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Autore: Hermione Weasley    07/11/2014    4 recensioni
Lei è in fuga da se stessa. A lui sono stati offerti due milioni di dollari per ucciderla. Ma le mire di qualcun altro, deciso a riunire sei persone che non hanno più niente da perdere, manderanno all'aria i loro piani.
-
“Chi cazzo è questo idiota?” Blaterò qualcuno.
“Un forestiere!” Decise un altro.
“Che razza di accento era quello?” Indagò un terzo.
Si sentì spingere bruscamente verso l'arena, senza poter far granché a riguardo. Quando le fu ad un misero metro di distanza, tra le grida che si alzavano dal gruppo, fu la voce bassa e pacata della donna a sovrastare tutte le altre.
“E' l'uomo che mi ucciderà.”

[Clint x Natasha + Avengers] [Dark!AU] [Completa]
Genere: Azione, Malinconico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Thor, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Capitolo 12 -

 

 

 

11 ore dopo

Miami, Florida

 

Il Mandarin Oriental di Miami si stagliava loro di fronte con la sua imponente mole: il prestigioso hotel sembrava emergere dall'acqua che lo circondava per svettare nel cielo azzurro e terso del primo mattino.

“Qual è il piano?” Chiese Bruce dopo aver fatto sparire quel che rimaneva della sua ciambella.

“Se entriamo là dentro chiameranno la sicurezza,” intervenne Thor, palesando le preoccupazioni di tutti.

Steve si limitò a posare uno sguardo interrogativo prima su Clint e poi su di lei.

“Se quello che dicono di lui è vero, a quest'ora se la starà dormendo della grossa,” constatò l'arciere, gli occhi puntati alla sommità dell'edificio, forse un vago desiderio di poter salire fino al tetto a godersi il panorama circostante.

“Vado io,” decretò Natasha. Presentarsi in massa sarebbe stato stupido e, tra tutti i presenti, si sentiva la più indicata a mescolarsi con i clienti di un hotel a cinque stelle: la gente non si faceva troppe domande quando si trovava davanti una bella donna. “Aspettatemi qua fuori.”

“Che succede se ti fermano?” Le chiese Clint.

“Non mi fermeranno,” lo rassicurò con un'occhiata indispettita.

“Per quanto aspettiamo?” Steve era passato immediatamente al lato pratico della faccenda.

“Mezz'ora al massimo.”

Dopo aver ricevuto un rapido cenno d'assenso dal capitano e una tacita raccomandazione da parte dell'arciere, Natasha si sistemò alla meno peggio i capelli e tirò verso il basso la canottiera nera che ancora indossava, scoprendo maggiormente la linea dei seni. Dopodiché si avviò verso l'ingresso del mastodontico edificio, varcando le porte di vetro per venir investita dal freddo pungente e artificiale dell'aria condizionata.

Fece scorrere discretamente lo sguardo tutt'attorno, passando in rassegna i pochi ospiti che sostavano nella hall: una vecchia signora seduta in poltrona a dar da mangiare pezzi di brioches al suo barboncino color miele, una coppia di giovani sposi intenti a scambiarsi tenere (nauseabonde) effusioni, un uomo in sovrappeso – vestito in giacca e cravatta – impegnato nella lettura del Miami Herald. Nessuno parve prestarle attenzione.

Decidendo che non aveva proprio niente da perdere, raggiunse il bancone della reception, dove una donna di mezz'età l'accolse con un ampio sorriso in cui non mancava una traccia di perplessità per il modo in cui era vestita: doveva ammettere che i suoi abiti (e la sua faccia) non se la passavano granché bene. Non ricordava neanche quand'era stata l'ultima volta che aveva dormito in un letto vero; probabilmente al motel di Puente Antiguo...

“Buongiorno, posso esserle utile?”

“Buongiorno,” mise su la sua espressione svampita più convincente, decidendo di approfittare dell'impercettibile sdegno che le leggeva nello sguardo e sperare in un po' di sana accondiscendenza. “Spero che possa aiutarmi perché sono, bè... sono nei guai.”

“Che genere di guai?” Domandò con cipiglio severo, improvvisamente glaciale nella sua cortesia.

