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Autore: Snow_Elk    09/11/2014    2 recensioni
"Lei socchiude gli occhi e stringe a sé quel suo tesoro, il suo ultimo respiro, il suo unico amore, il mondo intorno a lei tace, non vuole disturbare quell’ultimo momento, l’epilogo è giunto, accompagnato dalle lacrime, sorretto dal suo dolore.
Fuori il cielo piange e dentro di lei qualcosa muore.
Non abbandonarmi, non lasciarmi da sola."
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Un suono secco riecheggia nell’aria, un lampo di luce sottile illumina l’oscurità, pochi secondi, puoi contarli sulle dita di una mano.  E’così semplice?
La leggera spinta all’indietro,  un brivido parte dal braccio e raggiunge la schiena, lo stridulo gemente del metallo, una linea di fumo quasi invisibile sale verso il cielo. E’ davvero così semplice? Sembra di sì. Pochi secondi.
Il piccolo bossolo dorato cade a terra abbandonando il suo rifugio, ormai ha fatto il suo dovere con estrema grazia, ormai non serve più, proprio come “lui”, ma non resterà lì a lungo. Quello è un luogo molto bello, non va sciupato con queste cose, non si fa.

Non l’ha mancato, ha centrato il suo bersaglio, il piccolo proiettile argentato  l’ha preso in pieno, non poteva mancarlo, e ora giace dentro di lui, come un veleno di metallo. Fai il tuo dovere, lei ha fatto il suo, ti ha aiutato, ora tocca a te.
Abbassa la canna ancora fumante, stringe con le dita il calcio in legno, ruvido al tatto, freddo al cuore e ai sentimenti. Ha degli strani riflessi al buio, di notte. E’ stretta tra le sue dita da qualche minuto, ma è ancora fredda, non vuole scaldarsi, dicono che non può.
Niente lame in questa notte, niente armi bianche hanno detto,  le sue amiche taglienti sono rimaste a casa , questa è una nuova prova, come tale richiede un’arma diversa, un’arma speciale e lei ha accettato, come sempre.
Sta barcollando, “lui” barcolla, la sua espressione è cambiata, ancora, di nuovo, ma non sembra sorpreso, nemmeno stupito, non ha paura, non c’è la nebbia del terrore nei suoi occhi. Perché? Come fai?

Cerca un appoggio, qualcosa contro cui abbandonarsi, vuole riposare come se fosse stanco, come se qualche minuto di pausa potesse farlo riprendere, scacciando quel dolore lancinante che lo opprime  all’addome. Che cosa stai facendo?
Continua a sorridere, ma i sorrisi non possono fermare il sangue, no, e nemmeno la mano che poggia contro la ferita. Cosa pensi?
Ha trovato un muro, uno dei tanti coperti dall’edera ingombrante ed egocentrica, lo accarezza con la mano sinistra e ci poggia contro la schiena scossa da alcuni fremiti, accasciandosi a terra, lanciando un profondo sospiro. Perché?
La guarda, la osserva con i suoi occhi grandi e ancora così luminosi, sta mascherando il suo dolore, sta nascondendo la sua sofferenza, non vuole mostrarle. Ma perché?
Lei deve restare ferma, è così che le hanno detto, deve restare ferma, sì, e osservare la scena, l’ultimo atto, l’epilogo di una vita. Loro lo hanno chiamato così.

Un passo, due passi, anzi ne fa ben quattro, vuole vederci bene, aiutata dall’alone di luce del lampione che scivola silenzioso dalla stessa parete dove si è poggiato “lui”.
Lei non parla, lui non parla, nemmeno la luna apre bocca, ma continua ad illuminare quella scena col suo bagliore biancastro, è particolare, è freddo. Quanto ci vorrà?

- Lucile-
L’ha chiamata, vuole parlare, perché vuole parlare? Dovrebbe risparmiare il fiato, godersi gli ultimi attimi di vita che gli restano guardandola dritta negli occhi, soffrendo per una fine che nessuno vorrebbe mai affrontare, perché tra tutte è la peggiore. Hanno detto così, loro hanno riso mentre lo dicevano, lei ha annuito.

