Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |      
Autore: Gageta    12/11/2014    9 recensioni
Questa tua passione per le stelle è una cosa stupida. Gli aveva detto Sherlock, quel giorno.
John aveva sorriso. Perché?
Non hanno senso.
[Johnlock, kid!lock, angst(?)]
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Colpa delle Stelle

John sa che non dovrebbe farlo, sa che sua madre potrebbe sgridarlo, ma questo non gli impedisce di sgattaiolare via dalla sala d’attesa e addentrarsi tra i corridoi del grande ospedale, ritrovandosi presto a guardarsi intorno spaesato.

Ed è lì che trova il reparto, quello che a prima vista ha tutta l’aria di essere una sala di giochi per bambini.

 

La gente è tanto stupida, a volte. Sempre. Gli aveva detto Sherlock, una volta, e John ci aveva pensato un po’ su.

A volte non è poi così brutto. Aveva presto risposto, perché quella non era stata una cosa brutta. Non fino a quel momento, per lo meno.

 

Entra guardandosi intorno curioso, sorpassando una coppia con gli occhi lucidi davanti al proprio bambino e una in lacrime all’uscita di una stanza, e si deve fermare qualche passo dopo, realizzando che forse non è il posto giusto per lui.

 

Non saresti mai dovuto venire qui. Lo aveva rimproverato.

John non gli aveva dato particolare ascolto, Sherlock lo rimproverava sempre. Ma qualche mese dopo si era ritrovato a fissare un cielo nero, punteggiato di stelle, e l’unica domanda che si era posto, era stata Perché.

 

«Non dovresti essere qui.»

John si gira di scatto, sorpreso, e guarda il ragazzino magrolino che lo scruta con un paio di occhi chiarissimi, quasi color del ghiaccio.

«Stavo solo facendo un giro…» Si scusa in fretta, facendo un passo indietro. Qualcosa in quel bambino lo inquieta, qualcosa che non saprebbe spiegarsi neanche lui.

«La gente è così stupida, a volte…» Mormora l’altro, roteando gli occhi, e si allontana di qualche passo verso una stanza dalle pareti colorate.

John esita per qualche istante, poi lo segue, incuriosito. Qualcosa gli dice di tornare indietro dalla sua mamma, che quello che sta facendo non è la cosa giusta, ma lei gli ha sempre detto che è un bambino testardo, e lui sembra fare di tutto per avvalorare il suo pensiero.

«Perché mi stai seguendo?»

Ha appena fatto un passo nella stanza, e già si trova a sobbalzare per la seconda volta quando la voce del bambino gli parla alle spalle. O è molto silenzioso nel camminare, o le voci dei bambini che giocano lì dentro sono troppo alte per sentirlo arrivare.

«Non ti sto seguendo…» bisbiglia John, sconcertato, fissando stupefatto e con un lieve timore i bambini davanti ai suoi occhi.

«Ecco perché non dovevi farlo.»

 

Quindi questa malattia fa perdere i capelli? Alla fine aveva dovuto chiederlo, spinto dalla curiosità.

Sherlock aveva alzato gli occhi al cielo, come faceva sempre, e aveva scosso la testa. Non è la malattia, John, è la cura.

 

~

 

Si era ritrovato ben presto davanti alle porte di quel buffo reparto, e non aveva potuto fare a meno di entrare di nuovo. Sua madre lo aveva lasciato alle cure di un’infermiera particolarmente sbadata, e John ne aveva approfittato per tornare a fare visita al bambino strambo.

Per sua fortuna lo aveva trovato nel corridoio, mentre si dirigeva verso una delle stanze letto lungo le strette pareti. Si era avvicinato prima che potesse chiudere la porta dietro di sé, e quando l’altro si era voltato, la sorpresa dipinta nei suoi occhi, John gli aveva sorriso. «Ciao.»

 

Io non ho amici…

John si era offeso. Non era tornato da lui per i tre giorni seguenti.

 

«Perché sei qui? Tu non sei come gli altri bambini.»

