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Autore: Bichi    11/11/2014    2 recensioni
Uno Sherlock Holmes frustrato e sull'orlo del baratro si ritrova, per svariate circostanze, ad insegnare chimica in un'università di Londra. Un John Watson altrettanto disperato, grazie all'aiuto di Mike Stanford, trova lavoro come professore di medicina legale nella stessa università. Questa è la loro storia.
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Sherlock Holmes, dall’alto della sua sovraumana intelligenza e delle sue formidabili capacità cognitive non avrebbe mai immaginato che la sua vita avrebbe preso la piega che stava inesorabilmente prendendo, giorno dopo giorno.

Non che avesse avuto idee realistiche e concrete su una eventuale e delineata vita futura: no, no, di certo.

Lui era quel genere d’uomo che sapeva cosa voleva e sapeva come ottenerlo. E fin qui le cose erano andate meglio di ogni previsione: aveva inventato una professione, la sua professione: consulente investigativo. E quel nome così importante e risonante lo aveva riempito davvero di significato e di genio.

Era diventato quasi un “supereroe” agli occhi della gente, imbellito dalle adoranti parole dei mass media che, negli anni d’oro, lo avevano dipinto come un superman con impermeabile e berretto.

Ma, si sa, la vita delle persone dotate di un certo genio e delle persone che brillano non è destinata alla stabilità e all’abitudine. La gente comune si stanca e si impaurisce in fretta di ciò che non può comprendere. E di ciò che non può avere.

Così il super detective era scivolato passo dopo passo nel baratro: tra l’insofferenza manifesta dei colleghi della polizia, stanchi di essere vessati, umiliati e presi in giro e l’invidia non più celata per le sue capacità così sopra la norma era diventato il nemico pubblico.

Dal senso palpabile di agitazione ed eccitazione che scorreva tra la polizia e la folla di giornalisti e curiosi sempre presente nelle scene del crimine, dai mormorii estasiati che accompagnavano l’entrata in scena del consulente investigativo Sherlock Holmes si era passati prima ad occhiatacce e poi a insulti sempre meno velati.

Finchè, un bel giorno, un comandante della polizia, il classico grigio, borioso burocrate gli aveva dato il ben servito proibendogli di presentarsi ancora alle scene del crimine e di stare il più lontano possibile dai casi.

Come incentivo – o ricatto?- la promessa di sbatterlo dentro per droga, vizio –anzi, malata dipendenza- di  Sherlock Holmes. Di fronte a queste pressioni e di fronte l’evidenza di non essere più “il genio strambo ma buono” aveva dovuto appendere l’impermeabile e il berretto da caccia al chiodo.

Dopo un periodo di logorante depressione, parassita dei geni e delle persone brillanti, dopo un periodo di droga e di disperata ricerca di novità e di stupore suo fratello Mycroft, noto nelle alte sfere come “il governo inglese” lo aveva costretto ad entrare in un rehab e poi a cercare un lavoro tagliandogli ogni fondo e avendo fatto sparire i suoi spacciatori di fiducia.

Ora, Sherlock avrebbe potuto tranquillamente e senza il minimo sforzo trovare altri spacciatori e altri angoli bui in cui nascondersi dal resto del mondo. Ma Mycroft era così convinto che non ce l’avrebbe fatta a trovare un lavoro normale e a uscire dal tunnel della droga che il suo orgoglio ferito e agonizzante lo aveva costretto ad agire.

E così, il grande Sherlock Holmes si era ritrovato ad insegnare. Proprio così: lui che tanto odiava l’ignoranza, la stupidità, le frivolezze e le banalità, aveva scelto un lavoro in cui queste cose erano unite in una miscela esplosiva in ogni ragazzo appena ventenne che gli capitava a tiro.

Ovviamente, ovviamente aveva fatto i suoi calcoli. Diventare professore della sua amata chimica in un’università relativamente prestigiosa come quella di University college London era una scelta opportunistica e scaltra: non era un’università elitaria come il King’s College e quindi voleva dire niente zelanti figli di papà e nessuna cena di gala con vari reali della corona inglese. Non era nemmeno all’altezza dell’Imperial College e questo lo lasciava libero di concentrarsi sui suoi esperimenti senza avere pressioni per pubblicazioni e studi da Premio Nobel.

Finite le ore di lezione in  cui, per onore del vero, si limitava a mettere il cervello in modalità muto e cercava di non lanciare la cattedra in testa di fronte a domande dalla stupidità imbarazzante, ecco che cominciava la sua giornata.

L’University College London aveva uno splendido laboratorio, fornito di ogni elemento che un chimico possa desiderare. Dall’entrata di Sherlock nel corpo docenti era divenuto evidente a tutti che quello spazio era il suo habitat naturale  e che, mentre sperimentava cose impensabili e anche abbastanza disgustose, bisognava lasciarlo in pace. Inutile dire che il divenne monopolista del laboratorio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

John Watson era un uomo irrequieto. Un uomo buono, magari di altri tempi. Onesto, gentile, un lavoratore serio. Aveva fino ad ora condotto un’esistenza senza gloria ne infamia, e forse questo era ciò che lo tormentava di più: il non avere vissuto una vera avventura, il non avere scoperto qualcosa o essersi lasciato trasportare da emozioni, esperienze incredibili.

E dire che lui il brivido lo aveva cercato. Era stato in Afghanistan. Medico militare. Il che voleva dire, in parole spicce, trovarsi di fronte la morte un giorno sì e l’altro pure. E sebbene la guerra lo avesse scosso e sconvolto ancora non gli aveva dato il brivido che tanto anelava nella sua vita. Mancava una scintilla di linfa vitale.

La guerra per John Watson finì dopo che si beccò un proiettile alla spalla durante una missione di ricognizione di un reparto di artiglieria.

  Tornato a Londra e alla sua monotona esistenza, senza eccessi, senza frenesie, senza amori tormentati e senza grandi amicizie tutta quella quiete e quell’equilibrio lo aveva nauseato. Voleva disperatamente trovare qualcosa che lo facesse sentire vivo.

Seguendo il consiglio della sua psicanalista che pensava gli avrebbe fatto bene lavorare in un ambiente pieno di vita in cui potesse relazionarsi e avere un incarico di responsabilità, aveva risposto all’annuncio che gli aveva consigliato Micheal Stanford, suo amico ai tempi del college, per una cattedra di medicina legale.

E, oltre le sue più rosee e ottimistiche previsioni, era stato assunto.

Probabilmente, pensava il Dr. Watson, qualcuno aveva avuto pietà dell’ex soldato ferito, di un veterano di una guerra che forse era più spirituale e perversa di non quella combattuta in Afghanistan con colpi di mortaio e lanci di bombe.

Così, con l’andamento e la postura di un soldato pronto ad affrontare un’altra battaglia aveva varcato la soglia del’ UCL, pensando a come sarebbe stata l’ennesima guerra persa.

Non poteva sbagliarsi di più.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*UCL- University College London.

Ok. Questa fan-fiction è nata da un sogno che ho fatto in cui Sherlock e John erano esattamente come li ho descritti. Spero che vi sia piaciuta almeno un pochino e che vi possa fare piacere che la continui.

Grazie per aver letto fino a qui. Se voleste lasciarmi una recensione per dirmi cosa ne pensate mi farebbe molto piacere. Le critiche, se costruttive, sono ben accette J

 

 

  
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