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Autore: Blackmoody    11/11/2014    1 recensioni
Sedici anni, fornita di un aspetto assai grazioso e di una smodata passione per il basket, Rumiko Ishida si ritrova a fare i conti con uno dei clichés più frequenti nella vita di un'adolescente: l'improvviso trasferimento del padre, promosso a direttore bancario in una filiale nella prefettura di Kanagawa. E con tutti i licei dotati di rampanti squadre cestistiche ivi presenti, dove la vanno a iscrivere gli ignari genitori? Sì, ci avete preso: allo Shohoku. Da lì, il resto verrà da sé.
Mia vecchissima storia – leggera, devota e disimpegnata – che (ri)propongo finalmente al pubblico dopo un intensivo restauro: come and get the rookie sensation!
restyling 2O14
Genere: Commedia, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Hisashi Mitsui, Kaede Rukawa, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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quindicesimo: dritti alla meta.

 

 

 

 

Domenica primo agosto fu un glorioso toccasana fin dalle prime luci dell’alba.

Tersa, vivida, calda, assolata e inizio ufficiale del Campionato Interscolastico: con simili premesse nemmeno Rumiko rimase a lungo imbronciata, nonostante la disastrosa scoperta del venerdì e benché il giorno prima avesse fatto di tutto per evitare tanto Hanamichi quanto Kaede, agli allenamenti. Le era sembrato di correre una maratona a ostacoli.

Ma Hiroshima li attendeva e ogni cosa, quella mattina, prometteva trionfi a non finire.

La piccola diavola si recò da sola alla stazione centrale di Kamakura prendendo l’enoden costiero, trolley appresso e cuffie immancabilmente in testa, e gli altri rimasero di stucco nel vederla spuntare nell’atrio ballando come una novella Olivia Newton-John sulle note di Don’t leave me this way dei Communards con il suo tradizionale fare scanzonato. Vederla di nuovo allegra fu un bel sollievo per tutti, sebbene questo contribuì a interrompere le elucubrazioni del Rossino circa la sua recente cupezza: la ritenne uno scoglionamento passeggero, normalissimo, ma un piccolo tarlo gli rimase in qualche meandro del cervello, simile a qualcosa che cogli soltanto con la coda dell’occhio. Il Volpino non seppe invece come interpretare quel ritrovato spirito felicione, per positivo che apparisse.

Il viaggio non si prospettava esattamente breve – cinque ore abbondanti per arrivare sin quasi al capo opposto del paese – e una volta che ebbero preso posto sul vagone loro designato dello shinkansen gli Eroi di Kanagawa si concessero un pisolare collettivo per passare il tempo; il signor Anzai rimase sveglio e vigile, i corposi fascicoli preparati dalla sua vice e dalla manager aperti sotto il naso rubizzo, e attese con pazienza che i suoi valorosi si risvegliassero per sottoporre loro un paio di spinose questioni. I suddetti ripresero conoscenza mentre il treno, superata Nagoya, costeggiava il lago Biwa, blu, maestoso e calmo e incastonato come una pietra preziosa tra le verdi sponde, e così leggendario che al solo osservarlo la tokyota si sentì scuotere da un fremito d’orgoglio.

– Ragazzi, – se ne uscì d’un tratto in Buddha Canuto, – vorrei che deste un’occhiata qui.

In mano aveva una copia della rivista Basketball, per l’occasione interamente dedicata al torneo interliceale, e senza aggiungere altro la allungò ad Akagi indicandogli la pagina da guardare: erano stati pubblicati gli abbinamenti ufficiali tra le formazioni partecipanti.

Tutti si precipitarono attorno al sedile del capitano per sbirciare, e un grido unanime e sgomento si levò nello scompartimento spaventando il resto dei passeggeri:

– Cacchio, questa non ci voleva proprio!

Hanamichi corrugò la fronte e scrutò la tabella elencando tra sé i nomi presenti nel loro stesso blocco: – Sonno Kogyo, Toyotama, Kumamoto Daisan, Hokujo Shisho, Yokotama Kogyo, Aiwa Gakuin… Mbeh? Perché tanta agitazione? Il Toyotama è davvero così in gamba? – domandò riferendosi al loro primo avversario.

