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Autore: _Riri_Sunflower_    08/11/2014    5 recensioni
Cosa c'è di più triste nell'organizzare il funerale delle persone da cui non avresti mai pensato di separarti?
Come si può convivere con il dolore di una perdita affettiva dopo una tragedia?
A volte la vita ci chiede di affrontare anche queste realtà...
PERICOLO LACRIME!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Derek Sheperd, Meredith Grey
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nona stagione
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POV DEREK
 
È passata una settimana dall’incidente aereo, una settimana da quando Lexie è morta. Vedevo mia moglie stare male per questo, guardare le foto della sorella mentre giocava con Zola e trattenere le lacrime. Meredith aveva sempre sostenuto di essere figlia unica, ma nella piccola Alexandra aveva trovato qualcuno di cui ci si poteva fidare. L’aveva accolta come solo una sorella maggiore poteva fare e le aveva dato i migliori consigli per qualsiasi occasione.

Ricordavo bene quando avevano scoperto di essere sorellastre: se fosse stato per mia moglie, se la sarebbe mangiata viva. Lexie, invece, era così indifesa… ora capisco perché Mark ne fosse tanto innamorato. Nessuno meglio di lui poteva capire il dolore che si provava nel perdere una persona amata, la sofferenza che si sentiva nel sentirsela scivolar via dalle dita senza poter far nulla per salvarla.

Non avevo ancora avuto il permesso di operare visto che la mia mano non era ancora completamente guarita ed era ancora tutta fasciata. Vagavo per i corridoi dell’ospedale finché non mi ritrovai nella stanza degli strutturati. Eravamo tutti così sconvolti dalla morte di Lexie che ne parlavamo appena. Guardai nella stanza attraverso la finestra e vidi Webber parlare con Avery. Non avevo la forza di entrare e sedermi lì con loro, sapevano che l’argomento incidente aereo era ancora un tasto delicatissimo. In quel preciso momento mi squillò il telefono, ridestandomi dai miei pensieri; lo presi con la mano sana e lessi il messaggio che avevo appena ricevuto: “È arrivato Thatcher, vieni a sostenermi moralmente?”

Meredith si era fatta coraggio e aveva chiamato il padre per discutere sul da farsi per il funerale di Alexandra. Raggiunsi l’ascensore e andai al piano in cui si trovavano padre e figlia, sperando che mia moglie non avesse un crollo emotivo nel frattempo.
«Ancora non riesco a credere che sia morta…» la voce di Thatcher era ridotta un sussurro, ma la sentivo perfettamente nel silenzio in cui era piombato l’ospedale.
«So come ti senti, vorrei fare qualcosa per lei. Anche solo organizzare il funerale.» Sapevo che Meredith aveva qualcosa in mente per ricordare la sorella, ma non credevo che volesse organizzarle il funerale.
«Va tutto bene?» domandai presentandomi vicino alle poltrone della sala d’aspetto.
«Sì. Abbiamo deciso che faremo qualcosa in onore di Lexie.» mi confermò mia moglie. Il tono della sua voce non era il solito, si vedeva che stava malissimo. Da quando Cristina le aveva detto che sua sorella era morta, la notte passava la maggior parte del tempo a piangere.
«So che era molto affezionata a sua madre: potremmo chiedere se potrà essere sepolta vicino a lei.» mi azzardai a dire. Susan, la seconda moglie di Thatcher, era morta nel nostro ospedale e il minimo che potevamo fare per lui era questo. Lo vidi alzare lo sguardo e guardarmi con gli occhi velati di lacrime. Annuì, assolutamente d’accordo con me: dovevamo solo stabilire il giorno del funerale.
«Voglio parlare io con chi compirà la funzione: era mia sorella e le volevo un gran bene. Farò in modo che tutto sia perfetto.» Anche gli occhi di Meredith erano gonfi di lacrime che incombevano minacciose. Suo padre farfugliò qualche parola di assenso, poi la abbracciò, sentendo necessario il sostegno da parte di una delle figlie.
«Molly sta per arrivare all’aeroporto, devo andare a prenderla.» e dicendo questo, se ne andò, lasciando la sua primogenita a trattenere le lacrime.
«Vado a chiamare il reverendo per la funzione. Ci vediamo dopo.» Mi lasciò solo in quella enorme sala d’aspetto del Seattle Grace Mercy West, ma sapevo bene che aveva bisogno di sfogarsi anche lei. Erano passati solo tre giorni da quando eravamo tornati, a casa dopo che i soccorsi ci trovarono in mezzo al bosco. La salma di Lexie era gelosamente custodita nell’obitorio dell’ospedale, in attesa che le persone a lei care le organizzassero una cerimonia di addio.

