Nick:
Fiamma Erin Gaunt
(EFP)/Kyra Nott (Forum)
Titolo: In the end
Personaggio scelto: Will Solace
Pacchetto scelto: Disintegro accidentalmente la prof di matematica. Ho
utilizzato sia prompt che obbligo.
Genere: Malinconico; Triste; Romantico
Rating: Giallo
Avvertimenti: What if
Conteggio parole: 2.100
Introduzione: /
Note dell’Autore: Ho inteso il concetto di
“fine” come quello della fine di
un’amicizia; nello specifico il figlio di Ares che compare
è un mio OC creato
per il contest “OC semidei in cerca di penna e
d’autore”. La shot è in chiave
un po’ malinconica con qualche accenno slash (diciamo un
amore oneside) e un
finale che ribalta il concetto stesso di fine (scusa per il gioco di
parole).
Cosa importante: Will ultimamente viene spesso shippato con Nico ma a
me come
coppia non piacciono per niente e inoltre credo che Will sia troppo
simile al padre
per essere al 100% omosessuale, per cui nella mia versione
verrà rappresentato
come bisessuale. Anche perché, di fatto, al contrario di
Nico non c’è un suo
vero outing.
In the end
Il sogno è un fenomeno misterioso,
è l’unica
via che ha l’uomo di incontrare le persone scomparse, parlare
con loro, provare
forti emozioni, fino a piangere con loro.
Romano
Battaglia, Il fiume della vita,
1992
Erano passate settimane dalla fine della guerra e
il conflitto aveva
lasciato un segno in tutti loro. Non erano le ferite fisiche a
preoccupare
Will, però, ma lo spirito fiaccato di chi aveva perso un
fratello, un
fidanzato, un amico.
Di chi aveva perso Jack.
Ecco, con lui era stato come perdere tutte e tre
le cose in un colpo
solo. Non che Jack avesse mai provato per lui qualcosa più
di un affetto
fraterno, di questo era sempre stato ben consapevole, ma al dolore che
gli
martellava incessantemente nel petto sembrava non importare. Era stato
il suo
compagno di spada, il suo primo e migliore amico al Campo, il fratello
maggiore
che non aveva mai avuto, il primo ragazzo che si era sorpreso a
guardare nel
modo che di solito riservava alle ragazze. Erano un sacco di prime
volte … di
ultime, ormai.
Sospirò, giocherellando con la
fasciatura che portava al braccio destro.
- Dovresti mangiare qualcosa. –
La voce di Austin lo strappò dai suoi
pensieri.
Era in piedi, con la schiena appoggiata al muro, e
lo fissava con
espressione contrariata.
- Non ho fame. –
Non mangiava da quanto? Due o forse tre giorni?
Da quando il lavoro in infermeria si era fatto
meno febbrile e aveva
avuto il tempo di pensare. Fermarsi a riflettere e ricordare era stata
la scelta
peggiore tra tante possibili. Finchè era impegnato riusciva
a fingere che tutto
ciò non fosse accaduto, che da un momento
all’altro Jack si sarebbe presentato
sull’uscio della Casa Sette e gli avrebbe rivolto quel suo
solito sorrisetto
sghembo.
Poi era arrivata la calma e con essa la
consapevolezza che non avrebbe
mai più incontrato il figlio di Ares.
- Will, per favore. Jack era anche mio amico, ma
morire di fame non lo
riporterà indietro – provò a insistere
Austin.
Gli occhi azzurri del fratellastro lo fissarono
supplichevoli al di
sotto delle ciocche castane. Era talmente assorbito dal proprio dolore
che non
aveva realizzato di non essere il solo a soffrire. Austin era stato
amico di
Jack, certo, ma non lo aveva amato. Non aveva sentito il cuore
battergli all’impazzata
quando veniva attirato in un abbraccio virile, non aveva inspirato il
profumo
pungente del ragazzo impresso sui suoi vestiti, non aveva passato notti
insonni
quando durante le missioni Jack dormiva accanto a lui, non aveva
invidiato Drew
Tanaka per il fatto che lei poteva
alzarsi in punta di piedi, gettargli le braccia al collo e baciarlo
come se ne
andasse della sua stessa vita.