– Il vero problema è il secondo incontro. – lo corresse Mitsu, pallido.

– Paura del Sonno? – si stupì il Genio.

– Si legge “Sannoh”, do’hao. – lo rimbrottò Rukawa da dietro con voce catacombale.

Rumiko deglutì rumorosamente: – Non credevo che li avrebbero piazzati nel nostro girone. Già abbiamo l’Aiwa, che di suo non è roba da poco…

– Io non l’ho mai sentito nominare, questo Sonno. – ribadì il rosso, probabilmente in un rozzo tentativo di risollevare il morale minato dei compagni.

– Sannoh Kogyo, i campioni della prefettura di Akita. – declamò il Gorilla, grave come un comandante che prepara i suoi soldati alla battaglia fatale; – L’anno scorso sono stati loro a vincere il titolo.

– E due anni fa. – precisò Kogure.

– E anche l’anno prima. – rincarò la minuta coach.

Lo shinkansen si fermò dolcemente nella stazione di Osaka. Mancava l’ultima ora e mezza di tragitto, e Anzai approfittò della sosta per dileguarsi verso la toilette più vicina.

Sensei, lei lo sapeva, vero? Perché non ha subito detto loro contro chi avrebbero giocato? – lo apostrofò Ayako.

Il Buddha sospirò: – Volevo evitare un’inutile pressione psicologica in sede d’allenamento. Era necessario concentrarci su di noi, prima che sugli scontri futuri. – rivelò allontanandosi.

La riccia cercò lo sguardo dell’allenatrice ed entrambe inarcarono le sopracciglia con palese preoccupazione, frattanto che Kogure ripeteva: – Il Sannoh Kogyo, l’Aiwa Gakuin… Ci sono capitati due tra gli sfidanti più agguerriti dell’intera gara.

– Posso vedere il tuo biglietto? – disse qualcuno alle sue spalle, e un tizio dalla chioma lunga e mossa acconciata a coda gli passò un braccio intorno al collo con aria ostile.

Hisashi, Ryota e Rumiko balzarono immediatamente in piedi:

– E tu chi cazzo saresti? – ringhiò lei fissando in cagnesco il nuovo arrivato.

L’ignoto tamarro dedicò una fugace scorsa d’apprezzamento alle sue gambe e a quelle di Ayako, quindi tornò a strapazzare il povero Kiminobu: – Sei dello Shohoku, no? Avresti fatto bene a comprarne uno di andata e ritorno. Hai appena definito il Sannoh e l’Aiwa le squadre più forti del campionato, e chi ti ha sentito avrà pensato che il Toyotama non vale una cicca. Dovresti stare più attento alle stronzate che spari.

Fu il turno di Akagi di alzarsi: – Suppongo che tu sia del Toyotama. Che diavolo vuoi?

Il treno era ripartito, e il corridoio della carrozza si era riempito di nerboruti individui abbigliati come il misterioso attaccabrighe. Dal fondo il loro allenatore invitava invano alla diplomazia.

– Voialtri bastardi ci stavate insultando. – rispose il capellone.

– Ma se non stavamo nemmeno parlando di voi! – protestò Miyagi, piccato.

– Ah no? Leggete bene cosa dice quel giornale, idioti. – lo freddò il suo interlocutore mollando finalmente la presa sulla gola di Kogure.

La piccola diavola strappò la rivista dalle dita di Takenori e con una smorfia notò le valutazioni scritte in caratteri millimetrici accanto al nome di ciascuna formazione:  – A noi danno una misera C contro la A del Toyotama e la AA del Sannoh. Il ben noto numero 4, il centro Akagi, rappresenta la colonna portante della squadra. Da tenere in considerazione, potrebbe riservare alcune sorprese. Il suo obiettivo? Riuscire a superare il primo incontro. – lesse in tono schifato.

Un silenzio gelido calò sul gruppo di Kamakura e l’uomo del Toyotama sbuffò con disprezzo:

– Siete davvero ottimisti se sperate di poter fronteggiare il Sannoh.