Ricominciai a camminare per i corridoi dell’ospedale e nuovamente mi trovai di fronte la finestra della stanza degli strutturati. Questa volta c’erano dentro solo Meredith e Alex, la prima al telefono e il secondo sul divano che si teneva la testa fra le mani. Karev si sentiva colpevole per quello che era accaduto ad Arizona: se solo non l’avesse fatta arrabbiare, ora in quelle condizioni ci sarebbe lui, evitando così alla dottoressa Robbins il trauma dell’amputazione di una gamba.
Entrai nella stanza e presi posto accanto a Meredith, leggendo gli appunti che prendeva riguardo il costo della bara e dei fiori per Lexie. Mia moglie terminò la chiamata ed emise un sospiro stanco: non avrebbe mai pensato di dover organizzare tutto questo per sua sorella. Le cinsi le spalle con un braccio, dandole la possibilità di appoggiarsi a me e sfogarsi ancora un po’. Miranda fece il suo ingresso aggiornandoci sul quadro clinico di Mark: avevano finito di operarlo e lo stavano trasportando in una stanza di terapia intensiva post operatoria. Alex si alzò e uscì dalla stanza senza dire una parola, silenzioso come non era stato mai.
«Cosa gli prende?» domandò la Bailey non appena fu sicura che Karev non potesse sentirla.
«Si sente in colpa per Arizona. Credo rimanderà di qualche settimana il lavoro all’Hopkins.» dissi guardando la mia mano fasciata. Per quanto tempo avrei dovuto stare così? Mi sentivo impotente, non potevo fare nulla se non aspettare che guarisse. Avrei voluto andare da Callie e ordinarle di togliere le bendature e darmi il consenso per operare, ma sapevo meglio di lei che era impossibile.
«Come poterlo biasimare? Inoltre, Lexie era stata la sua fidanzata, sarà giù di morale anche per questo motivo.»
«Dite che Mark potrà partecipare al funerale?» la domanda che ci rivolse Meredith ci diede molto da pensare. Sarebbe stato sveglio per allora? Avrebbe partecipato o i nostri colleghi volevano evitare di peggiorare la situazione? Mille quesiti si formarono nella nostra mente, tutti senza risposta.
«Prova a chiedere a Richard o a Owen. Sicuramente, troveranno il modo per far sì che ci sia anche lui.» La dottoressa Bailey aveva ragione: dovevamo provare di tutto.

Alla fine di quella che fu una giornata estenuante, Mer si mise al volante della nostra auto con Zola seduta dietro che dormiva nel suo seggiolino. Non sapevo cosa dire, non avevo mai perso una sorella, non potevo capire come ci si sentiva. Arrivammo a casa di suo padre, sicuri di doverlo informare su ciò che stava organizzando per Alexandra. Thatcher ci aprì la porta e notammo subito il suo sguardo triste, il volto segnato dalle lacrime e gli occhi rossi. Ci fece segno di entrare, così che anche Molly potesse sentire cosa aveva deciso la sorellastra per il funerale.
«Ho bisogno del suo vestito preferito, in modo che possano vestirla prima della sepoltura. Ho parlato con il custode del cimitero e mi ha assicurato che potrà stare accanto a Susan e sta già preparando il necessario.» Thatcher aveva gli occhi lucidi, come se fosse in procinto di piangere nuovamente; Molly era in silenzio che stropicciava un fazzoletto tra le mani.
«È un’ottima cosa quella che stai facendo, Meredith. I fiori?» domandò il padre appena riuscì a formulare una frase senza interrompersi più volte.
«Ho ordinato una dozzina di rose bianche. Per il risarcimento della compagnia, invece, dovremo aspettare. Ancora oggi non avevamo notizie. La sua parte spetta a te.» Ci ringraziò e tornammo nuovamente a casa, stanchi degli avvenimenti accaduti durante la giornata.

