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Autore: ellephedre    12/11/2014    8 recensioni
Raccolta di one-shot post Verso l'alba, dedicata ad Ami e Alexander. Dopo le battaglie, cosa cambia per loro? Hanno dei progetti, da portare avanti insieme e separati. Hanno ancora da conoscersi. Hanno da evolversi.
«A volte, ti amo così tanto che ho solo voglia di... bearmi di te. Di averti con me, sentirti.»
Lei lo faceva sentire in una maniera indescrivibile.
Ami si ritrasse un poco. «Invece tu a volte mi ami così tanto che... non hai voglia di stare solamente abbracciati, no? Anche se te lo chiedo io.»
... c'era una risposta giusta a quella domanda? O era a trabocchetto?
«Era questo che intendevo dire» sorrise Ami. «Non devi pensare a come rispondere, basta che dici la verità.»
«Be', ma queste sono mie strategie. Hanno una loro utilità. Vedi? Ti divertono.»
Ridendo piano, lei lo abbracciò. «Ma questa notte possiamo restare così?»
«Sì.»
«... anche se non vuoi?»
«Mi fraintendi. Io lo voglio sempre. Solo a che a volte di mezzo mi va anche qualcos'altro.»
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ami/Amy, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
Capitoli:
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per istinto e pensiero 2     

 

P.S - ho modificato leggermente il capitolo, perché nella precedente versione avevo completamente sbagliato il fuso orario tra Italia e Giappone - confondendo +9 per -9. Mi sono sentita molto scema perché era tutto sballato nei tempi del racconto, ma almeno sono riuscita a sistemare. Grazie ad Alessia per avermelo fatto notare :)

 

 

Per istinto e pensiero

di ellephedre

 

2/3 gennaio 1997 - Vacanza in Italia/1

   

«Non pensiamo di tornare prima del weekend.»

Alexander annuì. Stava parlando al telefono con Nanny Shoko e capiva sia lei che la sua famiglia. A Tokyo, solo due giorni addietro, si erano verificati eventi pericolosi che avevano coinvolto l'intera area urbana. Era normale volerne stare lontani. «Fai bene a rimanere dai tuoi genitori» disse alla sua nanny. «Ci vediamo la prossima settimana.»

«Però Alex... Non mi piace l'idea che tu stia a Tokyo. Perché con Ami non andate a fare una bella vacanza? State via almeno fino a domenica. Per allora si sarà capito se le acque si sono calmate in città.»

Lui sorrise dell'analogia. Aveva la certezza che le acque fossero calme: accanto a sé aveva la signora di quell'elemento, pronta a proteggere lui e l'intera Tokyo assieme alle sue compagne. «Ne parlerò ad Ami. Dovremo ugualmente aspettare domani per muoverci: oggi gli operai sono qui a riparare le scale.»

«Giusto.» Shoko rifletté. «C'è una soluzione. In questi giorni dovrebbe esserci Mitachi-san alla reception.»

«Il portiere del palazzo?»

«Sì, controlla. Puoi dargli una mancia e chiedergli di supervisionare lo stato dei lavori durante la giornata. Gli operai possono lasciare a lui le chiavi di casa quando avranno finito.»

Era una possibilità. «Non sapevo che ci facesse questi favori.»

«Da sempre, è una persona fidata. Tua madre gli chiedeva una mano quando io non c'ero.»

Certo. Sua madre aveva un modo tutto suo di corrompere la gente, con sorrisi e piccoli regali. «Okay. Ti voglio bene, Nanny Shoko. Ci sentiamo.» Sul punto di riattaccare, sentì un sospiro all'altro capo della linea. Rimase in ascolto. «Cosa?»

«Oh, tesoro. È così bello sentire che cresci ma dentro rimani sempre il mio Ale-chan.»

«Ehm...»

«Lo so, ormai ci vuole un pericolo di morte per tirarti fuori queste dichiarazioni d'affetto. Lascia che mi commuova lo stesso.»

Ma lui non era così freddo. «Non te l'ho detto altre volte?»

«'Ti voglio bene' mi mancava da un po'.»

Ah, sì? «Lo penso sempre.»

«Oh, no no! Se esageri ora mi metto a piangere! Torna da Ami-san, sicuramente è la sua influenza a farti bene. Ciao!»

«Ciao» la salutò lui, incerto.

Premette il tasto di fine chiamata sul cordless e tornò verso la cucina, vicino ai rumori degli operai che lavoravano nell'ala principale del piano. Durante la colazione, con Ami erano riusciti a stento a sentirsi l'un l'altro.

«Tutto bene?» chiese lei ad alta voce, vedendolo rientrare.

In salotto stavano distruggendo le piastrelle col martello. Gli operai erano andati anche al piano inferiore, a controllare se vi fossero stati cedimenti nel soffitto causati dal crollo delle scale al loro livello.

Alexander si chinò verso Ami, per farsi sentire. «Nanny Shoko non è a Tokyo!»

Lei annuì, facendo girare un cucchiaio in una tazza colma di cereali.

«Ho un'idea per dopo!» la informò lui, sedendosi per terminare di mangiare.

Finirono di fare colazione col chiasso dei lavori di ristrutturazioni nelle orecchie.

  

Al piano di sopra, Ami valutò il da farsi. «Non possiamo andare a casa mia questa mattina. Mia madre sta riposando.»

