Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Monte Cristo    10/11/2014    16 recensioni
Il leggendario signore del Clan di Starbhion ha sconfitto Fenris il Lupo sacrificando la sua mano.
Diciassette anni dopo, però, il suo destino e quello dei suoi figli sembra ancora legato all'antico nemico oltre che all'odio tra Starbhion e gli Shawnnon, i fieri e focosi uomini del Clan rivale.
A chi toccherà stavolta sacrificare qualcosa?
All'invincibile spadaccino primogenito, sposato inspiegabilmente a una donna senza dote né voce? Al focoso Sanguefuoco catturato nelle spire della maledizione di un Nibelungo? Oppure ad terzogenito, lo Storpio? E l'unica figlia femmina di Starbhion reprimerà l'orgoglio e rimarrà a guardare o impugnerà la spada liberandosi così anche del giuramento di Steinn di Shawnnon che la vuole per sé?
In un mondo popolato di Nani maligni, draghi, Annegatrici ammalianti e altri spiriti inquieti, gli uomini dei Clan dovranno affrontare il Fato che gli dei hanno scelto per loro. E alcuni mortali, purtroppo, sono intrisi più di altri nella ragnatela divina.
Undici inverni e ventotto anni basteranno per la resa dei conti?
(Storia scritta per la Challenge: "L'ondata Fantasy" indetta da _ovest_)
Questa storia è in costante revisione. Ogni critica, suggerimento e opinione è ben accolta.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Premessa:

Benvenuti nella storia di Undici inverni. Questo racconto è nato grazie al mio amore per la mitologia norrena e celtica, il folklore britannico e per i maestri Tokien, E.R. Eddison e Cecilia Dart-Thornton. Sono appassionata anche dei libri di George Martin, che mi ha influenzato molto nella scrittura.
In fondo al prologo trovate una lista sommaria di famiglie e personaggi per rendervi più facile individuarli all'inizio. Non mi resta altro che augurarvi: buona lettura!



PROLOGO - Parte I
A.R.A. 136


 

Il passato può essere odioso, le conseguenze terribili.
Ma le azioni sono più importanti.

Poema di Reganar

 

 

