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Autore: Arisu95    11/11/2014    2 recensioni
"Il sorriso dei matti è troppo sincero, quello degli assennati è troppo falso."
Russia è matto, forse, ma tra frasi più o meno insensate e sorrisi infantili, riesce a scorgere negli occhi di Lituania uno dei suoi più grandi segreti.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Estonia/Eduard von Bock, Lettonia/Raivis Galante, Lituania/Toris Lorinaitis, Polonia/Feliks Łukasiewicz, Russia/Ivan Braginski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il tempo scorre lento nelle lande desolate.
La tenuta di Russia non è lontana da Mosca, ma il tempo vi scorre ancora più lento.

Oltre le case ed i monumenti, proseguendo per una stradina stretta e sempre rigogliosa di neve.
Oltre le mura rossicce ed il grande cancello dorato.
Eccola lì, la villa di Ivan.
Più alta delle conifere, più imponente di ogni altra casa, sembra esistere da sempre e non essere mai esistita.
Alcuni dicono che vi abiti anche un fantasma.
Un fantasma che a volte si affaccia alla finestra con gli occhi persi nel vuoto, a riflettere sugli errori che commise in vita.


__________________________
 

Toris fissa pensieroso il giardino della tenuta, la fronte adagiata sul vetro gelido della finestra.
Eduard e Raivis sono usciti da poco a fare compere.
Di solito ci va lui, ma da qualche tempo non ne ha più la forza.
O forse Ivan glielo ha vietato.
Non ricorda molto bene.
 
"..."
 

Il lituano sente dei passi farsi più distinti dietro di lui, e non ha bisogno di voltarsi per sapere a chi appartengono.

"Toris ..." - Chiama Ivan in un filo di voce.

"Signor Russia..?" - Risponde Toris, voltandosi pronto a ricevere ordini.

"Cosa stai facendo...?" - Chiede Russia dolcemente, come se fossero amici.

"..." - Toris alza le spalle appena e si volta di nuovo. - "Guardavo fuori ..."

Poi si irrigidisce.
Giusto!
Che stupido!
Come può perdersi in certe sciocchezze?!
Ha molto da fare!
Le pulizie, la cucina, il bucato ...
"Mi scusi! Torno al lavoro!" - dice affrettato scuotendo la testa, liberandosi dai suoi pensieri.

"No." - Lo interrompe Ivan, avvicinandosi. - "Chiacchieriamo un po', invece ..."

Lituania sente il sangue congelarsi nelle vene, perchè quella frase non porta mai nulla di buono.
Eppure annuisce, sorride, attende la prossima battuta del russo come un cane in attesa di ordini.

"Ti è passato..?" - Chiede, e Toris lo guarda confuso. - "Il maldipancia. Prima ti ho sentito lamentarti con Estonia ..."

Ivan non si riferisce mai ad Eduard e Raivis con i loro nomi umani, quando parla con Toris.
Il lituano si chiede se faccia lo stesso con il suo, di nome, quando parla con gli altri due Baltici.
Gli piace pensare di no, che lo faccia solo con lui, che chiami per nome solo lui.
Perchè questo gli causa sofferenza, ma è una sofferenza speciale.

"Ah ... Credo ... Uhm, sì!" - Si affretta a rispondere, ma in realtà la pancia gli fa ancora male.

Ivan deve aver odorato la menzogna, perchè si avvicina ancora e lo osserva con fare interrogativo. - "Sicuro?"

"..." - Toris annuisce, perchè non gli piace sentire la sua stessa voce articolare una bugia. Eppure mente, mente sempre.

"Non mentirmi ..." - Il suo sorriso è infantile, giocoso, come quello di un bimbo che confessa una marachella ad un coetaneo.

"..." - Sospira, guarda fuori dalla finestra, sa che non può fuggire, ma ogni volta ci prova.

"Fammi vedere ..." - Si avvicina ancora, gli tira un lembo della camicia e quello sobbalza, come svegliatosi all'improvviso da uno stato comatoso.

"N-N..!" - Vuole dire di no, ma la supplica gli muore in gola quando Ivan lo blocca contro la finestra.