“Vede... mi vergogno un po' ad ammetterlo, ma...” fece una breve pausa, appoggiandosi al bancone con entrambe le braccia per mettere in evidenza i seni, “... sono appena stata assunta, e il mio capo mi aveva detto di prenotare una suite per uno dei suoi ospiti. Solo che me... dio, è così imbarazzante... me ne sono dimenticata.”

Si morse le labbra e sfoderò una smorfia inebetita, come per farle capire che era davvero nei guai fino al collo.

“Mi dispiace ma tutte le nostre suite sono prenotate, signorina... ?”

“Rushman. Ahm... Natalie Rushman,” precisò prima di scoppiare in una risatina isterica. “Lei com'è che si chiama?”

“Patricia Montgomery,” rispose quella algidamente.

“Oh... come il cappotto?”

“Come il cappotto,” convenne la receptionist, palesemente sempre più convinta di trovarsi di fronte ad una completa inetta.

“Va bene, Patricia come il cappotto, è che vede... il mio capo è una persona piuttosto importante e se solo lei potesse trovare il modo di liberare la suite più esclusiva, allora i-”

“Mi dispiace, ma la Oriental Suite è stata prenotata per tutto il mese.” Quante possibilità c'erano che il miliardario Tony Stark si trovasse proprio nell'appartamento più lussuoso dell'albergo? Natasha decise di affidarsi alla sua intuizione.

“Lo sa chi è il mio capo?” Una domanda innocente, nella fittizia speranza che la donna potesse in qualche modo risolvere magicamente la situazione.

“No, signorina Rushman, la prego, mi illumini,” sentenziò ironicamente, probabilmente chiedendosi chi fosse il povero idiota malato di tette che aveva deciso di assumerla con intenti tutt'altro che onesti.

“Lo vede il giornale che quell'uomo sta leggendo?” Natasha si voltò verso i divanetti sistemati al centro della hall, indicandole l'uomo in giacca e cravatta che stava – si accorse – fingendo di sfogliare il suo quotidiano.

“Il Miami Herald?”

“Precisamente,” annuì, tornando rapidamente sulla donna per rivolgerle uno sguardo supplice. “Davvero non può fare niente per il direttore? Lei mi salverebbe la vita.”

“Lei lavora per il signor Spellman?” Chiese la receptionist, assolutamente basita.

“Non dica a nessuno che gliel'ho detto,” si affrettò ad esortarla ad un improbabile silenzio, quasi si fosse trattato di un segreto di stato.

Patricia aveva l'aria di chi aveva appena risolto un complicato mistero: se Natasha si era giocata bene le sue carte, non solo la signora Montgomery-come-il-cappotto non avrebbe messo in discussione il perché un uomo tanto rispettabile come Spellman avesse assunto un'incompente del genere, ma neppure l'avrebbe considerata una minaccia di alcun tipo, finendo per abbassare – inesorabilmente – le sue professionalissime difese.

“Chiamerò personalmente il signor Spellman per scusarmi, ma non posso fare niente per liberare la Oriental.” Sembrava essere tutto ciò che la donna era in grado di offrirle.

“No, la prego. Il guaio l'ho fatto io, sarà meglio che gliene parli personalmente, le dispiace?” Imbronciò le labbra per sottolineare il momento drammatico. “Se solo potessi contattare chi occupa la Oriental, magari potrei dire al signor Spellman di chiamare e -”

“No, mi dispiace. Il signor Stark ha lasciato precise disposizioni di non essere disturbato.”

Bingo.

A Natasha non sfuggì il vago disprezzo con cui Patricia aveva pronunciato il nome del miliardario, segno che non solo Stark alloggiava nella Oriental, ma che doveva aver dato più d'un filo da torcere allo staff dell'albergo.

“Detto fra noi,” riprese la receptionist, “preferirei di gran lunga avere come ospite un qualsiasi amico del signor Spellman, piuttosto che Tony Stark, ma,” ed eccola l'accondiscendenza di chi crede di non aver niente da temere dal proprio interlocutore, “davvero, signorina Rushman, temo di non poter far niente per lui.”