Adhwar seppe che avrebbe perduto la mano nel momento in cui si sfilò il guanto destro e lo gettò a terra, dicendo: «Ciò che va fatto, sia fatto.»
Tese il braccio verso il Lupo.
Si fronteggiavano in cima alla collina innevata, circondati da un cerchio di migliaia e migliaia di uomini alla cui testa erano i capi dei Clan da una parte e i capi dei Kinn dall'altra.
In attesa, tutti quanti.
I
l sole brillava sugli elmi e sulle corazze, sui finimenti dei pochi stalloni da guerra smunti sopravvissuti all'inverno e gli eserciti sembravano una baluginante corona posta sul capo incanutito di un vecchio re.
Il Lupo scrutò Adhwar dall'alto dei suoi occhi gialli: occhi ancestrali, di belva in mezzo a una massa di pelo bianco. Per un istante rimasero entrambi immobili, poi il Lupo scoprì i denti in un sogghigno diabolico, spalancò la bocca e circondò la mano di Adhwar con le fauci.
Egli trattenne un sussulto: l'alito della belva era gelido, il rumore del suo respiro forte come il soffio di un mantice da fucina, la mascella spalancata fremeva per la tensione, le zanne snudate.
Adhwar si impose di restare fermo.
Anche i tre uomini che portavano la Catena erano fermi, esitanti mentre guardavano turbati Adhwar, loro signore.
«Sia fatto!» ribadì lui risoluto.
Gli uomini si fecero avanti arrancando nella neve: più che catena, quello che portavano tra le braccia pareva un nastro di seta color del piombo.
“Il rumore dei passi di un gatto, barba di donna, radici di montagna, il respiro di un pesce e latte d'uccello”, questi erano gli ingredienti della catena, a dire dei suoi creatori, i Nani Bruni: avevano usato la magia per incatenare altra magia.
Per incatenare il Lupo.
Gli uomini iniziarono a legare la bestia: il suo corpo era quello di un gigantesco lupo albino ma le braccia e le zampe erano antropomorfe, simili a quelle di un essere umano benché ricoperte di pelliccia: quelle anteriori, insolitamente lunghe terminavano in arti simili a mani ma dotate di artigli mostruosi.
Si era chinato a quattro zampe per lasciarsi legare ma era di tale mole che i tre uomini, sebbene alti, dovettero sollevarsi sulle punte per passargli sulla schiena la Catena. Essa pareva fragile e sottile come pergamena mentre veniva stretta attorno alle immense membra della bestia, e su molti visi degli uomini dei Clan c'erano dubbio e paura.
A metà dell'operazione si fece avanti dal cerchio uno dei Kinn: Eddirming dalla spada dorata. «O signore, tutto ciò non è necessario» disse al Lupo nella Lingua Wyvan, la mano poggiata bellicosamente sull'elsa. «Non lasciare che questi spergiuri dei Clan ti umilino legandoti e imbavagliandoti come uno schiavo. Lascia che siamo noi a far pagare il prezzo della loro blasfemia con il ferro.»
«Tu stai bestemmiando!» ruggì un altro dei Kinn che portava uno scudo carminio con il disegno di tre serpenti annodati. Egli parlava, a differenza di Eddirming, nella lingua comune, sebbene con l'accento aspro delle terre settentrionali, perché voleva che anche i Clan lo capissero. «Hai così scarsa fiducia nel tuo dio, Eddirming? Egli può accettare questa sfida e tutte le altre che gli stolti Clan possano lanciargli. La sua forza divina sempre prevarrà. Già una volta hanno scommesso di riuscire a tenerlo legato ed egli si è liberato. E una volta che avrà spezzato anche questo ridicolo nastro da fanciulle, insieme a noi farà raccolto delle vite di questi spergiuri!»
«Io non metto in dubbio il potere del mio principe, signore e dio» rispose Eddirming corrucciato. «Ma in quel nastro da fanciulle, come lo chiami, sento puzza di inganno e di stregoneria.»
«Se c'è una stregoneria, il nostro signore strapperà via la mano al Cornuto, com'è stato pattuito» replicò un altro uomo con un elmo d'argento decorato con squame di drago e sogghignò in direzione di Adhwar.
Grafeldr, lo riconobbe Adhwar. Non mi ha ancora perdonato per avergli ucciso il fratello nella Battaglia di Ultimo Sole.
Altri uomini dei Kinn guardarono Adhwar con sorrisi sinistri, compiaciuti di quella possibilità: un guerriero senza la mano dominante era come un cavallo azzoppato: senza valore.
