Tra
bambole e quadri.
Meredith
si
voltò a guardare il grande orologio a pendolo appeso al centro della
stanza. I
dodici rintocchi, subito seguiti da una fragorosa risata da parte della
strega,
segnalavano che era finalmente arrivata la mezzanotte. Una giovane
ragazza, che
all’apparenza non poteva avere più di sedici anni –ma che in realtà ne
aveva un
centinaio in più-, era seduta su una sedia intagliata in legno di
ciliegio,
impegnata a scalfire con un grosso coltello un tavolo, anche esso dello
stesso
materiale della sedia, posto contro l’angolo della stanza, già
malridotto di
suo.
Lunghi capelli
blu notte erano legati in una treccia che le ricadeva sulla spalla
destra. Il
corpo magrolino e pallido, quasi luminoso, portava a chiedere quale
meraviglioso dono le avesse regalato Apollo per avere un aspetto come
quello,
nonostante avrebbe dovuto essere più simile a quello delle vecchie e
brutte
streghe che descrivevano le fiabe che gli adulti raccontavano ai propri
figli.
Un lieve disgusto percorse la strega; Meredith non era così, lei era diversa.
Tenne lo
sguardo gelido fisso sull’orologio per un breve tempo, prima di
annunciare ad
un pubblico immaginario la noia che provava in quel momento, a stare
rinchiusa
in quella casa. I suoi occhi non trovavano pace: giravano senza
controllo per
tutta la stanza in cerca di qualcosa da graffiare o uccidere, come ad
esempio
qualche topo sventurato che si trovava a zampettare da quelle parti in
cerca di
cibo. Niente. Chiuse gli occhi. Sbuffò, giocherellando con il coltello,
mentre
si alzava dalla sedia, facendo un giro per tutta la camera e, infine,
uscendo
da essa, trovandosi in un lungo e stretto corridoio.
Silenzio. Un
silenzio seguito dallo sbattere della porta e dal rumore dei passi
svelti che
rimbombavano in tutta la Casa della
Strega o meglio, era questo il nome che affibbiarono all’enorme
villa i
bambini, quando raccontavano storielle di paura ai loro coetanei
davanti ad un
falò, per farli spaventare, e spargendo voci del tutto false. Ma
nessuno aveva
mai avuto il coraggio di oltrepassare la fitta nebbia del bosco che
proteggeva
quella casa da semplici umani così… così noiosi, tutti uguali, pensava
sempre
Meredith quando si ritrovava a parlare di loro. La vita stessa era
noiosa, se
non si sapeva come sfruttarla. La piccola strega avrebbe davvero voluto
vivere
un’avventura degna di questo nome da
quando era nata, insomma; ma non ne aveva ancora avuto la possibilità.
La strega
camminò a passo lento verso la fine della stanza, allungando la candela
davanti
a sé, illuminando volti e corpi umani pieni di cicatrici, sparsi
ovunque. A
quel punto Meredith poggiò la candela su uno dei tanti esperimenti
falliti,
portando il dito indice della mano destra sul mento, cercando di
ricordare una
formula magica.
─ Ah,
com’era? ─ chiese a sé stessa ad alta voce, fino a quando non alzò il
dito in
aria e, con aria gioiosa, sussurrò di nuovo ─ Lux dicta! ─ e la stanza
si
illuminò immediatamente, mostrando uno spettacolo atroce di parti
corporee
cuciti a bambole di pezza e capelli e sangue sparsi per terra. Meredith
chiamava quei corpi con dispregiativi del tipo esperimenti
falliti o semplicemente stupide marionette, e non
aveva ancora perso le speranze per
trovare quello giusto.
In un angolo
era disposto un velo blu che ricopriva un altro essere: una donna, per
la
precisione; Meredith tolse quel velo e, con il coltello, iniziò a
infilzare il
fisico nudo della donna.
─ Ah… ─
sorrise, mentre colpì dritto al cuore, macchiandosi le maniche del
vestito di
un rosso cremesi ─ Questo è il mio vestito preferito… dovrò punirti. ─
perforò
poi gli occhi dell’oggetto, tagliando anche le braccia, buttandole via.
Si
allontanò di poco da quell’essere insulso, con quel sorriso psicopatico
dipinto
in volto. Amava torturare gli esseri umani: la faceva sentire viva,
come se
quello fosse il suo unico scopo nella vita, come se, ucciso uno, i suoi
problemi svanissero nel nulla.
Inginocchiata
sul lago di sangue, la ragazzina si affrettò a cercare le braccia di
qualche
residuo. Perfetto. L’ago e il filo erano già pronti sul tavolo,
anch’esso
ricoperto di macchioline di sangue marcio. E iniziò a cucire le parti
intagliate.
Un sospiro,
alla fine del lavoro, fece rompere il silenzio che si era creato
intorno a lei,
mentre il sorriso che aveva in viso si riempì di una grande
soddisfazione.
La stanza
sembrò come essersi riempita di una strana melodia tetra. Meredith si
concentrò
sull’incantesimo che stava per lanciare a quella bambola vivente,
mentre il
suono di un piano accompagnò i suoi pensieri.
─ Move ─ lo
pronunciò quasi fosse un ordine, con quella voce fredda e impassibile.
Il
burattino iniziò a mettersi in piedi, cercando di ballare al ritmo
della
melodia. Meredith batté le mani, sperando che quel suo esperimento non
sarebbe
fallito. Iniziò a saltellare contenta, mentre il corpo, dopo qualche
minuto,
non cadde a terra, e il pianoforte smise improvvisamente di suonare.
Fallimento.
─ Esseri
inutili ─ ripeté.
Portò
istintivamente il coltello -sporco di sangue umano che scivolava goccia
dopo
goccia a terra- in alto, per poi colpire il primo quadro aprendolo in
uno
squarcio preciso a metà della tela; imitò la stessa cosa con il
secondo, poi il
terzo e infine il quarto, fino ad arrivare all’ultimo.
Esitò.
L’unica cosa
diversa dagli altri, che riuscì a notare fu che la donna raffigurata in
quel
quadro stava piangendo. Non erano lacrime, però, quelle che scendevano
sul
volto della signora, ma vero e proprio sangue. Nonostante questo
continuava a
sorridere. Non aveva lo sguardo triste, o supplichevole, come quello
che
avevano assunto gli altri quadri quando Meredith li tagliò in due, ma
il suo
sorriso era quasi psicopatico come quello dipinto sul volto della
strega.
Quest’ultima
urlò, colpendo con forza il quadro dritto al cuore della donna,
facendolo
cadere a terra. E in quello stesso istante risate isteriche, silenzio,
e di
nuovo altre risate non facevano che alternarsi a ritmi irregolari per
tutta la
villa, mentre una pura lacrima scendeva sul viso della ragazza.
Impossibile.
Continuò a
ridire quell’Impossibile nella mente,
tentando con tutte le sue forze di trattenere quelle strane lacrime
cristalline
che per anni e anni aveva trattenuto. Ma perché, allora, doveva cedere
proprio
adesso?