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Autore: Flaw    10/11/2014    4 recensioni
Storia scritta per il promt che mi è stato dato dalla pagina "Two Of Us".
Luna, profumo e buio.
Paul non ebbe la stessa fortuna dei suoi compagni, a lui non mancavano parti del corpo, né tantomeno era sfigurato.
Paul l’avrebbe voluto, avrebbe voluto che una lunga cicatrice avesse sfigurato il suo bel volto, avrebbe voluto essere guardato con sdegno e disprezzo, piuttosto che con voglia e ferocia.
Paul avrebbe voluto aver bisogno di una protesi, come i suoi amici del vicolo.
Paul avrebbe voluto far parte del circo, come i suoi amici del vicolo.
Paul avrebbe voluto riscattare la propria vita, come i suoi amici del vicolo.
Paul non avrebbe mai voluto diventare la preda di quella persona bizzarra.
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon, Paul McCartney
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Note dell'autrice: Le metto qui in cima per precisare un po' di cose. Non sono felice di come sia uscita questa one shot, i mesi senza scrivere si notano eccome, sembra quasi una delle mie prime storie, ma sono giorni che ci lavoro e mi dispiace davvero che non sia uscita come mi immaginavo. In ogni caso, il promt mi è stato dato dalla pagina (stupenda) "Two Of Us" ed era "luna, buoio e profumo". Non so se qualcuno legge il manga o vede l'anime di Kuroshitsuji, ma la storia è quasi interamente ispirata alle vicende di Book of Circus, ovviamente con ampie modifiche. Detto ciò, spero che la storia vi piaccia, e mi ritiro a cercare la mia vena creativa per continuare Elysium.


«Ci incontrammo in un vicolo in cui tutte le cose sporche di questo mondo vanno a fare i loro bisogni… Persone i cui corpi mancano qualcosa dalla nascita. Persone i cui corpi rimangono quelli di bambini per sempre. Persone cresciute troppo in fretta. Persone sfigurate dai propri genitori. Tutti, tutti eravamo stati gettati in quel vicolo. Essendo così, non c’era speranza per noi di trovare un lavoro in questa Inghilterra. Non riesco nemmeno a ricordare come facevamo… ma in qualche modo riuscivamo a sopravvivere, nascondendo persino i nostri respiri. Finché, un giorno, una bizzarra persona venne e ci raccolse. Noi, i ratti del vicolo.»(1)

“Imparò a suonare quand’era giovane… Tom era il figlio del pifferaio… e l’unico pezzo che sapeva suonare era ‘over the hills and far away!’”
 

Paul non ebbe la stessa fortuna dei suoi compagni, a lui non mancavano parti del corpo, né tantomeno era sfigurato.
Paul l’avrebbe voluto, avrebbe voluto che una lunga cicatrice avesse sfigurato il suo bel volto, avrebbe voluto essere guardato con sdegno e disprezzo, piuttosto che con voglia e ferocia.
Paul avrebbe voluto aver bisogno di una protesi, come i suoi amici del vicolo.
Paul avrebbe voluto far parte del circo, come i suoi amici del vicolo.
Paul avrebbe voluto riscattare la propria vita, come i suoi amici del vicolo.
Paul non avrebbe mai voluto diventare la preda di quella persona bizzarra.

1898
 
«Tom he was a piper’s son, he learnt to play when he was young…» un singhiozzo seguì lentamente il suono meraviglioso di quella voce angelica. John Winston Lennon gelò sul posto, la mano che reggeva il lume iniziò a tremare nervosamente, suo padre non era in casa, e nessuno aveva accesso alla cantina senza il suo permesso, allora perché qualcuno cantava?
«… and all the tune that he could play, was “over the hills and far away”» Paul strinse maggiormente le gambe al proprio petto, nascondendo il viso fra esse, lasciandosi scappare l’ennesimo singhiozzo. Alzò lo sguardo e lo portò verso il soffitto, facendo saettare gli occhi da una parte all’altra della stanza. Paul odiava il buio, o forse gli mancava semplicemente la luce.
La luce, il sole, l’aria aperta, Paul non ricordava più com’erano fatte tutte queste cose, Paul non ricordava più l’ebbrezza del vento che gli scompigliava i capelli, o il calore del sole sul viso.
Era questo il prezzo da pagare per essere bello? Lui era diverso dai suoi amici, i suoi arti erano tutti al loro posto, il suo corpo era lungo e longilineo, probabilmente era questo il motivo per cui quella bizzarra persona aveva fatto di lui la sua preda?
Perché era esattamente ciò che era successo, Paul era diventato una preda, e nessuno vuole essere la preda di un vecchio depravato.

