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Autore: LaniePaciock    08/11/2014    3 recensioni
Torniamo indietro nel tempo e spostiamoci di luogo: 1943, Berlino, Germania. Una storia diversa, ma forse simile ad altre. Un giovane colonnello, una ragazza in cerca della madre, un leale maggiore, una moglie combattiva, una cameriera silenziosa, una famiglia in fuga e un tipografo coraggioso. Cosa fa incrociare la vita di tutte queste persone? La Seconda Guerra Mondiale. E la voglia di ricominciare a vivere.
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Cap.25 L’interrogatorio
 

Abbassò appena il capo e la baciò, con in sottofondo un coro di bassi commenti eccitati di cui neanche si accorsero. L’unica cosa che li fece staccare e voltare fu una voce un po’ rauca e lenta che non avrebbero pensato di risentire così presto.
“Chi è che si sposa?”
“Semir!!” esclamò Castle sorpreso, sorridendo felice. Si avvicinò subito all’adolescente insieme a Kate, mentre gli altri gli si affollavano intorno anche loro visibilmente colpiti dalla rapida ripresa del ragazzo.
“Restate un po’ indietro!” ordinò subito Lanie. “Lasciatelo respirare.”
“Come stai, ragazzino?” gli chiese Ryan con un sorriso sollevato. Semir fece una smorfia e si guardò intorno, spaesato.
“Dove sono?” domandò piano. “Mi fa male la testa…” borbottò poi, portandosi una mano alla fronte. Il colonnello fu felice di constatare che poteva di nuovo parlare, invece che biascicare parole come quando lo avevano raccolto davanti a casa sua. Evidentemente la mascella gli si era solo lussata o qualcosa di simile e Lanie doveva avergliela messa a posto.
“A casa di Kevin.” rispose Rick. “Sei arrivato alla mia porta, ma qui avresti trovato migliori cure.” Semir lo osservò stranito.
“Alla tua porta?” domandò ancora. “Perché sono tornato da te? Ti avevo già portato i documenti, giusto?” Il colonnello annuì piano, aggrottando le sopracciglia mentre un dubbio iniziava a farsi strada nella sua mente. Il ragazzo lo guardò perplesso, quindi alzò appena la testa per lanciare un’occhiata al suo corpo. “Che mi è successo??” chiese poi con tono un po’ stridulo, gli occhi spalancati. “Perché ho queste bende?” Gli altri si lanciarono sguardi preoccupati.
“Non ti ricordi niente?” chiese cauto Castle. Semir sbatté un paio di volte le palpebre e aggrottò le sopracciglia confuso.
“Cosa dovrei ricordare?” replicò alla fine. Ci fu un momento di silenzio.
“Forse è meglio così…” mormorò Jenny.
“Meglio così, cosa?” domandò allora Semir nervoso, iniziando ad agitarsi. “Che mi è successo??”
“Sem, tranquillo.” cercò di calmarlo Kevin posandogli una mano sulla spalla, ma l’effetto fu opposto.
“No, non sto tranquillo!” esclamò seccato e con una nota impaurita nella voce. “Che cosa mi è successo?
“Ti hanno torturato.” dichiarò alla fine Rick in tono piatto, anticipando gli altri. Tutti si zittirono. Ryan ed Esposito lo guardarono male, le donne lo osservarono semplicemente stupite. Castle ignorò tutti e tenne lo sguardo fisso su quello incredulo di Semir. Prima o poi avrebbero dovuto dirglielo lo stesso, o forse lo avrebbe capito da solo, in ogni caso era inutile nasconderglielo. Avrebbe scoperto la fonte delle sue cicatrici, ma forse, se fosse stato abbastanza fortunato, il ricordo del dolore non sarebbe mai riapparso.
A quelle parole il ragazzo era sbiancato e si era immobilizzato, la bocca semiaperta e il respiro corto. I suoi occhi, confusi e terrorizzati insieme, lo fissavano come se sperasse che a un certo punto gli dicesse che era tutto uno scherzo e che quello che aveva addosso era solo una tintura per rendere più reale il gioco. In cuor suo però sapeva che Castle stava dicendo la verità.
“Tor…” cercò di dire, ma la voce gli mancò. Rick annuì gravemente e Semir lasciò andare all’indietro il capo sul tavolo, lo sguardo fisso al soffitto. Era incredulo e spaventato. “Ma… come… perché?…” Castle lasciò la mano di Kate, che aveva tenuto stretta nella sua fino a quel momento, e si avvicinò di più all’adolescente. Kevin cercò di fermarlo stringendogli un braccio, ma il colonnello gli lanciò un’occhiata che intendeva dire ‘Fammi provare’. Ryan sapeva cosa voleva fare e non voleva far rivivere a Semir quelle ore terribili. Però sapeva che non c’era altro modo. Riluttante, alla fine il maggiore lo lasciò andare.
“Sem.” lo chiamò Rick piano. Il ragazzo sembrò non dar segni di aver sentito. Teneva ancora gli occhi incollati al soffitto, lo sguardo leggermente appannato, perso in chissà quali cupi pensieri. “Sem, so che è difficile, ma devi farmi questo favore… Devi sforzarti di ricordare.” Ci fu un mormorio di protesta generale, ma bastò un cenno di Castle e un’occhiata di Ryan a farlo tacere. Semir si voltò a guardarlo ancora più terrorizzato. “Non ti sto chiedendo di ricordare cosa ti hanno fatto.” cercò di tranquillizzarlo Rick. “Solo quello che è accaduto prima. Non riusciamo a rintracciare Montgomery e tu…”
“Montgomery…” sussurrò all’improvviso il ragazzo, aggrottando le sopracciglia, mentre il suo sguardo si spostava come alla ricerca di un ricordo importante. 
“Esatto Semir!” esclamò Castle con un piccolo sorriso incoraggiante. “Ricordi quando è stata l’ultima volta che lo hai visto?” L’adolescente rimase per un attimo in silenzio quindi scosse la testa in segno negativo.
“Io non… non ne sono certo…” disse piano, con la voce appena incrinata. Sapeva che c’era in gioco la vita di quello che per mesi era stato il suo tutore e il non riuscire a ricordare una cosa così normale, lui che aveva sempre avuto ottima memoria, doveva essere sconvolgente. Rick però non si perse d’animo e cercò di fare altrettanto con il ragazzo.
“Ok, tranquillo, andiamo per gradi.” disse cercando di calmare sé stesso e Semir. “Vuoi aiutarmi a trovare Roy?” aggiunse poi. Era una domanda scontata, sapeva che il ragazzo gli voleva bene, ma era ovvio che aveva paura. Non voleva forzarlo, sapeva che sarebbe stato peggio. L’adolescente rimase incerto per un secondo, spaventato evidentemente da quello che poteva riservargli la sua memoria, ma poi annuì. “Ok, allora partiamo da qualcosa di semplice, un poco più indietro nel tempo.” continuò Rick. “Ricordi quando sei venuto a portarmi i documenti? Ti ho regalato….”
“Lo zaino!” lo interruppe Semir, rammentando il particolare. Il colonnello annuì.
“Bene, ora pensa a cosa hai fatto dopo.” Il ragazzo si prese qualche secondo prima di rispondere.
