloni. Per
quanto fossi consapevole della masochistica ostinazione a ripensarci, ancora e
ancora, non riuscivo a scacciare dalla mia mente quell’immagine di assoluta
perfezione. Quando
l’idea si fece strada tra i miei pensieri la allontanai con violenza, disgustato
da me stesso e dalla bassezza dei miei istinti. Ma
il desiderio non accennava a diminuire; al contrario, si gonfiava in onde sempre
più devastanti. Il
corpo di Bella mi vorticava in testa, straziante, e ai ricordi di Alice si
sommavano ora le mie fantasie, pensieri che avevo nascosto per mesi in un angolo
della mia mente. Immagini
di Bella sdraiata languidamente sul mio divano, del suo avanzare lenta e
seducente verso di me, del suo corpo nudo che si contorceva in estasi sopra e
sotto il mio, delle sue labbra socchiuse che invocavano il mio nome, di baci
roventi e intime carezze appena accennate. Di
nuovo il pensiero strisciò fino alla superficie della mia consapevolezza, più
potente e più forte che mai. No!
Maledizione, no! Non era così che ero stato educato, non era così che ero
cresciuto, non era così che funzionavano le cose nel mio
mondo. Mi
alzai di scatto, cercando di arginare i pensieri che la mia mente continuava a
gettarmi addosso in ondate sempre crescenti, respirai profondamente e corsi
disperato verso casa. In
soggiorno Alice e Jasper guardavano un vecchio film in bianco e nero, seduti uno
di fianco all’altra. Di
sopra sentivo i rumori degli altri. Esme
e Carlisle che parlavano della giornata di lavoro in ospedale, Emmett e Rosalie
che… no! Non dovevo pensarci. Mi
diressi verso il divano, e agguantai Alice per il colletto della maglia,
sollevandola di peso dal divano, cercando di tenermi il più possibile alla larga
dai suoi pensieri. Jasper
mi guardava con curiosità, ma senza paura; per quanto potessi essere irritato,
non avrei mai fatto del male a mia sorella. «Mai
più, Alice. Mai più.» le soffiai contro, quasi sibilando, con il respiro
accelerato. «Edward?
Ti senti bene?» domandò sorpresa. Sbuffai
infastidito. «Non
pensare La
vidi osservarmi per un istante, prima che la consapevolezza si facesse strada
dentro di lei. Poi
sogghignò. «Non
ci saresti riuscito, comunque. L’ho visto.» rispose con aria di
sufficienza. D’OH!
Ma la posto, perchè mi sono divertita un sacco a scriverla. Spero possiate divertirvi altrettanto a leggerla!!
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