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Autore: Aitch    12/11/2014    5 recensioni
Alzo la balestra e prendo la mira. Tengo entrambi gli occhi bene aperti mentre cerco di agganciare nel modo migliore il mio bersaglio. Trattengo il respiro e mi concentro ancora un istante, prima di far cadere il mio sguardo su di un particolare che fino a quel momento non avevo notato. Il colpo che ho scoccato non va a segno e il cinghiale comincia a correre, spaventato dalla freccia che si è conficcata nel tronco a pochi centimetri da lui.
Mi alzo, deglutendo a fatica. Era da tanto che non ci pensavo, a dire la verità.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Daryl Dixon
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Ma che perfetto stronzo.
Quante altre volte me lo sarei ripetuto nella vita?
Tanto, poco mi importa, perchè è la verità.
Da quando mi sono unito al gruppo di Rick, non ho fatto altro che collezionare insuccessi, uno dopo l'altro.
A cominciare dalla perdita di mio fratello. Quell'imbecille che non faceva altro che provocare la gente, cercando di guadagnarsi qualche pungo sul naso. E non è un caso il fatto che una volta, glie l'abbia rotto io stesso. Merle, un insaziabile cazzone, sempre in cerca di alcool o anfetamine.
Non era esattamente un ottimo esempio, come fratello. Ma era l'unico che avevo. L'unico che non mi avesse trattato come aveva fatto mio padre. E l'unico capace di farmi incazzare come pochi.
Camminare avanti e indietro per la foresta, di certo non mi aiuterà. E nemmeno mi ritornerà Merle.
Ammazzare scoiattoli per guadagnarmi la cena è un ottimo passatempo, ma per quanto potrò andare avanti così? Quanto ancora potrò nascondermi tra i grovigli degli alberi di questa foresta, cercando di non farmi sorprendere da qualche azzannatore più scaltro di me? Non che fino ad ora ne abbia incontrati parecchi in grado di sorprendermi a dire il vero.
Il cielo profuma di pioggia. Non mi meraviglierei se cominciasse a piovere all'improvviso. Una rinfrescata mi farebbe comodo, giusto per far scorrere via qualche macchia di sangue che ormai mi si è asciugata sulla pelle. Alzo gli occhi al cielo, scrutando le nuvole.
Mi abbasso spostando qualche foglia calpestata da quello che ha tutta l'aria di essere un cinghiale adulto. Se riesco a prenderlo, per la prima volta dopo mesi riusciremo a mangiare qualcosa che non sia stopposo e sgradevole come la carne di qualche misero scoiattolo o di qualche sudicio procione.
Seguo la mia preda, guidato da tutti gli indizi che riesco a collezionare. In questo sono bravo, non c'è che dire. L'unico del gruppo con un po' di pratica in fatto di orientamento e di tecniche su come rintracciare una preda, qualunque essa sia. Non c'è da stupirsi, considerato che da piccolo non avevo nemmeno uno straccio di amico che volesse giocare con me. I bambini del mio quartiere avevano delle biciclette sulle quali correre, io avevo solo una vecchia palla da baseball scucita, trovata per caso in mezzo alla strada. E quando Merle era impegnato a spassarsela con i suoi coetanei, che altro avrei potuto fare, se non rifugiarmi nel boschetto vicino al paese? Mio padre di sicuro non sarebbe venuto a cercarmi, né tanto meno avrebbe chiesto a Merle di farlo.
Mi acquatto dietro ad un albero e mi sporgo leggermente. Il cinghiale passeggia tranquillo. Nemmeno si è accorto della mia presenza.
Alzo la balestra e prendo la mira. Tengo entrambi gli occhi bene aperti mentre cerco di agganciare nel modo migliore il mio bersaglio. Trattengo il respiro e mi concentro ancora un istante, prima di far cadere il mio sguardo su di un particolare che fino a quel momento non avevo notato. Il colpo che ho scoccato non va a segno e il cinghiale comincia a correre, spaventato dalla freccia che si è conficcata nel tronco a pochi centimetri da lui.