A quel punto Steigart di Ednilberg, che se ne stava tranquillo tra le file dei Clan, disse: «Il potere della bestia che chiamate dio dev'essere come il magro stufato di una lepre ossuta che fa tanto fumo ma dà un nutrimento misero. Se fosse grande come dite, perché ha chiesto che tra le sue fauci fosse posta la mano di uno di noi come pegno prima di accettare la sfida e farsi legare? È simbolo d'incertezza: temeva di non potersi liberare e sperava dunque di evitare la sfida confidando che fossimo troppo codardi per accettare di mettergli una mano tra i denti. Ma il timore non è degli dei.»
I Kinn proruppero in un gran clamore di rabbia e cominciarono a insultare i Clan, che a loro volta sollevarono le armi in segno di minaccia.
Gli uomini che stavano legando il Lupo balzarono indietro quando egli, improvvisamente, si scosse ed emise un ruggito che sopraffece le grida di tutti gli uomini.
Cadde il silenzio, e il Lupo intimò nella sua voce aspra e cavernosa: «Silenzio! Tacete voi, miei Kinn. E tacete voi, cani dei Clan!» Poi ad Adhwar sibilò: «Quanto a te, figlio di Heimdall: quando questa farsa avrà fine e mi sarò slegato da questo vostro gingillo ridicolo, rispetterò i patti stabiliti e non ti strapperò la mano. Ma la testa, quella sì! E il cuore dal petto, e lo farò mandare alla tua moglie rinnegata perché lo mostri ai tuoi figli prima che tutti loro seguano la tua sorte.»
Adhwar era immobile, il braccio teso in avanti, la mano e il polso scoperti, con la pelle arrossata dal freddo. Il suo viso era fermo, i suoi occhi fissi sul Lupo.
«Allora spalanca di nuovo le fauci, bestia, e mettiamo fine alla cosa.»
E il Lupo così fece.
Gli fu passata la Catena sul dorso arcuato, sul ventre, intorno al collo possente, alle zampe e al petto, stringendolo tanto da forzarlo a terra, curvo su se stesso, solo la testa levata a tenere la mano di Adhwar alla portata dei denti affilati.
Un ultimo nodo e gli uomini annunciarono finalmente: «Abbiamo finito.»
Ogni mormorio che percorreva gli eserciti si spense d'improvviso. Il silenzio era tanto intenso che si poteva toccare con mano.
Adhwar avvertì qualcosa scivolargli lungo la schiena, sotto la cotta di maglia, e sul viso: sudore freddo. La sua mano doleva per il gelo e la pelle cominciava a farsi violacea.
Adhwar fletté le dita. Le fletté per l'ultima volta, pronto.
Allora il Lupo si mosse.
I suoi muscoli si tesero e si gonfiarono sotto la pelliccia, facendolo sembrare ancora più gigantesco e feroce. Gli uomini intorno indietreggiarono, inciampandosi gli uni sugli altri per tenersi lontani dalla bestia: se si fosse liberata, per i Clan sarebbe stata la disfatta.
Solo Adhwar rimase fermo dov'era: aveva dato la sua parola e un uomo dei Clan mantiene sempre la sua parola. Immobile e muto, vide le grosse vene affiorare sul muso del Lupo e ai lati degli occhi ferini dalle pupille dilatate. Il Lupo ansimò, esalando gelo puro, poi diede uno scossone così violento che la terra tremò.
Ma la Catena non cedette; parve, anzi, allargarsi e poi rimpicciolirsi, malleabile come ferro arroventato. Il Lupo ruggì e di nuovo gonfiò ogni fibra del suo corpo mostruoso e diede un altro strattone.
Nulla. La Catena non si spezzò.
Una terza volta riprovò, stavolta più in fretta, impaziente. La sua bocca iniziava a schiumare di bava che si versò sulla neve e si ghiacciò nell'istante stesso in cui ne toccò la superficie. Iniziò a scrollarsi e scalciare, dimenandosi come in preda a una pazzia furiosa. Ma più tentava di liberarsi, più sembrava che la Catena si allacciasse strettamente, circoscrivendo i suoi movimenti, indebolendolo. E man mano che i suoi sforzi si facevano più disperati, i Clan acquistavano fiducia.
Qualcuno tra loro lo schernì: «Allora, wight? Tu che ti sei elevato a dio non riesci a liberarti di un nastro da fanciulle?»
«Dopo aver unto con il tuo stesso grasso la tua arroganza così a lungo, non te n'è rimasto per lubrificare anche la tua catena? Chissà che così facendo tu non riesca a scivolarne fuori come un ratto da un buco» gridò qualcun altro.
