quindicesimo: dritti alla meta.
Domenica primo
agosto fu un glorioso toccasana fin dalle prime luci dell’alba.
Tersa, vivida,
calda, assolata e inizio ufficiale del Campionato Interscolastico: con simili
premesse nemmeno Rumiko rimase a lungo imbronciata, nonostante la disastrosa
scoperta del venerdì e benché il giorno prima avesse fatto di tutto per evitare
tanto Hanamichi quanto Kaede, agli allenamenti. Le era sembrato di correre una
maratona a ostacoli.
Ma Hiroshima li
attendeva e ogni cosa, quella mattina, prometteva trionfi a non finire.
La piccola
diavola si recò da sola alla stazione centrale di Kamakura prendendo l’enoden costiero, trolley appresso e
cuffie immancabilmente in testa, e gli altri rimasero di stucco nel vederla spuntare
nell’atrio ballando come una novella Olivia Newton-John sulle note di Don’t leave me this way dei Communards
con il suo tradizionale fare scanzonato. Vederla di nuovo allegra fu un bel
sollievo per tutti, sebbene questo contribuì a interrompere le elucubrazioni
del Rossino circa la sua recente cupezza: la ritenne uno scoglionamento
passeggero, normalissimo, ma un piccolo tarlo gli rimase in qualche meandro del
cervello, simile a qualcosa che cogli soltanto con la coda dell’occhio. Il
Volpino non seppe invece come interpretare quel ritrovato spirito felicione,
per positivo che apparisse.
Il viaggio non si
prospettava esattamente breve – cinque ore abbondanti per arrivare sin
quasi al capo opposto del paese – e una volta che ebbero preso posto sul
vagone loro designato dello shinkansen
gli Eroi di Kanagawa si concessero un pisolare collettivo per passare il tempo;
il signor Anzai rimase sveglio e vigile, i corposi fascicoli preparati dalla
sua vice e dalla manager aperti sotto il naso rubizzo, e attese con pazienza
che i suoi valorosi si risvegliassero per sottoporre loro un paio di spinose
questioni. I suddetti ripresero conoscenza mentre il treno, superata Nagoya,
costeggiava il lago Biwa, blu, maestoso e calmo e incastonato come una pietra
preziosa tra le verdi sponde, e così leggendario che al solo osservarlo la
tokyota si sentì scuotere da un fremito d’orgoglio.
– Ragazzi,
– se ne uscì d’un tratto in Buddha Canuto, – vorrei che deste
un’occhiata qui.
In mano aveva una
copia della rivista Basketball, per
l’occasione interamente dedicata al torneo interliceale, e senza aggiungere
altro la allungò ad Akagi indicandogli la pagina da guardare: erano stati
pubblicati gli abbinamenti ufficiali tra le formazioni partecipanti.
Tutti si
precipitarono attorno al sedile del capitano per sbirciare, e un grido unanime
e sgomento si levò nello scompartimento spaventando il resto dei passeggeri:
– Cacchio,
questa non ci voleva proprio!
Hanamichi corrugò
la fronte e scrutò la tabella elencando tra sé i nomi presenti nel loro stesso
blocco: – Sonno Kogyo,
Toyotama, Kumamoto Daisan, Hokujo Shisho, Yokotama Kogyo, Aiwa Gakuin… Mbeh?
Perché tanta agitazione? Il Toyotama è davvero così in gamba? – domandò
riferendosi al loro primo avversario.
– Il vero
problema è il secondo incontro. – lo corresse Mitsu, pallido.
– Paura del
Sonno? – si stupì il Genio.
– Si legge
“Sannoh”, do’hao. – lo
rimbrottò Rukawa da dietro con voce catacombale.
Rumiko deglutì
rumorosamente: – Non credevo che li avrebbero piazzati nel nostro girone.
Già abbiamo l’Aiwa, che di suo non è roba da poco…
– Io non
l’ho mai sentito nominare, questo Sonno.
– ribadì il rosso, probabilmente in un rozzo tentativo di risollevare il
morale minato dei compagni.