- Non ho fame, te l’ho già
detto. Scusa, ma voglio rimanere da solo. –
Avvertì il sospiro frustrato di Austin
e la porta che veniva richiusa
alle sue spalle.
Si lasciò cadere sul letto, affondando
la chioma dorata nel cuscino.
Allungò una mano verso il comodino e afferrò la
boccetta di sonnifero che vi
era posata sopra. Erano settimane che non riusciva a chiudere gli occhi
senza
trovarsi davanti le iridi blu scuro di Jack, ma i tranquillanti gli
permettevano di sprofondare in un sonno artificiale che scacciava i
ricordi.
Erano gli unici momenti in cui smetteva di soffrire.
Ne contò un paio, assaporando il
retrogusto amaro del farmaco, e nel
giro di una manciata di secondi avvertì le palpebre farsi
pesanti e il
familiare senso di torpore prendere rapidamente il controllo del suo
corpo.
- Will … William, ti
decidi ad aprire quegli occhi? –
Quella voce. Lievemente
roca, beffarda, tremendamente familiare.
Obbedì, trovandosi davanti
un ragazzo alto e muscoloso. Le ciocche corvine erano scompigliate e
gli
conferivano un’aria di distratta eleganza, gli occhi blu
sembravano pozze d’oscurità
in cui annegare.
- Finalmente, bell’addormentato.
Pensavo che mi avessi fatto fare tutta questa strada solo per starti a
guardare
russare. –
- Jack? Sei davvero tu? –
Il figlio di Ares
sospirò, battendosi teatralmente una mano sulla fronte.
- Ho sempre saputo che
non eri un tipo particolarmente sveglio, Solace, ma credi davvero che
possa
esserci qualcun altro assolutamente fantastico come me in circolazione?
–
Sì, era lui.
- Stupido pallone
gonfiato, mi sei mancato – sbottò, raggiungendolo
e abbracciandolo di slancio.
La stretta ferrea del
ragazzo si chiuse sulle sue spalle.
- Ti ho visto piangerti
addosso in queste settimane, Will. Non dirmi che hai intenzione di
continuare a
comportarti come una patetica ragazzina frignante? Sul serio, fratello,
non è
proprio il caso. Tu stai bene, io sto bene … okay,
tecnicamente sono morto, ma
sto una meraviglia. Cioè, guardami, non sono perfetto?
– concluse ridendo.
Sì, lo era.
- Sei fantastico come
sempre – convenne, sentendo le gote arrossarsi per la
confessione che gli era
sfuggita.
Jack però non sembrò aver
colto il vero significato delle sue parole oppure aveva deciso
semplicemente di
non dargli troppo peso.
- C’è una cosa che voglio
dirti in realtà – disse, tornando improvvisamente
serio, - sono morto solo per
un po’. Ti ricordi cosa è successo, no? –
Annuì.
L’immagine della freccia
di Orione diretta verso Drew e di Jack che le si parava davanti per
farle scudo
con il suo corpo era impressa nella sua mente. Così come
quella del semidio
stretto tra le braccia della figlia di Afrodite, il respiro mozzato e
il fiotto
di sangue che gli fuoriusciva dalla gola mentre esalava
l’ultimo respiro.
- Bè, gli Dei hanno deciso di cambiare le carte in tavola. Sull’Olimpo il mio nome è Thárros, il coraggio. –
Will sgranò gli occhi, incredulo.
- Sei … un Dio? –
Jack proruppe in quella sua risata roca che ricordava l’ululato di un lupo.
- Non essere ridicolo, certo che no. Sono una personificazione, quella del coraggio. Afrodite e mio padre hanno spinto affinchè venissi ricompensato per il mio sacrificio, il valore dimostrato e bla bla bla. Tra parentesi, Artemide e tuo padre erano d’accordo. E così, eccoci qui – concluse.