Hanamichi se n’era rimasto stranamente zitto e buono al proprio posto, in tutto ciò, e non appena lo strafottente cestista transitò lì accanto allungò una gamba con assoluta nonchalance e lo fece inciampare, mandandolo a finire a pancia in giù sul pavimento del vagone. Tutti fecero “ooooh!”, la tokyota s’illuminò in volto e il tamarro si sollevò da terra all’istante con la faccia stravolta dalla rabbia.

– Tu, razza di stronzo! – urlò afferrando il Re per i capelli.

– Kishimoto, finiscila! – ululò disperato il tecnico del Toyotama.

– Che sta succedendo laggiù? – intervenne un controllore facendosi avanti.

Il ceffo si arrese e imprecando si lasciò condurre via tra i brusii sconcertati degli astanti.

Il Rossino tuttavia non si scompose affatto: – Ehi, codino, – asserì fiero, – al momento giusto mi ricorderò che hai cercato di schiacciarmi la testa.

– L’ottimista sei tu, Kishimoto, se speri di farla franca con Sakuragi l’Immenso. – convenne Rumiko con un baldanzoso sogghigno, e Hanamichi sorrise di nascosto sentendosi particolarmente felice.

 

 

Nel palazzetto dello sport principale di Hiroshima, tutte e cinquantanove le squadre parteciparono alla cerimonia di apertura della manifestazione. Fu mediamente noiosa e solenne e durò ben oltre l’ora di pranzo, e quando terminò molti degli atleti si ritrovarono nel cortile che circondava l’edificio, davanti al tabellone che riportava in grande le combinazioni delle future partite: c’erano i ragazzi del Kainan, con cui gli indomiti dello Shohoku scambiarono qualche sagace battuta e istigazioni non troppo velate, e dopo un paio di minuti comparvero, non richiesti, anche i bellimbusti del Toyotama. Maki e i suoi fecero loro abbassare la cresta, e ciononostante si sfiorò nuovamente la rissa. La sfida dell’indomani sarebbe stata una lotta all’ultimo cazzotto, comprese Rumiko.

La pensione in cui più tardi i campioni di Anzai scoprirono di essere alloggiati si chiamava Chidori ed era situata in una bella zona residenziale della città, tra i canali del delta del Kyobashi; era gestita da un’amabile famigliola ed era un ryokan di tutto rispetto, con tanto di onsen in giardino, e i nostri ne furono più che soddisfatti.

La sera presto calò, liquida e morbida, dal cielo color oro, e via via che quel giorno di vigilia volgeva a conclusione una sana ansia prese a impadronirsi dei giocatori, che la tennero a bada ciascuno a sua maniera. Ryota si ritirò nella vasca termale, Kaede crollò addormentato senza nemmeno partecipare alla piccola riunione post-cena improvvisata da Takenori, Hisashi e Kiminobu, il Genio intercettò una telefonata di Haruko e le due fanciulle della compagine si appartarono sulla veranda della camera loro riservata per gustarsi un buon thè freddo. Non parlarono di questioni amorose e la tokyota non fece menzione dell’ultimo dialogo che aveva avuto con Hanamichi: erano completamente concentrate sul match che li attendeva e studiarono le informazioni racimolate sul conto degli avversari. L’unico nome che le diceva qualcosa, prese atto Rumiko, era quello del capitano del Toyotama, Tsuyoshi Minami, eppure lì per lì non ne rammentò il motivo.

Ayako se ne andò poi a letto, i ricci neri ancora avvolti nell’asciugamano da doccia, e l’allenatrice raggiunse il Gorilla, il cecchino e il vice per vedere come stavano. Li trovò taciturni e sfuggenti, assillati dalla classifica che il redattore di Basketball aveva stilato a loro discapito, e Akagi confessò di sentirsi teso come mai gli era capitato – perché le nazionali erano sempre state il suo sogno, la sua missione da compiere, e adesso che ci era finalmente arrivato rischiando di uscirne al primo turno non riusciva a smettere di tremare. Mentre i suoi compagni si auguravano un buon riposo lui si dedicò a una corsa intorno all’isolato, sperando così di placare il proprio nervosismo, e nella notte tiepida tutti strinsero i pugni tra le lenzuola sperando nel migliore degli esiti.