Il Lupo si scatenò in tutta la violenza della sua rabbia: grugnì, ruggì, si contorse finché il laccio non si ficcò così addentro al suo corpo da iniziare a farlo sanguinare. Il Lupo ruggì e lanciò un ululato terribile.
«Guardate, il Lupo sanguina!» urlarono in molti.
Il Lupo, fino a quel momento posto tra gli uomini come divinità e adorato dai Kinn in quanto tale era ora ridotto a una belva selvatica in gabbia, furibonda eppure inerme.
Quando i suoi tentativi si fecero sempre più deboli e infine si spensero in un lungo, esasperato guaito, si fece avanti Dalkmant Mantogrigio dallo schieramento dei Clan e annunciò: «Piangete, Kinn, piangete! Il Lupo è stato incatenato!»
Adhwar disse amaro: «La sfida è persa, Lupo.»
A caro prezzo.
Era il momento, infatti.
Il Lupo, in un ultimo guizzo di rabbia, morse.
Le zanne si chiusero sulla mano di Adhwar.
Adhwar urlò e cadde sulle ginocchia, stringendosi il polso troncato di netto. La neve sotto di lui si macchiò di sangue e divenne poltiglia di porpora. Adhwar gridò e gridò, e insieme alla sua voce si unirono altre grida e il clangore di spade e asce.
I Kinn si erano levati in un grido di rabbia e Grafeldr, l'uomo dello scudo dei serpenti e altri capi del loro esercito avanzarono di un passo sguainando spade e sollevando asce e lance.
«Avete giurato di rispettare la tregua» li redarguì Ohuill dei Clan facendosi avanti per fronteggiarli.
«Quale tregua?» strillò con voce acuta uno dei Kinn, e afferrata la lancia, la scagliò contro Ohuill che non fu abbastanza svelto da alzare lo scudo: fu perforato da parte a parte e cadde nella neve rantolando.
«Non esiste tregua laddove la forma di un dio viene profanata!» gridò il suo assassino. «Che sia morte su di voi, gente blasfema di terre sacrileghe! Che sia...» Una freccia sibilò nell'aria e gli si piantò tra gli occhi.
Haregail Occhiodivento dei Clan ne aveva già incoccata un'altra. «Abbattete questi spergiuri» ordinò freddamente ai suoi uomini, che avevano a loro volta imbracciato i loro archi.
«Gli scudi! Dietro gli scudi!» ruggì Eddirming chinandosi a nascondersi dietro il proprio mentre una pioggia di frecce si scatenava sui Kinn.
«Ai cavalli, Rorarence, ai cavalli!» gridò Saxair del Clan di Rorarence, precipitandosi con gli uomini verso le bestie che erano state lasciate alle pendici della collina.
«Clan, i fanti dietro a me!» urlò un altro, un capitano di Shawnnon.
«Qualcuno porti via Starbhion e il Lupo!» ordinò Harald della Marca del Lago cercando di sovrastare il tumulto che si era generato e di accorrere in aiuto di Adhwar.
Ma nessuno lo ascoltò: i Clan si lanciarono contro i Kinn, e Adhwar e il Lupo che giacevano proprio nel mezzo si trovarono circondati da spade che roteavano nell'aria, lance, gambe, corpi.
Tutto divenne un ammasso confuso. Adhwar fu travolto, poi calpestato, qualcuno lo strattonò giusto in tempo per evitare che un'ascia si abbattesse su di lui. Qualcun altro lo urtò da dietro, gettandolo bocconi nella neve. Adhwar non comprendeva più dove fossero i nemici e dove gli alleati.
Il dolore lo inchiodava a terra agonizzante. Era insopportabile, gelo e fuoco insieme e odore di sangue.
Un'altra botta nella schiena: qualcuno gli era passato sopra; poi un uomo stramazzò al suo fianco, una daga conficcata nella gola.
Adhwar chiuse gli occhi, gemendo. Poi si sentì afferrato per le ascelle.
«Spostatevi! Spostatevi! Fate spazio, per Odino, scansatevi!»
Fu trascinato per un lungo tratto spingendo e imprecando, fino a che capì di essere uscito dalla mischia.
«Starbhion! Starbhion!» gridò una voce nelle sue orecchie mentre qualcuno lo scuoteva. «Devi alzarti, occorre fermare il sangue! Mi senti, Starbhion?»
Adhwar riconobbe Steigart di Ednilberg.
Gli rispose con voce flebile e rauca: «Sollevami da terra e proverò a camminare.»
L'altro era un ragazzino ma aveva una presa d'acciaio: lo tirò in piedi senza delicatezza ma Adhwar scoprì di faticare a reggersi sulle gambe. Allora Ednilberg prese una fiasca appesa alla sua cintura e gliela porse. «Bevi, allevierà il dolore.»
Adhwar bevve e il liquore gli bruciò la gola riarsa e dolorante. La nebbia gli ottenebrò i pensieri, ma anche la sofferenza.
Adhwar non ricordò mai come riuscì ad andarsene dalla battaglia.