“Fa' niente,” accennò una leggera scrollata di spalle, accertandosi di apparire affranta al punto giusto ma pur sempre spensierata, giusto per non darle l'idea di avere un cervello in grado di comprendere in che razza di situazione spinosa si trovasse. “La ringrazio per la sua gentilezza. So che ha fatto tutto il possibile.”

Si congedò con un saluto impacciato, approfittando del percorso inverso per individuare tutte le porte e sale che si aprivano sulla hall. Se i viaggi con Ivan le avevano insegnato qualcosa, i piani più alti dell'albergo dovevano essere accessibili solo via ascensore; per far funzionare quello, invece, avrebbero dovuto recuperare una chiave magnetica. Sul dove potessero trovarla, però, non aveva la più pallida idea: magari potevano aspettare che un cameriere o un altro membro dello staff uscissero dal retro, stordirlo e perquisirlo. Ma in quel caso nessuno le assicurava che avessero la chiave ancora addosso: se il Mandarin Oriental era tanto esclusivo come sembrava, sicuramente avrebbe fatto estrema attenzione a chi aveva accesso ai suoi piani più alti. Natasha sapeva fin troppo bene che i ricchi tendono a valutare la loro privacy più di ogni altra cosa al mondo.

“Mi scusi, signorina?”

Non aveva fatto in tempo a raggiungere le porte di vetro che l'uomo che aveva visto impegnato nella lettura del giornale l'aveva affiancata, un sorriso gentile ad illuminargli il volto. Il fatto, poi, che si stesse sforzando – poco e male – di non fissarle le tette, contribuì a non farglielo odiare... almeno non immediatamente.

“Sì?” Si assicurò di mantenere in piedi la facciata di Natalie Rushman, l'ottusa segretaria del direttore del Miami Herald.

“Non ho potuto fare a meno di notarla,” ammise quello, passandosi nervosamente una mano tra i capelli. Più che un ricco ospite dell'albergo sembrava uno che ci lavorava... un portiere o magari un autista.

“Oh, la ringrazio,” sorrise ampiamente, cancellando qualsiasi traccia di disgusto stesse minacciando di palesarlesi sul volto.

“Stasera il mio capo darà una festa,” la informò, dritto al punto. “Magari può fare un salto e... chiedere di me.”

“Lei è molto gentile e io ho... terribilmente bisogno di uno svago,” l'assecondò, giusto per non lasciare niente di intentato. “Dov'è che si terra la festa?”

“Qui in albergo, stasera a partire dalle dieci.”

“Al suo capo piace festeggiare tutta la notte, ah?” Insinuò con aria divertita.

“Non può immaginare quanto.”

Qualcosa le diceva che si era appena guadagnata un invito per una delle celeberazioni selvagge di Tony Stark.

“Stasera alle dieci allora. Cercherò di esserci.”

“Chieda di me, il mio nome è Harold Hogan... ma lei può chiamarmi Happy, se le va.”

“Che soprannome simpatico,” sorrise svenevole, dandogli un colpetto sulla spalla. “Lo farò senz'altro, Happy.”

“A stasera allora, signorina...”

“Natalie Rushman.”

“Natalie,” ripeté quello. “A stasera.”

Natasha gli fece l'occhiolino, dandogli finalmente le spalle per uscire dalla hall dell'albergo, assicurandosi di far oscillare i fianchi ad ogni passo. Proprio mentre si preparava ad uscire e Happy tornava a sedersi al suo posto per riprendere la lettura del Miami Herald, si accorse che Patricia Montgomery era impegnata in una fitta confabulazione con un'altra receptionist appena sopraggiunta, intervallata da occhiate, divertite e indignate insieme, lanciate nella sua direzione.

Le ignorò, tornando finalmente all'aria già calda del mattino. Trovò il resto del gruppo seduto su alcune panchine disposte svariati metri oltre, lontane dall'ingresso dell'albergo.

“Allora?” Clint, che era l'unico in piedi, arrestò il suo andirivieni senza meta per andarle incontro.

“Stark darà una festa stasera,” non esitò ad informarli, “nella suite Oriental.”

“Come ci entriamo?” Intervenne Steve, affatto persuaso a cantar vittoria.