«Lasciami! Lasciami!» le urla di quel ragazzo dagli enormi occhi verdi erano atroci, Paul continuava a dimenarsi dalle mani del suo aguzzino, urlando e piangendo, mentre veniva posto su una superficie di marmo color oro e spogliato dei suoi abiti. Quando la maglia lasciò il corpo di quel ragazzo di appena sedici anni, il freddo avvolse il suo torace pallido, e fu solo quando qualcosa di estremamente caldo si riversò lungo i suoi fianchi, che Paul inarcò la schiena e si lasciò andare in un urlo straziante.
Il sangue colava lungo il corpo del ragazzo che non smetteva di piangere e chiedere aiuto, curvandosi in avanti e urlando ad ogni laceramento del suo corpo.
«Shh piccolo, non ti ammazzerò mica… avrò bisogno a lungo del mio giocattolo» sussurrò l’uomo dai capelli brizzolati all’orecchio del bambino indifeso, passando le dita lungo il pugnale sporco di sangue, provocando in lui un ribrezzo tale da promettere a sé stesso di uccidere quell’uomo con le sue stesse mani, prima o poi.


Eppure John conosceva quella voce, non la sentiva da anni, ma era sicuro di aver già sentito quel timbro, e quella canzone… solo lui e i suoi amici del vicolo cantavano quella canzone.

Paul guardava i suoi amici tristemente, non mangiavano da due giorni ormai, né un pezzo di pane, né una brioche avanzata, né nulla. Paul sapeva che nessuno di loro era idoneo per rubare, John non aveva un braccio, Richard e Elizabeth non avevano una gamba, George e Hilary non erano cresciuti abbastanza, e Andrew, beh lui era cresciuto troppo. Paul sapeva anche che questo era un peso che gravava terribilmente sull’animo di John.  
John era il più grande del gruppo, ed era sempre stato lui che si era occupato di procurare il cibo ai suoi compagni, ormai suoi fratelli. Ma già da due giorni nessun passante lasciava loro qualche spicciolo, ed il fornaio non aveva più nulla di avanzato da portare ai ratti del vicolo.
«John… è tutta colpa mia» il sussurro del più piccolo del gruppo colpì John come un pugno in pieno petto, che si affrettò a smentire, prima che Paul prese nuovamente parola «Sai che è così, John… è per il mio profumo» continuò ma John alzò una mano, poggiando la punta delle dita sulle labbra perfette e carnose del minore, regalandoli un dolce sorriso «E’ l’unica cosa che non ci fa sentire dei poveri orfani, Paul, la tua pelle che profuma di rosa». Un sorriso si allargò sul viso di Paul che gettò le braccia attorno al collo di John, stringendolo in un abbraccio affettuoso, lasciando che il maggiore del gruppo si inebriasse le narici e riempisse i propri polmoni con il profumo emanato dalla pelle del ragazzo.
Era questo che, secondo John, rendeva Paul speciale. Non importava quanto fossero sucidi i suoi panni o quanto nere fossero le sue dita, la pelle diafana del minore emanava una fragranza tutta sua, simile a quella di una rosa. Ed era la stessa ragione per cui, molti dei passanti, lo consideravano solo un farabutto, che troppo pigro per lavoro, andava in giro a scroccare i soldi dei poveri nobili inglesi.


Il ricordo investì John come un treno in piena, che si fermò di scatto davanti alla porta in mogano che dava sulla cantina, continuando ad ascoltare la voce rotta e singhiozzante provenire da dentro di essa.
Era… Era Paul, John ne era sicuro, ma suo padre, loro padre, avrebbe mai potuto fargli questo? A lui, al suo figlio più fedele? A Paul? A George e Hilary? A Richard e Elizabeth? A Andrew? No.
Loro padre era un filantropo, aveva dato a lui e ai suoi fratelli delle gambe, della braccia, una nuova vita. Li avevi portati nel suo orfanotrofio, li aveva cresciuti con amore, aveva fatto di loro i circensi più importanti di tutta la Londra vittoriana, perché avrebbe dovuto mentirgli?