– Sannoh
Kogyo, i campioni della prefettura di Akita. – declamò il Gorilla, grave
come un comandante che prepara i suoi soldati alla battaglia fatale; –
L’anno scorso sono stati loro a vincere il titolo.
– E due
anni fa. – precisò Kogure.
– E anche
l’anno prima. – rincarò la minuta coach.
Lo shinkansen si fermò dolcemente nella stazione
di Osaka. Mancava l’ultima ora e mezza di tragitto, e Anzai approfittò della
sosta per dileguarsi verso la toilette più vicina.
– Sensei, lei lo sapeva, vero? Perché non
ha subito detto loro contro chi avrebbero giocato? – lo apostrofò Ayako.
Il Buddha
sospirò: – Volevo evitare un’inutile pressione psicologica in sede
d’allenamento. Era necessario concentrarci su di noi, prima che sugli scontri
futuri. – rivelò allontanandosi.
La riccia cercò
lo sguardo dell’allenatrice ed entrambe inarcarono le sopracciglia con palese
preoccupazione, frattanto che Kogure ripeteva: – Il Sannoh Kogyo, l’Aiwa
Gakuin… Ci sono capitati due tra gli sfidanti più agguerriti dell’intera gara.
– Posso
vedere il tuo biglietto? – disse qualcuno alle sue spalle, e un tizio dalla
chioma lunga e mossa acconciata a coda gli passò un braccio intorno al collo
con aria ostile.
Hisashi, Ryota e
Rumiko balzarono immediatamente in piedi:
– E tu chi
cazzo saresti? – ringhiò lei fissando in cagnesco il nuovo arrivato.
L’ignoto tamarro
dedicò una fugace scorsa d’apprezzamento alle sue gambe e a quelle di Ayako,
quindi tornò a strapazzare il povero Kiminobu: – Sei dello Shohoku, no?
Avresti fatto bene a comprarne uno di andata e ritorno. Hai appena definito il
Sannoh e l’Aiwa le squadre più forti del campionato, e chi ti ha sentito avrà
pensato che il Toyotama non vale una cicca. Dovresti stare più attento alle
stronzate che spari.
Fu il turno di
Akagi di alzarsi: – Suppongo che tu sia del Toyotama. Che diavolo vuoi?
Il treno era
ripartito, e il corridoio della carrozza si era riempito di nerboruti individui
abbigliati come il misterioso attaccabrighe. Dal fondo il loro allenatore
invitava invano alla diplomazia.
– Voialtri
bastardi ci stavate insultando. – rispose il capellone.
– Ma se non
stavamo nemmeno parlando di voi! – protestò Miyagi, piccato.
– Ah no? Leggete
bene cosa dice quel giornale, idioti. – lo freddò il suo interlocutore
mollando finalmente la presa sulla gola di Kogure.
La piccola
diavola strappò la rivista dalle dita di Takenori e con una smorfia notò le
valutazioni scritte in caratteri millimetrici accanto al nome di ciascuna
formazione: – A noi danno una
misera C contro la A del Toyotama e la AA del Sannoh. Il ben noto numero 4, il centro Akagi, rappresenta la colonna portante
della squadra. Da tenere in considerazione, potrebbe riservare alcune sorprese.
Il suo obiettivo? Riuscire a superare il primo incontro. – lesse in
tono schifato.
Un silenzio
gelido calò sul gruppo di Kamakura e l’uomo del Toyotama sbuffò con disprezzo:
– Siete
davvero ottimisti se sperate di poter fronteggiare il Sannoh.
Hanamichi se
n’era rimasto stranamente zitto e buono al proprio posto, in tutto ciò, e non
appena lo strafottente cestista transitò lì accanto allungò una gamba con
assoluta nonchalance e lo fece
inciampare, mandandolo a finire a pancia in giù sul pavimento del vagone. Tutti
fecero “ooooh!”, la tokyota s’illuminò in volto e il tamarro si sollevò da
terra all’istante con la faccia stravolta dalla rabbia.
– Tu, razza
di stronzo! – urlò afferrando il Re per i capelli.
–
Kishimoto, finiscila! – ululò disperato il tecnico del Toyotama.