“Il suo assistente personale,” o autista/baby-sitter per ricchi viziati che fosse, “mi ha invitata.”

“Immagino che non ti abbia esortato a portare qualche amico,” borbottò Bruce.

“Posso trovare il modo di farvi entrare,” si ritrovò a proporre con disarmante semplicità.

“Non sappiamo neanche che razza di sicurezza abbia Stark,” protestò Clint.

“Cinque guardie del corpo sempre con sé,” sentenziò Rogers che, evidentemente, aveva fatto i compiti a casa.

“Dovrò solo fare in modo che Stark voglia che mi avvicini. Le guardie non sono un problema.”

Nessuno parve intenzionato a contraddirla o a mettere in discussione i suoi propositi.

“Che facciamo fino a stasera?” Brontolò Thor.

“Suggerisco di trovare un motel in una zona non troppo trafficata, così potrete riposarvi.”

“E tu?” Clint le stava rivolgendo un'occhiata perplessa.

“Natalie Rushman ha bisogno di fare shopping.”

 

*

 

Il ponte che conduceva all'isoletta su cui si ergeva il Mandarin Oriental Hotel era stipato di auto lussuose, limousine e SUV nuovi di zecca di ogni genere. Steve aveva parcheggiato la berlina nera – noleggiata giusto un paio di ore prima – a qualche metro di distanza, determinato a non incolonnarsi dietro al resto dei veicoli, più per non dare inutilmente nell'occhio che per non rimanere imbottigliato nel traffico.

A giudicare dalla folla che pareva ammassarsi in lontananza, all'ingresso dell'albergo, la festa di Stark non era poi così esclusiva. Clint riusciva ad intuire i profili di un numero spropositato di donne alte, slanciate, formose, bellissime, strette in abitini succinti dai colori improbabili; qualche bellimbusto rileccato qua e là a completare il quadretto.

“Quante volte hai detto che l'hai fatto?” Si ritrovò a chiedere, sporgendosi tra i due sedili anteriori, occupati rispettivamente da Steve e Natasha, per rivolgersi direttamente alla donna.

Non era ancora sicuro di essersi ripreso dalla brusca (ma neanche tanto) trasformazione che la ragazza aveva subito: si era abituato a vederla in abiti sgualciti e sporchi, i capelli costantemente legati per l'impossibilità di poterli lavare tanto spesso, quegli stivalacci polverosi sempre ai piedi. Quel pomeriggio, l'aveva vista tornare al motel con diverse buste di forme, dimensioni e colori diversi, infilarsi nel bagno e ricomparirne con indosso un mini-abito leopardato stretto in vita, che Natasha riusciva miracolosamente a far apparire di classe. Non che fosse poi così interessato a cosa la donna indossasse...

Affatto.

Per niente.

Zero.

I capelli, che gli erano apparsi immediatamente più rossi e lunghi di quanto non ricordasse, le scendevano in morbide onde sulle spalle. Scarpe nere vertiginosamente alte, orecchini a pendente e un velo di trucco completavano l'opera, che aveva preso a tormentarlo con pure troppa insistenza, soprattutto in aree del suo corpo che avrebbe voluto – in quel momento almeno – morte e sepolte sotto strati e strati di pace dei sensi.

“Più di una volta,” lo rassicurò lei, anche se la prospettiva di mandarla a fare da esca ad un dannato miliardario che col suo cazzo ne battezzava – nel migliore dei casi – una a sera, non lo rallegrava minimamente.

Il fatto, poi, che l'avesse conosciuta come Black Widow prima ancora che come Natalie o come Natasha, era tornato ad infastidirlo più di tutto il resto. Non si era mai del tutto soffermato a riflettere su cosa, esattamente, significasse quello specifico nome in codice. O meglio: se l'era immaginato, ma non ne aveva mai realmente preso atto prima di ritrovarsela davanti sfoggiando quel nuovo set di abilità. Non gli sembrava più tanto assurdo che la donna avesse sentito il bisogno di sfuggire al suo padre-carceriere: metabolizzare anche quell'ulteriore sfaccettatura della sua persona, aveva finito per dare tinte ancora più fosche al suo passato così come Clint se l'era immaginato.