Il jogging antelucano funzionò alla grande, e al risveglio il capitano era tornato quello di sempre, in forma e altero, e nessuno appariva più titubante o turbato: era lunedì due agosto, il sole splendeva e l’adrenalina era alle stelle. Saliti che furono sul piccolo bus che li avrebbe condotti al palazzetto loro designato, Hanamichi si sporse dal finestrino per salutare festosamente i proprietari dell’albergo e qualunque ignaro passante che gli capitasse a tiro, e la coach alzò a manetta il volume del walkman di modo che tutti si beassero dei gorgheggi di Freddie Mercury in Don’t stop me now.

Fu con una simile colonna sonora che giunsero a destinazione, sempre più gasati, e come se ci fosse ulteriore bisogno di rinfocolare gli animi il signor Anzai, negli spogliatoi, fece presente che essere classificati come squadra di serie C era più un vantaggio che qualcosa per cui prendersela.

– Con una classificazione del genere nessuno ci riterrà in grado di vincere. Lo capirete a fine partita. – spiegò; – Non so se queste graduatorie siano giuste o meno. Di certo il nostro compito è dimostrare che, per quel che ci riguarda, non lo sono.

Rumiko avvertì una scarica di fiducia per l’avvenire serpeggiarle in corpo e intuì che ai compagni doveva essere accaduto lo stesso:

– Di’ le tue ultime preghiere, Toyotama! – ruggì difatti Takenori, epico come Michael Caine nei panni di John Colby in Fuga per la vittoria, e con un unanime “Shohoku, fight!” tutti si riversarono correndo nel corridoio che conduceva all’arena di gioco.

Gli spalti erano già quasi al completo, nonostante fossero appena passate le nove del mattino. Il grosso del pubblico era composto da studenti del liceo rivale, brutte facce da teppisti che promettevano di scendere in campo per un pestaggio se le cose si fossero messe male per i loro beniamini – e in tal caso, suppose la nostra, avrebbero trovato pane per i loro denti; la curva opposta era occupata dalle Seguaci di Rukawa in assetto da combattimento e striscioni pronti, e in un angolino si erano accomodati l’Armata Sakuragi (bottiglie alla mano), la Ghenga di Mitsui (terrorizzata dalla tifoseria avversaria) e Haruko con le sue dame di compagnia. Poco più in alto la tokyota individuò anche i ragazzi del Kainan, un paio delle squinzie conquistate da Hisashi a Shizuoka e la graziosa fanciulla dal caschetto castano che aveva stregato il capitano.

Aveva ancora nelle orecchie il ritornello della canzone dei Queen, quando l’arbitro fischiò l’inizio dello scontro, ma l’idillio durò assai poco: in meno di un minuto Kishimoto nel ruolo di ala grande, Minami che ricopriva quello di ala piccola e il playmaker Daijiro Itakura segnarono sei punti a fila gabbando con inopinabile precisione i cinque di Kamakura. Al secondo minuto Minami centrò un canestro da tre e i punti salirono a nove, e le provocazioni dei suoi colleghi cominciarono a sortire il loro nefasto effetto sugli Eroi di Kanagawa.

Vessato dalla schiacciante superiorità di Codino e i suoi, il Genio si fece passare la palla da Ryota con il fulgido proposito di dare il via alla rimonta e di fare sfoggio di quanto aveva imparato nella settimana del Ventimila Tiri: lo Spalding disegnò una perfetta parabola e andò a finire, mirabilmente, tra le mani di Nobunaga Kyota che sedeva in tribuna. Rumiko si spalmò tutte e dieci le dita sulla faccia per cancellare quello scempio dalla memoria, il palazzetto scoppiò in una grassissima risata di scherno e immancabile scattò la sostituzione ai danni del Re vergognoso, che continuava a ripetere che non era quello che sapeva fare, che non era quello il suo vero potere.