«Sta male?» domandò lui. Il giorno precedente avevano parlato della necessità di verificare anche la salute di Saeko Mizuno, nel caso lei avesse contratto l'infezione che lo aveva colpito.

«Mamma sta bene, ha detto solo di essere stanca.»

C'era da fidarsi? Ami gli aveva raccontato che sua madre faceva turni lunghi fino a quarantotto ore quando il dovere chiamava. Mizuno-san non era una persona che badava al proprio benessere ed era capace di sottovalutare i primi segnali di una malattia, nonostante fosse un medico.

Ami intuì i suoi pensieri. «Ho controllato stamattina.»

Lui si sorprese. «Quando?»

«Mentre dormivi. Mi sono teletrasportata e ho fatto credere a mia madre di aver passato la notte a casa. Le ho detto che eri stato molto male e che forse potevi averla contagiata, ma lei non si è preoccupata di se stessa; piuttosto mi ha chiesto come stavi tu. Poi è andata a riposare e io l'ho studiata a distanza col computer. La sua temperatura corporea era nella norma.»

Gli mancarono le parole: Ami era un'efficientissima spia.

«Cosa c'è?» domandò lei, sentendosi osservata.

«Una ne pensi e dieci ne fai.»

«Mi piace avere la situazione sotto controllo.» Le passò un lampo di colpa negli occhi e Alexander seppe cosa stava pensando.

«Hai intenzione di sorvergliarmi tutto il giorno, vero?»

«Per precauzione. Non sappiamo se quello che hai avuto-»

Lui non voleva discuterne. «Nanny Shoko mi ha fatto notare che siamo in vacanza.» Non solo potevano passare insieme tutta la giornata, ma persino dedicarsi a qualunque attività venisse loro in mente. Preferibilmente, senza il rumore di voci e martelli in sottofondo.

Ami stava osservando la parete in vetro della stanza, pensierosa.

Già, pensò lui. Uscire non era una prospettiva attraente. Tokyo mostrava ancora le proprie ferite di guerra - se non negli edifici spezzati, nella testa delle persone.

Il giorno prima, per strada e al tempio, con Ami non avevano sentito altro che discorsi di alieni e guerriere Sailor.

Non era il modo migliore per allontanarsi con la testa da quelle esperienze, perciò... «Andiamocene.»

«Hm?»

«Facciamo una valigia veloce e andiamo da qualche parte. Dove vuoi tu.»

«Una gita?»

In verità il fatto che lei potesse ricorrere al teletrasporto gli aveva allargato la mente. «Grazie a te pochi giorni fa siamo stati in America. Se ti va, possiamo aprire un atlante e decidere per qualunque posto al mondo.»

Ami scoprì un universo di possibilità. «Oh.»

Esatto. Essere potenti come lei non era utile solamente per combattere. «Prendo le cartine.»

Una mano di Ami lo afferrò prima che potesse allontanarsi. «Possiamo davvero? Devo controllare la salute di mamma.»

«Per farlo puoi teletrasportarti.»

Ami si stupì di non averlo ricordato. «Così è scomodo. Però ho salvato il suo stato nel computer. Dovrei riuscire a studiarla da qualunque parte del globo.»

Fantastico. «Quel tuo aggeggio non ha limiti.»

Ami stava sprizzando gioia. «Per il viaggio dobbiamo tenere conto del fuso orario.»

Lui riuscì a spostarsi verso gli scaffali della libreria. «Questo potrebbe essere l'unico problema. Sarebbe più conveniente andare in un posto in cui è giorno.»

«Sì» sussurrò Ami, concentrata. «Se non ti dispiace, vorrei evitare i posti in cui siamo state con le altre prima di capodanno.»

Naturalmente era d'accordo. «Lo scopo è quello di dimenticare un po'.»

Lei annuì. «Allora...» Aprirono insieme il libro di cartine geografiche. Ami glielo tolse di mano e cercò la pagina che indicava i fusi orari mondiali. «È giorno in tutta questa parte del globo.» Vi passò sopra il palmo. «Inoltre, dovremo scegliere delle città per cominciare. Stiamo partendo senza preparazione e non è saggio muoversi verso luoghi privi di presenza umana senza aver prima verificato le condizioni atmosferiche e il tipo di equipaggiamento necessario a...» Si interruppe. «Oh. Potrò vedere un'aurora boreale!»

Alexander la adorava quando l'entusiasmo di lei era tale da portarla a formulare nuovi pensieri ancora prima di aver terminato di parlare. «Possiamo fare tutto quello che vuoi.»

«L'altro giorno sono stata al Polo Nord e...» Le parole le morirono in gola.

Lui le scostò i capelli dalla fronte. «Pensi davvero troppo.»

Ami si concesse un lungo sospiro. «Il mio cervello non sta mai fermo.»

Non era un difetto. «Hai solo bisogno di riempirlo con nuovi ricordi.» Prese una decisione. «Per questa volta scegliamo l'Europa.»

«Tu ci sei già stato.»

«Non dappertutto.» Era partito da solo l'estate precedente, ma aveva evitato di proposito alcuni paesi, per poterli vedere per la prima volta con lei

Guardando la cartina politica, Ami scartò mentalmente Londra e Parigi, due delle grandi capitali che erano state minacciate dalle bombe nucleari dell'alieno Zenas.