“Allora,” intervenne Steve. “Il piano è il seguente: Natasha si infiltrerà alla festa, raggiungerà la suite e ci farà avere la carta magnetica per l'accesso. Dopo avercela consegnata, Barton ed io ci dirigeremo alla suite, mentre voi due,” si voltò per assicurarsi che Thor e Bruce recepissero attentamente le istruzioni, “vi occupate di tenere sotto controllo la situazione.”

“Provvederò ad isolare Stark e aspetterò che arriviate per spiegargli del... piano,” concluse Natasha per lui. “Un gioco da ragazzi.”

“Che succede se qualcosa va storto?” Non riuscì a fare a meno di chiedere (perché diavolo dovesse sempre pensare al peggio, quando c'era di mezzo la donna, ancora non l'aveva capito, ma d'altronde neanche riusciva ad ignorare quella pungente sensazione che continuava ad infastidirlo).

“Niente andrà storto. So cosa faccio,” decretò lei in tono definitivo.

“So che sai quello che fai, ma che mi dici di quello che fanno gli altri?”

“Stark è solo un ricco viziato che riempie il suo tempo con inutili feste,” ribatté Natasha. “Ho gestito di peggio.”

“Questo non mi consola affatto,” si lasciò scappare, ottenendo di farla voltare verso di lui, la sua pelle profumata di fresco a pochissimi centimetri di distanza.

“A meno che non vogliate prendere in considerazione la possibilità di mettere Bruce in tiro e appellarci all'animo scientifico di Stark, direi che questa è la nostra unica chance di avvicinarlo.”

“Io... voto per quest'opzione,” ribadì il dottore.

“Altro da dire?” Solo il silenzio fece eco all'inquisizione di Steve. “Ottimo.”

“Ci vediamo tra mezz'ora sotto il lato sud dell'albergo,” convenne Natasha prima di lanciare un'ultima occhiata a ciascuno di loro e uscire dall'auto sistemandosi l'abito sulle gambe.

“Non sono sicuro di voler essere nei panni di Stark, in questo momento,” sentì borbottare Bruce.

Mentre Clint si sforzava di pensare a qualcosa che non fosse il folle piano di seduzione messo in atto dalla donna, lo stomaco gli si accartocciò bruscamente su se stesso.

 

*

 

La receptionist – fortunatamente non Patricia, che doveva aver finito il turno ore prima – riattaccò il telefono, rivolgendole un sorriso di circostanza.

“Il signor Stark la sta aspettando, signorina Rushman.” Ad un suo cenno, uno dei camerieri che si aggiravano per la hall intenti a gestire la situazione festaiola con il minor numero di vittime possibile, si avvicinò per scortarla in direzione dell'ascensore più vicino. Il grosso degli invitati era già stato smaltito, lasciando l'ampio ingresso pressoché deserto e concedendo a Natasha di non dover condividere con qualcun altro l'ascesa fino alla suite di Stark.

Dopo essere stata sommariamente perquisita da quella che aveva tutta l'aria di essere una delle cinque guardie del corpo del miliardario e averne ricevuto il via libera, accettò l'invito del cameriere a salire per prima. Aspettò che le porte si fossero richiuse, che l'uomo avesse inserito la chiave magnetica nell'apposita fessura e digitato un codice sul pannello che si era attivato (sequenza che si curò di memorizzare); dopodiché gli fu addosso, attaccandolo alle spalle per cingergli il collo con entrambe le braccia, una mano sulla bocca per impedirgli di urlare: le fu sufficiente tagliargli le scorte di ossigeno finché i sensi non vennero a mancargli. Il cameriere si afflosciò ai suoi piedi senza troppe cerimonie.

Gli sfilò la chiave di mano, aspettando più o meno pazientemente che l'ascensore arrivasse a destinazione. Non appena le porte si riaprirono, venne investita da una musica assordante, da gridolini impazziti, risate, urla... Nonostante il fastidio, fu abbastanza sicura che, grazie a quella particolare situazione, nessuno avrebbe prestato attenzione al cameriere svenuto tanto presto. Si assicurò di rispedirlo al piano di sotto, nel caso avesse avuto la brillante idea di entrare per avvisare qualcuno.