“Sono tornato alla cantina.” disse alla fine, le sopracciglia aggrottate mentre ripensava a quei momenti. “Da Roy. Mi ha chiesto cosa avevi detto dei documenti e da dove saltasse fuori lo zaino. Poi io ho… ho messo a posto le provviste che mi avevate dato. E i soldi. Ho sistemato anche quelli. Dopo abbiamo… uhm… ah, ecco, sì, abbiamo fatto una partita a scacchi! Quindi abbiamo pranzato e dopo Montgomery è andato a dormire, perché la notte prima non ci era riuscito molto. Poi….” A quel punto Semir si fermò, incerto. “Io non… non ricordo…”
“Sforzati.” replicò Castle dolcemente, cercando di nascondere il tono urgente della voce. Avrebbe potuto peggiorare la situazione. “Prenditi il tempo che ti serve. Ripensa alle azioni che hai fatto, anche stupide, e…”
“Carta!” esclamò il ragazzo a un certo punto, interrompendolo. “Avevamo finito la carta per stampare!” continuò con tono sovraeccitato, come se il ricordare fosse lo scopo primario della sua vita e lo stesse portando a termine. “La prendo sempre da un tizio che accetta di vendermela solo quando è chiuso, per non avere problemi con le SS. Era primo novembre ed ero sicuro fosse chiuso, così sono uscito per andare da lui e…” Si bloccò, sbiancando.
“E ti hanno preso.” concluse per lui Rick in tono tetro.
“Sì…” sussurrò Semir.
“Ti ricordi che aspetto avevano?” chiese Castle, ma il ragazzo non lo udì.
“Non li ho sentiti… di solito li sento sempre arrivare…” balbettò l’adolescente quasi senza accorgersene con tono demoralizzato. “Io noto tutto, noto sempre chi mi guarda! Ma non li ho visti…”
“Sem?” provò ancora il colonnello, posandogli una mano sulla spalla e stringendo appena la presa. Lui lo guardò con aria leggermente vacua. “Non è colpa tua. E’ evidente che sono professionisti perché so quanto sei attento.” Il ragazzo annuì piano, anche se non troppo rassicurato. “Sem, ho bisogno che ti concentri ora. Ti ricordi qualcosa di chi ti ha prelevato? Quanti erano o come erano fatti? Un accento particolare magari?”
“Erano due credo…” rispose alla fine dopo qualche secondo di silenzio. “No, aspetta! Tre. Erano tre. Due mi hanno infilato un sacco in testa e legato le mani dietro la schiena. Poi mi hanno ficcato in un’auto dove c’era sicuramente un terzo che guidava perché gli ha detto di muoversi…”
“Li hai visti in faccia?” domandò ancora Rick, pressante. Semir scosse la testa.
“Ho visto a malapena i loro piedi… Indossavano abiti civili però, non da soldati o altro.” replicò. “Loro mi hanno… mi hanno portato in una specie di prigione, credo. In realtà ho visto una sola cella, quella in cui ero rinchiuso. Ricordo… ricordo che era buia e puzzava. Nessuna finestra, solo una lampadina. Mi ci hanno sbattuto dentro e dopo… non so, forse un’ora, è entrato un uomo. E lui…” Si bloccò senza fiato. Castle poteva quasi vedere i ricordi di quei terribili momenti sfilare davanti agli occhi sgranati del ragazzo.
“Non c’è bisogno che ricordi cosa sia successo.” cercò di dire il colonnello per distrarlo dai suoi pensieri. “Riesci a descrivermi l’uomo? Altro, basso, magro, biondo? Semir?” Ma era già troppo tardi. Lo aveva perso.
In quel momento Semir abbassò lentamente lo sguardo sul suo petto, verso il grosso cerotto bianco che aveva attaccato addosso. Senza spiccare parola, alzò una mano e se lo staccò bruscamente dalla pelle. Fu in quell’attimo che Rick vide ciò di cui gli aveva parlato Kate: la parola LÜGNER, bugiardo, era scritta in grandi lettere maiuscole color sangue sul suo petto. Con la coda dell’occhio, notò Esposito consegnare velocemente Leandro alla Gates. Lui non ci aveva pensato, ma Javi aveva fatto bene. Semir stava ricordando e molto probabilmente avrebbe raccontato ciò che aveva subito. Non era il caso di spaventare ulteriormente il bambino. Avrebbe voluto che fosse così semplice anche con l’adolescente steso davanti a lui.
Semir osservò per un momento quello sfregio, come ipnotizzato. Pareva aver perso la capacità di respirare e muoversi. Quindi lasciò andare la testa all’indietro e si riappoggiò stancamente alla coperta che gli faceva da cuscino, come se all’improvviso gli fossero mancate tutte le forze. Ci fu qualche istante di silenzio in cui nessuno si azzardò a parlare. Poi fu Semir stesso che ruppe quella quiete pesante.
Klein, Fuchs” mormorò piano, atono. “Prendetelo e portatelo qui.” continuò, senza rivolgersi a nessuno in particolare. Tutti lo guardarono confusi. “Deve capire qual è la punizione per i bambini che dicono bugie…” Castle ci mise qualche secondo prima di capire che Semir stava ricordando, con una lucidità terribile che fino a quel momento era stato fortunato a non avere, le esatte parole del suo carnefice. Nonostante il moto di orrore, per il colonnello fu una conferma in più della colpevolezza di Stasch Hahn: Burk Klein e Gorg Fuchs erano infatti i due tirapiedi che l’uomo si portava sempre dietro e che si diceva lo aiutassero anche nel suo ‘lavoro’. “Bugiardo…” sussurrò ancora Semir in tono amaro, lo sguardo fisso al soffitto, stavolta però con una luce rabbiosa negli occhi e i pugni serrati.
“Sem,” lo chiamò cauto Castle. “Cosa ti hanno chiesto?” Poté quasi vedere la paura che fino a qualche minuto prima attanagliava il ragazzo, trasformarsi completamente in rabbia. Il petto gli si abbassava e alzava velocemente, seguendo il ritmo del suo respiro, mentre la mascella gli si contraeva. Il sangue delle lettere scintillò leggermente alla luce del sole che proveniva dalle finestre.
“Chi sono.” sibilò qualche secondo dopo, rispondendo alla domanda di Rick. “Da dove vengo. Dove andavo. Dove abito. Per chi lavoro. Chi mi mantiene. Perché ero andato a casa del Colonnello Castle. Sempre le stesse domande…” continuò poi con una smorfia di rabbia e dolore.
“Cosa gli hai risposto?” chiese allora il colonnello, serio, le braccia incrociate davanti al petto. Semir aprì la bocca per rispondere, ma poi si bloccò, incerto. “Nessuno ti giudicherà.” lo rassicurò Castle in tono più dolce. “Con tutto quello che hai passato, mi stupisco che tu sia resistito tanto.”
“Gli ho…” iniziò il ragazzo a disagio, prima di prendere un respiro profondo. Quel semplice gesto però gli fece stringere gli occhi per il dolore. “Gli ho parlato di Montgomery.” disse alla fine in tono colpevole, tornando a guardare malinconicamente il soffitto. “All’inizio sono riuscito a tacere. Mi inventavo le cose, parlavo a sproposito… Sai, il mio solito.” aggiunse poi con un mezzo sorriso triste. “Ma poi… ho dovuto…”
“Non è colpa tua.” lo interruppe Ryan.
“Invece sì!” replicò stavolta Semir con rabbia, gli occhi lucidi. “Avrei dovuto accorgermi che ero seguito! Avrei dovuto resistere! E invece… invece…” La voce gli si indebolì fino a spegnersi in un breve singhiozzo, mentre due piccole lacrime gli scivolarono lungo il viso, andando a perdersi sotto le orecchie e tra i capelli.