Il suo fiato sembra scrivere parole d'aiuto sul vetro.
Nuvole di anima cercano di fuggire dalla sua bocca, in cerca di libertà, ma si scontrano contro il vetro e lì muoiono per sempre.
Toris sente la mano del russo aprirgli qualche bottone della camicia, sollevarla un poco.

"..." - Emette un suono di sconforto con la gola, come una preda agonizzante, tenta debolmente di opporsi.

"Cosa vuoi fare?" - Ivan gli stringe forte un braccio e lo spinge ancora di più verso il vetro. - "Tu sei mio, Toris."

Queste parole sono come una raffica di spari, come un ago di ghiaccio infilzato in un cuore d'uccello.
Ma ci fu un tempo in cui Toris era libero e forte, e, forse, non ha ancora accettato l'idea di essere debole e cautivo.
Tenta ancora di liberarsi, ma Ivan è troppo forte.

"S-Signor Russia ... La prego, si fermi!" - Un ultimo disperato, debole tentativo.

"Fermarmi..? Perchè dovrei fermarmi? Si è forse fermata la tua spada ..." - Prende a tastare il ventre del lituano con fare maniacale, omicida, lussurioso, come un macellaio tasta una carcassa bovina. - "... Quando i gemiti di piacere di Polonia si tramutarono in grida di terrore?"
La voce del russo è cambiata, ora, è più profonda, meno infantile.
Quando Russia ha questa voce è sincero.
E' matto.
E' il bambino senza infanzia che Toris incontrò in un giorno d'Inverno.

Le sue parole sono forti, pungenti, ed il lituano non ha il coraggio di replicare a tale osservazione, nè col corpo, nè con la voce.
No ...
Non può permettersi di ricordargli una simile vicenda.
No ...
Toris è sorpreso, perchè è certo di non averlo mai raccontato a nessuno.

Ma, se è vero che il pazzo è tale solo perché tra tanti è il solo ad esser desto, forse ad Ivan era bastata un'occhiata alle iridi scure di Toris, per distinguere chiaro un rigagnolo vermiglio di sangue tra prati di smeraldo.

Un rigagnolo, un piccolo solco, un dolce e caldo fiume di sangue proprio in mezzo al petto, a risaltarne le curve -troppe curve- candide di pianure di pelle.
Ah, sì, quella goccia di sangue, così rotonda, così perfetta, gli aveva dato più piacere che mille lune di estasi.
Quegli occhi chiari, sbarrati, spaventati, facevano più gola del suo corpo perfetto -troppo perfetto- ed i capelli di grano.

Progettava la sua vendetta da giorni, da troppi giorni, il cavaliere.
Progettava la sua vendetta da tanto, ed ogni volta si sentiva più sporco.
Ma cos'era sporco, per lui che ancora viveva più di peccato che di fede?
L'anima insudiciata dai dolci pensieri di vendetta, o l'orgoglio piegato tra le cosce di un ingrato?

Il cavaliere si guardava allo specchio, ed i segni sul collo gli bruciavano più delle ferite.
Il cavaliere si guardava allo specchio, nudo, la pelle tra le luci e le ombre di candele infreddolite al soffiar della sera.
Il cavaliere si guardava allo specchio, e sulle sue spalle si posava seduttrice la voglia di uccidere.
Il cavaliere si guardava allo specchio, ed i suoi voti pesavano come catene alle caviglie.

Era notte, e il cavaliere non dormiva.
Era notte, e il suo padrone era sempre più voglioso.
L'aria profumava d'olio e d'incensi, di pietre preziose e gioielli dorati.
L'aria profumava di pelle, di carne, di baci e di sangue.

"Liet ..." - Ansimava dolce, il suo padrone, il collo piegato all'indietro tra cuscini di seta.
"Liet ..." - Ansimava voglioso, il bastardo, le braccia esili a trattenerlo - egoista - a sé.
Il suo petto s' alzava e s'abbassava, leggero, pesante, e sembrava ordinare d'esser toccato.
Le sue cosce gli cingevano la vita in una stretta mortale, come una dionea serrata che non lascia andare la sua preda finchè essa non è distrutta, morta, sottomessa.