La pioggia cadeva incessante in quell’uggioso pomeriggio inglese, Paul era stretto al corpo di John, che cercava in ogni modo di coprire entrambi con un misero scatolone, lo stesso facevano i loro amici del gruppo. Ma Paul era davvero ammalato, la sua pelle era congelata, e John poteva sentirlo attraverso la stoffa dei vestiti.
«Bambini… venite con me» quella voce, quel sorriso fiducioso, quella gioia negli occhi e quel perbenismo nei gesti. Nessuno nobile si era mai preoccupato di loro, nessuno si era mai premurato di salvarli da una morte ormai certa, lui, solo lui. Aveva aiutato i ragazzi a salire in carrozza, li aveva portarti un enorme struttura all’aria aperta, aveva dato loro dei letti, un bagno, dei vestiti, ma soprattutto aveva regalato loro delle gambe e delle mani, ridandogli quel futuro che fu loro strappato ancora troppo piccoli.


No.
Paul era morto.
Suo padre glielo disse con occhi pieni di lacrime, disse che Paul si era tolto la vita gettandosi nel fiume, e John sapeva che era così. Chiuse gli occhi per molti secondi,  cercando di far cessare quella voce così familiare, di far frenare quella canzone che Paul aveva insegnato ad ognuno di loro, e che cantava ogni volta che qualcuno era troppo giù di morale per poter parlare.
«Over the hills and a great way off, the wind shall blow my top-knot off…» Paul sospirò tremolante e alzò il viso verso la finestra chiusa, leccandosi le labbra rotte una, due, tre e mille altre volte, passandosi le dita tremolanti sotto gli occhi, cerchiati da due enormi lividi violacei, asciugandosi le lacrime calde, che solcavano le sue guance velocemente. Sembrava così stupido continuare a piangere dopo anni e anni di abusi, e quello che Paul ringraziava, l’unica cosa, l’unico filo di ragnatela a cui Paul si aggrappava, era l’assenza di abusi sessuali. Forse avrebbe fatto più male; più male di qualsiasi taglio inflitto sull’addome pallido, più male dello stemma marchiato a ferro e fuoco sulla schiena, che mostrava a tutti la sua appartenenza al barone, più male di mille coltelli, più male di mille gocce di sangue.
«Tom with his pape made such a noise, that he pleased both the girls and boys, they all stopped… - un singhiozzo interruppe quel canto meraviglioso, prima di riprendere – to hear him play, ‘over the hills and far away’».

John guardava Paul e Elizabeth seduti su una panchina nell’immenso giardino dell’orfanotrofio intenti a guardare i bambini correre e giocare felici fra l’erba verde, rincorrendo una farfalla rosa. John notò la tristezza negli occhi di Elizabeth, così le scompigliò dolcemente i capelli, indicandole con un sorriso i bambini «Vuoi andare anche tu, vero?» chiese con la solita premura nella voce che aveva fatto di John il fratello maggiore di ognuno di loro. «Ehi Andrew! –chiamò con una mano vicino alla bocca l’omone che si voltò subito a guardarlo – porta a Elizabeth a giocare con gli altri!» urlò ancora, ridendo dolcemente quando Elizabeth, una volta salita sulle spalle di Andrew, arrossì visibilmente, prima di lasciarsi andare a giocare con gli altri bambini. John si voltò poi verso Paul, che guardava la scena con un dolcissimo sorriso, che l’aveva sempre contraddistinto, prendendo il posto di Elizabeth. «Se avessi il braccio sinistro, prenderei anche a te in braccio, sai?» sussurrò il ragazzo dai lunghi capelli ramati, facendo arrossire il ragazzo affiancò a sé che chinò il viso in imbarazzo, prima di voltarsi a guardare l’altro con dolcezza negli occhi «Beh… io ho entrambe le gambe, non ne avrei com-» la mano alzata di John interruppe il discorso di Paul, che si perse nel sorriso rassicurante del maggiore e chinò nuovamente il viso, lasciando che il caldo e confortante petto di John lo accogliesse comodamente, mentre la mano si perdeva fra la massa di capelli neri, morbidi e profumati. «Goditi il giorno Paul, la luce è così bella» bisbigliò delicatamente il maggiore all’orecchio del moro, suscitando in Paul l’ennesimo sorriso che riscaldò il suo cuore «Forse non hai mai guardato la Luna, John»