– Che sta
succedendo laggiù? – intervenne un controllore facendosi avanti.
Il ceffo si
arrese e imprecando si lasciò condurre via tra i brusii sconcertati degli astanti.
Il Rossino tuttavia
non si scompose affatto: – Ehi, codino, – asserì fiero, – al
momento giusto mi ricorderò che hai cercato di schiacciarmi la testa.
–
L’ottimista sei tu, Kishimoto, se speri di farla franca con Sakuragi l’Immenso.
– convenne Rumiko con un baldanzoso sogghigno, e Hanamichi sorrise di
nascosto sentendosi particolarmente felice.
Nel palazzetto
dello sport principale di Hiroshima, tutte e cinquantanove le squadre
parteciparono alla cerimonia di apertura della manifestazione. Fu mediamente
noiosa e solenne e durò ben oltre l’ora di pranzo, e quando terminò molti degli
atleti si ritrovarono nel cortile che circondava l’edificio, davanti al
tabellone che riportava in grande le combinazioni delle future partite: c’erano
i ragazzi del Kainan, con cui gli indomiti dello Shohoku scambiarono qualche
sagace battuta e istigazioni non troppo velate, e dopo un paio di minuti comparvero,
non richiesti, anche i bellimbusti del Toyotama. Maki e i suoi fecero loro
abbassare la cresta, e ciononostante si sfiorò nuovamente la rissa. La sfida
dell’indomani sarebbe stata una lotta all’ultimo cazzotto, comprese Rumiko.
La pensione in
cui più tardi i campioni di Anzai scoprirono di essere alloggiati si chiamava
Chidori ed era situata in una bella zona residenziale della città, tra i canali
del delta del Kyobashi; era gestita da un’amabile famigliola ed era un ryokan di tutto rispetto, con tanto di onsen in giardino, e i nostri ne furono
più che soddisfatti.
La sera presto
calò, liquida e morbida, dal cielo color oro, e via via che quel giorno di
vigilia volgeva a conclusione una sana ansia prese a impadronirsi dei
giocatori, che la tennero a bada ciascuno a sua maniera. Ryota si ritirò nella
vasca termale, Kaede crollò addormentato senza nemmeno partecipare alla piccola
riunione post-cena improvvisata da Takenori, Hisashi e Kiminobu, il Genio
intercettò una telefonata di Haruko e le due fanciulle della compagine si
appartarono sulla veranda della camera loro riservata per gustarsi un buon thè
freddo. Non parlarono di questioni amorose e la tokyota non fece menzione
dell’ultimo dialogo che aveva avuto con Hanamichi: erano completamente
concentrate sul match che li attendeva e studiarono le informazioni racimolate
sul conto degli avversari. L’unico nome che le diceva qualcosa, prese atto
Rumiko, era quello del capitano del Toyotama, Tsuyoshi Minami, eppure lì per lì
non ne rammentò il motivo.
Ayako se ne andò
poi a letto, i ricci neri ancora avvolti nell’asciugamano da doccia, e
l’allenatrice raggiunse il Gorilla, il cecchino e il vice per vedere come
stavano. Li trovò taciturni e sfuggenti, assillati dalla classifica che il
redattore di Basketball aveva stilato
a loro discapito, e Akagi confessò di sentirsi teso come mai gli era capitato
– perché le nazionali erano sempre state il suo sogno, la sua missione da
compiere, e adesso che ci era finalmente arrivato rischiando di uscirne al
primo turno non riusciva a smettere di tremare. Mentre i suoi compagni si auguravano
un buon riposo lui si dedicò a una corsa intorno all’isolato, sperando così di
placare il proprio nervosismo, e nella notte tiepida tutti strinsero i pugni
tra le lenzuola sperando nel migliore degli esiti.
Il jogging
antelucano funzionò alla grande, e al risveglio il capitano era tornato quello
di sempre, in forma e altero, e nessuno appariva più titubante o turbato: era
lunedì due agosto, il sole splendeva e l’adrenalina era alle stelle. Saliti che
furono sul piccolo bus che li avrebbe condotti al palazzetto loro designato,
Hanamichi si sporse dal finestrino per salutare festosamente i proprietari
dell’albergo e qualunque ignaro passante che gli capitasse a tiro, e la coach
alzò a manetta il volume del walkman di modo che tutti si beassero dei
gorgheggi di Freddie Mercury in Don’t
stop me now.