La stanza 221 è in penombra, John ha provato ad alzare un po’ le tapparelle, ma il ragazzo lo ha ripreso, dicendogli che quella non è la sua stanza e non può fare quello che vuole lui. John pensa che abbia ragione, così lascia perdere e si siede sul letto morbido, incrociando le gambe.

«Non hai risposto alla mia domanda.» puntualizza dopo un po’, e l’altro sbuffa.

«Perché ho i capelli, non vuol dire che non sia come gli altri.» ha una faccia schifata mentre lo dice, John si ritrova a chiedersi il perché.

«Presto cadranno anche i miei.»

«Oh…»

 

Mi piacevano i tuoi capelli. Lo accarezzò piano sulla testa, lasciando che Sherlock si appoggiasse e rilassasse contro di lui. Lo circondò con un braccio e lo strinse lieve.

Mamma diceva che erano sempre troppo lunghi.

 

«Io mi chiamo John, comunque.»

«Sherlock. In vecchio inglese significa “capelli brillanti”.»

«Nome azzeccato.» sorride.

 

~

 

Sua madre lo vede sempre tornare da lei contento, così alla fine John si trova nella stanza di Sherlock tutti i giorni. Suo padre dice che non è una buona idea lasciarlo scorrazzare per l’ospedale da solo, ma non hanno i soldi per pagargli la scuola estiva, così è costretto ad andare al lavoro con lei tutti i giorni. Non che la cosa gli dispiaccia, comunque.

Non ha ancora visto i genitori del suo nuovo amico: lui dice che vengono soltanto negli orari di visita, e quando John gli chiede come mai l’altro si gira dall’altra parte e non gli risponde. Non ha ancora capito il perché.

 

Ti mancherò, John?

Ogni giorno.

 

Sherlock gli piace, nel modo in cui gli piacciono i suoi amici. Sherlock è un suo amico ora, e gli racconta tante cose strambe. John ride quando scopre che non sa che la Terra gira intorno al Sole e non viceversa, e il moro si offende un pochino.

Ma è un bambino fantastico. Il più meraviglioso che abbia mai conosciuto. E nonostante lo conosca solo da un mese lo sente già come il suo migliore amico.

Quando glielo dice, Sherlock sorride.

 

Hai mai dato un bacio? La domanda arrivò inaspettata, un giorno ozioso in cui giacevano abbracciati sul letto.

John lo guardò nella penombra, accarezzando con gli occhi il suo profilo spigoloso.

No… rispose, non se la sentì di dirgli che Sarah, la sua compagna di banco, una volta gli aveva premuto le labbra sulla guancia, lasciandogli sopra un po’ di saliva.

Sherlock non dice più niente per il resto del pomeriggio.

 

Una volta, quando entra, lo trova a fissare la parete opposta. Non si gira a guardarlo quando si avvicina, e John si ritrova a sporgersi in avanti per vedere oltre la sua spalla.

Il suo amico stringe qualche ciocca di capelli tra le mani, e John sente una lacrima umida bagnargli la guancia.

Lo abbraccia da dietro, appoggiando il mento sulla sua spalla, e rimane lì finché Sherlock non si è sfogato del tutto.

Da quel momento gli abbracci sembrano diventare una routine.

 

Le labbra screpolate si appoggiarono lievi sulle sue, premendo piano, e Sherlock si aggrappò alle sue spalle, stringendo forte.

John si staccò un attimo per prendere fiato, poi lo baciò di nuovo, muovendo le labbra in sincronia con le sue.

Anche i baci diventarono una routine.

 

John lo convince a guardare le stelle, quella sera, così che il giorno dopo possa raccontargli ciò che ha visto. Da quando si è messo in testa di spiegargli un po’ di astronomia, ha provato a spiegargli qualcosa sulle costellazioni, e Sherlock si è sforzato di capirle, ma quando si ritrova a guardarle dal vivo ha l’impressione di sbagliare tutto. Fa uno schizzo, tanto per essere sicuro.