«Spagna» suggerì Alexander. «O Italia, se vuoi.»

«Italia!» ripeté con un gridolino Ami. «Roma e Venezia!»

La culla di un antico impero e la città del romanticismo europeo - entrambi posti perfetti. «Venezia» propose lui. Era sempre stato curioso di vedere tutti quei canali in mezzo a una città abitata.

Ami ci stava pensando a sua volta. «Però c'è tanta acqua. Non penso che gennaio sia il momento più bello per visitarla.»

«Vada per Roma, allora. E se vorremo, potremo comunque dare un'occhiata a Venezia. Nulla ci ferma.»

Ami quasi saltò sul letto. «Giusto!» Entrò in modalità operativa. «Dunque, sono le nove del mattino. In Italia dovrebbe essere piena notte.»

«Mezzanotte» confermò lui, dando un'occhiata alla tabella dei fusi orari presente nell'atlante.

Con Ami rifletterono per pochi secondi. 

«Aspettiamo questa sera per partire» propose lei. «Così ci prepariamo per bene e nel frattempo posso passare anche al tempio di Rei. Devo andare a trovare Ale-chan.»

«Giusto.» Colpevolmente, lui si rese conto di essersi quasi dimenticato del gattino di Ami.

«Ho bisogno di parlare con Luna e Artemis. Devo chiedere se possono tenermelo d'occhio in questi giorni. Altrimenti...»

«Certo.» Lei si era già rabbuiata al pensiero di lasciare il gattino senza supervisione. «Troveremo una soluzione, vedrai.» Anche a costo di corrompere Luna.

Iniziarono a prepararsi per uscire e una volta fuori Ami cominciò a organizzare i dettagli. «Dobbiamo andare in banca a ritirare del denaro?»

«Lascia stare il cambio di valuta: ho una carta di credito e dei traveller's cheques che ci aiuteranno con la prenotazione dell'hotel.»

«Pensi che sia il caso di dormire lì? Potremmo risparmiare molto tornando qui in Giappone.»

«Che viaggio sarebbe? Inoltre il nostro corpo avrà già abbastanza problemi a distinguere tra il giorno e la notte. Non confondiamolo troppo.» Era già successo durante i loro spostamenti da e verso Boston. Se fino a quel momento non avevano avuto problemi a dormire, era stato solo per la troppa stanchezza.

Ami fu d'accordo. «Se ricordo bene le lezioni di geografia, in Italia hanno un clima temperato non dissimile da quello di Tokyo. Forse farà un po' più caldo. Sceglierò bene i vestiti.»

«Di questo passo per stasera sarai pronta prima di me.»

Ami ne fu sicura. «Non sottovalutarmi.» 

   

Alle sei di quella sera erano pronti a partire.

Nel pomeriggio erano andati in una libreria a comprare una guida della città, per capirne bene la fisionomia e studiare il posto migliore in cui teletrasportarsi.

«Ci serve un luogo che sia relativamente isolato» disse Ami, studiando la mappa dei luoghi turistici. Le immagini le erano utili per trovare un riferimento per il loro spostamento, ma avere una cartina in mano le permetteva - grazie al minicomputer - di ampliare le loro scelte.

Alla fine dovettero affidarsi alle fotografie. «Questo sembra un fast-food.» Indicò ad Alexander l'edificio dietro un monumento. «Avranno un bagno. Possiamo teletrasportarci lì.»

«Riesci a controllare se saremo soli all'arrivo?»

«Certo. Col computer ora studio la pianta del luogo.»

Nel frattempo lui sfogliò la guida degli alberghi. Ne aveva puntati un paio, di cui uno nella zona individuata da lei.

«Ci siamo» disse Ami. Si alzò dal letto, sedendosi sulla cima della propria valigia. Prima di trasformarsi in Sailor Mercury aveva indossato cappotto e sciarpa, ma vederla in casa con la gonna corta e le gambe nude, incrociate, provocò ad Alexander un sorriso. Ami non lo notò: era comoda nei suoi stivali azzurri e alti. «È mattino dall'altra parte, perciò il posto dovrebbe essere poco affollato. Riuscirò a capire mentalmente quando i bagni saranno vuoti.»

«Hai come un radar in testa, vero?»

«Hm-mh» annuì lei. «Posso anche dirti che il bagno che ho puntato misura due metri quadrati. Staremo stretti all'arrivo. Riesci a tenere la valigia sopra la testa?»

«Nessun problema.» La sollevò sopra di sé.

Ami chiuse gli occhi, per concentrarsi. «Un attimo di pazienza.»

Alexander la lasciò alla propria analisi. Incredulo, si guardò attorno. Stava davvero per apparire in un altro continente, in un istante, senza l'ausilio di nessun aereo o macchina. Il concetto stesso di viaggio assumeva una connotazione completamente differente con tempi tanto ridotti: il mondo diventava un unico posto senza più barriere temporali a dividerli da luoghi lontani.

Ami lo afferrò per un braccio. «Ci siamo. Tieniti stretto a me.»

Lui fece attenzione a non far cadere la valigia.

Mentre sbatteva gli occhi, vide per un momento un brillio di colori chiari. Poi con Ami si ritrovarono in un posto maleodorante e chiuso. 