Fu con una simile
colonna sonora che giunsero a destinazione, sempre più gasati, e come se ci
fosse ulteriore bisogno di rinfocolare gli animi il signor Anzai, negli
spogliatoi, fece presente che essere classificati come squadra di serie C era
più un vantaggio che qualcosa per cui prendersela.
– Con una
classificazione del genere nessuno ci riterrà in grado di vincere. Lo capirete
a fine partita. – spiegò; – Non so se queste graduatorie siano
giuste o meno. Di certo il nostro compito è dimostrare che, per quel che ci riguarda,
non lo sono.
Rumiko avvertì
una scarica di fiducia per l’avvenire serpeggiarle in corpo e intuì che ai
compagni doveva essere accaduto lo stesso:
– Di’ le
tue ultime preghiere, Toyotama! – ruggì difatti Takenori, epico come Michael
Caine nei panni di John Colby in Fuga per
la vittoria, e con un unanime “Shohoku, fight!” tutti si riversarono
correndo nel corridoio che conduceva all’arena di gioco.
Gli spalti erano
già quasi al completo, nonostante fossero appena passate le nove del mattino.
Il grosso del pubblico era composto da studenti del liceo rivale, brutte facce
da teppisti che promettevano di scendere in campo per un pestaggio se le cose
si fossero messe male per i loro beniamini – e in tal caso, suppose la
nostra, avrebbero trovato pane per i loro denti; la curva opposta era occupata
dalle Seguaci di Rukawa in assetto da combattimento e striscioni pronti, e in
un angolino si erano accomodati l’Armata Sakuragi (bottiglie alla mano), la
Ghenga di Mitsui (terrorizzata dalla tifoseria avversaria) e Haruko con le sue
dame di compagnia. Poco più in alto la tokyota individuò anche i ragazzi del
Kainan, un paio delle squinzie conquistate da Hisashi a Shizuoka e la graziosa
fanciulla dal caschetto castano che aveva stregato il capitano.
Aveva ancora nelle
orecchie il ritornello della canzone dei Queen, quando l’arbitro fischiò
l’inizio dello scontro, ma l’idillio durò assai poco: in meno di un minuto
Kishimoto nel ruolo di ala grande, Minami che ricopriva quello di ala piccola e
il playmaker Daijiro Itakura segnarono sei punti a fila gabbando con
inopinabile precisione i cinque di Kamakura. Al secondo minuto Minami centrò un
canestro da tre e i punti salirono a nove, e le provocazioni dei suoi colleghi
cominciarono a sortire il loro nefasto effetto sugli Eroi di Kanagawa.
Vessato dalla
schiacciante superiorità di Codino e i suoi, il Genio si fece passare la palla
da Ryota con il fulgido proposito di dare il via alla rimonta e di fare sfoggio
di quanto aveva imparato nella settimana del Ventimila Tiri: lo Spalding
disegnò una perfetta parabola e andò a finire, mirabilmente, tra le mani di
Nobunaga Kyota che sedeva in tribuna. Rumiko si spalmò tutte e dieci le dita
sulla faccia per cancellare quello scempio dalla memoria, il palazzetto scoppiò
in una grassissima risata di scherno e immancabile scattò la sostituzione ai
danni del Re vergognoso, che continuava a ripetere che non era quello che
sapeva fare, che non era quello il suo vero potere.
Yasuda ne prese
il posto in campo e Hanamichi sedette pesantemente sulla panca accanto alla
piccola diavola mugugnando “merda” a ripetizione come se non ci fosse un
domani. Lei non osò guardarlo, da tanto che era mortificata per lui e per
quella figura di cacca di tiratura nazionale.
Ayako e il
Buddha, intanto, stavano sfogliando i resoconti degli incontri vinti dalla
formazione di Osaka: accumulavano sempre punteggi altissimi, ben oltre il
cento, ed era lampante che impostavano un ritmo serrato per fiaccare i
contendenti e fissare più distacco possibile entro la prima metà di ogni
partita, così da garantirsi la vittoria.