- Lucy-
L’ha chiamata di nuovo, quello è il suo nome, si faceva chiamare così, le hanno detto di ascoltare  se “lui” avesse parlato, ma di non dar peso a ciò che dice, perché è pazzo, perché  prima dell’ultimo atto impazziamo tutti, lei ha annuito, come sempre.
Va bene, ascolterà, e si avvicina, altri quattro passi leggeri sul pavimento decorato, quanta basta per udire bene le sue parole. Quanto ci vorrà? Cinque minuti? Di più?
La sua camicia bianca inizia a sporcarsi di sangue, lo vede, quel rosso che si espande lentamente, lo sente che viaggia nell’aria notturna, ha un odore dolce, diverso dagli altri. E’ particolare, l’ha già sentito, oppure no?

-Ti ricordi la prima volta che ci siamo incontrati? E’ stato proprio qui-
E’ la sua prima frase, parla lentamente, respira a fondo, vuole parlare ancora. Il cielo, il vento e perfino le stelle lo assecondando, tutto tace. Che cosa stai dicendo?
 
- Quel pomeriggio non volevo pensare a nulla, ero incazzato nero con il mondo intero, non ricordo neanche il perché, ma non volevo vedere nessuno e la Villa era il luogo migliore dove andare a rilassarsi. Quel giorno non c’era nessuno, a parte te-
Non la sta nemmeno guardando, fissa un punto imprecisato nel vuoto, sembra viaggiare sulla scia di quelle parole, una sorta di sogno ad occhi aperti. Dimmi, che cosa stai facendo?
 
- Ti avevo già vista qualche volta a scuola, quelle cuffie enormi che porti sempre al collo si notano da lontano, sono inconfondibili, ma non mi sarei mai aspettato di vederti lì, seduta su quel muretto, a fissare il mare, in silenzio. Te lo ricordi?- 
Sei serio, troppo serio, perché continui a raccontare questa storiella? Le avevano detto che la gente blaterava parole di ogni genere nell’ultimo atto, ma quella era una vera storia, non frasi messe lì a caso, non farneticazioni di un pazzo moribondo. Perché?
 
- Stavi ascoltando la musica, le cuffie che ti coprivano le orecchie, e facevi dondolare le gambe nel vuoto, mimando con le labbra le parole di quella canzone, era “Nightfall”, giusto? Io me lo ricordo bene, fin troppo bene…-
“lui” continua a parlare, continua a viaggiare, sembra che non gli importi della sua situazione, vuole ricordare, il dolore non lo stordisce, non lo confonde, continua ad essere tranquillo, ignora la sua ferita, ignora il suo epilogo. Cosa stai dicendo?
 
- Non volevo vedere nessuno, non volevo parlare con nessuno, ma sentirti cantare quella canzone mi ha colpito, tanto da avvicinarmi di qualche passo, senza dare troppo nell’occhio. Tu non mi avevi neanche visto, eri troppo presa dal sognare ad occhi aperti, no? So che te lo ricordi-
 Continua imperterrito, con una forza che non ha mai riscontrato negli “altri”, ma per quale motivo? Ricordare, ma cosa? Ascolterà ancora, l’ordine è quello, ma sente che i secondi le scivolano addosso più lentamente. E’ strano, sempre più strano.
 
- Non sono il tipo che si tira indietro nel parlare con una ragazza, ma quella volta era diverso, mi sembrava quasi un peccato interrompere quel momento, anche se leggevo una certa tristezza nei tuoi occhi, vero? Eppure  sei stata proprio tu ad avvicinarti, a rivolgermi la parola, proprio quando ho cantato anche io l’ultima strofa di quella canzone, come un’idiota, perché non avevo mai cantato in pubblico… a ripensarci mi viene da ridere-
Sta ridendo davvero, o almeno si sta sforzando di ridere, ci prova reprimendo la sofferenza, goccia dopo goccia il suo sangue lo sta abbandonando, ma non si arrende, “lui” vuole andare avanti. Perché, dimmi, perché?
 