Il giorno dopo le confronta con quelle del libro del suo amico, e John ride divertito quando Sherlock butta tutto all’aria e mette il broncio.

John incolpa le stelle, quando Sherlock non gli parla per tutto il giorno dopo, e rinuncia a spiegargliele.

 

~

 

Non si sono visti per tre giorni: sua madre ha scoperto tutto. John è disperato, rivuole il suo amico, ma quando gli viene spiegato cosa c’è in quel reparto, cosa accade ai bambini che si trovano lì dentro, John passa la notte a piangere tra le sue braccia, e non riesce a farsi vedere dal suo amico per un po’.

Quando torna al reparto, con il permesso di sua madre, trova Sherlock senza la sua solita energia ad attraversarlo. Quando lo stringe lo sente più magro, e quando lo bacia il moro sembra fare di tutto perché quel momento non finisca mai.

John non ha il coraggio di dirgli quello che ha scoperto.

 

L’orsa maggiore, Orione, il Sagittario e il Cancro.

John non riesce più a riconoscerle.

 

~

 

Quando succede, John sente di non riuscire a sorprendersi.

È appena arrivato in ospedale e sua madre si sta cambiando il camice quando un ragazzo elegante gli si avvicina con gli occhi lucidi. Non ha bisogno di nient’altro per capire.

Percorre i corridoi ormai così famigliari come a rallentatore, i passi che risuonano pesanti sul pavimento.

Quando raggiunge la porta la trova socchiusa, e per la prima volta vede la famiglia Holmes al completo.

Si avvicina al letto senza badare agli altri tre e si siede sul materasso, mentre Sherlock si gira a guardarlo con occhi stanchi. «John…» Mormora.

John gli prende la mano e si sdraia al suo fianco, accarezzandogli piano la testa.

«Voglio diventare una stella.»

Sorride tra le lacrime. «Cercherò nel cielo, finché non ti troverò. Ti farai vedere, vero? Sarai la mia stella.»

Sherlock annuisce e si fa un po’ più vicino, il fiato più corto.

«Ho paura…»

«Sono qui…»

 

~

 

Questa tua passione per le stelle è una cosa stupida. Gli aveva detto Sherlock, quel giorno.

John aveva sorriso. Perché?

Non hanno senso.

 

«Lo vedi il Grande Carro? La costellazione di fianco, un po’ più piccola, è il Piccolo Carro, Sherlock.»

«Perché dobbiamo guardare le stelle tutte le sere?»

«Perché più le guardi, più ti rendi conto della grandezza dell’universo. Siamo tutti come briciole di pane, qui sulla Terra. Un giorno lo capirai, scoprirai quanto ti sembrano inutili gli sforzi di una piccola stella in confronto all’infinito. Nessuno può competere con la forza della natura, ma ci sono cose che riesci a fare, in un certo senso, ci sono cose che puoi provare a contrastare. Io ci ho provato.»

Il bambino rimane qualche minuto in silenzio al suo fianco. «Non mi piacciono comunque, papà, non hanno senso…»

John sorride al cielo nero, poi si volta a guardare suo figlio negli occhi: azzurri, come il cielo senza stelle. «Lo so.»

«Possiamo tornare in casa?»

Lo stringe con un braccio e gli passa le dita tra i riccioli scuri. «Ti voglio bene, sai?»

 

Anch’io, John.

 

 

 

 

 

Ci sono momenti in cui ti viene da scrivere una certa cosa, e anche se ti sforzi per non farlo quella ti prende comunque e ti trascina le dita sulla tastiera.

Non mi dispiace, comunque. L’idea doveva essere qualcosa di molto angst ma so che il risultato non è quello. E va bene così com’è. (A parte che ora MelaChan mi odia – a proposito grazie per il betaggiooo <3 – e lo farà probabilmente anche mezzo mondo ma anyway).

Alla prossima shot (sì, ne ho tre in corso e mi metto a scrivere pure questa, bah…)

Gage.

   
 
Leggi le 9 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Gageta