– La
strategia migliore per vanificare la loro è dunque rallentare la velocità di
gioco. – rivelò l’allenatore.
– Per
questo ha scelto Yasuda? Come sedativo?
– borbottò la sua vice.
– Più o
meno, Ishida. Per questo e perché noi abbiamo il dominatore dell’area sotto
canestro.
E in quella, come
a confermare le sue parole, Akagi realizzò una schiacciata che assicurò allo
Shohoku i due punti inaugurali del torneo. La riserva riuscì a creare uno
schema che fece del Gorilla il centro effettivo dell’azione, sia offensiva che
difensiva, e al decimo minuto il Toyotama conduceva soltanto per 15-14, per
l’immensa soddisfazione di Anzai e il crescente sollievo dei suoi valorosi
atleti. Giornalisti e appassionati si meravigliarono di fronte all’exploit del numero quattro in maglia
rossa, perché per il Giappone lo Shohoku e Takenori Akagi erano stati, fino a
quel giorno, dei Signori Nessuno, e i bulli di Osaka compresero che fermarlo
era la priorità assoluta.
Non avevano però
considerato che il capitano non era l’unico campione di Kamakura: allo scoccare
del dodicesimo Kaede si mise finalmente in luce e portò i compagni a un 18-17
che strappò ululati di gaudio alla panchina rossa e nera. Minami rispose con un
lancio da tre che riportò il Toyotama in vantaggio per 20-18, e di nuovo Rukawa
ne vanificò lo sforzo conquistando, con una clamorosa finta e un altro
impeccabile tiro, un importantissimo pareggio.
Per Hanamichi fu
un’epifania. Di colpo riconobbe la grandezza dell’odiato Volpino e le sue
capacità, quelle cui lui aspirava e che aveva inconsciamente preso a modello, e
dietro alla consueta invidia provò un’innegabile ammirazione e maggior
rispetto. Si voltò verso Rumiko, sicuro di trovarla intenta a rimirare rapita
le gesta del Ghiacciolo come avrebbe fatto qualunque donzella – una
donzella dal Ghiacciolo baccagliata, per di più – e stupefatto si accorse
che l’amica stava invece fissando Minami con espressione truce, le braccia
incrociate al petto.
– Ace
Killer. – la udì sillabare tra sé: – Tsuyoshi Minami viene chiamato
Ace Killer.
Il rosso non ebbe
il tempo di chiederle di più. Come se le avesse letto le labbra, l’asso di
Osaka assestò una violenta gomitata sulla tempia sinistra di Rukawa, che lo
stava contrastando in campo, e il bel tenebroso si afflosciò a terra privo di
sensi. L’arbitro sospese il gioco e nel palazzetto si scatenò il finimondo: il
gruppo di Kanagawa balzò in piedi, qualcuno chiamò a gran voce i soccorsi e la
minuta coach galoppò sull’assossino
come un panzer, le guance roventi di rabbia.
– L’ha
fatto apposta! – urlò. – L’ha fatto apposta, il lurido bastardo!
Era fallo intenzionale!
– Calmati,
Ishida! – la redarguì Takenori sbarrandole la strada.
–
Signorina, torni a sedere. – la freddò il giudice di gara. – È
stato accidentale.
–
Accidentale un par di palle!
L’uomo avvampò:
– Signorina, vuole essere diffidata per il resto della partita?
– Ishida,
vai in infermeria con Rukawa. Pare che abbia subìto una commozione cerebrale.
– la pregò il Gorilla spingendola delicatamente indietro.
– Io lo
ammazzo, quello là. – insistette Rumiko. – E forse anche l’arbitro.
Tuttavia obbedì
al senpai e seguì i barellieri che
avevano appena sollevato l’esanime Kaede per trasportarlo al pronto soccorso
interno alla struttura.