Yasuda ne prese il posto in campo e Hanamichi sedette pesantemente sulla panca accanto alla piccola diavola mugugnando “merda” a ripetizione come se non ci fosse un domani. Lei non osò guardarlo, da tanto che era mortificata per lui e per quella figura di cacca di tiratura nazionale.

Ayako e il Buddha, intanto, stavano sfogliando i resoconti degli incontri vinti dalla formazione di Osaka: accumulavano sempre punteggi altissimi, ben oltre il cento, ed era lampante che impostavano un ritmo serrato per fiaccare i contendenti e fissare più distacco possibile entro la prima metà di ogni partita, così da garantirsi la vittoria.

– La strategia migliore per vanificare la loro è dunque rallentare la velocità di gioco. – rivelò l’allenatore.

– Per questo ha scelto Yasuda? Come sedativo? – borbottò la sua vice.

– Più o meno, Ishida. Per questo e perché noi abbiamo il dominatore dell’area sotto canestro.

E in quella, come a confermare le sue parole, Akagi realizzò una schiacciata che assicurò allo Shohoku i due punti inaugurali del torneo. La riserva riuscì a creare uno schema che fece del Gorilla il centro effettivo dell’azione, sia offensiva che difensiva, e al decimo minuto il Toyotama conduceva soltanto per 15-14, per l’immensa soddisfazione di Anzai e il crescente sollievo dei suoi valorosi atleti. Giornalisti e appassionati si meravigliarono di fronte all’exploit del numero quattro in maglia rossa, perché per il Giappone lo Shohoku e Takenori Akagi erano stati, fino a quel giorno, dei Signori Nessuno, e i bulli di Osaka compresero che fermarlo era la priorità assoluta.

Non avevano però considerato che il capitano non era l’unico campione di Kamakura: allo scoccare del dodicesimo Kaede si mise finalmente in luce e portò i compagni a un 18-17 che strappò ululati di gaudio alla panchina rossa e nera. Minami rispose con un lancio da tre che riportò il Toyotama in vantaggio per 20-18, e di nuovo Rukawa ne vanificò lo sforzo conquistando, con una clamorosa finta e un altro impeccabile tiro, un importantissimo pareggio.

Per Hanamichi fu un’epifania. Di colpo riconobbe la grandezza dell’odiato Volpino e le sue capacità, quelle cui lui aspirava e che aveva inconsciamente preso a modello, e dietro alla consueta invidia provò un’innegabile ammirazione e maggior rispetto. Si voltò verso Rumiko, sicuro di trovarla intenta a rimirare rapita le gesta del Ghiacciolo come avrebbe fatto qualunque donzella – una donzella dal Ghiacciolo baccagliata, per di più – e stupefatto si accorse che l’amica stava invece fissando Minami con espressione truce, le braccia incrociate al petto.

– Ace Killer. – la udì sillabare tra sé: – Tsuyoshi Minami viene chiamato Ace Killer.

Il rosso non ebbe il tempo di chiederle di più. Come se le avesse letto le labbra, l’asso di Osaka assestò una violenta gomitata sulla tempia sinistra di Rukawa, che lo stava contrastando in campo, e il bel tenebroso si afflosciò a terra privo di sensi. L’arbitro sospese il gioco e nel palazzetto si scatenò il finimondo: il gruppo di Kanagawa balzò in piedi, qualcuno chiamò a gran voce i soccorsi e la minuta coach galoppò sull’assossino come un panzer, le guance roventi di rabbia.

– L’ha fatto apposta! – urlò. – L’ha fatto apposta, il lurido bastardo! Era fallo intenzionale!

– Calmati, Ishida! – la redarguì Takenori sbarrandole la strada.

– Signorina, torni a sedere. – la freddò il giudice di gara. – È stato accidentale.

– Accidentale un par di palle!

L’uomo avvampò: – Signorina, vuole essere diffidata per il resto della partita?

– Ishida, vai in infermeria con Rukawa. Pare che abbia subìto una commozione cerebrale. – la pregò il Gorilla spingendola delicatamente indietro.

– Io lo ammazzo, quello là. – insistette Rumiko. – E forse anche l’arbitro.