Il cavaliere osservava il suo petto ansimante.
Una goccia di sangue ... Poi un'altra ... Un'altra ancora ...
Voleva vedere il suo cuore impazzire, sporcargli la pelle pallida e lasciar avvizzire le sue membra, come fiori senza acqua.
Spinse più forte, e quello chiamò ancora il suo nome.
Ma quella notte ...
Quella notte il pensiero non fu sufficiente a placar le sue voglie.

Chiuse gli occhi, il cavaliere, e quando li riaprì si ritrovò dove avrebbe sempre dovuto essere.
In un campo di battaglia.
La fedele spada in mano, sporca di sangue.
E tutt'intorno, il letto era intriso di sangue.
Dalle sue mani colava sangue.
Sulle labbra sentiva un sapore dolciastro di sangue.

"Liet ..." - Ora non ansimava.
Ora aveva paura.
Ora i capelli di grano erano tinti di rosso.
La pelle si faceva ancor più pallida.
Gli occhi ancor più larghi, più impauriti.
Il sangue colava dal petto, e gli rigava di rosso le braccia, lo stomaco, le gambe.
Le sue labbra tremavano.
Le sue spalle tremavano.
Le iridi erano fisse su quelle dell'altro, come a chiedere spiegazioni.

E quella domanda, quel 'perchè?' gli morì sulle labbra rosate prima che la voce potesse abbandonare la bocca.

 
"Toris..." - La voce del russo è calda e sa di vodka e rimpianti. - "Perchè...?"
 

Toris non risponde.
Piega appena il collo verso il basso e appoggia la fronte al vetro gelido.
'Perchè'..?
Gli sta forse chiedendo perchè mai l'abbia ucciso..?
No, non è certo questo.
Ivan chiede spesso 'perchè'.
Perchè esiste l'Inverno, perchè ci sono le guerre, perchè a volte i fiori muoiono nonostante li si curi ed ami come figli.

Ma la domanda, che il russo chiede incessantemente nei suoi momenti di calma pazzia, rapisce il lituano in un vortice di nuovi pensieri.
Perchè lo aveva ucciso..?
Non lo sa nemmeno lui con certezza.
Sa solo che, ai tempi, amava la libertà come l'aquila ama il cielo.
Ai tempi, amava essere cavaliere più di ogni altra cosa.
Aveva amato servire Polonia, perchè un cavaliere non può che provare piacere nel servire il suo signore.
Ma la sua gioia si era trasformata nella sua condanna.

E così, il suono dolce e sconosciuto della voce di Feliks, quando lo chiamava, la notte, a congiungersi con lui tra cuscini di seta, si tramutò nel suono aspro ed odiato di chi inizia a pretendere senza più dare.
Feliks si era fatto più capriccioso, più esigente, più autoritario.
Toris era stanco di obbedire, e si era fatto più orgoglioso, più ribelle, meno devoto.
Feliks era strano, perchè dominava per il puro gusto di esser dominato.
Toris non era strano, e piegava la schiena solo per il suo signore, perchè questo era il suo dovere.
Ma, quando sentì la schiena cedere, quando intuì che a piegarla ancora si sarebbe spezzata, non seppe più ragionare.
Perchè sì, ai tempi era orgoglioso, tanto orgoglioso, e si disse che aveva sopportato anche troppo.

Perchè Feliks lo amava ... E lo trattava da amante.
Perchè Toris non lo amava ... E voleva esser trattato da vassallo.
Forse lo aveva amato.
Forse ci fu un periodo, giusto un periodo, in cui amava accarezzare i suoi capelli e sussurrargli parole d'amore.
Ma, a quei tempi, voleva solo essere libero.
Voleva essere libero di obbedire.
E Feliks, con i suoi 'ti amo', lo aveva legato col cuore anzichè con l'onore.
Così, un giorno, Toris s'accorse che immaginare il polacco tra grida di sangue gli dava più piacere che vederlo drogato di gemiti a scalare l'estasi.

 
"Ti fa male..?" - Chiede il russo.
 