Mi alzo, deglutendo a fatica. Era da tanto che non ci pensavo, a dire la verità.
Mi avvicino alla causa del mio calo di concentrazione: un fiore. Un fiore bianco, candido e puro. Emana un profumo lieve e delicato, discreto. So benissimo di che fiore si tratti e in un batter d'occhio tutto quanto mi torna alla memoria, più vivido che mai.
Quel fiore, quella rosa cherokee, mi sta parlando. Mi dice che sono solo uno stronzo. E non posso che darle ragione.
Quante giornate ho passato alla ricerca di quella bambina? E per cosa poi? Per puro e semplice egoismo. Sophia, quella ragazzina spaventata che si era spinta troppo oltre quel giorno, cercando di scappare da qualcosa che probabilmente avrebbe dovuto rimanere solo uno dei suoi peggiori incubi e mai e poi mai trasformarsi in realtà. Sophia era scappata e non era più tornata. Che ci voleva per un segugio come me, trovarla e riportarla da sua madre? Già, sua madre... l'ho riempita di false speranze, l'ho convinta che avrebbe potuto esserci un lieto fine per lei e per la piccola, l'ho consolata e le ho mostrato tutta la mia determinazione a ritrovarla. E ancora una volta, perchè sono uno stronzo, un egoista stronzo.
Chi voglio prendere in giro? Mi importava veramente di quella bambina che nemmeno conoscevo? O stavo solo cercando qualcosa che mi tenesse occupato per non impazzire? Sophia è stata la mia fuga, la mia fuga dalla paura di restare bloccato. Dalla paura di non farcela a proseguire senza uno scopo preciso. Dalla paura di non avere successo.
Quella piccola ragazzina scomparsa ha gonfiato a dismisura il mio ego, facendomi credere di essere invincibile.
Trovai la sua bambola incastrata tra qualche ramo in un ruscello, e per poco non morii per quella maledettissima bambola. Ma ero sulla strada giusta, lo sentivo, e non potevo fermarmi. Non dopo esserci andato così vicino, non dopo aver sfidato la morte e il pericolo e aver vinto, per l'ennesima volta.
Carol credeva veramente che un giorno sarei tornato con Sophia in braccio. E lo credevo anche io, ho dovuto crederci. E ho dovuto farlo anche e soprattutto per convincermi del fatto che da qualche parte, nel profondo del mio egoismo, un piccolo bagliore stesse risplendendo, gridandomi che non tutto era completamente perduto.
Mi avvicino al cespuglio scoprendolo pieno di quelle rose bianche. Ripenso a quando ne portai una a Carol in quella bottiglia di birra che mi ero scolato di nascosto, cercando di trovarci sul fondo qualche messaggio magari. Qualche indizio, qualche risposta o qualche rimprovero anche, perchè no? Qualcosa, qualsiasi cosa. Qualcosa che non avrei di certo trovato sul fondo di quella bottiglia.
Lei, ad ogni modo, apprezzò il mio gesto. Disse che ero l'unico che si stava facendo in quattro per ritrovare sua figlia. E da un lato era vero.
Tiro un calcio furioso al cespuglio, facendo saltare qualche fiore. Impreco senza motivo e mi ritrovo a ribollire di rabbia. Odio me stesso per quello che ho fatto e odio me stesso anche per quello che non ho fatto. Sophia non meritava di andarsene in quel modo, Carol non meritava di essere riempita di stronzate e io non meritavo tutta la comprensione che lei mi aveva offerto.
Faccio qualche passo avanti e indietro, nervosamente. Lascio cadere a terra la balestra e colpisco un'altra volta quel maledetto cespuglio, imprecando anche contro il cinghiale che mi è scappato da sotto il naso.
Mi volto e mi chino a raccogliere un fiore che si è staccato dal suo stelo. Lo osservo e in un lampo mi scorrono davanti agli occhi i volti di tutte le persone che sono morte fino ad oggi. Non le conoscevo, non avrebbe dovuto importarmi di loro, e invece, un nodo alla gola mi fa pensare il contrario.