 


Note

Questo capitolo è un riadattamento della leggenda del lupo Fenrir che mozzò la mano alla divinità Tyr quando fu legato.
Starbhion, nome ispirato all'eroe Styrbjorn il Forte, eroe di un antico poema scaldico.
wight, nome generico per tutte le creature sovrannaturali, i mostri e gli esseri appartenenti al Piccolo Popolo.
Riguardo la religione: pantheon e festività sono ripresi dalla mitologia norrena e in parte dalle religioni celtiche.
La cronologia degli eventi è divisa in due:

A.R.A. (Anno Reganari Adventi) È il sistema di calcolo annuale che indica gli eventi avvenuti fino alla fine della Guerra dei Nove Inverni; ha come inizio l’arrivo di Reganar, fondatore dei Clan, nelle Terre Alte.
A.L.C. (Anno Lupi Captivitatis) È il sistema di calcolo annuale che indica gli eventi avvenuti dopo la Guerra dei Nove Inverni; inizia con la fine della prima guerra contro il Lupo.


 I CLAN 
Starbhion
Adhwar [AD-var] Starbhion [STAR-bee-on], “il Corvo” e “il Monco”, figlio di Thorsten [
θOR-sten], Capoclan;
i figli Arras [AR-ras], Muirdach (Sanguefuoco) [MWIH-
r-dah], Jadis [Ee-A-dis] “Dolceghiaccio”, Ossian [AW-seeh-an] “lo Storpio”, Haregail II.

Altri:
Roquar [ROW-ku-ar] dei Cavalieri Erranti;
Roquar II “il Muro”, protetto di Adhwar.

Shawnnon
"il Gaurald" [GA-u-rald], "il Cacciatore", Capoclan;
sua moglie Ryonin [REEO-neen] di Dalkmant;
il loro primogenito Ragath [RA-ga
θ] II Shawnnon [SHA-non]; 
Lena [LEH-na] dell'Orovalle, sua prima moglie;
Janar [EEA-nar] di Ramant, sua seconda moglie;
i loro figli Avon [AA-von], Staffan [STAFF-awn] “Spaccaossa”, Steinn [STE-inn] (Sanguefuoco) “Bellachioma”, Tyra [TEEH-ra] “la Preziosa”, Roquar II “il Muro”;
Majda [maa-EE-dah] di Loryonwolk, sua terza moglie;
i loro figli Birgit [BIR-gh-it] “la Delizia”, Vilyan [VEE-leean], Lisbeth [LI-zbet], Rainhold [RA-een-hold] II
Altri:
Haregail [HA-ree-ga-eel] “Occhiodivento”, secondogenito del Gaurald;
Vinhialyenir [vee-nee-HA-lee-e-nir] "il Cigno di Shawnnon", terzogenita del Gaurald;
Harald [HA-rald] della Marca del Lago, quartogenito del Gaurald;
Rainhold, fratello minore del Gaurald;
Haregail II, protetto di Ragath.

Altri Clan: Rorarence [RO-ra-ren-s], Hodbrunn [HOD-brwunn], Laonbrainn [LA-on-breenn], Ednilberg [ED-neel-berg], Dalkmant [DALC-mant], ecc.


La riga iniziale, quella del poema di Reganar non è farina del mio sacco ma una frase riadattata presa da un saggio sull'estetica islandese: i valorosi guerrieri vichinghi di questa remota isola vedevano come bellezza non l'aspetto ma le azioni di una persona. È una filosofia che mi ha sempre affascinato e che volevo assolutamente far emergere dalle righe della mia storia, cercando di imitare le antiche saghe di questo popolo indomito.
Il grande Chesterton disse: «Le fiabe non raccontano ai bambini che i draghi esistono. I bambini sanno già che i draghi esistono. Le fiabe raccontano ai bambini che i draghi possono essere uccisi.» Io vorrei raccontarvi una fiaba di questo tipo, a modo mio, qualcosa che parli di coraggio, che dia speranza e che sia condito con quel pizzico di incoscienza tipico dei grandi eroi.
So che è ambizioso scrivere un tale racconto, ma io confido nel vostro aiuto: spero che troverete questa storia di vostro interesse e che mi lasciate una vostra opinione, negativa o positiva che sia.
A presto.

  
Leggi le 16 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Monte Cristo