- “Conosci anche tu questa canzone? Pensavo di essere l’unica in tutta la città” avevi detto,lo ricordo bene, e quando ti avevo risposto di “sì” mi avevi sorriso, come se ti avessi detto chissà cosa. Mi sono seduto anche io sul muretto, erano mesi che non lo facevo e ti ho invitato ad avvicinarti, a sederti accanto a me, così, d’impulso. Tu hai accettato. Ricordi?-
La gente esce fuori di sé nell’ultimo atto, l’aveva già visto, troppe volte. La gente chiede pietà, la implora con mille gesti e preghiere, piange a dirotto o ti maledice, invoca contro di te ogni maledizione e ogni male di questo o quel mondo, se le suppliche non funzionano. perché “lui” no? Cosa cambia?
 
- Devo ammettere che sembrava la scena di un film o di quei fumetti sdolcinati che leggono le ragazzine, era troppo strana  per essere vera: eravamo due completi sconosciuti  fermi in quel luogo, ognuno con i propri motivi, e quasi di punto in bianco ci siamo ritrovati a parlare, seduti l’uno accanto all’altro. Queste cose succedono solo nei film, vero? Prima ti avrei risposto di sì, ora la risposta è un’altra. No, decisamente no-
Forse la sua è una forma di follia particolare dell’epilogo, una di quelle che ancora non ha visto, ma è troppo lucida per essere follia, e continua a parlare di lei, di “lui”, del passato. Che cosa vuoi ottenere? Quando ci vorrà? Più di cinque minuti.
 
-Ricordo che abbiamo parlato a lungo, senza avere un argomento preciso, senza pensare al tempo che passava, al sole che tramontava, all’aria fredda della notte che si avvicinava spinta dalla brezza marina, a niente. Quello è stato un giorno indimenticabile, non trovi?-
La sua “azione” inizia a fare effetto, sta sudando freddo, lo percepisce, sta iniziando a perdere lentamente le forze e anche il pavimento si sta macchiando del suo sangue, né la camicia né la mano riescono a trattenerlo. Non senti freddo?
 
-Questo posto è pieno di ricordi, più di quanto immaginassi. Non solo il nostro primo incontro, ci siamo venuti ogni volta che potevamo…  alcune volte abbiamo perfino marinato la scuola pur di venire qui, te lo ricordi?-
Sorride di nuovo, cerca di sedersi meglio, sta guardando il proprio sangue lì a terra o è ancora perso a rivivere ciò che sta dicendo? Non riesce a capirlo, non ha mai avuto a che fare con un’esperienza simile, non chiede aiuto, non grida vendetta, niente di ciò a cui è abituata, a cui l’hanno abituata. Le sue parole iniziano a pesare , lo sente. Perché? Tace, sembra perso nei suoi pensieri adesso. Cosa deve fare?
 
- Ti ho amato…- 
Tre parole,  nove lettere, lui sorride ancora, con estrema sincerità. Aspetta, ha sentito qualcosa dentro il petto, sotto la divisa, vicino al cuore. Qualcosa, un battito, una piccola scintilla di calore, una sensazione di caldo mista al gelo, seguita dal vuoto. Ha fatto male, è durata qualche secondo, ma ha fatto male, lo ha sentito. Che cos’è?
“lui” è fermo lì, si è dovuto fermare per prendere fiato, vuole fermarsi? No, ha alzato di nuovo la testa, la sta guardando ancora, vuole continuare a parlare. Fermati.
 
-… e continuerò a farlo, per sempre. Non so perché mi hai fatto questo, non voglio saperlo, non mi importa. Ho visto che non sei più la stessa, qualcosa è cambiato dentro di te, ma sento che non tutto è perduto. Sei guarita, puoi finalmente vivere senza preoccupazioni, e qualunque cosa ti abbiano fatto sono certo che riuscirai a fermarla,io credo in te, l’ho sempre fatto-
Ancora quel calore, ancora quel dolore, che cosa le sta succedendo? “Loro” non le hanno detto niente a riguardo, non riesce a capire, non ha le informazioni. Ha la gola secca e quel calore dentro il petto aumenta, secondo dopo secondo, e sembra non fermarsi. Ogni sua parola è come una piccola spina che si conficca nel suo cuore. Come fai? Come ci riesci? Smettila!
 