Tuttavia obbedì al senpai e seguì i barellieri che avevano appena sollevato l’esanime Kaede per trasportarlo al pronto soccorso interno alla struttura.

Il Rossino la seguì a sua volta con gli occhi, scombussolato per almeno tre motivi: innanzitutto la mossa di Minami che, con la sua dose di infima slealtà, lo aveva indubbiamente infastidito, e chi se ne importava se a farne le spese era stato il Verginello Artico; secondo, il modo in cui la tokyota era scattata per difendere e vendicare il suddetto, scena che gli aveva ricordato come si era avventata su Fukuda dopo che questi lo aveva mandato a schiantarsi al suolo durante l’ultima sfida contro il Ryonan. E terza, l’alienante evidenza che la ragazza lo stava pressoché ignorando dal venerdì.

 

 

L’occhio sinistro di Kaede si era gonfiato fino a chiudersi ed era violaceo da far spavento.

Osservando il dottore che si affaccendava intorno all’amico per accertarsi che non avesse riportato lesioni interne, l’allenatrice si mordeva le nocche con apprensione: se si fosse ricordata prima del soprannome del capitano del Toyotama avrebbe potuto avvertire i compagni, metterli in guardia, e magari Rukawa sarebbe stato più cauto nel proprio corpo a corpo con lui. Il ragazzo si era fortunatamente ripreso, ma finché il medico non le comunicò ufficialmente che questi era fuori pericolo (occhio a melone escluso) Rumiko bestemmiò in gran segreto sudando freddo.

– La commozione cerebrale era lieve e superficiale. Potrai giocare il secondo tempo, se te la senti, a patto che tu stia attento a qualunque accenno di vertigine o dolore. Tampona la zona con del ghiaccio, nelle prossime ore, così da far diminuire la tumescenza. – chiarì l’uomo pulendosi le mani mentre il moro scendeva dal lettino dell’ambulatorio.

– Dottore, se vinceremo tornerò qui ad abbracciarla. – decretò lei con ardore.

– Io non ho fatto niente. È al giovanotto qui che è andata di lusso. – fu la bonaria replica, e con ciò i due liceali presero congedo e uscirono nel corridoio.

– A quanto stiamo? – volle sapere il Volpino, ancora un po’ pallido.

– Trentaquattro a ventotto per gli stronzi.

L’altro scrollò le spalle e si appoggiò al muro: – Mh. Temevo peggio.

– Tu stai bene? Te la senti di rientrare in campo? – indagò la giovane coach scrutandolo di sottecchi, e al cenno d’assenso che ricevette sospirò di sollievo: – Con tutti e cinque voi titolari possiamo rimontare senza troppe difficoltà. Mitsui non ha combinato niente, nel primo tempo, perciò sarà riposato, e con te e Hanamichi nuovamente in gioco…

– Il do’hao finora ha fatto schifo. – grugnì Kaede.

Rumiko gli appioppò uno scappellotto su un braccio: – Eddai. So che ci stupirà, deve solo smetterla d’incazzarsi come una biscia a ogni offesa di Codino. Come Miyagi con quel rospo di Itakura.

– E tu vorresti farla pagare a Minami. – sottolineò il bel tenebroso con un’inflessione eccessivamente tiepida che mise la tokyota sul chi vive.

– Vorrei ben vedere. È stato meschino e brutale e non gliela perdono. Non si feriscono impunemente i miei giocatori.

Si augurò di essere stata sufficientemente convincente nel suo ruolo di vice commissario tecnico iperprofessionale, eppure Rukawa si era fatto languido e intenso come a Shizuoka e la consapevolezza di dover risolvere le cose tra loro, di dovergli dare una risposta definitiva, la fece vacillare. Quello era tutto fuorché il momento adatto, ma comportarsi come se nulla fosse con uno che la stava palesemente per baciare per la seconda volta non era il massimo. Ed era stupido.