I giorni in ospedale passavano lenti, Mark a volte stava bene e altre no; Arizona non parlava a Callie per via dell’amputazione; Cristina non era proprio convinta voler di partire, soprattutto di voler prendere l’aereo.
Meredith non faceva che passare le ore al telefono, con uno sguardo che metteva tristezza anche al più allegro dei bambini. Io passavo la maggior parte del tempo all’asilo con Zola e, quando finivo la riabilitazione alla mano, stavo con Mark, pregando che almeno lui vivesse.

Il mio migliore amico stava dormendo, i farmaci gli facevano venire sonno. In quel momento entrò Meredith nella stanza e mi si avvicinò, guardando Mark con aria sconsolata.
«Dopo domani faremo il funerale.» mi annunciò a voce bassa. Mi voltai a guardarla, il suo viso guardava ovunque ma non i presenti.
«Sei sicura di volerlo dire a Mark?» le domandai non del tutto convinto: aveva appena perso l’amore della sua vita, vederla in una bara con dei fiori sopra non sarebbe stato proprio il massimo, ma lei annuì, sicura che quello era un modo per dirle addio.
«Vado ad avvisare gli altri. Quando finisco il giro andiamo a casa?» mi chiese. Le dissi di sì, e tornai a sperare che l’uomo che mi era sempre stato accanto si svegliasse e stesse bene.

Come predetto da mia moglie, Mark volle partecipare a tutti i costi al funerale di Lexie. Lo portammo con una sedia a rotelle in modo da non farlo stancare. Thatcher era in mezzo a Meredith e a Molly che fissava la bara chiusa davanti a lui. Tutti i colleghi di Lexie erano lì, chi in silenzio, chi in lacrime, chi cercava di trattenere i singhiozzi. Alex e Jackson erano quelli più silenziosi di tutti: entrambi erano stati fidanzati con Alexandra, non potevano ancora credere a ciò che stavano vivendo. Molto probabilmente, Alex pensava al suo amico e compagno di corso O’Malley, della morte brutale che aveva subito, tanto dolorosa come quella di mia cognata.
«Non l’ho salvata. Non le ho detto prima che l’amavo.» Mark continuava a darsi la colpa di ciò che le era successo, ma non era per causa sua che l’aereo si era spezzato in due, non poteva immaginare che Lexie finisse sotto la coda. Tutti avevamo tentato di rassicurarlo senza successo, era un vero testardo e non mi avrebbe dato ascolto neanche in quel momento.
«Non dire così, Mark. Se avessimo avuto una sfera di cristallo, non avremmo preso quell’aereo.» Rimase in silenzio; Webber e Miranda con gli occhi lucidi guardavano la scena da lontano. Faceva particolarmente freddo, il vento penetrava attraverso i cappotti. Il pastore finì l’omelia, dando l’opportunità ai becchini di far scendere la bara di Lexie nella fossa. Come era tradizione, a turno dovevamo buttare una manciata di terra. Ognuno di noi si aspettava che fossero il padre o le sorelle a farlo per primi, ma con grande sorpresa di tutti, Mark si alzò in piedi e, lentamente, si avvicinò al cumulo di terra e ne prese una manciata; si voltò verso la fossa, dove la bara era già stata calata e, con la voce rotta dal pianto, disse queste parole: «Addio, Lexie. Spero di incontrarti molto presto. Ti amerò per sempre.» Gettò la terra e si allontanò, da solo, con il suo dolore.

Una volta finita la cerimonia tornammo immediatamente a casa: Meredith si rannicchiò sul divano con una tazza fumante di caffè in mano e non parlò per il resto della serata. Avrei voluto fare di più, ma non sapevo da che parte cominciare, non potevo dirle “So cosa si prova…” perché non era vero. Misi a letto nostra figlia e una volta tornato in cucina, notai che mancavano pochi giorni al momento in cui i nuovi specializzandi sarebbero arrivati al SGMW. Avevamo tutti la testa altrove, sicuramente nessuno ci aveva pensato. Mi sedetti al suo fianco e stesi una coperta sulle nostre gambe e sperai che mi dicesse qualcosa.