Il Rossino la
seguì a sua volta con gli occhi, scombussolato per almeno tre motivi:
innanzitutto la mossa di Minami che, con la sua dose di infima slealtà, lo
aveva indubbiamente infastidito, e chi se ne importava se a farne le spese era
stato il Verginello Artico; secondo, il modo in cui la tokyota era scattata per
difendere e vendicare il suddetto, scena che gli aveva ricordato come si era
avventata su Fukuda dopo che questi lo aveva mandato a schiantarsi al suolo
durante l’ultima sfida contro il Ryonan. E terza, l’alienante evidenza che la
ragazza lo stava pressoché ignorando dal venerdì.
L’occhio sinistro
di Kaede si era gonfiato fino a chiudersi ed era violaceo da far spavento.
Osservando il
dottore che si affaccendava intorno all’amico per accertarsi che non avesse
riportato lesioni interne, l’allenatrice si mordeva le nocche con apprensione:
se si fosse ricordata prima del soprannome del capitano del Toyotama avrebbe
potuto avvertire i compagni, metterli in guardia, e magari Rukawa sarebbe stato
più cauto nel proprio corpo a corpo con lui. Il ragazzo si era fortunatamente
ripreso, ma finché il medico non le comunicò ufficialmente che questi era fuori
pericolo (occhio a melone escluso) Rumiko bestemmiò in gran segreto sudando
freddo.
– La
commozione cerebrale era lieve e superficiale. Potrai giocare il secondo tempo,
se te la senti, a patto che tu stia attento a qualunque accenno di vertigine o
dolore. Tampona la zona con del ghiaccio, nelle prossime ore, così da far
diminuire la tumescenza. – chiarì l’uomo pulendosi le mani mentre il moro
scendeva dal lettino dell’ambulatorio.
– Dottore,
se vinceremo tornerò qui ad abbracciarla. – decretò lei con ardore.
– Io non ho
fatto niente. È al giovanotto qui che è andata di lusso. – fu la bonaria
replica, e con ciò i due liceali presero congedo e uscirono nel corridoio.
– A quanto
stiamo? – volle sapere il Volpino, ancora un po’ pallido.
–
Trentaquattro a ventotto per gli stronzi.
L’altro scrollò
le spalle e si appoggiò al muro: – Mh. Temevo peggio.
– Tu stai
bene? Te la senti di rientrare in campo? – indagò la giovane coach
scrutandolo di sottecchi, e al cenno d’assenso che ricevette sospirò di
sollievo: – Con tutti e cinque voi titolari possiamo rimontare senza
troppe difficoltà. Mitsui non ha combinato niente, nel primo tempo, perciò sarà
riposato, e con te e Hanamichi nuovamente in gioco…
– Il do’hao finora ha fatto schifo. –
grugnì Kaede.
Rumiko gli
appioppò uno scappellotto su un braccio: – Eddai. So che ci stupirà, deve
solo smetterla d’incazzarsi come una biscia a ogni offesa di Codino. Come
Miyagi con quel rospo di Itakura.
– E tu
vorresti farla pagare a Minami. – sottolineò il bel tenebroso con
un’inflessione eccessivamente tiepida che mise la tokyota sul chi vive.
– Vorrei
ben vedere. È stato meschino e brutale e non gliela perdono. Non si feriscono
impunemente i miei giocatori.
Si augurò di
essere stata sufficientemente convincente nel suo ruolo di vice commissario
tecnico iperprofessionale, eppure Rukawa si era fatto languido e intenso come a
Shizuoka e la consapevolezza di dover risolvere le cose tra loro, di dovergli
dare una risposta definitiva, la fece vacillare. Quello era tutto fuorché il
momento adatto, ma comportarsi come se nulla fosse con uno che la stava
palesemente per baciare per la seconda volta non era il massimo. Ed era
stupido.
Tanto più che lei
non desiderava più pomiciate d’alcun tipo, da parte del Rookie D’Oro –
nonostante lui fosse sempre più gnocco e nonostante gli sfarfallamenti ormonali
che le provocava: lo capì nell’attimo esatto in cui si sporse verso di lei
socchiudendo le palpebre in un diurno déjà-vu
della notte all’Ishibashi. D’istinto Rumiko si coprì la bocca, arretrò di un
paio di passi con un salto da grillo schizofrenico ed esclamò un “No!” che
suonò ridicolo persino alle sue orecchie, e Kaede si bloccò con una piega
interrogativa dipinta sulla fronte.