Tanto più che lei non desiderava più pomiciate d’alcun tipo, da parte del Rookie D’Oro – nonostante lui fosse sempre più gnocco e nonostante gli sfarfallamenti ormonali che le provocava: lo capì nell’attimo esatto in cui si sporse verso di lei socchiudendo le palpebre in un diurno déjà-vu della notte all’Ishibashi. D’istinto Rumiko si coprì la bocca, arretrò di un paio di passi con un salto da grillo schizofrenico ed esclamò un “No!” che suonò ridicolo persino alle sue orecchie, e Kaede si bloccò con una piega interrogativa dipinta sulla fronte.

– Rukakun, no. Non posso permetterti di baciarmi ancora. Mi lusinga da matti tutto questo, ma non ce la faccio, porca miseria. Mi piaci un sacco e ti voglio un bene dell’anima perché sei uno dei miei più cari amici, non perché sono innamorata di te. È questo il fottuto problema, Rukakun, e se t’illudo oltre sarò una stronza indegna. E non è che non sono innamorata di te punto e basta, no, è che sono innamorata di qualcun altro, e lo sono da prima che ti conoscessi. – sciorinò la piccola diavola tutto d’un fiato, le iridi spalancate e lucide e le gote tinte di rosso porpora. – E come cazzo mi viene da dirtelo adesso che c’è il Toyotama da seppellire, accidenti a me!

Rukawa ascoltò e metabolizzò quelle parole con esasperante lentezza, la testa che pulsava per le botte ricevute, fisiche e non. Pensò che Sakuragi non se la meritava, una così, pensò di fargli comprendere cosa si stava perdendo a forza di manate nei denti come quella sera sulla spiaggia, e pensò a una canzone assurda degli Harpo che s’intitolava Sayonara e raccontava di un tipo cotto perso per una little girl from Tokyo. Pensò che Rumiko gli era piaciuta anche perché non gli sbavava dietro come tutte le altre e che col senno di poi, cheddiamine, continuava suo malgrado a piacergli per questo e perché era stata onesta e diretta come una pallonata sul muso.

Infine gli sembrò di avere la mente meno confusa e al contempo il cuore finito ad altezza ginocchia, e con un profondo respiro si riappoggiò alla parete fresca:

– Ti ringrazio per avermelo detto. – mormorò senza sarcasmo.

– Fammi sapere se potrai mai scusarmi. – gracchiò la nostra in imbarazzo, pur sentendosi già più leggera.

Il bel tenebroso annuì appena, girò i tacchi e si diresse allo spogliatoio dello Shohoku. Lei bazzicò nel corridoio per un paio di minuti per calmarsi prima di tornare in campo.

 

 

Il secondo tempo si aprì all’insegna degli attacchi diretti.

I cestisti di Osaka portarono immediatamente il proprio vantaggio a dieci punti e il Rossino e Ryota azzardarono uno spettacolare alley-hoop che purtroppo Hanamichi annullò con le sue stesse mani, benché la sua prontezza di riflessi e la sua elevazione avessero suscitato grande scalpore. Kaede, che inizialmente non riusciva a calcolare le distanze e mancava i passaggi, ben presto scoprì che affidarsi alla memoria del corpo funzionava e infilò un paio di canestri che nessuno, all’infuori di un asso come lui, sarebbe stato in grado di centrare da guercio. Il rifiuto di Rumiko gli bruciava, e più gli bruciava più si trasformava nel Sacro Fuoco del basket, la sola fiamma che avesse conosciuto finché non la aveva incontrata, e ciò lo confortava a sufficienza.

Poi il Genio si aggiudicò un rimbalzo eccezionale, e dopo l’ennesimo tiro da due di Kishimoto il Gorilla volle fidarsi del collega dai capelli fulvi e gli lanciò lo Spalding: e il rosso lo lanciò dritto nell’anello con la maestria di un professionista consumato, e Anzai, Haruko, Mito, Okusu, Noma e Takamiya esultarono come pazzi; Akagi, Mitsui, Miyagi e Rukawa medesimo rimasero basiti, e la minuta allenatrice stritolò Ayako uggiolando dall’euforia.

– Ha-na! Ha-na! Ha-na! – gridò agitando un asciugamano per aria, e tanto l’interpellato quanto il suo scornato rivale videro la luce che le brillava negli occhi.