- Sentivo che stasera sarebbe successo qualcosa, avevo un presentimento, un pensiero negativo che non mi lasciava in pace, ma sono venuto lo stesso, per affrontarti, per affrontare qualunque cosa sarebbe successa. Non mi aspettavo questo, lo ammetto, ma non ho né paura né rimpianti: meglio così che in un altro modo-
C’è una nota di ironia nella sua voce, un’altra di malinconia. Come è possibile? E’ lui quello che si appresta all’ultimo atto, eppure è lei che si sente come avvinghiata da una spira di spine, da catene irte di aghi, oppressa da qualcosa di invisibile. Cosa? Dove? Perché?
Tutto questo non ha senso, le avevano solo detto di ascoltare, l’ha fatto, lo sta facendo, ma in questo modo è scattato qualcosa che le sta facendo troppo male.
Deve controllarsi, come le hanno insegnato, deve contrastare qualsiasi cosa esterna o interna, così “loro” hanno ribadito, più volte, ma è forte, profonda e forte, qualunque cosa sia.
 
- Con te ho conosciuto e provato l’amore, quello sincero, quello che non puoi descrivere… non servirebbe, non puoi vederlo, non puoi toccarlo, lo senti e basta… proprio qui-
Sta indicando il suo cuore, sta indicando lo stesso punto in cui lei sta sentendo quel dolore. Che cosa significa?  Da dove viene tutta questa confusione? E questo calore?
Indica il suo cuore, ci poggia sopra la mano, anche lei lo fa, lo sente battere, più forte del solito, sembra quasi che voglia uscire, ma ora il dolore silenzioso non è solo lì, si sta spostando, si sta espandendo e lei non può fermarlo, non più.
 
- Averti accanto è stata la cosa più bella che mi potesse capitare. Non mi importa se tra qualche minuto finirò all’altro mondo, mi hai donato tutto ciò che potevo desiderare e so che quest’ultimo gesto non è opera tua-
Smettila. Tutto ciò che dice fa male, continua a fare male, perché tutte queste sensazioni così diverse e insistenti? Le manca il respiro, per un attimo si sente davvero mancare, quasi svenire, ma non cede, ha ancora forza dentro di sé, non può vincere quest’energia, ma può ancora contrastarla, per poco, lo sente.
Sta ascoltando, ma vorrebbe tapparsi le orecchie con le mani, andarsene e lasciargli vivere l’ultimo atto da solo. Di solito ha sempre guardato, già, ha sempre osservato e memorizzato l’epilogo dei suoi “obiettivi”, ma questa volta c’è qualcosa che non va, ma non riesce a spiegarlo. Ancora una volta, perché?
 
- Mi dispiace soltanto di non poter trascorrere più tempo insieme a te, avevamo ancora così tante cose da fare. Ricordi? Ci eravamo promessi che un giorno avremmo avuto abbastanza soldi da comprare Villa Crepuscolo e ristrutturarla, per viverci. Era il sogno stupido di due ragazzini, forse ridicolo, ma era il nostro sogno e ogni volta che ne parlavamo i tuoi occhi si illuminavano e sorridevi-
Ancora quel dolore al petto, più forte, più lancinante, non vuole andarsene, le ha afferrato il cuore, lo sta stringendo, ci affonda dentro le unghie. Fa male. Smettila, fermati, non parlare, non dire quelle cose, lei non sa perché fanno così male, ma non ce la fa più.
Quel dolore sta urlando, grida dentro di sé, nella sua testa, parole incomprensibili che lasciano solo segni di malinconia, nostalgia e tristezza. Le ricorda quelle emozioni,  sono sbiadite ma le riesce ad ascoltare da qualche parte, anche loro stanno parlando, ma sono solo sussurri, non riesce a capirli. Resta immobile, non muoverti, “loro” sanno, “loro” ti vedono, non devi muoverti e non si muove, ma sta diventando tutto troppo difficile e il suo “nuovo giocattolino” trema nella mano destra, la sinistra è ancora ferma sul cuore, sta contando ogni suo battito, ogni suo urlo.
 