-
Quindi ti rivedrò ancora. –
Jack
inarcò un sopracciglio.
-
Di tutto il discorso che ti ho fatto questa è
l’unica
cosa che ti viene da dire? Sì, mi rivedrai ancora, a una
condizione però. –
-
Cioè? –
-
Smettila di frignarti addosso, alza il culo e
torna a rompere alla gente con le tue importantissime procedure mediche
– rise,
coinvolgendo Will nell’ilarità.
Era
molto che non si concedeva una risata.
Probabilmente l’ultima che si era fatto era stata proprio con
lui.
-
Devo andare adesso, ho i minuti contati e
voglio fare visita anche a Drew. Chissà se il sesso psichico
vale anche solo la
metà di quello di persona – considerò,
accigliandosi.
Will
storse le labbra.
-
Ti prego, risparmiami – mormorò, a metà
tra il
serio e l’ironico.
-
Ci vediamo presto, fratello. –
Un
ultimo sorriso sghembo, accompagnato da una
strizzata d’occhio, e la sagoma di Jack si offuscò
lentamente fino a sparire.
Will
riaprì gli occhi,
ritrovandosi sdraiato sul suo letto. Sulle labbra aveva ancora
l’inizio del
saluto.
-
A presto, fratello – mormorò.
*
La
vita al Campo aveva ripreso
a scorrere lentamente come al solito. Erano mesi che non accadeva
qualcosa di
eccitante e le visite di Jack non erano mai frequenti e lunghe quanto
avrebbe
voluto.
Era
sdraiato sul prato quando
una voce femminile raggiunse le sue orecchie.
-
Freccia! –
Si
chinò appena in tempo per
evitare il dardo, che si conficcò nel tronco
dell’albero più vicino facendo
fuggire via una ninfa impaurita.
-
Will? –
Eve
Torres, diciottenne figlia
di Ares, lo guardava con espressione sorpresa. Per un certo periodo,
tre anni
prima, avevano avuto una relazione finchè la coppia si era
trasformata in un
imbarazzante triangolo “Solace – Torres –
Fletcher” e avevano deciso di porvi
un freno. Non la vedeva dalla morte di Lee, dopo la quale aveva deciso
di
abbandonare il Campo e trasferirsi in Europa insieme alla famiglia di
Mark e
Sherman. Era ancora bella come quando aveva quindici anni, anzi
probabilmente
di più visto che le forme acerbe si erano trasformate in
curve da vera donna, e
quegli occhi smeraldini luccicavano impudenti mentre sorrideva.
-
In carne e ossa – disse,
sorridendo, - Come mai tanto sorpresa? –
-
Avevo sentito dire che eri a
Nuova Roma per frequentare il corso di medicina, non mi aspettavo di
trovarti
qui. –
-
Avevamo una settimana di
vacanza e ho pensato di tornare a casa – spiegò,
facendole spazio e
permettendole di sedersi accanto a lui.
Il
leggero profumo di cannella
che emanavano le sue onde ramate lo avvolse. Anche lei era stata la
prima volta
in innumerevoli occasioni: il primo bacio, la prima vera storia, la
prima volta
che qualcuno gli aveva spezzato il cuore.
Quest’ultima
stava diventando
un’abitudine, pensò ironicamente; prima lei, poi
Jack.
-
Sono contenta che tu l’abbia
fatto. Ho deciso di tornare al Campo, ma prima volevo vederti
… sapere se la
cosa ti avrebbe dato problemi. Sai, dopo Jack e tutto il resto
– concluse,
stringendosi nelle spalle.
Scosse
la testa.
-
Nessun problema, anzi ne sono
felice. Sto andando avanti e ho capito perché dopo la morte
di Lee sei scappata
via. Se avessi avuto un posto dove andare l’avrei fatto anche
io. –
-
Non sono scappata perché Lee
è morto. Non solo per questo, ma perché mi
sentivo in colpa. –
Will
le rivolse un’occhiata
perplessa.