«Avevo appena trovato una sorella e l’ho persa. Lexie non c’è più e io sono di nuovo sola…» Calde lacrime rigarono il suo volto, lasciando una scia invisibile sulle sue guance. La strinsi a me, facendola piangere sulla mia spalla. Non mi importava se mi avesse inzuppato la camicia, sua sorella era morta e lei si sentiva sola.
«Hai organizzato tutto alla perfezione. Sono più che certo che ne sarebbe fiera.» mormorai e le diedi un bacio sulla tempia prima di portarla a letto, promettendo a me stesso che avrei fatto qualsiasi cosa con qualsiasi mezzo in mio possesso per farla sorridere di nuovo.
 



POV MEREDITH
 
Mancava mezz’ora alle cinque. Derek non faceva che ricordarlo a tutti da quando era entrato in ospedale. Oggi alle cinque in punto, avrebbero spento le macchine che tengono in vita Mark. Queste erano le sue volontà, aveva già vissuto trenta giorni da vegetale, non voleva vivere un giorno di più. Avevo appena finito di operare e mi stavo togliendo il camice per andare da mio marito, supportarlo in questo momento così delicato. Arrivai davanti la stanza di Mark e mi sedetti sulle poltroncine vicino al bancone delle infermiere. Lui era già dentro, seduto di fianco al letto del suo migliore amico. Vederli così mi faceva stare male, non avevo il coraggio di entrare e tenergli la mano. Di fianco a me c’era Miranda, anche lei triste perché stava per dire addio a un collega.

Continuavamo a fissare l’orologio sulla parete, i minuti passavano lenti, sembravano interminabili. Mark era stato un punto di riferimenti importante nella vita di Derek. Potevano considerarsi fratelli dal bene che si volevano. Avevano avuto anche loro discussioni, litigi e tanto altro, ma come erano stati uniti nell’ultimo periodo, non lo era mai stato nessuno.
Mancavano due minuti alle cinque. Io ero lì, ferma, convinta di poter restare fino alla fine. Ma era troppo presto per me dire addio a qualcuno a cui avevo voluto bene, non mi sentivo pronta. Mi alzai e dissi di riferire a Derek che ci avevo provato. Mi allontanai in fretta, non riuscivo a rimanere davanti quella stanza un minuto di più. Dovevo pensare ad altro, ma i miei unici pensieri erano Mark, che stava per morire, e mia sorella Lexie, ormai morta da oltre un mese. Per mia fortuna, un mio paziente aveva bisogno di me, così riuscii a pensare ad altro.

Stavo mettendo in macchina Zola quando mi arrivò un sms di mio marito: Mark era morto. Mi appoggiai alla portiera e cercai in tutti i modi di evitare di piangere. Alzai lo sguardo, evitando di far scorrere le calde lacrime sul mio viso. Proprio guardando il cielo, mi venne in mente che dovevo chiamare una persona.
«Zola, rimani lì. La mamma deve fare una telefonata.» dissi a mia figlia mentre le abbassavo un po’ il finestrino e chiudevo la portiera. Presi il cellulare dalla tasca della giacca e cercai il numero di Addison nella rubrica. Non avevamo mai avuto un buon rapporto, ma lei e Mark erano stati sia amici che amanti; mi sembrava doveroso avvertirla.
Premetti il tasto di chiamata e attesi che mi rispondesse, pensando a quali parole erano quelle più adatte per dire a una donna che il suo migliore amico era appena morto. La voce di Addison risuonò nel telefono dopo il terzo squillo. Era sorpresa di sentirmi.

«Meredith?»
«Ciao, Addison.» Dovevo farmi coraggio e dirle che doveva tornare a Seattle, possibilmente con un abito nero. Feci un respiro profondo e continuai a parlare. «So che sono l’ultima persona che vorresti sentire, ma ho una notizia da darti.»
Le brutte notizie sempre per telefono. Chissà perché poi. Noi le davamo di persona, ma noi eravamo medici. Mi allontanai un attimo dalla macchina e le diedi la triste notizia: «Addison, Mark è morto.»