John portò la mano sul pomello in oro della porta che conduceva in cantina, cercando di non far tremare il proprio arto naturale, aprendo piano la porta, sentendo il canto cessare all’istante. Paul si era completamente appiattito nel muro non appena il rumore della porta che si apriva aveva raggiunto le sue orecchie, non era pronto per essere preso nuovamente, l’ultima sua ferita ancora sanguinava, e non importava quanto il piccolo premesse la stoffa bianca contro la ferita, il sangue continuava a fuoriuscire a fiotti dalla pugnalata inflitta. «C’è… c’è qualcuno?»
Silenzio.
Una scarica elettrica attraversò Paul in piena.
Quella voce.
La sua voce.
«J-John?» il sussurro appena emesso arrivò alle orecchie di John come se gli fosse stato urlato con tutta l’aria nei polmoni. Gli occhi di Paul non riuscivo ancora a riconoscere la figura che teneva in mano il lume, ma Paul sapeva, Paul sentiva che era lui.
John era la sua luce, John era la sua luce da sempre.
John di canto suo era rimasto completamente immobile, la mano tremante e gli occhi sbarrati fissi nel vuoto, pronti a riempirsi di lacrime.

«Padre! Padre!» John corse a perdifiato fino a raggiungere la figura del barone, fermandosi con il fiatone, passandosi una mano fra i lunghi capelli e fissando con occhi preoccupati l’uomo avanti a sé «Padre… dov’è Paul? Io… io non lo trovo da stamattina e voglio fargli vedere il nuovo braccio che mi avete donato –esclamò alzando in aria il braccio di pura porcellana – così potrò finalmente prenderlo in braccio». Il barone poggiò delicatamente una mano sulla spalla di John, scuotendo la testa disperatamente, cercando di frenare le lacrime che gli solcavano il volto «Mi dispiace John… io credevo… io credo di averlo reso felice!» il barone quasi urlò, crollando in ginocchio e reprimendo un sorriso sotto i baffi per quanto bene potesse recitare. John fece un passo indietro, gli occhi sbarrati e pronti a riempirsi di lacrime «Si è… si è buttato nel fiume, lo hanno visto i suoi compagni… John!» il barone balzò in piedi e guardò il ragazzo dai lunghi capelli ramati correre lungo le colline che ospitavano l’edificio dell’orfanotrofio «Corri figliolo – sussurrò malignamente il barone, sorridendo sghembo – non sentirai più il suo profumo di rosa».
John non smetteva di urlare da ormai cinque minuti buoni, le sue urla strazianti avevano permesso agli altri del gruppo di raggiungerlo, volevano solo piangere tutti insieme ed essere consolati dal maggiore, ma a quanto pare, John era quello più distrutto.
«Vaffanculo! Vaffanculo!» urlò ancora, non smettendo mai di piangere, le lacrime solcavano gelide il suo viso, diventando incandescenti a contatto con la pelle delle guance «Perché mi hai fatto questo, perché Paul, perché?» le urla man mano si affievolirono, gli altri guardarono John crollare, cade in ginocchio e fissò la Luna alta in cielo, le labbra tremanti e la mano destra a stringere i fili di erba fra le dita «Non dovevi farmi questo… bastardo…» sussurrò fra le lacrime, guardando la Luna piena e cacciando un ultimo, disperato urlo «Avevi promesso che non mi avresti abbandonato! Dove sei ora? Dove sei?». John sembrava impazzito, le sue urla erano diventate troppo acute, e Andrew era dovuto correre a fermarlo, cercando di placare il suo dolore, mentre il resto del gruppo, disperato, cercava di fermare il pianto.