Lei si coprì il naso. «Okay. Usciamo prima che ci vedano.»

Alexander si spostò per farle aprire la porta, stando attento a dove metteva i piedi. L'igiene non era una priorità in quel posto.

Nell'anticamera del bagno, davanti a un grande specchio, riuscirono a respirare.

Guardando il proprio costume Sailor, Ami sussultò e sciolse la trasformazione. Un momento dopo la porta del locale si aprì, facendo passare una ragazza.

Lei spalancò gli occhi. Rise e disse qualcosa di incomprensibile. Ami si sorprese della familiarità dell'estranea, che si era rivolta a loro con un tono colloquiale e molto amichevole.

Alexander scosse la testa, sorridendo. «We don't speak Italian.»

«Ah!» proruppe la ragazza, infilandosi nello spazio tra loro e il lavabo per passare, senza aspettare nemmeno che si spostassero. «Not I, me not English!»

Ami si divertì fino a che non notò il modo in cui la ragazza si soffermava a guardare lui. Era abituata all'attenzione di altre donne, ma non a un'insistenza così sfacciata. La straniera concluse l'occhiata con un sorriso allusivo che lo fece ridere.

Appena uscì, Alexander si voltò per un commento. «Sono così diversi!»

Ami si accigliò. «Usciamo.»

L'interno del locale si rivelò un ambiente fondamentalmente differente da quello che si sarebbero aspettati da un fast-food: le luci erano tenui, le poltroncine comode, gli spazi ampi. C'era poca gente. Alexander ebbe un buon ricordo. «Questo è l'affollamento europeo, sempre.»

Ami trascinò dietro di sé la valigia, distratta. «Hm?»

«Te ne accorgerai mentre ci muoviamo. Ci sono meno persone che a Tokyo, dappertutto. In Europa si ha la sensazione di respirare in tutte le città.»

Lei osservò i propri dintorni con occhi nuovi. Acquisì energia nel passo. «Andiamo a scoprirlo.»

 

Solo uscire per strada provocò ad Ami un piccolo scombussolamento. Era tutto diverso. Gli edifici sembravano antichi, artistici, vissuti. Bassi in altezza e affascinanti per i particolari senza utilità - come le volte sopra i portoni - che sembravano inseriti solo per aumentarne la bellezza.

E le strade. Come le aveva detto Alexander, erano libere e disordinate nel passaggio delle persone. Non c'era nessuna fila in cui immettersi per camminare in una direzione. Si trovavano in una delle vie centrali di Roma, in un quartiere dedicato allo shopping, eppure la gente camminava come voleva, a volte persino entrando nella corsia riservata alle macchine.

Ami si stupì nel vedere un'auto che rallentava senza suonare il clacson. I guidatori erano apparentemente abituati a quel tipo di intromissione.

Non stava guardando davanti a sé e quasi si scontrò con un altro passante. «Sorry!»

Invece di un rimprovero le arrivarono delle scuse allegre. L'uomo proseguì per la propria strada e Alexander scrollò le spalle.

«Sono molto rilassati.»

Lei avrebbe potuto passare tutta la mattina a girare senza meta, ma prima dovevano disfarsi delle valigie. «L'albergo a cui hai pensato è qui vicino?»

«Sì. Vediamolo dal vivo e dimmi se ti va bene.»

Mentre si incamminavano, lei si godette l'atmosfera della città. Era romantica anche di giorno, proprio come aveva letto. Nulla era stato costruito pensando agli affari o all'efficienza. I negozi si incastravano in piccole vetrine che all'interno si dipanavano in spazi più ampi. La natura antica delle vie non veniva meno per quegli accenni di modernità.

Era un connubio strano, con uno stile diverso da quello a cui era abituata. Anche a Tokyo c'erano piccole strade isolate, per lo più residenziali, in cui si potevano trovare tracce viventi di passato - come i templi. Ma Roma, per quel poco che aveva visto, sembrava un museo all'aria aperta, con qualcosa di valore da vedere a ogni passo.

Scorse un edificio imponente, in lontananza. «Guarda quello!» Era un enorme colonnato di marmo distante circa un chilometro, forse un altare.

Alexander svoltò in un vicolo. «Andiamo a vederlo dopo. Siamo arrivati, che ne dici?»

Ad una prima occhiata l'hotel le piacque. «Entriamo.»

Passarono insieme attraverso un ingresso dalle dimensioni ridotte, elegante.

Ami sorrise guardando l'interno dell'albergo: il bancone in legno aveva uno stile dell'ottocento europeo, la forma delle lampade era ricercata al limite della pomposità e tutti i tappeti, per materiali e disegni, rimandavano a un mondo antico. Amò ogni particolare.

Il congierce dietro il bancone offrì loro un caloroso benvenuto. «Buongiorno!» Aveva usato l'italiano, ma si ripeté anche in inglese.

«Salve» rispose Alexander, adottando senza motivo un accento britannico. «Vorremmo una camera doppia per due notti.»

Ami arrossì, ma il concierge non pensò nulla di due giovani stranieri che viaggiavano in coppia dormendo nello stesso letto. L'unica imbarazzata era lei. 

«Buongiorno.»

Sobbalzò, voltandosi. Alle sue spalle era giunto un ragazzo in divisa da inserviente.