Silenzio. Non sentivo neanche il respiro della dottoressa Montgomery. Improvvisamente sentii farfugliare delle parole che non riuscivo a capire, poi prese fiato e con la voce rotta dal pianto, parlò di nuovo.
«Quando?» Le raccontai brevemente del foglio che aveva firmato, che erano passati i trenta giorni e, alle cinque, per sua volontà, dovevamo staccargli la spina. Mentre le spiegavo ogni cosa, mi trovai davanti Alex, pronto per andare a lavorare all’Hopkins.
«Mi avvertirai quando ci sarà il funerale? Voglio essere presente.» Proprio in quel momento, Alex mi informò che il funerale sarebbe stato tre giorni dopo, giusto il tempo di preparare ogni cosa. Gli mimai un “Grazie” con la bocca e lo riferii subito ad Addison.
«È tra tre giorni. Karev mi ha appena informato.»
«È stato molto gentile da parte tua avvisarmi. Parlerò con Naomi e le chiederò alcuni giorni di permesso.»
«Ho solo fatto quello che ritenevo giusto. Ci vediamo.» Chiusi la telefonata e tornai in macchina da mia figlia, pronta a tornare a casa per consolare mio marito. Come immaginavo, Derek arrivò a casa con una faccia distrutta, poca voglia di parlare e gli occhi rossi e gonfi dal pianto. Cercò di sorridere finché Zola era sveglia, ma appena la misi a dormire, iniziò a dire frasi sconnesse e a piangere.

La sua disperazione era tanto grande da cominciare a chiedere perché Mark fosse morto, del perché fossimo su quell’aereo. Mi sedetti al suo fianco, un moto di nausea mi fece storcere il naso. Aveva appena perso un amico, il suo migliore amico, il suo testimone di nozze.
«Ho chiamato Addison: chiederà un permesso a Naomi per essere al funerale.» lo informai. Il suo sguardo era fisso sul tavolino davanti al divano, il bicchiere di vino quasi vuoto.
«Grazie. Io non sarei riuscito a farlo.» Mi sembrava sul punto che stesse per piangere di nuovo, così presi i fazzoletti e glieli misi in grembo. Come avrebbe fatto senza di lui? Nonostante Derek non volesse ammetterlo, Mark era una parte fondamentale nella sua vita. Quante volte gli aveva suggerito di non provarci con tutte le infermiere dell’ospedale e cercare l’amore della sua vita? Seppur tardi, l’aveva trovato in Lexie. Eravamo diventati una sorta di parenti.

«Derek, sai che Mark non vorrebbe vederti in queste condizioni. Prova a reagire!» Il silenzio in quel salotto era diventato quasi insopportabile, ma fu in quel momento che lui alzò lo sguardo su di me e poggiò la testa sulla mia spalla, sospirando tristemente.
«È morto da meno di ventiquattro ore e già mi mancano le sue battutine. Vorrei tornare indietro nel tempo e non prendere quell’aereo.» Sapevo che anche per lui era stata un’enorme sofferenza: era da pochi giorni che aveva il permesso di operare nuovamente e il solo ricordo di ciò che era accaduto lo faceva stare male.

«Ricordi cosa mi dicevi dopo la morte di Lexie? Che dovevo essere forte, non era colpa mia se mia sorella era morta e che non avrebbe mai voluto vedermi con gli occhi gonfi di lacrime.» Questo mio promemoria lo fece ridestare e decise di provare a non darsi la colpa. Rimanemmo sul divano a ricordare Mark nei momenti più esilaranti, le lezioni di vita che dispensava agli altri ma non riusciva mai ad applicare a sé stesso.
«Per quanto tempo ci ha provato con Lexie?» mi chiese all’improvviso. Dovetti pensarci un po’ prima di poter rispondere, ma ricordai che alla fine era stata mia sorella a presentarsi a casa sua.
«Non ricordo con precisione, ma la cosa più buffa è stata quando Lexie si era tinta i capelli e Mark credeva fosse una nuova in ospedale.» Ci mettemmo a ridere forte, ricordando solo dopo che nostra figlia dormiva nella stanza accanto. Quando Derek ed io eravamo separati, tanti dei nostri colleghi erano qui ad aiutarlo con la costruzione della casa. Ovviamente c’era anche Mark, ma lui aveva la piccola Sofia in braccio e faceva più il padre che l’operaio in quel frangente.