-
Mi sentivo in colpa perché vedendo
il corpo di Lee non riuscivo a non pensare che ero contenta che non ci
fossi tu
al suo posto, che non sarei riuscita a sopravvivere se fossi stato tu a
morire –
concluse, abbassando lo sguardo, imbarazzata.
Non
era mai stata brava con i
sentimenti e le parole. Era cresciuta circondata da uomini e
l’unica sorella,
Clarisse, non era mai stata un tipo propriamente espansivo
perciò il tenersi
tutto dentro doveva esserle sembrata la scelta migliore.
Il
ragazzo intrecciò le dita
con le sue, disegnando delicati cerchi con il pollice sul dorso della
mano. Era
una cosa che la rilassava, lo ricordava bene, e in quel momento non
riusciva a
fare a meno di toccarla. Avendola lontana aveva sempre pensato che
tutto ciò
che aveva provato nei suoi confronti fosse stato soffocato e
rimpiazzato dall’amore
per Jack, ma ora che l’aveva al suo fianco non riusciva a
fare a meno di
pensare a quanto fosse piacevole avvertire di nuovo il contatto tra la
loro
pelle.
“Il
primo amore non si scorda
mai.”
Aveva
sempre pensato che fosse
una frase sdolcinata che poteva andare bene per i baci Perugina il
giorno di
San Valentino o che magari avrebbe avuto senso se pronunciata da
qualcuno dei
figli di Afrodite, ma in quel momento si rendeva conto di quanto fosse
veritiera. E non importava se l’aveva lasciato per Lee, se
gli aveva spezzato
il cuore, perché adesso era lì con lui e gli
rivolgeva quello sguardo a metà
tra il rammaricato e l’imbarazzato che aveva il potere di
sciogliere ogni sua
ultima resistenza. Non pretendeva nulla, non chiedeva niente, voleva
solo un’occasione
per dirgli ciò che le passava per la testa, per aiutarlo a
comprendere i suoi
gesti.
E
lui la comprendeva, perché sembrava
così naturale averla accanto, così giusto, che
tutto il resto era assolutamente
irrilevante ai suoi occhi.
-
Mamma, si possono amare due persone allo stesso
tempo? –
-
La maggior parte delle persone ti dirà di no,
Will, ma lo farà solo perché viene considerato
moralmente inaccettabile. Io
invece penso che sia possibile, perché ci sono persone che
hanno un cuore
troppo grande per regalarlo solo a un individuo alla volta. –
-
E il mio cuore com’è? –
-
Immenso, amore mio. Il tuo cuore è il più
grande che abbia mai visto. –
Sua
madre aveva ragione, come
sempre del resto.
Amava
Jack, ma era un amore
romantico e senza alcuna speranza, destinato a non essere mai
corrisposto.
Amava Eve, ed era un sentimento abbastanza forte da poter passare sopra
a tutto
ciò che era accaduto in quei tre lunghi anni. Amava entrambi
e a modo loro lo
riamavano. Amava due persone nello stesso momento e credeva di averle
perse
definitivamente entrambe, ma alla fine erano ancora lì con
lui.
“Piantala
di fare l’idiota, fratello, e baciala!”
Adesso
le personificazioni si
mettevano anche a parlare nella testa di un semidio qualunque?
Bè, forse tutto
sommato il coraggio di prendere una decisione definitiva era proprio
ciò di cui
aveva bisogno.
Le
accarezzò il profilo della
mandibola, annullando lentamente la distanza che li separava.
“Meno
sdolcinatezze e più azione.”
“Potremmo
avere un po’ di privacy? Sei più
invadente di mio padre.”
La
risata di Jack echeggiò
nella sua testa. “Agli
ordini.”
Le
accarezzò le labbra con le
sue e le catturò in un bacio lento e dolce. Sorrise quando
sentì Eve cingergli
il collo con le braccia e ricambiarlo.
Dopo
la guerra aveva creduto
che fosse giunta la fine, quella con la “f”
maiuscola, ma si sbagliava. Quello
era solo un nuovo, meraviglioso, inizio.
[2.100
parole]