“Semir, ascoltami.” disse Rick piano, posando di nuovo la mano sulla sua spalla. Il ragazzo girò la testa dall’altra parte perché non vedesse la sua debolezza, perché non lo vedesse piangere. “Sem.” lo richiamò dolcemente. Alla fine Semir tornò a voltarsi verso di lui, gli occhi ancora umidi. “Hai resistito due giorni nelle loro mani. Hai avuto un coraggio e una volontà enormi per non cedere già all’inizio. Non molti uomini potrebbero dire lo stesso, sai?” L’adolescente lo osservò a disagio, come se stesse parlando di un eroe e lui non si sentisse all’altezza del titolo. “Se qualcuno deve avere la colpa di tutto questo, allora me la prendo io.” Una serie di proteste iniziarono a levarsi dagli altri, ma Rick non lasciò il tempo a nessuno di parlare. “E’ stata mia l’idea di ingaggiare Roy come falsario. Mia l’idea di tenere nascoste persone creando una serie di bugie per giustificare la loro presenza. Sono io quello che Dreixk cerca di affondare e sono io l’informatore di Jones. Tutto questo è nato per colpa mia.” ammise Castle, abbassando per un momento lo sguardo. “Non avrei mai voluto che qualcuno si facesse male. Abbiamo rischiato tutti, e molto, ma ho sempre cercato di tenere al minimo i pericoli. Ero il bersaglio perfetto e voi eravate ben nascosti, non avevo mai pensato che qualcuno potesse scoprirvi. Ed è stata una mia disattenzione, un mio errore, e ora voglio porvi rimedio. Prima però, mi spiace chiedertelo,” continuò rivolto a Semir. “Ma devo sapere tutto quello che ti ricordi del luogo in cui eri e tutto quello che hai detto. Di nuovo, non lo faccio per incolparti di qualcosa, assolutamente, ma, ora che tu sei al sicuro, se voglio almeno tentare di salvare Roy allora mi serve il tuo aiuto.” Il ragazzo rimase a fissarlo confuso per qualche secondo. Quindi annuì piano e tornò a guardare il soffitto, stavolta concentrandosi su quei dolorosi ricordi. A Castle faceva male fisicamente dover chiedere all’adolescente un simile sforzo, ma ne aveva bisogno.
“Non lo so dov’ero.” disse alla fine Semir, mentre riordinava i pensieri. “Come ti ho detto, ricordo solo che era una specie di cella buia e puzzolente. L’unica luce che c’era era quella di una lampadina del soffitto, che però accendevano solo quando entravano. Erano sempre in tre. Uno faceva le domande, gli altri due per lo più eseguivano i suoi ordini. Klein e Fuchs, li ha chiamati così una volta. L’unica cosa che mi ricordo di loro è che erano grossi, alti e biondi…”
“Non importa.” commentò Rick piano. “Ho un’idea di chi siano. Continua, cosa gli hai detto?” Semir si morse il labbro inferiore mentre si sforzava di ricordare.
“All’inizio un sacco di cavolate.” rispose il ragazzo. “Loro domandavano e io rispondevo con una storia che avevamo già inventato con Montgomery. Speravo che se fossi stato abbastanza convincente mi avrebbero lasciato andare, ma non fu così…” Si fermò un momento prima di continuare. “Dopo il primo giro di domande insoddisfacenti, mi lasciarono un po’ nella mia cella, al buio. Poi tornarono dopo qualche ora. Mi legarono a una sedie e mi fecero le stesse domande, ma stavolta… stavolta aggiunsero i pugni.” continuò, agitandosi leggermente sulle coperte. Fece una piccola smorfia di dolore e Castle non poté fare a meno di abbassare lo sguardo sulla serie di grossi lividi violacei presenti sul suo corpo. “All’inizio gli diedi le stesse risposte di prima, ma dopo un po’ iniziai a cambiare versione. Non gli dissi comunque la verità, solo… semplicemente cambiavo un po’ la storia. Ma non gli bastò neppure quello.” disse amaramente. “A un certo punto il tizio che mi faceva le domande si accese una sigaretta e poi… poi me la spense sulla schiena. Non avevo mai provato tanto dolore…” Irrigidì le spalle mentre ci pensava, il tono sempre più tetro e rassegnato. “Lo fece almeno un altro paio di volte e io… io non resistetti più. Cominciai a dirgli qualcosa di vero. Gli dissi il mio nome, che ero turco di origine e ammisi che lavoravo per uno stampatore, anche se non pronunciai il suo nome. Quella notte mi lasciarono così, bruciato e livido. Il mattino dopo, o almeno io credo fosse il mattino, mi legarono di nuovo alla sedia. Mi picchiarono ancora, sui lividi del giorno prima, e poi ricominciarono a spegnere le sigarette. Non ce la feci. Ero… ero distrutto. Rivelai il nome di Roy.” aggiunse in un sussurro colpevole e disperato. “Gli dissi chi era, dove stava e cosa faceva. Confessai tutto, anche… anche di conoscerti, Colonnello.” continuò, alzando timoroso lo sguardo su Rick. “E’ stato allora che hanno smesso di farmi domande e picchiarmi, ma… ma poi l’uomo che mi faceva le domande ha… ha preso un coltello e…” Non riuscì a continuare, ma non dovette farlo. Le croci sulle sue guance e la scritta sul suo petto dicevano chiaramente ciò che aveva fatto Hahn. Rick digrignò per un momento la mascella e strinse i pugni, desiderando di avere quell’individuo tra le mani per strangolarlo. Poi però fece un respiro profondo e si calmò.
“Grazie Semir.” disse solo, sinceramente.
“Castle, gli ho detto dove è Roy! Dov’è la cantina!” esclamò poi all’improvviso Semir in urgenza, aggrappandosi a un braccio del colonnello. Era preoccupato ed era sbiancato, con la faccia di chi si è reso conto solo in quel momento di ciò che ha fatto. “Dopo che se ne sono andati, sono passate ore! Io sono scappato quando una delle pareti è saltata in aria. Sinceramene non ho idea di quando ho ritrovato lo zaino o come sia arrivato a casa tua, non me lo ricordo, ma sono certo che sia passato troppo tempo! Dovete trovarlo!”
“Andrò subito da lui.” lo rassicurò Castle, posando una mano sopra quella del ragazzo ancorata al suo braccio. “Tu ora pensa solo a riposare d’accordo?” Semir annuì piano, non troppo convinto, ma comunque allentò la presa su di lui, lasciandolo andare. “Kev, tu vieni con me?” chiese poi rivolto al maggiore. Ryan, che fino a quel momento era rimasto muto a fissare l’adolescente, mosse appena la testa in segno di affermazione.
“Dobbiamo chiamare in centrale.” disse solo, atono. “Avvisare che probabilmente non andremo del tutto oggi.”
“Va bene.” acconsentì il colonnello. “Vuoi che lo faccia io?”
“No!” esclamò Kevin all’improvviso, muovendosi per la prima volta dalla sua posizione immobile, sbattendo le palpebre come se si fosse appena svegliato da un sogno. “No, vado… vado io.” continuò con più calma, quindi si scusò e si voltò per andare a raggiungere il telefono.
“Possiamo entrare, ora?” chiese qualche secondo dopo la vocetta di Leandro dalla porta della cucina, dove era rimasto fino a quel momento con la Gates. Lanie si affrettò a coprire di nuovo con attenzione la scritta sul petto di Semir, quindi fece un cenno del capo al marito.
