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Autore: EllieMarsRose    10/11/2014    0 recensioni
[The Quireboys]
[The Quireboys][The Quireboys]Blu; il colore profondo di quegli occhi che osservano il mondo. Che vedono la vita dispiegarsi in un modo odioso, a tratti inaccettabile.
Spike si separa dal suo grande amore e sembra non volersi più appassionare a nulla.
Ma i suoi amici gli insegneranno a rimanere a galla, nonostante la vita voglia a tutti i costi voltargli le spalle.
...
Spike guardò l'amico ravvivarsi i capelli rossi: «Leah mi diceva sempre che l'essenziale è invisibile agli occhi»
«Aveva torto» Tyla si rigirò fra le mani la bottiglia di Chardonnay «io l'essenziale l'ho sempre trovato qui dentro»
(cit. capitolo #5 "Pianto")
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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09 AmarezzaGuy diede una lunga sorsata alla sua birra mentre cercava di scaricare il nervosismo. Si guardava intorno, con il piede che frenetico tamburellava contro la gamba del tavolo; fissava i propri compagni di band seduti al tavolo con lui, che festeggiavano e brindavano in continuazione. In particolare guardava Spike, seduto dritto davanti a lui, che cingeva le spalle di Ginger con il suo braccio e seguitava ogni due secondi ad alzare il bicchiere verso il soffitto. Era felice, si vedeva; lo erano tutti, in realtà. Da quando quel vecchio compagno di scuola era entrato nella band, in pochissimo tempo erano arrivati un contratto discografico, promosso proprio da "Mayfair" che i due avevano composto, un videoclip da girare e, soprattutto, una marea di concerti in più. Doveva essere felice anche lui, il suo sogno di campare di musica stava diventando sempre più palpabile ed invece era lì, quasi isolato, che beveva la sua Tennent's con i nervi tesi come fili dell'alta tensione. Di nuovo un altro sorso di birra e le sue iridi castane che fissavano Ginger, il suo compagno di sei corde: non gli piaceva, non gli era mai piaciuto e, molto probabilmente, non gli sarebbe mai andato a genio. Ma non era questione di "sentirsi messo da parte"; gli altri, Spike compreso, avevano sempre mantenuto lo stesso atteggiamento nei suoi confronti. Quello che lo infastidiva davvero era il comportamento dell'ultimo arrivato: sempre pronto a sbeffeggiarlo, a schernirlo in modo velato; magari per il modo in cui si vestiva, magari per il suo modo di essere naturalmente un po' burbero oppure - e questo non lo sopportava - per il suo modo di suonare. Gli altri non se ne accorgevano quasi, ma lui sentiva tutte quelle frecciatine conficcarglisi sotto pelle e provocargli un prurito crescente. Espirò pesantemente e si alzò dalla sedia: «Vado a fumare».
Camminò fino al bordo del marciapiede e, dopo essersi lasciato il locale alle spalle, con gli occhi fissi verso la strada, si accese la sua sigaretta. Sentiva il fumo caldo scendergli giù nei polmoni che lo accarezzava e cercava di calmarlo, quando una voce alle sue spalle lo fece voltare: «Ehi Guy, cos'è tutto questo silenzio?». Spike era arrivato senza farsi sentire e anche lui stava per unirsi a lui in quel rito di rilassamento; fissò la fiamma dell’accendino poi rivolse i suoi occhi blu al coinquilino, attendendo una risposta.
Il chitarrista scosse il capo deglutendo una boccata di tabacco, come se volesse minimizzare il suo non essere partecipe, ma sapeva bene che quegli occhi blu, innocenti come li descriveva lui, non gli lasciavano scampo. Il cantante capì immediatamente qual era il problema:
«Da quando c'è Ginger sembra quasi che...»