Da lì in avanti fu battaglia serrata e gli Eroi di Kanagawa fecero faville. Arrivò l’agognato turno di Hisashi e dei suoi incommensurabili tiri da tre, Ryota scattava come una scheggia e Takenori fornì loro degli assist da fuoriclasse. Il Toyotama non si lasciò mettere i piedi in capo e negli ultimi cinque minuti l’incontro si ristabilì su un pareggio di 81-81.

Il ritmo si fece sempre più frenetico, a discapito delle discussioni all’interno della squadra di Minami, e il Volpino sempre più concentrato e scatenato, incurante del fastidio datogli dalla contusione. Anche l’Ace Killer ebbe un incidente che lo costrinse a recarsi al pronto soccorso, e durante la sua assenza i ragazzi di Kamakura si portarono su un quasi inespugnabile 91-81. Il Re acchiappava rimbalzi su rimbalzi e segnò un altro splendido canestro, e appollaiata sulla panca la tokyota si sgolava a più non posso:

– Dai, dai, dai! Li battiamo, i tamarri! Non mollate, arrivate a cento!

– Brava, Ishida. Se i nostri danno ormai la vittoria per scontata rischiano di scavarsi la fossa da soli. È in momenti come questi che tra i perdenti accadono i miracoli. – sentenziò il Buddha Canuto.

In effetti il ritorno di Minami rinnovò le speranze di Kishimoto e soci, e con le proprie azioni sancì un pericoloso 87-91. Ma Akagi, in uno dei suoi doverosi e frequenti guizzi d’orgoglio, richiamò lo Shohoku alla realtà, e al fischio conclusivo dell’arbitro lui e Hanamichi si contendevano l’ultimo rimbalzo: sul tabellone risplendeva, invariato, quel 91-87 a favore di Kanagawa.

– Sannoh, preparati! – tuonò Rumiko al settimo cielo, e in campo e sugli spalti si festeggiò sventolando stendardi, volando bottiglie vuote e scambiandosi gesti gaudenti.

La manager, approfittando del macello generale, si accostò all’amica e le punzecchiò un fianco:

– Si limona di nuovo nei corridoi, eh? – ammiccò.

La sua interlocutrice diventò cianotica: – Parla piano! Vuoi rovinarmi? – sibilò trascinandola lontano dalle tribune; – E non ho limonato di nuovo nei corridoi, io.

– Però vi ho intravisti, tu e Rukawa, davanti all’infermeria.

– Gli stavo appunto dicendo che non posso stare con lui.

La riccia ne fu sorpresa: – E glielo hai detto nell’intervallo? Povero Kaede, non lo invidio.

– Discutiamone in albergo. Qui ci sono troppi testimoni. – la implorò Rumiko, e Ayako fu d’accordo.

La nostra si voltò allora verso le gradinate, senza volerlo, e tra il pubblico che abbandonava il palazzetto scorse Haruko: si era irrigidita alla balaustra e per una manciata di istanti la guardò con espressione glaciale. Quindi si riscosse e corse a raggiungere le sue dame di compagnia, e la coach rimase col dubbio di esserselo semplicemente immaginato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tensai’s approved / notes

Ullallà. Sì, sono non in ritardo, di più: sono impegnata, sto scrivendo altre due storie e il Toyotama mi sta profondamente sulle palle, quindi scrivere di Codino e compari è stata dura XD

Spero comunque che il capitolo funzioni e che il Volpino non mi odi troppo. C’est la vie, Ruk!

Un tempo avevo annunciato ventun capitoli in totale, se ben ricordo, ma mi sono accorta che ce n’era uno di troppo e che dunque con questo siamo a quattro dal gran finale, epilogo compreso…

Il film Fuga per la vittoria è una di quelle storie epico-sportive che vanno viste almeno una volta :D

 

Noto con gioia che siete sempre di più, là fuori, e non so come ringraziarvi *^*

In particolare, come da tradizione, ringrazio gattabianca, lory, azumi e olive valance che hanno recensito all’aggiornamento scorso: signore, adorovi ! :,)

 

Buon divertimento e alla prossima! _Black

 

  
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