“Sì, ora puoi venire.” rispose Javier. Il piccolo non se lo fece ripetere due volte. Corse e andò a fiondarsi direttamente nelle braccia paterne, facendosi così prendere in braccio.
“Papà, posso parlare con lui ora?” chiese allora Leo, indicando Semir. Esposito lo guardò perplesso.
“Uhm… non lo so, piccolo, devi chiedere alla mamma.” rispose, voltandosi poi verso sua moglie e spostando alternativamente lo sguardo tra lei e il ragazzo sdraiato.
“Mamma, posso parlare con Semir?” domandò allora a Lanie con un piccolo broncio. “Per favore!” La signora Esposito però non si fece abbindolare facilmente e scosse la testa.
“Tesoro, mi spiace, ma sarebbe meglio lasciarlo un po’ riposare…”
“Non importa.” disse Semir, attirando l’attenzione dei tre. “Io non… non voglio addormentarmi.” mormorò poi un po’ imbarazzato. Castle sospettò che avesse paura di avere gli incubi e non gli si poteva dar torto. “Quindi se vuole parlarmi, a me va bene.” Leo sorrise felice e lo indicò di nuovo, come a dire che il ragazzo aveva parlato e gli aveva dato ragione.
“Va bene.” concesse Lanie con un sospiro, spostando una sedia per portarla più vicino a Semir. Il bambino subito ci saltò sopra e si sedette in ginocchio su di essa. “Però non stancarlo, mi raccomando.” lo avvisò la donna. Il figlio annuì subito, quindi si voltò curioso verso l’adolescente.
“Ciao!” esclamò con un piccolo sorriso. “Tu sei Semir, vero?” Il ragazzo lo guardò con aria stupita e divertita insieme per un momento.
“Sì.” rispose piano. “E tu chi sei?”
“Leandro.” replicò il bambino. “Ma mi chiamano anche Leo.”
“E’ un bel nome.” commentò Semir.
“Anche il tuo, anche se è strano!” disse divertito Leo con una piccola smorfia.
“Leandro!” lo richiamò la madre severamente. Il ragazzo però la prese bene e addirittura ridacchiò, cosa che fece rimanere piacevolmente stupiti i presenti. Non pensavano che avrebbero rivisto il sorriso di Semir, per quanto stanco e provato, così presto.
“Non c’è problema.” disse con un mezzo sorriso. Poi tornò a rivolgersi a Leandro. “E’ perché i miei genitori erano turchi di origini.” Leo annuì piano, la bocca semiaperta e gli occhi sgranati, come se quello che il ragazzo gli aveva appena rivelato fosse un importante segreto. Fu in quel momento che Castle si rese conto di una cosa. Erano mesi che gli unici contatti di Leandro erano loro ed era quindi da chissà quanto che non parlava con qualcuno che non fosse un adulto. E una situazione simile era per Semir. Lui era più grande e aveva qualche contatto esterno oltre a Montgomery, ma erano sempre conoscenze di poco valore o momentanee per non correre rischi. Probabilmente era la prima volta da anni che Sem si ritrovava a poter parlare con tranquillità con qualcuno, per di più bambino come Leo.
“Quindi venivano dalla… dalla… Turca?” domandò Leandro incerto. Semir ridacchiò, ma una fitta gli fece nascere istantaneamente una smorfia di dolore in volto. Il bambino subito si agitò preoccupato, ma Sem alzò una mano per dire che andava tutto bene.
Turchia.” lo corresse, leggermente ansante. “Ma non farmi ridere, piccolo, altrimenti io qui vedo le stelle.” aggiunse con un mezzo sorriso. Leo subito annuì.
“Scusa.” mormorò, abbassando lo sguardo.
“E di che?” replicò Semir. “Mica sei stato tu a farmi questo.” Leandro scosse con forza la testa in segno negativo. Ci fu qualche attimo di silenzio in cui il piccolo guardò tristemente i segni sul volto del ragazzo, i lividi sul suo corpo e il grosso cerotto al centro. Quindi l’adolescente si passò leggermente la lingua sulle labbra, come indeciso se dire qualcosa. Alla fine parlò. “Non è che posso farti una domanda?” Leo lo guardò stupito, ma annuì. “Non… non hai paura di me?”
“Perché dovrei avere paura?” chiese Leandro stupito. “Vuoi farmi male?”
“No!” esclamò ancora più sorpreso Semir. “In questo momento non so neanche se riesco ad alzarmi, figurarsi a fare altro! E poi io non faccio male ai bambini. Però, insomma… insomma, non è che sono proprio un bel vedere al momento! Anche se non riesco a vedermi la faccia, sento dolore. So cosa mi hanno fatto e so che non ho un bell’aspetto. Sono certo di fare una certa impressione e per niente buona, però tu…” Non seppe come continuare, ma Leo alzò appena le spalle.
“La mia mamma è un’infermiera bravissima.” gli rispose semplicemente, indicando Lanie e sorridendo alla madre. La signora Esposito replicò con un sorriso dolcissimo al figlio. “Lavorava in ospedale e io lì non potevo andare, ma tutti i nostri vicini venivano sempre da noi quando qualcuno si faceva male. Il mio papà inoltre è forte, così lui li prendeva in braccio e li portava fino in casa nostra perché mamma li curasse. Io vedevo le ferite delle persone e all’inizio mi facevano paura, ma mamma e papà non ne avevano mai, così sono diventato coraggioso anch’io come loro!” aggiunse con un sorriso orgoglioso. Javier fece un mezzo sorriso e scompigliò affettuosamente i capelli del bambino senza interromperlo. “Quindi io non ho paura. So che ci sono tante cattive persone nel mondo, ma io non so curare come la mamma e non sono forte come papà. Ed è per questo che voglio diventare con lo zio Rick.” Nel sentire quelle parole, Castle drizzò le orecchie curioso, mentre sentiva uno strano calore diffondersi nel petto. “Anch’io salverò le persone come fa lui, diventerò furbo come lui e nasconderò le persone anch’io per poi farle scappare al sicuro. Sarò un soldato buono, così potrò sempre proteggere i miei genitori e tutte le persone che ne avranno bisogno, ma insieme potrò anche arrestare i cattivi!” Leo si voltò con un grande sorriso verso Rick, mentre il colonnello lo guardava a bocca aperta. Come lui… Leo voleva diventare come lui
“Beh, quando vedrai la paga, ci penserai due volte prima di arruolarti.” scherzò Castle alla fine con un mezzo sorriso, nascondendo così un misto di orgoglio, felicità e preoccupazione. Leandro voleva diventare come lui… Sentì gli occhi diventare umidi e il respiro iniziare a uscirgli a fatica dal petto.
In quel momento la mano di Kate andò a intrecciarsi con la sua, mentre gli altri ridevano della sua battuta. Rick gliela strinse, senza riuscire a voltarsi a guardarla perché sapeva che lei ci avrebbe visto le lacrime. E comunque i suoi occhi in quel momento erano solo per Leandro. Solo per quel piccolo angelo cresciuto troppo in fretta a causa della guerra.
 
Un’ora più tardi Castle e Ryan stavano arrancando in mezzo alla neve sporca con davanti lo spettacolo di un cumulo di macerie. Prima di uscire avevano fatto qualche telefonata per capire se qualcuno colleghi conoscesse la base di Hahn. Alla terza chiamata un maggiore amico di Kevin gli aveva indicato una vecchia caserma in disuso usata come prigione temporanea nella parte sud della Berlino. Prima di raggiungerla, con un piccolo moto di speranza di erano diretti alla cantina dove abitavano Montgomery e Semir. Il posto era in piedi, lì i bombardamenti non erano arrivati, ma gli era bastata un’occhiata alla porta spalancata e rotta sui cardini per capire che il ragazzo aveva ragione. Era passato troppo tempo. Erano arrivati tardi.