«Ha qualcosa che non va» lo interruppe Guy con un tono di voce che non ammetteva repliche. Picchiettò con l’indice la Marlboro e guardò Spike dritto negli occhi; tutta quell’innocenza e benevolenza che li riempivano quasi lo commuovevano, ma sapeva bene che, in questo caso, doveva vomitare la verità e metterlo al corrente del reale corso delle cose. Così come aveva già fatto per metterlo in guardia da Leah: «È come se nascondesse qualcosa... come se fosse marcio».
«Marcio?» ripeté Spike incredulo «Impossibile, non Ginger».
Guy annuì, respirando dalla sigaretta: «Facci caso: cerca sempre di sminuirmi, di criticare il mio modo di essere e suonare. Non si può piacere a tutti, è vero, ma mi sembra che lui manchi di obiettività». Spike fece per ribattere, per dire che forse stava esagerando, che Ginger scherzava solamente, ma il chitarrista proseguì: «Ma poi, quello che più mi fa rabbia, è che pretende sempre di andare lui a prendere il cachet».
Spike, di nuovo, cercò di difenderlo: «Non è che lui pretende... è che si presta»
«Può darsi, ma mancano sempre soldi».
Il cantante rimase senza parole; adesso non aveva davvero nulla con cui scagionare Ginger. Non che dai compensi mancassero grandi somme, erano sempre una decina di sterline circa; però, obiettivamente, venivano immancabilmente tolte.
Per il servizio bar, diceva lui, effettivamente beviamo tanto.
Ma, da accordi, le bevande dovevano essere gratis; fosse stata soda, birra o anche il whisky più costoso della loro cantina. Spike si mordicchiò il labbro: era strano. Ed era ancora più strano il fatto che nessuno di loro se ne fosse accorto; o, magari, non avesse dato il giusto peso alla questione. Guy fece un respiro profondo: «Vedrai, succederà anche stasera».
«Secondo me no» il cantante lanciò la sigaretta in mezzo alla strada e facendola spegnere da una macchina in corsa «Te la stai prendendo un po' troppo, per cosa poi...».
Guy corrugò le sopracciglia: «No. Non capisci. Non è il fatto che ha suonato la mia bimba senza permesso o che mi ha preso la birra dal frigo o che, ancora, mi ha sfiocchettato il jack l'altra sera a fine concerto. Non sono questi singoli episodi, anche se l'avrei pestato molto volentieri. È tutta la situazione, nel complesso. Non va Spike, non va. Ha qualcosa di sbagliato».
Spike scosse il capo, amareggiato; abbassò gli occhi e fece un passo per ritornare nel pub: «Non pensavo potessi essere invidioso, Guy. Sono...» deluso? Incredulo? Attonito? Non lo sapeva. L'unica cosa di cui era certo era che questa situazione gli creava ansia. Il cantante desiderava che anche Guy apprezzasse Ginger, ma invano. Ma, come era già capitato per Leah, improvvisamente, una voce "antagonista" urlò alla sua mente che forse Guy così torto non aveva. In fondo, lui stesso aveva notato che Ginger non era più lo stesso di quando andavano a scuola a Newcastle; sembrava essere più sfacciato, con meno scrupoli. Rabbrividì mentre tornava verso il tavolo: ecco che ritorna quella schifosa sensazione di cattivo presagio. La stessa che avevo provato per Leah.
Al momento della chiusura del pub, mentre tutti stavano smontando e caricando la strumentazione, Ginger diede in mano la propria chitarra a Spike e gli disse di caricarla al posto suo poiché sarebbe andato a ritirare il compenso per il concerto. Non appena quelle parole giunsero alle orecchie di Guy, il chitarrista si spicciò a caricare il suo amplificatore e fece finta di correre in bagno per la troppa birra bevuta. Spike lo guardò camminare con passo spedito verso la grande sala del pub, corrugando le sopracciglia e con un crescente senso di inquietudine.