– Rukakun,
no. Non posso permetterti di baciarmi ancora. Mi lusinga da matti tutto questo,
ma non ce la faccio, porca miseria. Mi piaci un sacco e ti voglio un bene
dell’anima perché sei uno dei miei più cari amici, non perché sono innamorata
di te. È questo il fottuto problema, Rukakun, e se t’illudo oltre sarò una
stronza indegna. E non è che non sono innamorata di te punto e basta, no, è che
sono innamorata di qualcun altro, e lo sono da prima che ti conoscessi. –
sciorinò la piccola diavola tutto d’un fiato, le iridi spalancate e lucide e le
gote tinte di rosso porpora. – E come cazzo mi viene da dirtelo adesso
che c’è il Toyotama da seppellire, accidenti a me!
Rukawa ascoltò e
metabolizzò quelle parole con esasperante lentezza, la testa che pulsava per le
botte ricevute, fisiche e non. Pensò che Sakuragi non se la meritava, una così,
pensò di fargli comprendere cosa si stava perdendo a forza di manate nei denti
come quella sera sulla spiaggia, e pensò a una canzone assurda degli Harpo che
s’intitolava Sayonara e raccontava di
un tipo cotto perso per una little girl
from Tokyo. Pensò che Rumiko gli era piaciuta anche perché non gli sbavava
dietro come tutte le altre e che col senno di poi, cheddiamine, continuava suo
malgrado a piacergli per questo e perché era stata onesta e diretta come una
pallonata sul muso.
Infine gli sembrò
di avere la mente meno confusa e al contempo il cuore finito ad altezza
ginocchia, e con un profondo respiro si riappoggiò alla parete fresca:
– Ti
ringrazio per avermelo detto. – mormorò senza sarcasmo.
– Fammi
sapere se potrai mai scusarmi. – gracchiò la nostra in imbarazzo, pur
sentendosi già più leggera.
Il bel tenebroso
annuì appena, girò i tacchi e si diresse allo spogliatoio dello Shohoku. Lei
bazzicò nel corridoio per un paio di minuti per calmarsi prima di tornare in
campo.
Il secondo tempo
si aprì all’insegna degli attacchi diretti.
I cestisti di
Osaka portarono immediatamente il proprio vantaggio a dieci punti e il Rossino
e Ryota azzardarono uno spettacolare alley-hoop che purtroppo Hanamichi annullò
con le sue stesse mani, benché la sua prontezza di riflessi e la sua elevazione
avessero suscitato grande scalpore. Kaede, che inizialmente non riusciva a
calcolare le distanze e mancava i passaggi, ben presto scoprì che affidarsi
alla memoria del corpo funzionava e infilò un paio di canestri che nessuno,
all’infuori di un asso come lui, sarebbe stato in grado di centrare da guercio.
Il rifiuto di Rumiko gli bruciava, e più gli bruciava più si trasformava nel
Sacro Fuoco del basket, la sola fiamma che avesse conosciuto finché non la
aveva incontrata, e ciò lo confortava a sufficienza.
Poi il Genio si
aggiudicò un rimbalzo eccezionale, e dopo l’ennesimo tiro da due di Kishimoto
il Gorilla volle fidarsi del collega dai capelli fulvi e gli lanciò lo
Spalding: e il rosso lo lanciò dritto nell’anello con la maestria di un
professionista consumato, e Anzai, Haruko, Mito, Okusu, Noma e Takamiya
esultarono come pazzi; Akagi, Mitsui, Miyagi e Rukawa medesimo rimasero basiti,
e la minuta allenatrice stritolò Ayako uggiolando dall’euforia.
– Ha-na!
Ha-na! Ha-na! – gridò agitando un asciugamano per aria, e tanto
l’interpellato quanto il suo scornato rivale videro la luce che le brillava
negli occhi.