Si decise infine a farsi strada tra i corpi ammassati nell'ingresso fin dove la massa degli invitati sembrava estendersi. Le cadde lo sguardo su una pila di riviste, buste, lettere che facevano bella mostra di sé sulla superficie di marmo del lungo tavolo che costeggiava il corridoio: sembrava che il signor Stark non avesse degnato la sua posta nemmeno di un'occhiata. Qualcosa le suggeriva che il misterioso involto – che a rigor di logica doveva essere stato inviato anche a lui – aveva ricevuto il medesimo trattamento: passò in rassegna il cumulo di missive senza trovare niente che facesse al caso suo.

Aveva ormai perso le speranze, quando si accorse che una della ragazze che occupavano l'ingresso, abbarbicata ad un ometto basso che indossava degli orribili pantaloni bianchi, stava pestando il suo tacco dodici su... quello che doveva essere stato un pacchetto. Una volta.

Si affrettò a recuperarlo, chiedendo scusa alla sconosciuta che a malapena si rese conto delle sue manovre, troppo presa dalla lingua del suo focoso compagno. Natasha era convinta che la maggior parte dei presenti avesse già raggiunto un ragionevole livello di inebriamento: il che, ovviamente, andava tutto a suo vantaggio.

Incastrò la chiave magnetica sotto lo spago che teneva chiusa la carta marroncina stracciata in più punti, assicurandosi che non rischiasse di scappar via; recuperò una penna abbandonata in un grande piatto di vetro rosso sistemato sul tavolo, scarabocchiando le cifre del codice necessario ad attivare l'ascensore. Dopodiché sgusciò fuori dal corridoio, ignorando il folle dimenarsi di tutti quei corpi sudati per puntare alla terrazza che scorgeva in lontananza. Mentre le appariva chiaro che la mastodontica suite conteneva più gente di quanta ne potesse realmente accogliere, Natasha rischiò di incrociare Happy, l'assistente personale di Stark. Deviò nella direzione opposta, facendo il giro largo attraverso il salotto e l'area relax, finché l'aria fresca che proveniva dall'esterno non la guidò verso una porta di vetro scorrevole. La fece scivolare di lato, disturbando l'ennesima coppia impegnata in attività ricreative e un paio d'uomini in giacca scura che dovevano averne approfittato per fumarsi una sigaretta: sembrava che la terrazza cingesse il perimetro esterno di tutta la suite.

Ignorò sia gli uni che gli altri, sporgendosi oltre il parapetto per individuare i due punti minuscoli che, se i suoi calcoli erano esatti, dovevano essere Clint e Steve. Si portò una mano alle labbra, rilasciando un alto fischio per attirare la loro attenzione: la testa bionda del capitano si alzò per prima, subito seguita da quella dell'arciere, che, più che averla sentita, sembrava aver imitato istintivamente il gesto di Rogers. Natasha agitò una mano prima di lanciare pacchetto e chiave magnetica nel vuoto: non aspettò di assicurarsi che andassero a segno, scoccando un'occhiata indecifrabile ai due fumatori che la guardavano incuriositi, superandoli per rientrare direttamente dal salotto dove si concentrava il grosso della festa.

Conclusa la fase uno, si concesse il tempo di guardarsi attorno: le luci stroboscopiche che Stark aveva presumibilmente fatto installare lanciavano variopinti flash accecanti in ogni direzione. Alcune ragazze, liberatesi dei vertiginosi tacchi con cui erano arrivate, stavano saltando su uno dei divani che occupavano la sala, altre si agitavano come matte in prossimità della stazione del DJ. Bottiglie di champagne, super alcolici, lattine di birra ingombravano alcuni tavoli sparsi ai diversi angoli della suite.

Natasha passò in rassegna i pochi uomini che punteggiavano la folla prevalentemente femminile: nessuno rispondeva alla descrizione che Steve le aveva fatto del miliardario. Fu ben attenta a spostarsi tutte le volte che uno dei presenti accennava a volersi fare avanti, magari invitarla a ballare o bere qualcosa; e soprattutto a monitorare gli spostamenti di Happy: stretto nel solito completo elegante con cui l'aveva visto quella mattina, l'uomo faceva su e giù per la suite, con l'aria di chi ha un diavolo per capello. Tenere sotto controllo quella mandria imbufalita non doveva essere tanto semplice.