«Devo… devo essere impazzito» John scosse la testa, era un periodo stressante per lui, e ogni qual volta fosse stressato il pensiero di Paul tornava nitido in lui. Certo, non gli era mai capitato di immaginare di sentirlo, o addirittura di intravederlo nel buio. Ma quando si voltò, un respiro pesante, una voce flebile e un piccolo sussurro gelò John sul posto «John… John portami via» la voce di Paul tremava e suonava debole, quasi finta, era troppo sottile per poter appartenere a qualcuno. E John non si voltava, John era convinto che fosse tutto frutto della sua immaginazione, quella voce non poteva essere reale, Paul era… Paul era morto.
Quando il suono dei passi lenti e strascinati si fecero più reali, John immaginò di crollare lì, per le scale, rompendosi ogni singolo osso del corpo «John non… non lasciarmi più qui… ti prego». Paul non fece un altro passo perché ogni forza lo abbandonò e lui crollò in ginocchio, tossendo pesantemente e sputando sangue dalla bocca. Il sapore metallico gli fece rigirare gli occhi, nonostante si fosse ormai abituato ad esso, era qualcosa che la sua gola ancora non accettava «Aiutami ti prego…».
Un’improvvisa folata di vento spalancò la finestra, mostrando la Luca piena che risplendeva nella notte, circondata dalle stelle che quella notte sembravano brillare più del solito. E fu solo il vento che riempì le narici di John del profumo di rosa, fu solo la Luna che squarciò il buio di quella cantina, illuminando la figura martoriata e debole di Paul.
«Paul!» John scese le scale velocemente, chinandosi in ginocchio davanti al ragazzo e prendendogli il viso fra le mani. No, era un sogno, John sapeva che a breve si sarebbe svegliato, avrebbe aperto gli occhi e si sarebbe trovato nel proprio letto caldo, al sicuro da tutto, e lontano dalla figura martoriata di Paul. «Paul…» sussurrò prima di mordersi le labbra e lasciare che, per l’ennesima volta nella sua vita, le lacrime solcassero il suo volto, mentre le dita della mano destra andavano a sfiorare ogni singolo lineamento del viso del piccolo McCartney.
Era lui, erano i suoi occhi, solo spenti e circondati di viola, erano le sue guance, piene di lacrime e graffi, ma piene e pallide, era il suo naso, diritto e dalla forma perfetta, erano le sue labbra, rosse per il sangue che colava da esse, ma piene e morbide. «Scricciolo…» Paul sorrise debolmente al nomignolo che John gli diede solo una volta nella loro vita, poggiando una mano sul braccio in porcellana e sorridendo commosso, chinando il viso e iniziando a singhiozzare «Ora… ora sei completo, John» fu l’ultimo sussurro che Paul esalò, prima di perdere i sensi fra le braccia del ritrovato amore.
 
~
 
Quando Paul riaprì gli occhi si guardò intorno confuso, strizzando gli occhi infastidito e coprendosi la visuale con la mano, dov’era finito il buio che da anni l’aveva circondato? Il buio che, ormai, circondava la sua anima.
«John! John si è svegliato» Paul sobbalzò quando riconobbe la voce di Elizabeth, aprì del tutto gli occhi e si guardò intorno, ritrovando dopo anni il sorriso raggiante, seppur debole, che l’aveva sempre caratterizzato. Non ci poteva credere, c’erano tutti, Elizabeth e Richard, George e Hilary, Andrew e infine… eccolo lì. Paul guardò John per minuti interminabili, guardò i suoi occhi e si perse in essi, da quanto non li vedeva? Da quanto tempo il buio gli aveva impedito quella visione perfetta?
Quando il gruppo lasciò la sala, lasciando i due da soli, John si sedette sulla sedia vicino al letto, poggiando una mano sulla guancia del ragazzo dai capelli nerissimi, strusciando il dorso contro la pelle perlacea, prima di posargli un lungo e dolce bacio sulla fronte, solo dopo avergli spostato delicatamente i capelli «Se… se non profumassi così, Paul, saresti morto lì sotto, sai?».
Paul sorrise nuovamente, prendendo il braccio di John e baciandone il dorso della mano, poi il polso, su fino al gomito, tirandolo poi verso di sé, gettandogli le braccia intorno al collo e abbracciandolo con le poche forze che aveva recuperato grazie alle cure del dottore e alle ore di sonno.
«John…?»sussurrò il minore contro la pelle del collo del maggiore, sorridendo «Portami a vedere la Luna».


(1) Citazione di Joker, personaggio, appunto, di Kuroshitsuji.
   
 
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