«Sofia non conoscerà mai suo padre.» dissi di punto in bianco. Quella cosa mi rattristava molto, ma dovevo essere forte per Derek. Lui annuì, i pensieri altrove.
«Sono più che certo che Callie e Arizona le racconteranno del padre fantastico che era.» Non mi sarei aspettata una frase del genere da mio marito in questo momento, ma aveva pienamente ragione. Dopo aver chiacchierato un’altra mezz’ora andammo a dormire. I nuovi specializzandi erano così stupidi che risucchiavano tutta la nostra energia.

I due giorni antecedenti il funerale passarono senza grandi novità, se non quello dell’arrivo in città di Addison. Riuscimmo addirittura a rintracciare la figlia maggiore di Mark, Sloan Riley, e quando le dicemmo che il padre era morto, si precipitò a Seattle per partecipare all’addio che tutto l’ospedale gli aveva riserbato.
La mattina del funerale ci ritrovammo tutti in ospedale, in modo che tutti noi potessimo dare le indicazioni necessarie alle infermiere di turno e agli specializzandi. Quando arrivammo al cimitero dove ci aspettava il pastore e la salma di Mark, trovammo anche Alex. Non riuscivo a capire esattamente in che parte del cimitero eravamo, in quel momento stavo studiando le espressioni di Derek. Alex era al mio fianco, ascoltava le parole del pastore e di tanto in tanto si raddrizzava con la schiena.
«Credevo fossi all’Hopkins.» gli dissi in modo che soltanto lui potesse sentirmi. Senza girare la testa nella mia direzione mi rispose, gli occhi sempre fissi sulla bara in mogano di Mark: «Non ce l’ho fatta a partire. Il nuovo strutturato del reparto neonatale non mi convince affatto, voglio assicurarmi che tutto proceda per il meglio intanto che Arizona non c’è.»

Dopo quello che mi parve un’eternità, calarono la bara nella fossa scavata antecedentemente: Callie e Derek si avvicinarono contemporaneamente al cumulo di terra e ne presero entrambi una manciata. La dottoressa Torres era completamente in lacrime, singhiozzava così forte da sembrare avesse degli spasmi; Derek, dal canto suo, cercava di non dare a vedere ai presenti che stava male anche lui.
«Saresti stato un ottimo padre per Sofia. Mi mancherai, Mark.» Queste furono le parole di Calliope mentre gettava la manciata di terra sul legno lucido sotto di lei. Si allontanò per fare posto a mio marito, che subito strinse gli occhi impedendosi di scoppiare a piangere.
«Sei stato un amico, un fratello, un collega e un testimone di nozze. Ora puoi stare con l’amore della tua vita. Ti penserò sempre. Ciao, Mark. Ti ho voluto bene.» Fui costretta ad allontanarmi: gli occhi erano colmi di lacrime che stavano già rigando le mie guance. In pochi anni avevo sotterrato George, mia sorella e il suo amore più grande. Le ceneri di mia madre le avevo sparse nei lavandini dell’ospedale, posto in cui lei adorava stare. Una volta che i becchini finirono di coprire con la terra il corpo senza vita di Mark, tutti pian piano si allontanarono. Derek venne al mio fianco e mi abbracciò, consapevole che in quel momento stavo pensando anche a Lexie.

«Vieni, c’è una persona che devi salutare.» Non capivo di chi stesse parlando ma decisi ugualmente di seguirlo. Ripercorremmo i nostri passi fino alla lapide in marmo in cui era inciso il nome di Mark Sloan insieme all’anno di nascita e di morte. Ai piedi di un albero erano poggiati due mazzi di fiori. Derek li prese entrambi e me ne porse uno. Continuavo a non capire cosa stesse facendo, finché non mi indicò con un gesto della mano la lapide vicina: era quella di Lexie.

«Così saranno sempre vicini…» Ricominciai a piangere, non riuscivo più a tenermi tanto dolore dentro. Mi avvicinai alla lapide di Lexie e posai i fiori lì davanti, in bella vista; Derek fece lo stesso e subito dopo mi prese la mano.
Eravamo davanti alle tombe dei nostri familiari, a fissare le scritte incise nel granito. Era oltre un mese che Lexie era morta e adesso Mark l’aveva raggiunta, potevano stare insieme per sempre. Ora, sulla tomba di entrambi, due dozzine di rose bianche facevano capolino sul prato verde, facendo risplendere ancor di più il loro amore.
   
 
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