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Autore: DO4PE    08/11/2014    0 recensioni
Vig siede in un bus verde e pensa. Abbandona la Città per un luogo più silenzioso e calmo, in compagnia di un pacco natalizio.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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​Spero che qualcuno possa provare leggendo le stesse cose che io ho provato scrivendo. Recensitela se volete; in positivo, negativo, sia cose belle che brutte .

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Per essere un paese nel bel mezzo del nulla, la piccola chiesa è gremita. Gente è accorsa dalle cittadine vicine, tutti a salutare per l'ultima volta il povero passante. Il suo nome è sulle bocche di tutti ed il suo viso resterà nei cuori fino a quando non morirà qualcun'altro oppure accadranno vicende più importanti nelle singole vite delle duecentosedici persone pie presentatesi quel pomeriggio per dare l'estremo saluto al povero passante. 
Quando l'hanno trovato - aveva detto giorni fa il poliziotto arrivato per primo sul posto dopo la chiamata di una giovane che aveva rinvenuto il corpo - il povero passante era irriconoscibile. Ahimé, un'enorme scheggia di legno d'acero (non conosco i vari tipi di legno; penso fosse acero o almeno così ricordo) aveva letteralmente trafitto il povero corpo del povero passante. Non c'è stata la possibilità di salvarlo, ma niente lacrime versate perché in realtà a nessuno è mai interessato cosa il povero passante vivesse prima di morire. Era un pastore? Un ingegnere? Si drogava? 
Il sole tramontava ed un'inutile messa venne detta, nel tentativo di permettere al povero passante d'accedere prima in purgatorio.