Colonnello e maggiore avevano dato una rapida occhiata all’interno, dove avevano trovato tutto a soqquadro. Quanto dedussero dagli oggetti rotti e dalle piccole macchie di sangue a terra, era che doveva essere avvenuta una colluttazione piuttosto accesa. Non trovando altro però, Castle e Ryan avevano lasciato la piccola cantina, abbattuti e scoraggiati da ciò che avevano visto. Niente però fu peggio della visione della zona di Berlino sud quando la raggiunsero in auto. Quella era stata una delle aree bombardate.
Una volta arrivati al quartiere, erano stati costretti ad abbandonare l’auto per fare l’ultimo tratto a piedi tanto le strade erano intasate di detriti. L’incursione aerea della sera prima aveva raso al suolo diversi edifici, alcuni dei quali ancora fumavano leggermente. C’era un silenzio irreale nella via. In giro non c’era quasi nessuno se non qualche proprietario che era venuto a recuperare i pochi averi sopravvissuti e un uomo che girava con gli abiti stracciati e insanguinati e con aria vacua. Doveva essere sotto shock perché continuava a mormorare dei nomi senza sosta, camminando nella neve a piedi nudi e senza una meta precisa. Rick lo osservò allontanarsi con passo incerto in una strada laterale. Scosse la testa rassegnato e continuò la marcia con Ryan, alzandosi davanti al viso il bavero del cappotto contro il freddo. Non poteva fare più niente per lui.
Un’altra cosa che videro furono i morti: un uomo con la testa fracassata in un angolo, un braccio o una gamba che penzolavano inerti e insanguinati tra resti di muri, una donna con un pezzo di ferro che le usciva da una spalla. E poi scarpe, vasi, arnesi da cucina, specchi rotti, giocattoli. Il tutto nascosto da un lieve strato di polvere e cenere grigia che rendeva tutto indefinito, quasi come in sogno.
Castle e Ryan ci misero almeno mezz’ora prima di trovare il luogo che gli era stato indicato. L’edificio aveva la serietà di un caserma militare, ma mezza facciata era stata distrutta, lasciando intravedere diverse delle celle interne che erano state create per l’utilizzo a prigione. Con attenzione, si mossero tra i calcinacci per cercare Hahn e i suoi due torturatori, vivi o morti. Videro due celle spalancate e vuote, una aperta ma con un uomo morto all’interno. Guardando il corpo, capirono subito di essere nel posto giusto: sul petto aveva incisa la parola ‘DIEB’, ovvero ladro in tedesco. Trovarono altri morti all’interno, ma stranamente solo di prigionieri e nessun carceriere.
“Dici che sono stati così fortunati da scappare tutti?” domandò Kevin alla fine, dubbioso.
“Non credo.” replicò Rick, osservando a terra dei segni di trascinamento nella polvere depositata. “Sono passati quasi una notte e una mattinata dal bombardamento. Credo che per i soldati i soccorsi siano già arrivati.” C’erano dei servizi di pronto intervento e ambulanza che recuperavano prima i feriti dell’esercito e poi quelli civili. Se Hahn e i suoi accoliti erano ancora vivi, probabilmente si trovavano già in qualche ospedale. “Qual è l’ospedale militare più vicino?” chiese il colonnello, uscendo da quello scempio e riavviandosi con il maggiore alla macchina.
Kriegslazarett 47.” rispose Ryan, evitando nel frattempo quella che dall’odore pareva una pozza di vomito nella neve. “E’ a solo tre isolati da qui, se è ancora in piedi.”
Ripresero l’auto e raggiunsero l’ospedale indicato dal maggiore. Fortunatamente l’edificio e quelli intorno parevano essere stati risparmiati, così, a differenza della calma surreale della caserma distrutta, lì trovarono un grande viavai di gente, con urla e gemiti provenienti da ogni angolo. I medici dovevano avere molto da fare, ma poco tempo e poche risorse per farlo. Osservando la massa umana davanti all’entrata, Castle notò che la maggior parte erano civili che speravano di poter essere accolti e aiutati. Probabilmente buona parte dei soldati erano già stati ricoverati e quelli in migliori condizioni dovevano già essere stati mandati altrove.
Rick e Kevin sorpassarono il grosso gruppo di persone meno in pericolo di vita che stazionava gemente e sanguinante davanti all’entrata dell’ospedale, presidiata da quattro soldati armati che trattenevano la folla, e arrivarono con qualche fatica al banco accettazione interno. Un’infermiera sui quarant’anni, magra, con i capelli scuri ben raccolti in una crocchia sulla testa e gli occhialetti rettangolari li squadrò diffidente per un secondo prima di riportare lo sguardo sui fogli che aveva in mano.
“Se non avete niente, andatevene.” disse subito arcigna, prima che potessero parlare. “Qui c’è già troppo da fare.”
“Sto cercando tre soldati, uno in particolare.” rispose Castle cortesemente. “Magari lei può aiutarmi.” La donna a quel punto alzò gli occhi, sbuffando, ma poi lanciò un’occhiata più approfondita dal basso all’alto al colonnello.
“Tesoro, per un tipo come te vedo meglio una donna.” replicò lei con un mezzo sorriso che voleva essere seducente, appoggiandosi in parte sull’alto bancone tra di loro e tendendosi leggermente verso Castle. Nonostante la situazione, Rick sentì chiaramente Kevin alle sue spalle tentare di non scoppiare a ridere.
“Sono fidanzato.” tagliò corto il colonnello, schiarendosi leggermente la gola.
“Peccato.” commentò l’infermiera, tirandosi di nuovo indietro e aggiustandosi gli occhialetti. “Ma comunque non so se posso aiutarti, dolcezza. Qui è entrata un sacco di gente da stanotte, per lo più soldati, e non siamo ancora riusciti a registrarli tutti.”
“Controlli almeno se c’è uno dei tre.” insistette Castle. “Erano nello stesso posto, quindi se c’è né uno è probabile che ci saranno anche gli altri.” La donna lo osservò per un momento, mentre lui rimaneva immobile, serio, a far capire l’urgenza della situazione.
“Coraggio,” disse alla fine la donna con un sospiro. “Dimmi chi cerchi, tesoro, e vediamo che si può fare.” Il colonnello gli diede nomi e gradi e l’infermiera iniziò a controllare tra i vari fogli che aveva sparsi davanti. Solo in quel momento Rick lesse il cognome appuntato sulla camicia della donna: si chiamava Simon. Simon cercò pazientemente per diversi minuti, confrontando i nomi che le aveva dato con quelli che aveva segnato e quelli che ancora stavano continuando ad arrivare. Finalmente la donna alzò la testa per guardarlo. “Allora, ho trovato un Sottotenente Klein e un Capitano Hahn, ma nessun Fuchs.” disse. Castle cercò di tenere a freno l’eccitazione.
“Non importa, basterà Hahn. Dove possiamo trovarlo?”
“Stanza 213.” rispose lei. “Secondo piano, andate a destra nel corridoio, la quinta porta è la vostra.”
“Grazie, Simon.” disse Rick con un mezzo sorriso.
“Dolcezza, qui dice che è messo male.” lo fermò la donna prima che fuggissero, osservando i fogli che aveva in mano. “Non so se lo troverete sveglio.”