Toris ormai si è abituato.
Gli ci vuole un attimo per capire a cosa Ivan si riferisce.
Strappato ai suoi pensieri come un feto dal grembo materno, realizza la sua situazione, e d'un tratto gli è tutto chiaro.

Il russo gli cinge il ventre con una mano.
Con l'altra gli ha agguantato la schiena.
Il pollice accarezza lento e dolce una cicatrice.
L'indice si è impossessato di un altro segno, più fresco.
L'unghia ha scavato la pelle fragile ed ora mezza falange gioca dentro la ferita come in una tasca.
Toris sente il sangue caldo saltare fuori e rigargli la schiena.
Fa quasi il solletico, pensa, concentrandosi su quella sensazione e cercando di dimenticare il dolore pulsante nella cicatrice riaperta a forza.
Prova quasi piacere, ormai, perchè ciò che amiamo non è ciò che ci fa bene, ma ciò che ci è familiare.

"..." - Eppure annuisce, il lituano, perchè sa che è quello che Ivan vuole sentirsi dire.

"..." - Sente il russo avvicinare le labbra al suo collo, incurvarle in un sorriso stanco e malato, stringerlo appena in un abbraccio lontano. - "... E' perchè sei debole, Toris ..."

Ivan non dice il vero.
Ivan dice ciò che vuole credere.
Ivan ascolta ciò che vuole sentire.

Toris tace e fa appena un cenno con la testa.
Vero, Toris è debole.
Toris è tanto debole, quasi quanto Ivan.

"Non morire, Toris!" - La voce di Ivan implora pietà, in preda al panico, come un petalo strappato da un fiore. - "Non morire, l'Estate mi manca ..."

Dice cose senza senso, il russo, ma il tepore innocente delle sue lacrime sul collo di Toris è sufficiente a trattenerlo a sé.
Toris ha voglia di morire e sa che Ivan sta parlando a sé stesso più che a lui.
L'Estate era passata da poco, ma il russo non se n'era accorto.

Ivan aveva sempre freddo e teneva camino e stufa accesa anche nei giorni più caldi.
'Nevica ...' - aveva commentato, un giorno, guardando il Sole sciogliere il gelo e far sbocciare i fiori nel giardino della tenuta, oltre il vetro spesso di una delle finestre del salone.
Un altro giorno, invece, in pieno Inverno, Ivan si era svegliato insolitamente felice ed era uscito in giardino senza cappotto, ammirando la landa desolata come fosse un prato fiorito.

"Non muoio ..." - Sussurra appena il lituano, il tono liquido e rassicurante, ma lo dice più ad Ivan che a sé stesso.

Toris pensa che un giorno Ivan lo farà impazzire.
Se non è già impazzito, perchè, onestamente, non sa proprio se è ancora sano o meno.
Ivan strofina le guance tonde e piene sulla sua spalla, si aggrappa alle scapole come ad un'àncora di salvezza.
'My ravny ...' - Sussurra, e per un attimo pare essersi calmato.

Il lituano è fermo, impassibile, come una bambola nelle mani di un bambino.
Fissa a terra, con le labbra serrate e le iridi perse tra le fughe delle piastrelle pregiate.
Ad un tratto si sente piccolo piccolo, si vede correre e fuggire tra quelle linee di malta, come in un labirinto senza uscita.
Si vede correre, veloce e impaurito come un insetto.
Poi sente il russo stringerlo più forte ed il cuore gli sale in gola.
L'insetto è stato scovato.
Schiacciato.
Morto.
 
"No!"
 

Grida all'improvviso Ivan, staccandosi da lui come accortosi di star toccando qualcosa di immondo e spingendolo via con forza.
Toris sbatte appena la fronte contro il vetro gelido della finestra, ma non si volta.
Rimane così, come un panno gettato via, inerme ed in silenzio.

"Guardami!" - Ordina il russo, e solo allora il lituano si volta.