«Ehi» Nigel vide il cantante assorto nei suoi pensieri e cercò di attirare la sua attenzione «secondo me stasera prenderemo cachet pieno; non abbiamo bevuto molto, a parte Guy che si è scolato sei birre». Spike si limitò a mugolare, così il bassista proseguì: «Sai, se dovessimo calcolare quante decine sterline abbiamo perso per la nostra sete d’alcol, a quest’ora avremmo già degli amplificatori nuovi ed anche un mixer decente».
«Già» Spike sospirò e, tenendo il capo chino, caricò la chitarra di Ginger, con la crescente sensazione che di lì a poco qualcosa sarebbe andato storto.
Intanto, all’interno del pub, appena girato l'angolo per il corridoio del bagno, Guy si fermò e fece capolino con le orecchie tese; vide Ginger ringraziare con un sorriso falso il gestore, un uomo immensamente grosso, e quest'ultimo che si allontanava per andare nel retrobottega. Il ragazzo alzò per un attimo lo sguardo e poi si mise a far frusciare le banconote fra le dita; le contò due volte, prima in un verso ed in seguito nell'altro, poi sfilò una banconota da dieci sterline e la nascose fulmineo nell'elastico dei pantaloni. Guy digrignò i denti e dovette chiamare a raccolta tutta la calma in suo possesso per non tirargli immediatamente una manata fra capo e collo e prenderlo poi a calci. Si accontentò di uscire semplicemente allo scoperto e di bloccargli il passaggio: «Sistema subito».
Il tono con cui aveva pronunciato quelle parole non ammetteva repliche. Ginger si fermò, con lo sguardo fisso sui soldi; si soffermò per qualche secondo a guardare la Regina Elisabetta, che lo fissava ricamata con colori diversi, poi ebbe il coraggio di reggere lo sguardo di Guy, nascondendosi dietro un ciuffo mogano che gli rotolava sulla fronte.
L’altro chitarrista fece un passo verso di lui e lo afferrò per il colletto della giacca, alitandogli in faccia la sua rabbia come un serpente: «Hai sentito quello che ti ho detto, o devo chiamare qualcuno per farti pulire le orecchie?».
«Levami le mani dosso Bailey, puzzi di birra» Ginger si attaccò ai polsi dell'altro cercando di allontanarlo, ma con scarso successo.
Nel vedere che tentava di ribellarsi, Guy lo mise violentemente al muro, generando un tonfo che fece vibrare le assi di legno che lo rivestivano; gli si fece ancor più vicino al viso, sentendo la propria temperatura corporea salire: «Rimetti a posto i soldi che hai preso».
«Sei ubriaco secco, non ho preso nulla» disse l’altro chitarrista a denti stretti.
«Potrò essere ubriaco» Guy aumentò ancor di più la pressione «ma ci vedo da dio».
Ginger, con le spalle al muro, cercò di discolparsi: «Mi spettano quelle sterline».
Guy, livido, alzò il tono di voce: «Ci spettano in ugual misura, stronzo».
«Attento a come parli, bastardo» finalmente Ginger riuscì a spingerlo via da sé e a fargli picchiare il fondoschiena contro una sedia  «ugual misura un cazzo».
Il proprietario abbandonò il retrobottega, preoccupato dai rumori che provenivano dalla sala, appena in tempo per vedere Guy rilanciarsi contro Ginger e rovinare a terra insieme a lui: «'Sti ubriaconi!». Con la pancia prorompente ancora fasciata nel grembiule da lavoro, corse intorno al bancone e cercò di interporsi fra i due ma con scarso successo; si mise in mezzo proprio nel momento in cui il pugno di Ginger, diretto allo zigomo di Guy, lo colpì in pieno viso, facendolo retrocedere con il sangue che iniziava a colargli dal naso. Emise un grugnito degno di un orso bruno guardandosi le mani sporche, poi afferrò entrambi i ragazzi per le braccia sbraitando: «Se volete far rissa, ve ne andate fuori sul marciapiede. E se mi avete danneggiato qualcosa, mi riprendo i soldi che vi ho dato».