“Tentar non nuoce.” replicò Castle. “Nel caso torneremo per chiederti di indicarci la stanza di Klein.”
“Allora spero che il vostro amico resti incosciente!” gli urlò dietro l’infermiera per sovrastare il casino della hall, mentre colonnello e maggiore si allontanavano verso le scale. Salirono velocemente, ma al piano dovettero rallentare l’andatura. Alle pareti erano accostati decine di lettini con altrettanti infermi sopra. Quello doveva essere il reparto dei casi gravi perché Castle vide parecchie ustioni, materiali e ossa sporgenti dai corpi che non erano stati ancora curati e diversi moncherini fasciati che facevano intendere amputazioni. Il solito odore di disinfettante, così tipico degli ospedali, sembrava sparire sotto il puzzo di carne bruciata e sangue. L’unico rumore che si sentiva erano i gemiti dei pazienti lasciati nel corridoio con in sottofondo i passi veloci dei medici che tentavano di portare quanto più aiuto possibile.
Rick e Kevin faticarono un poco a raggiungere la porta che Simon gli indicato, ma alla fine ci arrivarono. Quando girarono la maniglia però, si accorsero subito che qualcosa non andava. C’erano solo cinque pazienti in una alquanto spaziosa camera e tutti sembravano profondamente addormentati. Non appena i due si chiusero la porta alle spalle, all’improvviso tutti i suoni e gli odori esterni vennero attenuati. Per un momento rimasero fermi poco oltre la soglia, incerti a causa di quel repentino cambiamento. Quindi si avvicinarono ai letti. Fu nel terzo che trovarono Hahn. Castle e Ryan lo avevano visto un paio di volte quindi non ebbero troppi problemi a riconoscerlo. Più o meno. Perché quando Simon aveva detto loro che era messo male, non avrebbero mai creduto fino a quel punto. Hahn doveva essere stato operato alla nuca perché metà testa era stata rasata a zero per mettere ben in evidenza una lacerazione lunga quanto una mano. I punti con cui era stata ricucita la ferita erano piuttosto disordinati a indicare la fretta con cui erano stati messi. Il nero del filo creava un inquietante contrasto con la pelle chiara, quasi pallida, dell’uomo. Se non fosse stato per quello sfregio, si sarebbe detto che il Colonnello Hahn godesse di ottima salute.
La porta si aprì in quel momento all’improvviso, facendo sobbalzare Castle e Ryan. Un medico piuttosto giovane con dei capelli biondissimi e un lungo camice bianco chiazzato di macchie nerastre e rosse li guardò sbalordito per un attimo. Aveva l’aria stanca di chi è stato in piedi tutta la notte.
“E voi che fate qui??” li apostrofò subito. “Chi siete?? Non potete restare qua dentro!”
“Si calmi!” ordinò perentorio Castle. A quel tono, il medico subito si calmò, ma li guardò comunque diffidente. “Siete voi che curate questi uomini?”
“Sono il dottor Graf.” rispose seccato l’uomo, annuendo e chiudendosi la porta alle spalle. “E ripeto, non potete stare qui.”
“Cos’hanno?” chiese allora Ryan, ignorando le sue parole e facendo un cenno con la testa verso i pazienti.
“Sono in coma.” replicò lapidario Graf. “Per alcuni è irreversibile.”
“Lui come è messo?” domandò allora inquieto Rick, indicando con una mano Hahn. Glielo chiese anche se aveva già il sospetto di cosa gli avrebbe risposto quel giovane medico. Graf osservò il paziente per qualche secondo, quindi riportò lo sguardo su di loro.
“Non posso darvi queste informazioni.” dichiarò il medico invece di rispondere alla domanda, incrociando le braccia al petto in segno di sfida e arroganza. Castle e Ryan si guardarono per un secondo trattenendo uno sbuffo. Non era la prima volta che avevano a che fare con giovani che si credevano al di sopra di tutti perché le raccomandazioni o le circostanze li avevano aiutati a fare carriera in fretta e senza ostacoli.
“Prima ci da queste informazioni e prima ce ne andiamo, dottor Graf.” replicò Kevin, cercando di trattenere l’irritazione. “Oppure preferisce andare a dire al suo superiore che non ha risposta a una esplicita domanda di un Colonnello dell’Esercito Tedesco?” aggiunse poi con un vago tono di minaccia, indicando Castle. A quelle parole la boria di Graf si sgonfiò e li guardò leggermente pallido. Solo in quel momento i suoi occhi andarono alle mostrine sulle divise dei due soldati e vide che erano un Colonnello e un Maggiore. Decisamente più in alto di lui che, come Rick notò lasciando un’occhiata alle spalline sul suo camice, era un Assistenzarzt, ovvero un Tenente Medico di diversi gradi inferiore a loro. Ryan doveva averlo notato subito quando Graf era entrato, mentre Castle, non aspettandosi quella resistenza, non vi aveva fatto caso.
Il dottore si mosse a disagio sul posto, si morse l’interno della guancia e alla fine sbuffò piano.
“Il Capitano Hahn è in coma irreversibile.” dichiarò alla fine, avvicinandosi al paziente e osservando il foglio clinico appeso al letto. “Emorragia cerebrale. Ha preso un gran brutto colpo alla testa che gli ha quasi sfondato il cranio. Abbiamo fatto il possibile per curarlo, ma, anche così, è alquanto improbabile che si sveglierà più. L’ematoma era troppo esteso e ha perso molto sangue prima di arrivare qui.” La mano di Castle si strinse a pugno per un momento. Avrebbe voluto picchiare Hahn, sfogarsi su di lui, ma a quanto pareva il destino lo aveva preceduto. In fondo era meglio così. Non sapeva se sarebbe riuscito a mantenere la promessa fatta a Kate. Sperò che Hahn avesse sofferto prima di cadere in coma.
“Visto, non era così difficile.” commentò Ryan al dottore, scuotendo la testa. Poi guardò ansioso verso Castle. Con Hahn fuori gioco e Fuchs introvabile, la loro unica possibilità per trovare il mandante della tortura di Semir restava Klein.
“Andiamo.” sbottò Rick a Kevin. Quindi lo precedette verso l’uscita della camera, passando davanti al dottor Graf senza più degnarlo di uno sguardo.
Colonnello e maggiore tornarono al piano terra dall’infermiera Simon per farsi dire la camera di Klein. Lei li accolse con un sorriso malizioso, sperando evidentemente di riprovarci con Castle. Lui però di nuovo, cercando di essere gentile, declinò l’offerta di una conoscenza più intima con la donna e si fece dire il numero della camera.
“Stanza 104, tesoro.” disse Simon con un piccolo sospiro di sconfitta. “Primo piano a sinistra. Seconda porta."
Una volta al piano, scoprirono che lo spettacolo che si erano trovati davanti al piano superiore era molto simile a quello che c’era lì. File di lettini o semplici brande con uomini fasciati e doloranti addossati alle pareti, puzzo di sangue e di chiuso e lamenti da ogni direzione. Dovevano aver dato fondo a ogni spazio disponibile per ospitare tutta quella gente. L’unica differenza con i feriti del piano superiore era che le ferite parevano essere meno gravi e urgenti.