«Prima volta a Roma?» domandò lui in inglese, con una cadenza forte e singolare.

La domanda personale la confuse. «Sì.»

«È una bellissima città! Non è vero, signor Pitti?»

Col tono della voce il ragazzo quasi urlava.

Il concierge stava eseguendo la registrazione della camera. «È la città più bella. Possiamo fornirvi cartine, registrarvi per tour, guide turistiche... Qualunque cosa vogliate!»

«Grazie» disse Alexander, appoggiandosi sul bancone per voltarsi a osservare lei e l'inserviente.

Lui si era avvicinato di un passo, chinandosi come per farsi ascoltare meglio. «Con quello che è accaduto, sei coraggiosa a viaggiare da sola.»

Ami offrì un sorriso incerto. «Veramente...»

«Ci sono io con lei.» Alexander sorrideva con la bocca, gli occhi duri.

«Ah, pensavo-» Il ragazzo fece scorrere il dito tra loro due, come a spiegare l'errore. Non si imbarazzò e rise. «Scusate! Be', allora siete coraggiosi a viaggiare in questi giorni. Il tragitto dall'aereoporto vi ha stremato, vero? Roma è sempre nel caos, ma mai come in questo nuovo anno!»

Dietro il bancone il concierge stava annuendo. «Tanta gente cerca di tornare a casa dall'estero. Siamo stati fortunati a non essere attaccati qui in Italia.»

«Tu sei giapponese, giusto?» L'inserviente si rivolse a lei. «Voi ne sapete di più su queste ragazze, queste Sailor

Ami non si scompose. «Sono guerriere.»

«Come soldati, dici? Non è la stessa cosa se non fanno parte di un esercito. Chi glielo fa fare di combattere per noi?»

«Senso del dovere» si intromise Alexander. «Amore per l'umanità, desiderio di giustizia. Chi lo sa? Ma lo fanno da sempre.»

«Eh!» Il ragazzo italiano aprì le mani, gesticolando. «Questo è ottimismo! Ha sentito, capo?»

«Ho sentito che parli troppo, Mario.» L'uomo si sporse per passare una chiave ad Alexander. «Accompagnali nella loro stanza. È la 302.»

«Agli ordini!» L'inserviente provò a diventare professionale, poi di nascosto lanciò un occhiolino ad Ami. «Seguitemi.» Le afferrò la valigia prima che Alexander potesse prenderla.

Vedendo che lui le marciava davanti, come a distanziarla dall'estraneo, Ami si concesse un sorriso.

Si fermarono dopo mezzo giro di corridoio. «Questo è l'ascensore» spiegò il ragazzo italiano, pigiando un tasto sul muro. Iniziò a osservarli entrambi. «Ma una domanda, così... Voi avete intenzione di tornare in Giappone?»

«Certo» rispose Ami.

«Non avete paura che gli alieni ricompaiano? È cominciato tutto a Tokyo, no? Voi venite da lì?»

«Viviamo lì» confermò Alexander.

«Hm. Fossi in voi rimarrei in viaggio. Tranne che per tornare a prendere la famiglia, ovvio.»

Ami capiva il suo punto di vista, ma... «Ha senso scappare? Se gli alieni tornassero a essere una minaccia, lo sarebbero per tutto il mondo.»

«Sarà, ma nascondersi in montagna per una settimana in più di vita non mi dispiacerebbe!» La risata del ragazzo conteneva una traccia di paura.

Ami si impietosì. «Quell'alieno ha detto che non voleva farci del male. Comunque non c'è più, no? Io credo che adesso Sailor Moon lo abbia fatto sparire.»

«Serenity?»

Quel nome nella bocca di una persona comune la scombussolò ancora una volta.

L'inserviente li invitò a entrare nell'ascensore appena arrivato. «Io non mi fido di lei. Quella donna secondo me vuole sottometterci. Con tutti quei poteri... Inoltre non viene dalla Luna? Tutte quelle Sailor hanno nomi di pianeti. Per me è un'aliena come quelli che ci hanno attaccato.»

Era un'accusa a cui Ami dovette rispondere. «Cos'è 'alieno'? In questi giorni abbiamo scoperto che gli alieni possono essere come noi. Sono esseri umani, perciò abbiamo la possibilità di capirli.» Deglutì. Si sentiva disonesta a parlare di sé in terza persona. «Mi preoccuperò che siano pericolosi solo quando dimostreranno di volerci fare del male. Ma non penso che succederà.»

Dopo averla ascoltata, il ragazzo italiano rimuginò e fece per dire qualcosa. Si zittì prima di pronunciare parola.

«Hai un'opinione?» lo incalzò Alexander, appoggiato contro la parete della cabina. La sua non era una sfida, solo un invito a parlare.

«Mia madre mi ha insegnato a non essere maleducato.» Il ragazzo rise forte del suo stesso scherzo.

Ami non la accettò come risposta. «Mi interessa sapere la verità.»

«Ma no, perché?»

Era semplice. «Una persona può moderare ciò che dice per educazione, ma questo non significa che non abbia il pensiero che non sta esprimendo. È importante sapere per capire.»