Decise di passare alla stanza successiva, immettendosi in un salotto più piccolo. Sedute sull'unico divano che si snodava lungo tutta la parete per fronteggiare un enorme televisore a schermo piatto, otto ragazze – tra cui notò due gemelle – si erano disposte regolarmente attorno al fulcro di quel particolare gruppo: un uomo non molto alto, pantaloni eleganti, piedi nudi, le maniche della camicia blu notte arrotolate fin sopra i gomiti; indossava un paio di occhiali scuri e teneva tra le labbra, messe in evidenza dal pizzetto estremamente curato, un grosso sigaro cubano spento.

Un sinistro ronzio accompagnò lo spostarsi sincronico di tutti gli sguardi verso qualcosa che si trovava al di sopra delle loro teste: un bizzarro marchingegno – una specie di aeroplanino telecomandato – aveva preso a schizzare da un capo all'altro della stanza. Sembrava che lo sconosciuto lo stesse pilotando utilizzando un grosso guanto metallico, con sommo divertimento e ultrasoniche risate raschia-gola emesse dallo stuolo di donne adoranti che lo circondava. Una di loro, esortata dallo sconosciuto, lanciò un bicchiere da Martini per aria: un attimo dopo andò in mille pezzi, colpito da quello che le era sembrato un raggio... laser.

Comportamento eccentrico, bislacche ed inutili invenzioni, pizzetto: Natasha non aveva più grandi dubbi riguardo l'identità dell'uomo che le sedeva praticamente di fronte. Fare la svampita non l'avrebbe aiutata ad attirare l'attenzione di Stark: sembrava che il miliardario ne avesse una fornitura praticamente illimitata, molto probabilmente a vita. Come si fa a conquistare un uomo che crede di avere già tutto? Mettendogli davanti agli occhi qualcosa che pensa di non poter avere. Si limitò ad irrigidire la postura, a raddrizzare la schiena e a recuperare un drink qualunque, premurandosi di scoccare lunghe occhiate cariche di disappunto e disgusto in direzione di Stark.

Solo quando l'uomo parve finalmente essersene accorto, Natasha finse interesse per qualcos'altro, lasciandosi alle spalle il salotto e il caos per uscire di nuovo sulla terrazza, svariati metri oltre il punto in cui si era sporta per consegnare il pacchetto a Clint e Steve.

Si appoggiò di schiena al parapetto, allungando un braccio sulla ringhiera. Non dovette attendere a lungo perché Stark la raggiungesse: si era liberato del guanto metallico, ma non di sigaro e occhiali da sole.

“Se c'è una cosa che non sopporto,” esordì, non appena l'ebbe individuata, “è vedere gente che non si diverte alle mie feste.”

Natasha decise di rimanere su una linea vagamente ostile, quel tanto che le bastava per stuzzicare la sua attenzione senza rischiare di farlo desistere del tutto. Si limitò a scrollare le spalle, a bere un sorso del suo cocktail zuccheroso e ad ostinarsi a non dire niente.

“Oh, capisco,” riprese l'altro, avvicinandosi di qualche passo. “Sei una difficile, giusto?” Parve scrutarla attentamente negli occhi attraverso le lenti scure infisse nella montatura costosa. “Certo, c'è anche la possibilità che tu sia sordomuta. Non che ci sia qualche problema,” riprese a blaterare, “diversità e rappresentazione sono il perno della società moderna, lo sapevi?” Natasha scosse il capo, un misto di noia e divertimento ad accenderle lo sguardo. “Io nemmeno.”

“Neanche lei ha l'aria di divertirsi granché,” si decise a formulare, calibrando attentamente il tono di voce.

“Io?” Stark scoppiò a ridere. “Il divertimento l'ho praticamente inventato io,” decretò pretenziosamente.

“Insieme a... inutili gingilli, giusto?”