Di nuovo Castle e Ryan si fecero strada nel caos per raggiungere la porta designata. Quando vi entrarono, stavolta non trovarono il silenzio angosciante della camera di Hahn, anzi c’era piuttosto movimento. Le dimensioni della stanza parevano le stesse, ma il numero di letti presenti era il doppio e altrettanti i pazienti. Di questi, tre o quattro dormivano, uno altro guardava fuori dalla piccola finestra con lo sguardo vacuo e la bocca semiaperta, immobile, mentre gli altri giocavano rumorosamente a carte su uno dei lettini. Non appena sentirono l’uscio aprirsi, gli svegli, tranne quello che guardava fuori, si voltarono a lanciargli un’occhiata, ma poi tornarono alle loro occupazioni.
“Sottotenente Klein?” chiamò con voce chiara Castle. Uno degli uomini che giocavano alzò una mano con aria svogliata senza smettere di guardare le carte. Rick aveva visto solo una volta Klein e solo di sfuggita. Probabilmente non lo avrebbe nemmeno riconosciuto se lo avesse cercato in quel momento perché aveva una vistosa e spessa benda intorno alla testa che gli copriva un occhio e un orecchio e inoltre doveva essersi rotto il naso perché era violaceo e aveva due blocchi laterali e diversi cerotti su di esso. Oltre a questo, aveva una gamba ingessata dal ginocchio al piede e una fasciatura che gli girava intorno ai fianchi, ben visibile poiché era senza maglia.
Senza tanti preamboli, il colonnello si avvicinò a lui, lo prese per i capelli con forza e lo tirò verso il lettino vuoto più lontano dagli altri. Klein urlò, strepitò e si agitò, ma nessuno venne in suo soccorso. Fuori dalla camera c’era un sacco di gente che urlava di dolore e i compagni con i quali stava giocando non sembravano troppo in vena di volersi mettere, acciaccati com’erano, contro un colonnello alto quasi due metri e un maggiore in perfetta forma fisica. Non appena Klein fu sbattuto sopra il lettino, i giocatori tornarono semplicemente a concentrarsi sulle carte.
“Chi diavolo siete??” urlò Klein, indietreggiando sul materasso per quanto possibile, visto che dietro di lui c’era il muro, e trascinandosi dietro la gamba ingessata. “Che cazzo volete da me??”
“Semir Gerkhan.” replicò Castle, ignorando le sue domande e piazzandosi davanti a lui con le braccia incrociate davanti al petto. “Ti ricordi di lui, stronzo?” Klein lo guardò per un momento confuso.
“Chi cazzo è questo Setir??” Ryan gli diede un colpo alla gamba ingessata e l’uomo si contorse subito su sé stesso, diventando rosso dal dolore.
Semir.” lo corresse gelidamente Castle. “E ti consiglio di ricordarti di lui piuttosto in fretta.”
“Vaffanculo, stronzo.” replicò Klein, sputando a terra ai piedi del colonnello. “Non io ho idea di chi cazzo stai parlando.” Rick si mosse ancora prima che lui finisse di parlare. Gli mise una mano sulla fasciatura al fianco, in corrispondenza della lieve macchia rossa che si era formata al di sopra, e spinse. L’uomo urlò di dolore.
“Ti consiglio di rivedere la tua risposta.” sussurrò Castle minaccioso, senza spostare la mano dalla ferita, per quanto Klein cercasse di divincolarsi, procurandosi così solo altro dolore. “Semir.” ripeté il colonnello. “Un ragazzo basso e sveglio che avete picchiato senza pietà negli ultimi due giorni, su cui vi siete divertiti a spegnere sigarette e che avete marchiato con un coltello.” La rabbia di Rick sprizzava da ogni parola che pronunciava. Klein dovette finalmente comprenderlo perché strinse le labbra e deglutì, nervoso, guardando alternativamente tra Castle e Kevin. Visto che ancora non sembrava deciso a parlare, il colonnello spinse di nuovo sulla ferita.
“Va bene! Va bene!” urlò l’uomo in risposta con una smorfia di dolore in faccia. Stava sudando e ansimava. Castle spostò la mano dal bendaggio e notò che la macchia rossa su di esso si era estesa. Poi incrociò di nuovo le braccia al petto per evitare di mettergli ancora le mani addosso. “Cazzo, che male…” mugugnò Klein, portandosi le mani alla ferita. Il colonnello non poté fare a meno di alzare un sopracciglio. Per essere uno che torturava per hobby, non aveva molta resistenza. Non che Rick volesse davvero seviziarlo, ma aveva dovuto fargli capire che non era lì per giocare o altrimenti non avrebbe parlato. “Non… non ricordavo si chiamasse Semir.” fu la prima cosa che disse Klein quando finalmente parlò. Castle sbuffò rabbioso e poco ci mancò che Ryan gli tirasse un altro colpo alla gamba.
“Ora lo sai.” disse gelido il colonnello. “Vai avanti. Cosa gli avete chiesto?” L’uomo si passò il dorso della mano sotto il naso rotto per ripulirlo dal muco e dal sudore, prendendo tempo. “Ti conviene parlare perché nessuno ti parerà il culo.” continuò Rick spazientito per incitarlo a muoversi. “Il tuo capo è in coma irreversibile e il tuo amichetto è scomparso.” Klein lo guardò sorpreso per un momento mentre assorbiva quelle parole. Quindi si morse l’interno della guancia e spostò lo sguardo al materasso. Non pareva triste. Sembrava indifferente alla sorte dei due compagni. Pareva semplicemente rassegnato. Ed era evidente che stava pensando a come gli conveniva comportarsi con loro.
“Ci hanno ordinato di prendere delle informazioni da lui.” disse alla fine in tono più mite, rialzando lo sguardo.
“Ordinato o pagato?” commentò ugualmente disgustato Ryan. “Voi non siete soldati, siete peggio dei mercenari.”
“Fa differenza adesso?” replicò Klein alzando le spalle.
“Non diventarci filosofo e vai avanti.” lo bloccò Rick irrequieto. “Cosa dovevate chiedergli? Chi ve l’ha ordinato?” L’uomo prese un respiro profondo.
“Io eseguivo gli ordini di Hahn.” disse, come sperando che loro capissero che era solo una pedina manovrata. Lo sguardo di odio dei due gli cancellò quella speranza e lo fece andare avanti. “Ci hanno detto che dovevamo tenere d’occhio un ragazzo che bazzicava spesso in una certa zona. Dovevamo seguirlo e, quando ci pareva il momento, dovevamo prenderlo e interrogarlo.”
“‘Quando ci pareva il momento’?” ripeté Castle per avere spiegazioni. Klein annuì.
“Ci avevano detto che prima o poi avrebbe fatto qualcosa di sbagliato o ci avrebbe portato dove viveva. A quel punto avremmo dovuto prenderlo.” spiegò. “Altrimenti avremmo aspettato un momento buono e gli avremmo estorto il suo indirizzo.”
“Quindi cos’è successo?” domandò Ryan.
“E’ successo che abbiamo iniziato a seguirlo, sperando ci portasse dove volevamo, ma continuavamo a perderlo proprio mentre tornava a casa.” rispose Klein. “Qualche giorno fa però Fuchs lo ha visto andare a casa di un uomo, un colonnello mi pare.” A quelle parole Rick e Kevin si scambiarono una breve occhiata. “Ci è sembrato strano così Hahn ha deciso che era il momento di agire. Ci siamo riuniti e abbiamo atteso che il ragazzo uscisse come al solito. A quel punto lo abbiamo preso.” disse l’uomo, alzando di nuovo le spalle come se quello fosse stato un semplice lavoretto finito bene.
“Come sapevate dove trovarlo?” chiese Castle.