Da lì in avanti
fu battaglia serrata e gli Eroi di Kanagawa fecero faville. Arrivò l’agognato
turno di Hisashi e dei suoi incommensurabili tiri da tre, Ryota scattava come
una scheggia e Takenori fornì loro degli assist da fuoriclasse. Il Toyotama non
si lasciò mettere i piedi in capo e negli ultimi cinque minuti l’incontro si
ristabilì su un pareggio di 81-81.
Il ritmo si fece
sempre più frenetico, a discapito delle discussioni all’interno della squadra
di Minami, e il Volpino sempre più concentrato e scatenato, incurante del
fastidio datogli dalla contusione. Anche l’Ace Killer ebbe un incidente che lo
costrinse a recarsi al pronto soccorso, e durante la sua assenza i ragazzi di
Kamakura si portarono su un quasi inespugnabile 91-81. Il Re acchiappava
rimbalzi su rimbalzi e segnò un altro splendido canestro, e appollaiata sulla
panca la tokyota si sgolava a più non posso:
– Dai, dai,
dai! Li battiamo, i tamarri! Non mollate, arrivate a cento!
– Brava,
Ishida. Se i nostri danno ormai la vittoria per scontata rischiano di scavarsi
la fossa da soli. È in momenti come questi che tra i perdenti accadono i
miracoli. – sentenziò il Buddha Canuto.
In effetti il
ritorno di Minami rinnovò le speranze di Kishimoto e soci, e con le proprie
azioni sancì un pericoloso 87-91. Ma Akagi, in uno dei suoi doverosi e
frequenti guizzi d’orgoglio, richiamò lo Shohoku alla realtà, e al fischio
conclusivo dell’arbitro lui e Hanamichi si contendevano l’ultimo rimbalzo: sul
tabellone risplendeva, invariato, quel 91-87 a favore di Kanagawa.
– Sannoh,
preparati! – tuonò Rumiko al settimo cielo, e in campo e sugli spalti si
festeggiò sventolando stendardi, volando bottiglie vuote e scambiandosi gesti
gaudenti.
La manager,
approfittando del macello generale, si accostò all’amica e le punzecchiò un
fianco:
– Si limona
di nuovo nei corridoi, eh? – ammiccò.
La sua
interlocutrice diventò cianotica: – Parla piano! Vuoi rovinarmi? –
sibilò trascinandola lontano dalle tribune; – E non ho limonato di nuovo
nei corridoi, io.
– Però vi
ho intravisti, tu e Rukawa, davanti all’infermeria.
– Gli stavo
appunto dicendo che non posso stare con lui.
La riccia ne fu
sorpresa: – E glielo hai detto nell’intervallo? Povero Kaede, non lo
invidio.
–
Discutiamone in albergo. Qui ci sono troppi testimoni. – la implorò Rumiko,
e Ayako fu d’accordo.
La nostra si
voltò allora verso le gradinate, senza volerlo, e tra il pubblico che
abbandonava il palazzetto scorse Haruko: si era irrigidita alla balaustra e per
una manciata di istanti la guardò con espressione glaciale. Quindi si riscosse
e corse a raggiungere le sue dame di compagnia, e la coach rimase col dubbio di
esserselo semplicemente immaginato.
Tensai’s approved / notes
Ullallà. Sì, sono
non in ritardo, di più: sono impegnata, sto scrivendo altre due storie e il
Toyotama mi sta profondamente sulle palle, quindi scrivere di Codino e compari
è stata dura XD
Spero comunque che
il capitolo funzioni e che il Volpino non mi odi troppo. C’est la vie, Ruk!
Un tempo avevo
annunciato ventun capitoli in totale, se ben ricordo, ma mi sono accorta che ce
n’era uno di troppo e che dunque con questo siamo a quattro dal gran finale,
epilogo compreso…
Il film Fuga per la vittoria è una di quelle
storie epico-sportive che vanno viste almeno una volta :D
Noto con gioia che
siete sempre di più, là fuori, e non so come ringraziarvi *^*
In particolare,
come da tradizione, ringrazio gattabianca, lory, azumi e olive
valance che hanno recensito all’aggiornamento scorso: signore, adorovi ! :,)
Buon divertimento
e alla prossima! _Black