«Meno dieci» Guy allungò la mano libera verso la vita dei pantaloni di Ginger, ma l'altro gli bloccò il polso girandogli malamente la mano e facendolo urlare: «Figlio di puttana, MOLLAMI!».
«Di' ancora una parola e ti giro il polso sottosopra, così per il prossimo mese non suoni più, pezzo di merda».
Il padrone del pub stava per picchiare insieme i ragazzi alla pari di due cimbali, quando arrivarono di corsa Nigel, Spike e Rudy, attirati dal fracasso.
Il cantante fece saltar fuori gli occhi blu dalle orbite: «Ma cosa state facendo?».
«Fuori dai coglioni, subito!» il padrone del locale aveva le labbra ormai completamente ricoperte dal proprio sangue e fissava Ginger in cagnesco «Prima che chiami la polizia e ti denunci per aggressione immotivata».
Il respiro di Spike si bloccò per lo stupore; non è possibile che Ginger abbia intenzionalmente colpito lui! «Aspetti, aspetti, se ne parliamo possiamo...»
«Sta' zitto Jon, per dio, taci!». Guy aveva strillato con tutta la forza possibile; ritrasse la mano dalla morsa di Ginger e poi guardò Spike dritto negli occhi: «Qui non c'è bisogno di parlare» spostò lo sguardo sul bassista: «Nessuno deve essere difeso».
Nigel e Rudy si sentirono raggelare; in un istante capirono che Ginger li aveva traditi.
Spike rimase di sasso. Non può essere vero. No, Ginger non ne sarebbe capace. Tenne per qualche secondo la bocca chiusa, poi, a passo spedito e pesante, con gli stivali texani che rimbombavano contro le assi del pavimento, si diresse verso Guy e gli parlò dritto in faccia con un filo di voce, mal celando il nervosismo: «Certo che sei davvero subdolo, da te non mi sarei aspettato una cosa simile! Tutto questo casino per cosa?» deglutì con difficoltà; colpa del cuore che gli stava ostruendo la gola: «PER GELOSIA?». Quasi fischiò quelle ultime due parole. «Sai bene che non devi, siete due chitarristi eccezionali...»
«Questo lo so» lo interruppe Guy, poi aggiunse: «ma il tuo compagno di scuola è proprio un uomo di merda» Capiscila Jon, per dio! Non so più come dirtelo.
Ginger fece per graffiargli il viso, ma il padrone del locale, che ancora teneva i due, gli diede uno strattone con cui lo fece finire a terra; poi mollò Guy e si affrettò a mettere un piede sull'altro ragazzo, proprio sulle palle, impedendogli così di muoversi: «Se solo provi a rabbrividire, faccio una bella marmellata con i tuoi gioielli».
Spike era sempre più senza parole; guardava Ginger a terra, tremante e bianco in viso, con le palle quasi schiacciate da un energumeno che era tre volte lui e Guy che si avvicinava a loro due, lentamente. Cercò di fermarlo: «Adesso basta Guy!». Fece per allungarsi verso il chitarrista, voleva assolutamente chiedergli spiegazioni, ma Nigel gli mise una mano sulla spalla; Spike si voltò a guardarlo, con gli occhi blu che cercavano spiegazioni. Il bassista si limitò a scuotere il capo in silenzio. Il cantante smise di respirare mentre si voltava a guardare i chitarristi, con il cuore che gli rimbombava inspiegabilmente sempre più potente nelle orecchie. Vide il coinquilino chinarsi all'altezza dell'elastico dei pantaloni di Ginger, allargare e sfilare una banconota da dieci sterline. Lo stomaco si contrasse in una morsa dolorosissima che gli fece salire le lacrime agli occhi. In un secondo collegò le parole di Guy con il comportamento di Ginger e capì per quale motivo il suo vecchio compagno di scuola, quella sera in cui si erano rivisti fuori dal Dark Crimson Velvet, si era preso un cartone dal poliziotto nel vicolo. Aveva rubato. Ginger ruba. Ha rubato fino ad ora. Ha rubato ai locali che frequenta. Ha rubato perfino a me, che siamo amici da una vita. Ha rubato i soldi che ci siamo guadagnati insieme. Mentre quelle parole gli rimbombavano nella mente, il cuore prese a battergli così forte che la testa cominciò a girare come un uragano. La nausea cominciò a farsi sentire sempre più prepotente, insieme con il sapore della birra parzialmente digerita che saliva per l'esofago, accarezzandogli il palato; il sapore della delusione. Lo stesso di una sbronza finita male. Gettò giù nervosamente il conato di vomito che cercava di farlo soffocare e guardò Ginger dritto negli occhi: «Perché?».