- Mi mancherà quel sorriso,quegli sguardi, mi mancherà tutto di te. Non pensavo che sarebbe finita così, anche se credo che nessuno muoia per come se lo immagina, no? Ma io sono fortunato, posso vederti un’ultima volta, e so che dietro quella maschera inespressiva c’è ancora la mia Lucy, lo sento, mi sta sorridendo –
Un fremito, un forte brivido le attraversa tutta la schiena e quasi vacilla: qualcosa, qualcosa di caldo le ha bagnato la guancia e sta scivolando leggera fino al mento. Che cos’è? Fa male, è come una lama tagliente, ma al tempo stesso è… dolce.
Avvicina la mano e la sfiora, piccola com’è, le rimane sulle dita, sembra acqua, ma è calda, non sta piovendo, è vero, non sta piovendo,  il cielo è illuminato ancora in parte dalle stelle e le nuvole non mugugnano cariche di pioggia. Che cos’è?
Non sta piovendo, sente la confusione crescere e le urla delle emozioni che riecheggiano dentro di lei. Stai ferma. Non muoverti. Non piove.
Un’altra goccia scivola sulla sua guancia, proprio come la prima, quella sensazione di bagnato non le ha colpito solo la guancia sinistra, ora è anche sulla destra e viene da qualche parte, un luogo che non è il cielo, non sono le nuvole, non è il mondo, è un posto più vicino a lei di quanto possa pensare.
I suoi occhi. Sì, quelle piccole gocce calde sgorgano direttamente dai suoi occhi. Com’è possibile? Che cosa sono se non gocce di pioggia?
Gli “altri”, già, gli “altri” avevano anche le gocce di pioggia sulla faccia? Sì, lo ricorda bene, qualcuno di loro aveva il viso bagnato mentre implorava pietà, mentre  invocava chissà quale divinità per avere salva la vita. Ma non erano uguali, o sì? Erano più goffe, più fredde, più grandi e impacciate, sembravano piccole cascate incapaci e scoordinate, mescolate col sangue, intrise di paure.
No, no, assolutamente no, non è la stessa cosa.
Qualcosa gli urla dentro che sta sbagliando, qualcuno gli urla che non è la stessa cosa, che quelle non sono gocce di pioggia. Allora che  cosa sono? Rispondimi, ti prego.
Deve capirlo, vuole capirlo, “lui” tace, le sta dando il tempo di riflettere? Vuole capire, deve capire, non può fuggire da quella cosa, non ci riesce.
Aspettate, per favore, aspettate, smettetela di scivolare, fate male, troppo male.
Non la ascoltano, continuano a scendere, una dopo l’altra, sempre più velocemente,  con più intensità. Alcune cadono a terra, come le gocce di pioggia, altre invece scivolano fino al cuore, lo bagnano, lo feriscono. Basta, smettetela.
Le gocce le stanno assorbendo le forze, si sente debole, frastornata, confusa, terribilmente confusa. La vista è offuscata, la mente annebbiata, che cosa le sta succedendo? Non ce la fa, non riesce più a tenere stretta la presa intorno alla sua amica di metallo, le dita cedono, insieme alla sua volontà.
Cade a terra, il ferro di ghiaccio, cade a terra con un tonfo sordo, metallico, con uno, due, tre tocchi, finché non si ferma sul pavimento. Riflette la luce della luna, è immobile, ma sa bene che sta guardando lei e le sue gocce di pioggia, si beffa di ciò che sta patendo. Non ce la fa più, non si fermano, una dopo l’altra affondano tutte quelle emozioni nelle sue guance, senza alcuna pietà.
 
- G-grazie…-
Ha parlato, “lui” ha parlato di nuovo e ha tossito, la sua voce ha spezzato quel silenzio intollerabile, deve spostare lo sguardo, deve tornare a guardare di nuovo lui e non l’amica luccicante. Che cosa ha detto? Non può esser davvero quello, deve aver sentito male.
- Cosa?- ha parlato, questa volta ha parlato lei, come ha potuto? Le avevano detto di non parlare, mai, e ogni volta era rimasta in silenzio, senza pronunciare neanche una parola, ma il giuramento è andato in frantumi, proprio ora, con una sola domanda. Come ha potuto? Le sue labbra si sono mosse, ha sentito quella forza risalire dalle profondità del suo cuore, colpirle le corde vocali e spingere quei piccoli suoni fuori dalla bocca, leggeri come un sussurro, taglienti come rasoi. La sua voce ha davvero quel suono?
 