Il ragazzo non la comprese, ma scrollò le spalle. «Non dite che non ve l'avevo detto. Ecco... da quello che ho visto, voi giapponesi siete un popolo strano. Vi inchinate, accettate, obbedite. Seguite. È la vostra natura. Qui non abbiamo fiducia in chi ci governa. Per quanto riguarda il resto del mondo... be', la gente pretende risposte e motivazioni. Mettiamo tutto in dubbio. Se quella Serenity ha intenzione di comandarci come l'alieno, non avrà vita facile. A me non va di avere una regina.»

Rimasero in silenzio per il resto del percorso.

Arrivati al piano, la loro stanza risultò essere proprio davanti all'ascensore. Alexander prese le valigie in mano. «Grazie per la tua onestà.»

L'inserviente inspirò a fondo. «Ho esagerato? Vi ho offeso?»

«No» disse Ami guardandolo. «Mi hai aiutato a capire.» Sorrise. «Bongiorno.»

Il ragazzo rise del suo italiano. «Sei bravissima! Ma è 'buongiorno'.»

«Buongiorno» ripeté correttamente Ami.

Il ragazzo annuì e andò via con l'ascensore.

 

Per le strade di Roma, notò più tardi Ami, molta gente correva invece di camminare. Lei non sapeva se fosse uno stato naturale, ma aveva l'impressione che le persone volessero tornare presto a casa. C'erano piccole riunioni un po' dappertutto, soprattutto davanti ai 'bar' - i locali dove ci si poteva fermare per prendere un caffè. Le persone parlavano concitatamente, preoccupate, ed Ami aveva colto nei loro discorsi parole che conosceva. 'Zenas', 'Sailor'.

Quel viaggio era per metà magia e per metà pensieri. Non era possibile fuggire da quello che era accaduto.

Alexander la invitò a seguirlo prendendola per mano. «Siamo quasi arrivati.»

«Veramente?»  Si stavano dirigendo alla Fontana di Trevi. Dalle foto nella guida le sembrava che fosse una grande piazza, ma fino a quel momento si erano addentrati in vicoli sempre più stretti e tortuosi.

«È qui dietro» disse Alexander, ma anche lui nutriva dei dubbi.

Sbucarono in un'apertura tra le stradine. Ami capì che il posto era speciale perché c'era una piccola folla che fotografava l'edificio accanto a loro. Girandosi, vide il riflesso dell'acqua in un bacino di marmo. «Ah.»

Bastò avanzare per osservare la fontana in tutta la sua considerevole grandezza. Solo la piazza in cui si trovavano era minuta.

Con un sospiro Alexander guardò il cielo. «Mi sono appena ricordato: non ho portato la macchina fotografica.»

«Non importa.»

«Ma quando ci ricapiterà di... Well, right

«Infatti. Potremmo tornare qui quando vorremo. Inoltre, come avrei spiegato a mamma l'immagine di me accanto a questa fontana?»

«Facile: tenevo io la foto, a casa mia.» Alexander si chinò per sussurrarle nell'orecchio. «Ho questa idea di crearmi un album personale di tue immagini...»

Ami rise contro il suo petto. «Vieni!» Lo trascinò per una mano, salendo verso il livello superiore della piazza, per poter guardare la fontana dall'alto.

Era artistica, romantica e bellissima.

Sospirò. «Almeno non siamo i soli a godercela.»

I turisti si mettevano in posa davanti al monumento. Anche i più felici e giovani erano moderati nel loro entusiasmo.

«C'è incertezza, Ami. Man mano che i giorni passeranno, la situazione si calmerà.»

Sì. Poi, col trascorrere degli anni, tutto sarebbe diventato molto più complicato per il mondo intero.

Lei cominciava già ad avere la sensazione di vivere istanti rubati al suo vero destino. 

'Non ha senso scappare', aveva sostenuto. Non poteva valere solo per gli altri.

Alexander non aveva smesso per un attimo di osservarla. Abbassò la voce. «Dipenderà tutto dalle circostanze in cui Usagi e Mamoru prenderanno il potere.»

«Lo so.»

«Si suppone che lo faranno per salvarci da qualcosa. Questo renderà più semplice per le persone accettare la nuova situazione.»

«Non stavo pensando a questo.» Anche se era d'accordo con lui. «Valutavo la transizione a cui andremo incontro come persone. Hai sentito quel ragazzo.» O per la verità, qualunque telegiornale al mondo, che in quei giorni lei aveva evitato il più possibile, di proposito. «Faticheranno a ritenerci umani all'inizio. Saremo come divinità, o estranei. Alieni. Per qualcuno, addirittura nemici.»

Alexander annuì a malincuore.

«Le circostanze in cui nascerà il nuovo regno ci aiuteranno a capire come gestire la situazione, ma... nella pratica? Per esempio, dove andremo a vivere?»

Lui non si sorprese della domanda.

«Non potremo rimanere in case normali» continuò Ami. «Come persone comuni, diamo per scontate molte cose. Siamo anonimi, ci confondiamo tra la gente. Perciò possiamo avere un lavoro, un conto in banca, un'abitazione in cui nessuno viene a cercarci. Ma una volta che l'intero pianeta dubiterà di noi...»

«Staremo tutti insieme all'inizio.»

Era l'idea che stava avendo lei. «Non solo noi. Anche le nostre famiglie dovranno nascondersi.»

Alexander strinse le labbra.