“Girava sempre gli stessi posti.” rispose l’uomo, grattandosi intanto la testa. “Ma alla fine passava sempre per la stessa strada, dove poi lo perdevamo, quindi sapevamo che anche in quel caso sarebbe passato di lì.” Rick prese un respiro profondo prima di continuare. Avrebbe dovuto dire a Semir di cambiare strada ogni giorno, anche per andare negli stessi posti.
“Va bene, vai avanti.” lo spronò il colonnello. “Le domande?”
“Gli abbiamo chiesto chi era e dove abitava, ma lui non voleva parlare. C’è da dirlo, era piuttosto tenace quel piccoletto.” commentò Klein con una punta di ammirazione. “Molti crollano molto prima di quanto abbia fatto lui.” Castle contrasse la mascella e strinse i pugni. Non aveva bisogno di sentirsi dire quanto fosse forte Semir. Lui sapeva già che lo era, ma avrebbe voluto che mai dovesse dimostrarlo.
“Cos’altro avete chiesto?” domandò Kevin con una punta di gelo misto a sarcasmo nella voce. “E cosa vi ha risposto?” Klein li osservò per un momento con l’unico occhio buono, passando lo sguardo da maggiore a colonnello, quindi sospirò rassegnato.
“Alla fine ci ha detto il nome, dove abitava e con chi, che era quello che cercavamo.” continuò l’uomo. “Quindi abbiamo finito con lui e siamo andati all’indirizzo, dove abbiamo trovato una stamperia in una cantina e un uomo, un certo… uhm… Roy Monnosery, credo.”
“Roy Montgomery.” lo corresse Ryan con rabbia senza riuscire a fermarsi.
“Quello che è.” commentò Klein con uno sbuffo. Per quelle parole, Kevin quasi gli saltò al collo, se non ci fosse stata un’occhiata di Castle a bloccarlo.
“Continua.” ordinò Rick. “Che avete fatto dopo?”
“Abbiamo seguito gli ordini.” disse Klein tranquillo. Evidentemente non si era accorto di aver rischiato l’omicidio, troppo impegnato a controllarsi la macchia rossa presente sul bendaggio sul fianco. “Abbiamo interrogato il tipo, gli abbiamo chiesto cosa faceva e per chi. Alla fine dopo qualche ora ha confessato, come tutti. Anche se non tutto...” Castle drizzò le orecchie.
“Non tutto?” ripeté interessato. Klein annuì.
“Ha ammesso di lavorare nella stamperia da anni, che il ragazzo era una specie di valletto che gli comprava le cose fuori dalla cantina e che produceva falsi documenti su commissione.” spiegò. “Però non ci ha detto per conto di chi.” Castle e Ryan si scambiarono un’occhiata sorpresa. Roy li aveva coperti. Aveva detto a Hahn tutto tranne la cosa più importante, ovvero per chi lavorava. A costo della sua vita. “Quello non siamo riusciti a farglielo sputare.” continuò Klein. “Così il capo ha riferito solo quello che avevamo scoperto, ma avevamo una mezza idea che quei documenti fossero per il colonnello da cui il ragazzo era andato a casa.”
“Perché non ha confessato tutto?” chiese Ryan sovrappensiero e con tono triste, rivolto al colonnello. “Per quanto forte, si sarebbe risparmiato un sacco di dolore…”
“E’ quello che dico anche io.” commentò Klein, non capendo che il maggiore non stava parlando con lui. “Ma chissà, forse prima o poi avrebbe parlato se ne avesse avuto il tempo.” Un brutto presentimento prese il sopravvento su Rick, che sgranò gli occhi a quelle parole.
“Che intendi dire?” domandò con tono urgente e agitato. Klein lo guardò come fosse stupido.
“Beh, che se fosse sopravvissuto forse avrebbe detto qualcosa di più, ma è morto durante l’interrogatorio.” replicò l’uomo in tono ovvio. Castle si sentì mancare la terra sotto i piedi e per un momento dovette trovare appoggio sul lettino in cui era steso Klein. Morto. Se l’era aspettato, ma non… non così. Non come un pugno allo stomaco.
“Roy è… è morto?” mormorò Ryan incredulo. Pure lui aveva immaginato un finale simile per Montgomery, ma anche per lui era stato comunque uno shock. Klein li guardò con aria interrogativa con il suo unico occhio.
“Che fine ha fatto il suo corpo?” domandò atono il colonnello, quasi senza pensarci, ancora appoggiato con entrambe le mani al lettino, la testa bassa.
“Non ne ho idea.” rispose l’uomo. “Ma mi sembra di averlo visto portare via insieme a me quando sono arrivati i soccorsi. Era appena morto quando è iniziato il bombardamento.” O forse non era ancora morto e vi siete sbagliati voi, pensò Rick. Non nutriva in realtà troppe speranze in quella direzione. Era solo una vaga illusione e lo sapeva bene. Un uomo come Hahn, che lavorava con la morte, di certo sapeva distinguere un uomo vivo da un cadavere. Con un sospiro lento, Castle si appuntò mentalmente di tornare da Simon per chiedergli informazioni. Dopo tutto quello che Roy aveva fatto per loro, voleva almeno rimandare il corpo alla famiglia, se possibile.
“Chi è il mandate?” domandò alla fine Rick, cercando di riprendersi prima che Klein iniziasse a farsi troppe domande sulla loro reazione. “Chi vi ha detto di torturare per queste informazioni? Parla, lurido bastardo!” sibilò il colonnello premendo all’improvviso di nuovo sulla ferita al fianco dell’uomo, più forte di prima.
“UN SOLDATO!!” gridò Klein nel dolore, cercando di spostare la mano di Castle. “Un colonnello!” disse velocemente, ansante, le mani a coprire il fianco mentre Rick spostava la sua. “Porca puttana che dolore…” borbottò poi, raggomitolandosi su sé stesso per il male, rosso in viso.
“Che colonnello?” chiese ancora Rick nervoso. Per la seconda volta ebbe il timore di avere già un’idea della risposta di Klein.
“Non lo so, non l’ho mai visto!” dichiarò con voce rauca l’uomo, il tono appena piagnucolante. Quando vide Castle avvicinarsi di nuovo, si affrettò a continuare. “Ne ha parlato una volta Hahn, però!” esclamò con una nota spaventata nella voce. “Si chiamava… si chiamava… aspettate, aspettate!” gridò, vedendoli impazienti. Chiuse l’unico occhio fino a strizzarlo, come se servisse a farlo ricordare meglio. “Dreil!” strillò alla fine. “O… o forse Dreib? Dreis?” Castle strinse i pugni fino a sentirsi le unghie conficcarsi nella carne. Il suo pensiero si era rivelato purtroppo di nuovo esatto. Guardò Ryan che gli lanciò un’occhiata di orrore e rabbia.
“Dreixk.” sibilò Castle. “Colonnello Michael Dreixk.”

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Xiao! :)
Eh che dire... lo ammetto, qualcuno tra voi aveva già avuto sentore del ritorno del nostro "amico" Dreixk... XD E così si scopre che la tortura di Semir e la successiva tortura di Roy erano state organizzate da lui... A un carissimo prezzo però: Montgomery è morto. Ed è morto portandosi nella tomba il segreto di Castle.
Beh, in ogni caso, qui abbiamo quasi finito eh XD Ormai seriamente manca poco! Prepare yourself! ;D
A presto! :D <3
Lanie

ps: la mia traduzione italiano-tedesco al solto viene dai dizionari on-line perché di tedesco non so un'acca... XD perciò se voi tedescofili (Deb, dico a te! XD) vedete errori, correggetemi pure! :)
  
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