Rocambolesco. Penso che la prima parola che Vegard abbia detto non sia stata "mamma" o "papa" oppure "necessito di espellere materia fecale" . Probabilmente le sue corde vocali hanno emesso un gemito di dolore che venne interpretato come una parola. 
E' sempre stato una di quelle persone che per raccogliere una cosa caduta ne lasciano cadere un'altra, ma non è colpa sua. Non fu colpa sua quando quel giorno dovettero evacuare tutto il palazzo per l'eccessiva puzza di gas. Fu colpa della sua sbadatezza se mentre sorseggiava latte caldo con due cucchiaini di zucchero e caffé si era appoggiato al cucinino, il quale aveva espulso un'ingente quantità di gas per i successivi venti minuti.
Vegard stringe fra le mani il pacco che ha incartato con la carta da regalo natalizia, rimasuglio di cinque anni fa, quando mamma aveva ancora la forza di fare ed incartare doni. Vig odia la faccia entusiasta ed allegra che è costretto a fare ogni qual volta parenti ed amici gli reagalano qualcosa; le loro facce sistematicamente deluse dai suoni acuti e senza senso che emette lo fanno sentire a disagio come quando non sa esattamente quale canzone vuole sentire. Che inutile spreco di soldi e tempo. Ma credetemi, Vig non è uno sciocco, non è un cafone che parla senza pensare o mangia ruomorsamente e ride sguaiatamente. E' solo intimorito dalla vita e dalle conseguenze che ogni sua azione può comportare. Non questa volta però.
Il candido sole dicembrino non permetteva di vedere molto lontano; creava quella caratteristica patina bianca che circonda il mondo ed in quel momento il piccolo bus verde sul quale Vegard era salito qualche ora fa. La Città era incomprensibilmente lontana dalla piccola casetta alle pendici di un monte che suo padre aveva comprato dodici anni or sono. Che rimpianti; nei bei tempi andati abbracciava la croce ed abbandonava i pochi comfort che aveva a casa per passare un week-end - e quando andava male intere settimane - nel bel mezzo del nulla. Ma proprio nulla. Non arriva l'acqua e a malapena c'è il bagno. Ma papà adorava il nulla; il rapporto con la natura lo faceva sentire etereo ed immortale.
Immortale un corno.
Cinque fatidici anni fa era morto stecchito nella miniera a pochi chilometri della Città. "Vado a lavoro, ci vediamo stasera" ma 'stasera' fu un'interminabile attesa.  Vig aveva pianto tutte le lacrime che aveva conservato dalla sua nascita. Non era suo solito piangere e benché non fosse il preferito di suo padre, lo aveva fatto.  Nastas'ja, invece, aveva passato giorni sul suo letto a fissare il soffitto e a Vig era sembrato molto strano. S'aspettava uccidesse gatti o sgozzasse animali, come era suo solito. Avrà avuto sette anni Vig quando un pomeriggio aveva sorpreso la sorellina che pugnalava ripetutamente un topo. Ma papà e mamma dicevano continuamente che sono cose normali, uno se ha inclinazioni speciali deve sfogarsi. Nastas'ja era sempre andata bene a scuola e tra qualche anno sarebbe diventata un chirurgo. Vig si rimise il cappello in testa e guardò le altre tre persone che si spostavano dalla Città alla Cittadella. Non poteva addormentarsi o avrebbe perso la fermata nel bel mezzo del nulla. I pini alti e i ciliegi - gli unici alberi che ricordava tra quelli che aveva cercato d'insegnargli suo padre - nascondevano completamente la casupola, ma Vig conosceva il percorso a memoria ed avrebbe saputo sicuramente d'essere arrivato anche se si fosse perso nei suoi pensieri. E così pensò. Pensò ad Alena, povera piccola Alena. In quel momento probabilmente stava tentando di suonare il piano come fa ogni giovedì pomeriggio, ma nessuno ha mai avuto il coraggio di dirle che non ne è capace. "Alena sei un disastro, nemmeno i gatti strozzati da Nast emettono suoni tanto sgradevoli". Alena era la sua unica cara amica, ma lei non teneva chissà quanto a lui. Lui da qualche anno a questa parte aveva provato a smettere di dipendere dalle persone perché coloro che ami diventano una dipendenza. Il risultato è stato pressappoco disastroso. Tutti l'avevano lasciato. Oh, che tristezza. Ma Alena ogni tanto gli portava qualche tulipano di carta e lui si sentiva sollevato. Mai buoni rapporti con nessuno. Tutte sconosciute le facce della Città e su questo non provava alcun rimpianto. Le persone ti guardano e pensano a quali benefici possono trarre dall'amicizia, ma da Vegard puoi trarre solamente ore di silenzi e di passeggio. Passeggio alle nove di mattina, alle sei, alle dieci di sera e dopo mangiato. Vig preferisce passare ore a camminare per strade che conosce come le sue tasche anzicché tentare di sorridere prontamente alle battute di cari amici in bar che offrono stuzzichini vomitevoli, come è solito fare. 
Non è necessario dire che per quella sera aveva previsto una cena a base di churros e churros. Li adorava. Aveva pronta la pastella e l'olio, doveva solamente friggerli. Mentre già li gustava, il bus rallentò e lentamente si fermò. Vig prese i suoi bagagli ed aspettò che il trasporto si allontanasse prima di voltargli le spalle. Sarebbe stato l'ultimo contatto con la civiltà per un lungo tempo. Era sicuro che al suo ritorno a casa nessuno avrebbe versato lacrime o l'avrebbe stretto a sé. Così funziona nella sua vita.
L'odore di bosco si faceva sempre più forte e nel bel mezzo del nulla trovò la sua casetta, identica a quella della sua prima gioventù. O forse lui la ricordava così; "i ricordi noiosi non si sfasciano" pensò.  Posò il pacco al centro del tavolo rotondo affinché niente lo urtasse e fissò per un quarto d'ora la natura ed il rosso del cielo che si trasformava in buio ottenebrante. Poi si alzò, prese una pentola vecchia per scaldare l'olio e cucinò i dolci che amava. L'odore di fritto copriva quello di bosco e a Vig sembrò di cogliere quella che era una sorta di felicità malinconica. Una vecchia tovaglia copriva il legno e le uniche cose sulla tavola erano il piatto stracolmo, un bicchiere d'acqua e il pacco natalizio. Vegard mangiò di gusto ed appoggiò la mano sul pacco; quando inavvertitamente un pezzo di churros gli cadde tra le gambe, egli lasciò volontariamente cadere il pacco per terra. Il buio si illuminò e pezzi di acero volarono in ogni direzione.
  
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