«Finché verremo ritenuti un pericolo, potranno usare le persone che amiamo contro di noi. Il nostro potere non potrà impedirlo: il mondo è enorme e le minacce saranno molteplici e quotidiane. Ricattarci non sarà un'idea che verrà solo ai governi.» Lei stava pensando a sua madre, ma Alexander aveva più persone a cui teneva: i suoi genitori, la signora Shoko, forse il suo amico Shun Yamato.

Si sarebbe arrivati al punto da servirsi di loro semplici amicizie?

Certo, si rispose da sola. Se chi si sentiva minacciato da loro avesse pensato di non avere altra scelta...

Alexander stava riflettendo. Gli era spuntato un sorriso amaro.

«A cosa pensi?»

«Sarà la volta buona che mio padre diventa povero.»

«In che senso?» Ma le bastò fermarsi un momento a pensare per capire.

Alexander annuì in silenzio. «Un governo può confiscare qualunque tipo di bene se lo desidera. Se ci trattano alla stregua di terroristi, ci lasceranno tutti senza un soldo.»

Lei provò a immaginare una contromossa.

L'unico modo per Usagi e tutte loro di impedire misure simili era minacciare ritorsioni che non avrebbero mai messo in atto. A meno che un governo evitasse sin da principio di stuzzicarli in quel modo, per timore della loro forza. Era una possibilità, ma la paura che generavano nel prossimo non li avrebbe protetti per sempre. Nel momento in cui i governi avessero sentito messa in pericolo la propria sovranità, sarebbero ricorsi a misure estreme.

È quello che abbiamo intenzione di fare? Appropriarci della sovranità altrui?

No, le veniva da dire. Ma non aveva idea, di fatto, del motivo che avrebbe portato Usagi e Mamoru a voler diventare sovrani del pianeta. Sapeva solo che si sarebbe trattato di una ragione valida.

«Contanti» disse Alexander. «In valute diverse. E per il grosso del denaro, conti correnti in paesi che non vanno d'accordo tra loro. Sotto falso nome.»

Le venne da ridere. «Ora sì che mi sento criminale.»

Divertito, lui sospirò. «Sarà uno dei tanti modi per proteggerci. Inoltre, a meno di non voler diventare davvero dei ladri, sarà meglio accumulare capitali prima che arrivi il limite di questi tre anni di vita normale. Nessuno di noi dopo troverà un lavoro. La nostra sorte sarà lasciata al caso.»

Era un quadro pessimista, ma realistico. «Mi chiedo se Usagi creerà con la magia il castello...»

Alexander drizzò le orecchie. «Quale castello?»

«Vivevamo in un edificio di cristallo nel futuro.» Nel bel mezzo di Tokyo, dove nel presente si trovavano interi quartieri abitati da milioni di persone. «No» comprese. «È improbabile che lei lo abbia creato dal nulla. Passeranno decenni, o forse secoli, per completare la sua costruzione.» Prima che sorgesse un palazzo di tali dimensioni bisognava trovare un'altra locazione al resto della città, dopotutto.

«Ti dicevo del falso nome» le ricordò Alexander. «Magari Artemis potrà aiutarci a creare altre penne di trasformazione che nascondano i nostri tratti alla vista.»

«Come vivere in incognito?» rimuginò Ami. La prospettiva non le piaceva.

«Solo quando usciremo di casa.» L'idea deprimeva anche lui. «Forse solo per qualche tempo.»

Non era piacevole fare quei discorsi, né sentirli uscire dalla sua bocca. «Mi dispiace averti trascinato in questa storia.»

«Daremo la colpa a chi l'avrà, quando verrà il tempo.» Lo vide scuotere la testa. «Non ci stiamo godendo Roma. Andiamo a gettare una moneta nella fontana.»

«Giusto.» Lei cercò nella propria borsa. Tirò fuori degli yen. «Moneta giapponese in una fontana italiana. Doppia fortuna?»

«Perché no?»

Si avvicinarono al bacino d'acqua. Ami osservò le altre persone che esprimevano i loro desideri gettandosi una moneta alle spalle.

Alexander buttò la propria.

«Sei veloce.»

Lui le strizzò l'occhio. «Non ho nemmeno dovuto pensarci.»

Gli avrebbe chiesto cosa aveva desiderato se non avesse saputo che la tradizione imponeva di non rivelarlo. Era solo una superstizione, ma non c'era niente di male, di tanto in tanto, a credere in qualcosa di illogico e magico. Per parte sua lei aveva mille desideri, ma il più intenso e personale, in quel momento, era semplice.

Guardò Alexander e gettò nell'acqua dietro di sé una moneta da cinquecento yen.

Voglio che lui rimanga sempre in salute.

Non voleva più vederlo agonizzante, sanguinante, in pericolo, o in punto di morte. Mai più, in tutta la loro vita.

Alexander sorrise quieto. «Mi divertirò a immaginare cosa hai desiderato.»

«Come preferisci.»

«Tu non sei curiosa su di me?»

«Sei stato rapido, quindi dev'essere stato un desiderio semplice. Riesco a immaginarlo perché ti conosco.»

«Ouch, farewell to the mistery. Mi sono rivelato troppo.»

Lei si lasciò invadere da una risatina. «A proposito, perché prima l'accento inglese?»

«Hm? Ah, in hotel. Fa più... europeo.»

«Ti piace esserlo?»