Il silenzio scese mentre il sangue che scorreva nelle vene di Spike faceva sempre più rumore. Nessuno si mosse, solo il gestore del locale sparì per andare a pulirsi il sangue dal viso; tutti fissavano quel ragazzo con i capelli ribelli e mogano, che si stava rimettendo seduto. Il cantante, pilotato dai suoi sentimenti di delusione, lo rimise in piedi con forza, sollevandolo malamente per un gomito: «PERCHÈ GINGER?».
Il chitarrista rabbrividì leggermente; fu solo capace di dire: «Mi servono».
«Servono anche a noi, pezzo di stronzo» Guy stava per rimettergli le mani addosso quando Nigel bloccò tutti, dicendo di lasciarlo parlare.
«Mi servono… faccio fatica a tirare avanti». A Ginger tremavano le mani.
Spike si sentì soffocare; oltre il danno, la beffa. Il mio amico non si fida di me. «Te li avrei prestati volentieri, se li avessi chiesti». Il suo tono di voce si faceva sempre più acuto e le sue pupille sempre più piccole, mentre nella mente si accavallavano mille pensieri, uno più doloroso dell’altro. Ginger ruba, Ginger mente, Ginger non si fida di me. Il tutto stava sfiorando l’assurdo.
Anzi, lo sfiorò: «Chiudi la bocca Spike». Ginger, sprezzante, lo guardò con odio non giustificato: «Sei squattrinato almeno quanto me e poi, ti prego, chi ha scritto “Mayfair”? Chi ha scritto il singolo che ti sta facendo guadagnare?».
Il cantante si sentì raggelare il sangue, mentre il parquet sotto i suoi piedi si sgretolava alla velocità della luce; aveva paura di sapere cosa stava per dire il chitarrista.
«Quei soldi, oltre che a servirmi, mi spettano» Ginger fece un passo verso di lui con l’indice puntato contro il suo petto «Hai capito che MI SPETTANO?».
Quelle parole taglienti come lame, lanciate contro di lui con violenza ed astio, spensero per un attimo il cervello di Spike. Era la nostra canzone quella. NON LA TUA, LA NOSTRA. Vide letteralmente nero per pochi secondi, giusto il tempo di sbattere le palpebre per cercare di far luce. Quando le riaprì, Ginger era inginocchiato a terra che si teneva il muso fra le mani e le nocche della sua mano destra erano imbrattate di un liquido rosso scuro e appiccicoso. Sangue. Le membra erano tutte un tremito e lacrime colme di delusione iniziavano a scendere copiose dai suoi occhi. Prese fiato come se dovesse andare in apnea per sempre: «Sei fuori. Fuori dalla band, fuori dal pub, fuori dalla mia vita. FUORI!». E poi corse via, diretto da nessuna parte, lasciando gli altri membri della band soli con Ginger. Di sicuro, anche loro avranno da dire qualcosa. E prese a correre per le strade buie di Londra, con le lacrime che si mescolavano alla pioggia ed il sangue che, dalla mano, colava sul marciapiede, maculandolo in modo irregolare.
   
 
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