Toris vede un volto pieno, triste, da bambino stuprato dalla realtà, ma ne distingue a malapena i tratti.
Le iridi si sovrappongono ma non si vedono.
Toris ha lo sguardo perso, non vuole guardare Ivan negli occhi, perchè se lo facesse gli verrebbe voglia di ucciderlo.
Ucciderlo sarebbe un modo per salvarlo, ma Toris non vuole riservargli questo privilegio.
Forse è un po' masochista, in fondo.
Oppure si sente ancora in colpa per aver ucciso Feliks, e, benchè egli fosse rinato nel corpo, sentiva di aver ucciso per sempre un granello della sua anima.
Si sentiva colpevole di quello, giusto quello.
E, quello che Toris stava passando ora, era il semplice frutto del contrappasso.

"...!" - Sente un dolore pungente sulla guancia e l'osso del collo tremare e farsi di ghiaccio.

Ivan è molto più vicino, il palmo ed il braccio tesi.
Forse una lacrima sta brillando sotto il suo occhio sinistro, ma Toris se ne accorge solo perchè su di essa si riflette la luce forte e grigia proveniente dalla finestra.
Il russo si morde il labbro, sta per piangere, forse soffre più del lituano.

"Yekaterina ..." - Sussurra in un gemito, guardando altrove. - "Sta cucinando ..."

Eppure Toris non sente odore di cibo.
Forse non sta cucinando affatto.
Forse si tratta dell'ennesimo, strano monologo di Ivan.

"Natalia ..." - Pronuncia il suo nome in modo dolce, infantile, come se fosse di zucchero o miele. - "Sta cucendo vestiti per le bambole ..."

C'è silenzio.
In sottofondo, l'inquietante tichettìo dell'orologio scandisce le parole di Russia.
Sembra una storia.
Una storia di paura.
Una storia che Toris ha già sentito molte volte.

"C'è un rumore ..." - Si abbraccia forte, come a consolarsi di uno spavento, o di un dolore. - "Sparano. V-Vogliono ucciderci ..."

Ivan singhiozza.
Il cuore prende a battergli più forte.
Sente il panico sciogliersi nelle vene, come una lepre di fronte ad un fucile.

"Y-Yekaterina ..." - Singhiozza più forte e dice qualcosa di incomprensibile. - "E Natalia grida ... L-La portano via ... Le bambole sono rotte ..."

Toris sente la testa girare.
Si è abituato al dolore, ma a vedere il russo così, forse non si abituerà mai.
Forse perchè non riesce a dimenticare il passato, continua a ripeterlo come una nenia, una litanìa, ed è ciò che Toris continua a fare dentro di sé.
Non è ancora pazzo, no, non lo è ancora abbastanza per rivelare i segreti del suo passato.
Non lo è ancora abbastanza per ripeterli in preda al panico tra frustate e lamenti.

 
"..."
 

Ivan si irrigidisce.
Toris alza la testa.
La porta d'ingresso si apre con un rumore sordo di salvezza.

"Siamo tornati!" - Annuncia Estonia, richiudendo la porta dell'Inferno a chiave dietro di sé.

Russia scuote la testa, si asciuga la lacrima, alza le spalle e si cuce un sorriso sulle labbra.
Guarda Lituania, gli fa cenno di seguirlo, si dirige verso l'ingresso.
Toris lo segue e si stampa sul viso un sorriso a sua volta, ma meno infantile e più angosciato.

"Bentornati!~" - Li saluta il russo sorridendo.

Per un attimo sembra sano, sinceramente felice.
Stringe in un abbraccio sia Eduard, sia Raivis, come un bambino in cerca d'affetto.
Eduard sorride forzato, si irrigidisce nelle braccia di Ivan e tenta di rispondere con un abbraccio sterile.
Raivis respira a bocca aperta, a pieni polmoni, come cercando di calmarsi senza successo, mentre trema nell'abbraccio come una foglia d'Inverno.
Toris riserva loro giusto un cenno ed un sorriso, dietro di Ivan, in disparte, con le braccia strette al petto come a trattenere l'ansia.

"Io e Toris stavamo chiacchierando ..." - Si volta, gli sorride lucido, poi torna a parlare. - "Ma ora sarà meglio che voi tre torniate ai vostri lavori! Non vorrei farvene accumulare troppo, è giusto che la notte riposiate ..."