Mi alzo, rigirandomi il fiore tra le mani. Un paio di petali si staccano, seguiti a ruota da tutti gli altri. Li stringo con rabbia tra i palmi delle mani e grido a pieni polmoni lanciandoli a terra. Poco mi importa se ho attirato su di me una dozzina di vaganti, che vengano, non sanno cosa li aspetta.
Ecco com'è la vita, come una rosa cherokee. E' bella, ma troppo fragile. Basta un misero colpetto per mandare tutto a puttane. E a dirla tutta, la mia vita di prima, non era nemmeno poi così bella. Ma forse la vita di Sophia lo era.
Recupero la balestra e trafiggo con una freccia il cranio di un vagante che si sta avvicinando. Il bastardo precipita a terra, immobile. Un ghigno divertito mi sfugge dalle labbra ma ben presto, sento il nodo all'altezza della gola farsi più stretto. Gli occhi mi bruciano e un'orribile sensazione mi attanaglia lo stomaco.
Elimino un altro vagante, con il machete questa volta. La lama perfora il cranio del mostro più e più volte. I miei colpi sono dati con forza e con rabbia. Con rancore. Con rimorso. Con sconfitta.
Fanculo, lo stronzo di turno sono sempre io. E più cerco di stare lontano da ogni tipo di coinvolgimento emotivo e meno ci riesco. Che diamine, non sono una ragazzina, non mi metto di certo a piangere per una bambina che non conosco.
Se Merle mi vedesse adesso, si farebbe una delle sue solite risate fastidiose. E io gli spaccherei un'altra volta il naso, probabilmente ricevendo una caterva di calci e pungi come ricompensa.
Mi volto scoccando un'altra freccia, che finisce dritta nell'occhio di uno scoiattolo che stava scendendo da un tronco a qualche metro di distanza. Almeno metterò qualcosa sotto i denti.
Recupero la carcassa dell'animale e la lego alla cintura. Faccio per andarmene, ma non posso fare a meno di girarmi per l'ultima volta verso il cespuglio di rose. Un fruscio dapprima lento e delicato, si trasforma all'improvviso in un ritmo scostante cadenzato. Alzo gli occhi al cielo, bagnandomi il viso con la pioggia che ha cominciato a scendere. E' fredda.
Inspiro a pieni polmoni e chiudo gli occhi. Quelle che scorrono sul mio viso sono solo gocce di pioggia, e non lacrime. Deve essere così. Non me la ricordo nemmeno l'ultima volta che ho pianto. Ma se anche fossero lacrime, non è di certo dalle mie che nasceranno altre rose cherokee. Nella leggenda, le rose nascono dalle lacrime delle madri indiane che soffrirono terribilmente per la deportazione dei loro figli per mano dei soldati americani. Le mie lacrime non valgono niente, in confronto a quelle di Carol.
Tiro su col naso, scostandomi dagli occhi qualche ciocca di capelli. Guardo le poche rose che sono sopravvissute alla mia foga di qualche minuto fa.
Dei fiori così belli, non nascono dalle lacrime di uno stronzo come me.
Perdonami” sussurro prima di voltami definitivamente e lasciarmi alle spalle quel posto.



 


Spazio autrice:
Buon pomeriggio :)
E' la prima volta che posto qualcosa che riguarda The Walking Dead, ma questa cosetta piccina piccina mi girava in testa da un pochino, ma ho preferito aspettare e scrivere qualcosa solo dopo aver visto tutte le puntate per essere sicura di aver capito al meglio questo splendido personaggio. 
Spero che la mia interpretazione di Daryl vi sia piaciuta :) 
Ultima cosa, questo momento è da collocarsi all'inzio della terza stagione, dopo la morte di Sophia, quando il gruppo riesce a stabilirsi nella prigione e Daryl ancora non sa che Merle è vivo, a Woodbury.
Un bacione e alla prossima.
Fe



P.s. Ah già, che dite del banner che ho creato? *-*
Non so a voi, ma a me piace troppo *-*

  
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