- Grazie per tutto quello che hai fatto per me, per ogni singolo minuto che abbiamo trascorso insieme, per tutto quello che mi hai donato. Grazie… Lucy –
Ancora quel brivido gelato, come una valanga si infrange contro la sua povera schiena. “Grazie…Lucy” ripete nella sua testa quella vocina, mentre le gocce di pioggia calde si infrangono contro il brivido ghiacciato.
Le lacrime, le sente scivolare più forte, ormai nessuno può più fermarle, nemmeno lei.
Ecco che cosa sono, lacrime, non gocce di pioggia.
Non è il cielo a piangere, non è lei a piangere, è il suo cuore, la sua anima straziata e dilaniata. Sta piangendo, senza più alcun freno, senza alcun limite.
“Lasciati andare” le sussurra la vocina e questa volta l’ascolta, vuole piangere, sente che tutte quelle lacrime devono uscire, devono vedere la luce.
Gli occhi lucidi vibrano come scossi da qualcosa, la sua espressione cambia lentamente, quella maschera inumana che era la sua faccia sta prendendo vita, muta, vuole dare voce a tutto quel tumulto interiore.
Un passo, ogni lacrima è un frammento del suo cuore che si spegne, un pezzo di quella sofferenza che viene portato via.
Due passi, tutto ciò che sente dentro di sé si sta riversando verso gli occhi, vuole uscire, e le lacrime sono l’unica via di fuga. Ogni illusione si disperde come cenere al vento.
Tre passi, “lui” giace ancora a terra, è diventato pallido, il suo sangue ha formato una strana figura a terra e brilla color porpora sotto i riflessi ambrati della lampada. Non parla più, respira lentamente, sente il suo fiato greve che pesa sulla sua stessa anima.
Quattro passi, è vicina, molto vicina, il suo cuore si è calmato, non batte più come un folle, è pronto a patire l’ultimo colpo, lo sente. “lui” tace, parla ti prego. Questo silenzio uccide, è crudele.
Cinque passi, sta tremando, lo sente, ogni singolo muscolo del suo corpo sta tremando, scosso dai fremiti, scosso dalle emozioni, bagnato dalla lacrime. E’ troppo.
Sei passi, l’ultimo passo, le ginocchia cedono, si lascia andare, non le importa.
E’ lì, ad un soffio da lui, sente ancora il suo respiro, sente il suo cuore, mentre qualcosa dentro di lei sta morendo, lentamente, muore secondo dopo secondo.
 
- T-thomas… – balbetta, ognuna di quelle lettere è un pugnale che le si conficca nel petto, glaciale come la morte stessa. L’ha sentita, sembra essersi riscosso da quel torpore, la sta guardando, pallido, sconvolto dal tocco della cupa signora, ma sorride, continua a sorridere. Non farlo, fa ancora più male, è troppo.
Con le ultime energie si sta avvicinando a lei, smuove la schiena dal suo eterno appoggio e si lascia andare, si lascia cadere in avanti, perché quelle stesse energie si sono esaurite, appassite come rose senza più linfa.
Afferralo, le urla a squarciagola la vocina nella testa e lei lo fa, non può abbandonarlo, non più. Lo afferra, lo stringe a sé con tutte le sue forze, lo abbraccia come a volerlo proteggere da qualsiasi altro male. L’unico male qui è lei.
Un abbraccio eterno, un abbraccio che brucia come l’Inferno e gela come una tempesta di neve, un legame che nemmeno la morte può spezzare, o forse sì? No, urla dentro di sé, non può, non deve.
Il suo cuore batte contro quello di “lui” che risponde sempre più lentamente, sempre più piano. Sente che il suo corpo è freddo, scosso dagli ultimi brividi di quel glaciale riposo che non aveva chiesto, ma che tutti dobbiamo accettare prima o poi.
Sente il calore del suo sangue che le sporca la camicetta, che le imbratta la gonna, che inzuppa le sue vesti, che macchia come monito la sua stessa pelle. Brucia come il fuoco quel sangue, lo sente, dentro di sé qualcuno le dice che non potrà mai lavarlo via. Menti, non è possibile, non è così che doveva andare. Che cosa ho fatto?
Le lacrime continuano a sgorgare dai suoi occhi martoriati e arrossati, non si arrestano e non lo faranno finché anche l’ultima goccia di quella sofferenza non si sarà placata. Abbassa la testa, socchiude gli occhi, non ce la fa più, ha superato il limite, vuole solo lasciarsi andare e restare lì, chiusa in quell’abbraccio per non pensare più a nulla. Sa che non può, chiudere gli occhi non può nascondere ciò che sta succedendo.
 
