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Autore: Clementine Kruczynski    10/11/2014    0 recensioni
Jack si sveglia nel giardino della casa dove è cresciuto. Ha solo vaghi ricordi di ciò che gli è capitato in passato, ricordi sfuocati, echi di una vita lontana.
Intorno a lui tutto è immobile, non c'è traccia di anima viva.
Che gli è successo? Perché è lì? Dove sono tutti?
Nella sua mente le immagini si susseguono l'una all'altra, alla velocità della luce, come lampi senza senso.
Perché essere in quel posto non ha senso.
O invece sì?
Genere: Drammatico, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La casa dove era cresciuto era una villa di un bianco candido, senza nessuna imperfezione.
L'edera saliva da terra fino al tetto, stritolando la casa in un bizzarro abbraccio verde.
Il grande giardino dava su una strada sempre poco trafficata. L'erba era ben tagliata, all'inglese.
Il portico era solido, spazioso. Sotto ad esso vi era una grande veranda che dava sul giardino, molto bella e areata, perfetta per stare al fresco nelle calde giornate d'estate della California.
Non c'era vento, non si muoveva nulla, non vi erano suoni. Tutto ciò era molto strano.
L'aria aveva un qualcosa di stantio, un odore antico, smorzato ma comunque presente, come un ricordo che giace ai confini della mente, quasi dimenticato. Il Sole splendeva pallido nel cielo, quasi come se fosse annoiato, pigro. Brillava il tanto che bastava per illuminare le perfette case bianche sotto di lui, i giardini, le strade di un grigio anonimo, i filari di alberi tutti perfettamente uguali.
Steso in mezzo al giardino della casa con l'edera c'era un uomo sulla trentina, dalla carnagione chiara, gli occhi azzurri come il cielo e i capelli neri. Fissava sconsolato intorno a se, come se cercasse qualcosa, inutilmente.
Guardava la casa con sguardo interrogativo, come se essa potesse improvvisamente aprire la bocca e spiegargli tutto.
L'uomo si alzò in piedi, titubante. Forse aveva paura che le gambe cedessero sotto il suo peso, o che non riuscisse più a ricordare come si camminava. Una volta in piedi si mise una mano in tasca estraendo un portafoglio scuro.
Lo aprì e si mise ad esaminare le carte e le tessere che conteneva, una ad una. Lesse più volte la propria carta d'identità, come se non capisse cosa vi era scritto, come se non ricordasse.
Ad un tratto provò a parlare: aprì la bocca ma nessun suono uscì.
Riprovò e riprovò finché, finalmente, con voce fragile e rotta disse: "Mi chiamo Jack."
Così, come un bambino appena venuto alla luce, Jack ispirò profondamente, come se fosse la prima volta.
I polmoni gli bruciavano, così come gli occhi. Solo in quel momento si rese conto della lunga cicatrice che gli percorreva da una parte all'altra la mano destra. Sembrava vecchia, ma lui non ne aveva alcun ricordo. Era una linea a uncino, di un bianco trasparente che partiva dal polso e arrivava al dito mignolo, attraversando tutto il palmo della mano.
Jack alzò gli occhi al cielo, sperando di vedere qualcosa.
Nemmeno lui sapeva bene cosa, ma sperava. Però nulla solcò l'immobile cielo senza nuvole. Assolutamente nulla.
"Cosa farò adesso?", pensò Jack.
Era un pensiero di una tristezza assoluta, veniva dalla parte più profonda e malinconica parte della sua anima.
"Cosa farò?".
"Andrai avanti", rispose una voce dentro la sua testa.
Era una voce dolce, femminile. Aveva un tono così famigliare per lui, gli ricordava qualcosa.
"Vai avanti", disse la voce.
Poi più nulla.
  
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