“Non ha ricevuto il promemoria? Le cose migliori della vita sono inutili.”

Nonostante l'ennesima risata, Natasha capì che non era affatto divertito. Le dava l'impressione di un uomo grande e cresciuto che si ostinava a comportarsi come un ragazzino, contro ogni buon senso, contro ogni evidenza, portando strenuamente avanti un'illusione che non doveva convincere fino in fondo neanche lui.

“Credevo che le cose migliori della vita non si potessero comprare,” replicò.

“Spero vivamente che tu non abbia ragione o sarei nei guai.” Le scoccò un'occhiata al di sopra degli occhiali da sole: il movimento le permise di intuire l'ombra delle occhiaie che gli cerchiavano lo sguardo. Quelle, insieme alla sua voce strascicata e roca, le suggerirono che non doveva aver dormito molto nelle ultime quarantotto ore.

Un movimento oltre la porta a vetri attirò la sua attenzione: Clint, lattina di birra immancabilmente alla mano, e Steve altissimo e imponente a catalizzare gli sguardi delle ragazze presenti, avevano fatto il loro ingresso nel salotto.

“Qualcosa di più interessante di me?” Stark si voltò per controllare cos'è che stesse guardando, ma Natasha non gliene dette il tempo. L'afferrò per le spalle, invertendo le posizioni fino a schiacciarlo contro il parapetto, il piccolo coltello che aveva assicurato ad una fascia attorno alla coscia (abbastanza discretamente da eludere i controlli della sicurezza) puntato direttamente tra le gambe. L'uomo, che si era a malapena accorto del brusco ribaltamento, si limitò a guardarla con aria spaesata e solo vagamente indispettita, lasciando però cadere il sigaro a terra.

“Di solito quando spero che le donne che mi porto a letto non nascondano una sorpresina, mi riferisco a tutt'altro,” blaterò, quasi non si stesse rendendo conto della situazione. Natasha minacciò di affondare la lama ben oltre la pregiata stoffa dei suoi pantaloni d'alta sartoria. “Non sono sicuro di sapere cosa preferirei in questo momento.”

Proprio mentre Clint e Steve la raggiungevano, gli sfilò gli occhiali da sole, decisa a guardarlo in viso, forse nel tentativo di intimidirlo... il fatto che non stesse mostrando la benché minima traccia di preoccupazione la irritava molto più di quanto avrebbe voluto ammettere.

“Oh, il comitato d'accoglienza,” Stark li accolse con un ampio sorriso. “E poi dicono che le mie feste sono tutte uguali!”

“Si sieda,” Rogers esordì, l'espressione estremamente seria e scocciata.

“Non è che ha pure dei salatini, vero?” Intervenne Clint.

“Se vuole posso chiamare il servizio in camera,” si offrì Tony.

“Sarebbe delizioso.”

Natasha cominciò a temere che la serata sarebbe stata più lunga del previsto.

 

__________________________________________

Note:
E finalmente è entrato in scena anche l'ultimo Vendicatore! Giusto un assaggio di Tony Stark, ma ben più di un indizio sulla sua backstory. Per facilitarmi gli spostamenti, ho ricollocato Tony in quel di Miami (ma solo di passaggio, come si intuisce dalla location)... me lo immagino dedito a una gran serie di festeggiamenti in tournée per gli States (sennò a che servono i soldi? :P) Le citazioni *visive* da Iron Man 2 si sprecano (incluso il look di Natasha/Natalie per l'occasione!).
Toccherà aspettare il prossimo capitolo per scoprire come Stark prenderà la notizia di questo fantomatico "lavoro" (se di quello si tratta) e per vedere come il gruppo interagirà nella sua interezza.
Vi anticipo che il capitolo 13 arriverà tra  un po' più di una settimana, perché ho intenzione di postare un'altra cosetta...
Oltre a questo i ringraziamenti di rito alla sclerosocia che mi porta Vedove Nere in regalo (for real!) e anche a tutti voi che leggete e mi fate sapere che ne pensate volta per volta :D mi fa sempre tanto piacere.
Ora che ho delirato abbastanza, vi auguro un buon weekend :P
Al prossimo aggiornamento!
S.
  
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