-Ehi…-
E’ la sua voce, è così vicina, può sentire il suo respiro, ma allora perché sembra così lontana?  Sì è spostato, ha percepito quel vuoto d’aria che li ha separati di un soffio.
E’ la sua voce, la sta chiamando, apre gli occhi, le lacrime le offuscano la vista ma non le importa, vuole vedere, vuole guardarlo dritto negli occhi, ancora una volta
Ha un rivolo di sangue lungo la bocca, i suoi occhi si stanno spegnendo,stanno perdendo quella luce che poteva illuminare la più grigia delle giornate, lo vede, lo sente, lei sta morendo dentro, lui fuori, l’ultimo atto non si può fermare, gli hanno detto così. Non andare, resta con me, non andare.
 
- Non devi piangere, Lucy. Io… io devo solo riposarmi un po’, andrà tutto bene-
Non parlare, basta, non devi più parlare, ogni parola fa male, ogni suono ferisce quel cuore già condannato, smettila, smettila! 
Non mentire, non puoi cambiare quel che è stato fatto, non può fermare ciò che lei ha iniziato. Non voleva, non voglio, perché?
Non chiudere gli occhi, resta qui con me.
Ha sorriso ancora, un’ultima volta, con tutte le sue forze, per un attimo quella strana luce ha di nuovo attraversato i suoi occhi, ha illuminato il suo viso, quel sorriso così sincero e mortale. Non farlo, non sorridere in quel modo, non puoi.
 
-Devo… devo solo riposare un po’…-
Si avvicina, con delicatezza poggia la testa sulla sua spalla, si lascia andare e i suoi occhi si chiudono. No, Thomas, non farlo, ti prego, non arrenderti, non chiudere gli occhi. L’odore di quei capelli scompigliati, il profumo della sua pelle, aspetta, non andare.
Si è lasciato andare, giace contro di lei, tra le sue braccia, immobile, quel piccolo sorriso ancora stampato sul volto, gli occhi chiusi come se stesse dormendo.
Aspetta, non dormire, non chiudere gli occhi, parlami.
Una goccia, due gocce, tre gocce, anche il cielo ha iniziato a piangere, accompagna silenzioso quel suo dolore. Ecco che cos’è, dolore, sofferenza…tanta, troppa tristezza.
Non andare. Ora ci vede, il suo cuore straziato può finalmente vedere la verità, mentre la pioggia tenta di lavare via quel peccato. Non può, è sulla sua pelle.
Non c’è bisogno di parlare, ricordare non serve a nulla, solo le lacrime possono continuare a cadere  e mescolarsi alla pioggia, unite nel dolore, unite nell’amore.
Lo stringe, ancora, quell’abbraccio non deve finire, non doveva finire.
Non risponde, dorme, i suoi occhi non si aprono, il suo sorriso è ancora lì, immobile, proprio come lui. Fuori il cielo piange in una notte ormai senza luna.

Lei socchiude gli occhi e stringe a sé quel suo tesoro, il suo ultimo respiro, il suo unico amore, il mondo intorno a lei tace, non vuole
disturbare quell’ultimo momento, l’epilogo è giunto, accompagnato dalle lacrime, sorretto dal suo dolore.
Fuori il cielo piange e dentro di lei qualcosa muore.
Non abbandonarmi, non lasciarmi da sola.
 

 
 
 

 
   
 
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