I tre annuiscono.
'Certo signor Russia!' - dicono in coro, ed è come una gara a chi riesce a nascondere meglio la paura.
Raivis perde miseramente.
Eduard ha la voce di chi parla di cose orribili con professionale distacco.
Toris ha il tono angosciato, ma teme il futuro più di quanto tema Ivan.

Il russo si allontana.
Forse va nel suo studio, a ricoprirsi di carte e vergogna.
A bere vodka e lacrime.
A rintanarsi ancora un po' sotto la morsa spaventosa dei suoi ricordi d'infanzia.
Quale infanzia, quale giovinezza vermiglia di neve!

"Ti ha fatto qualcosa..?" - Chiede piano Eduard, fingendo altruismo, conoscendo l'altro abbastanza da sapere che mentirà.

"No ..." - Toris scuote la testa, sorride in modo rassicurante, si volta stringendosi nelle spalle. - "E' tutto a posto, non preoccuparti."

Raivis ha trascinato le borse cariche di merci fino in cucina.
'Eduard! Dove va questo..?' - Chiede per attirare l'attenzione.
Finge di non sapere, ma in realtà lo fa solo perchè vuole compagnia.
Ha paura di quella casa, ha paura dei muri, dei fornelli, delle porte e dei vetri.

"Sono in lavanderia, se avete bisogno." - Informa Toris con un sorriso, avviandosi a fare il bucato.

Sorride falso, Toris.
Sorride falso, Eduard.
Sorride falso, Raivis.
Ma Ivan, ah, Ivan sorride sincero.

In quella casa si sorride, si sorride anche troppo.
Si sorride tanto da spingere il cuore a morire in una lenta agonia.
Si sorride perchè va tutto bene, perchè si sta male.
Sorridono tutti, perchè Ivan sorride.
Ma il sorriso dei matti è troppo sincero, quello degli assennati è troppo falso.

Toris riempie il cesto di panni umidi.
Lo prende.
Alza lo sguardo verso la finestrella in alto, sulla parete.
Il cielo è grigio e pieno di luce e guardarlo fa male agli occhi.

Forse è meglio riposare bendati e sospesi nel nulla.
Forse è meglio attendere inermi in silenzio.
Fino al giorno in cui il tempo deciderà di cambiare.
 
 ________________________________________________Fine.
 
Note. Ho scritto questa fanfic un po' di tempo fa. In realtà all'inizio era solo un pensiero scritto di fretta. Il nucleo iniziale era costituito solo da [[ "Fermarmi..? Perchè dovrei fermarmi? Si è forse fermata la tua spada ..." - Prende a tastare il ventre del lituano con fare maniacale, omicida, lussurioso, come un macellaio tasta una carcassa bovina. - "... Quando i gemiti di piacere di Polonia si tramutarono in grida di terrore?"' ]] ... Tutto il resto è stato costruito attorno a questa piccola parte.
Era da un po' che mi giravano in testa due idee: Lituania che uccide Polonia (non me ne vogliano le fan della LietPol, io stessa apprezzo questa coppia) ed il provare a descrivere Russia in questo modo ... Ehm, un po' strano, che molti contestano ma spero di non aver suscitato disprezzo. Il fatto che Ivan non sia completamente sano di mente è praticamente canon, ma questo non significa che sia cattivo (proprio per questo ho cercato di sottolineare il suo passato tragico qua e là nella storia), un pazzo omicida o chissà che altro. Se anche facesse cose simili, lo farebbe perchè come i bambini non riesce a comprendere le conseguenze delle sue azioni. 
Uh, perchè mi sto dilungando? Chiedo perdono! xD
A proposito, non sono brava con la scelta di Rating/Avvertimenti vari, se credete che qualcosa non vada, fatemelo pure notare, grazie ^^' Soprattutto, non so se l'avvertimento 'Yaoi' sia corretto, l'ho messo per il flashback su Polonia ma non so se è abbastanza per classificarla come tale ... :/
Spero vi sia piaciuta, anche se non è proprio il massimo C:'

~ Ary.
  
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