«In parte lo sono. L'idea che hanno degli americani qui in Europa è che siano senza classe, rumorosi e maleducati. No, thank you. In questo senso io sono molto british

Ridendo, Ami lo prese sfacciatamente in giro.

«Ah, sì? Vedrai la differenze culturuali, love. Le hai già notate: qui si approfitteranno del tuo essere timida e remissiva.»

Indignata, lei spalancò la bocca. «Io non sono-»

«Ti guardano in faccia e pensano che tu lo sia. Glielo confermi quando sei posata, parli a voce bassa e sorridi appena. La perfetta immagine della mite giapponese.»

Ami cercò di capire se lui le stesse esprimendo solo un punto di vista altrui o anche il proprio.

Alexander sollevò un angolo della bocca, furbo. «A me piaci timida e remissiva.»

Lei non si lasciò scomporre. «Tra mille giapponesi io ho scelto uno straniero che osa e non si vergogna mai di niente. Sono sicura che qui potrei trovare molte persone simili.»

Lui mangiò la foglia e la seguì verso un negozietto di souvenir. «Questa era buona.»

«Certo. Entriamo, voglio un ricordo di questo posto.»

 

Alle una ora locale capirono che era tempo di mangiare. Per il loro bioritmo l'ora di cena era passata da un pezzo.

Ami fu deliziata di entrare in un ristorante. «Si sentono leggende sulla cucina italiana. Spero che abbiano un menù in inglese.»

Per l'occasione indossava uno dei tre vestiti carini che si era portata in valigia. Con Alexander aveva imparato a essere preparata: da quando usciva con lui mangiava fuori anche tre volte a settimana.

Nel posto in cui scelsero di cenare furono serviti da un cameriere maschio. Ami notò il modo in cui lui fissava il suo viso, ma non si stupì troppo. In Giappone nessuno osservava mai gli estranei con l'insistenza tipica degli italiani. Dopo poche ore in giro per strada, aveva capito che la gente la analizzava di continuo con una rapidissima occhiata, facendo una radiografia di ciò che indossava da capo a piedi, valutando ogni elemento, l'insieme e il suo viso, con incredibile sfacciataggine. Aveva iniziato a comprendere perché nessun italiano fosse vestito male, almeno per i suoi standard.

Il cameriere tornò a prendere le loro ordinazioni. Annotò quella di Alexander con efficienza, riportando disinteressato le voci su un taccuino.

Aiutandosi coi sottotitoli del menù, scritti in un inglese incerto, Ami terminò di scegliere. Alzando la testa ritrovò su di sé lo sguardo intenso del giovane cameriere dai capelli ondulati.

«Yes, signorina?» le domandò lui allegro. Nonostante la presenza di Alexander, stava apertamente flirtando con lei.

«Ehm... Fusilli allo pom- with tomatoes» terminò Ami in inglese.

«Ma certo, certo!» Il cameriere si chinò, toccando il suo menù. «'Pomodoro fresco', si dice. Con 'prezzemolo'» provò a insegnarle.

Lei aumentò la distanza tra loro con un sorriso e Alexander bussò sul tavolo con le nocche. «Va bene così.»

«Ma come, niente dolce? A dessert, no?»

«Ah... Tiramii... sù?» tentò Ami.

«Ottimo, ottimo!»

«Anche per me» sorrise letale Alexander.

Il cameriere non gli badò e andò via soddisfatto.

Alexander chiuse il menù. «Quello si scorda la mancia.»

Divertendosi, Ami si versò da bere nel bicchiere. «È così anche nel resto d'Europa?»

Lui ci pensò su. «In Francia, forse. Fuori da Parigi soprattutto, dove sono meno altezzosi. A Londra sono pronti a offrirti un one-night-stand dopo dieci minuti di buona conversazione.»

Lei quasi si strozzò con l'acqua.

Alexander scattò ad aiutarla. «Non volevo dire che-»

Ami gli allontanò la mano. «Cosa ti hanno offerto?» Una notte di sesso con un'estranea?!

«Ah... Non a me, a Yamato.»

Lei gli sondò l'anima con un'occhiata. Capì a cosa credere.

«Ami...»

Voltò la testa, indignata.

«Sai che non è successo niente!»

«Ma io non ho bisogno di sapere cosa poteva succedere.» Come gli era venuto in mente di raccontarglielo?

«Ti ho confuso per... Di solito faccio questi discorsi con Yamato, tra amici.»

«Quindi ora so di cosa parlate.»

Alexander evitò di scavarsi una fossa più profonda e rimase in silenzio.

Il cameriere tornò al loro tavolo. «Del pane! Fresco e profumato!»

Mise la vaschetta tra loro ed Ami gli offrì un caloroso sorriso. «Grazie!»

«Di niente!» Il ragazzo si illuminò. «Se ha bisogno di qualunque cosa, chiami!» Se ne andò al cenno di un altro tavolo.

«Questo è crudele» commentò Alexander.

«È una cosa innocua» dichiarò Ami. Lo guardò di nuovo negli occhi ed espresse ciò che la disturbava. «Non mi piace essere gelosa.»

«Non esserlo.»

«Non darmi motivo per pensare a te con altre ragazze.»

«Non lo farò. Ma se ti capiterà di pensarci, non arrabbiarti e studia ciò che è successo nella realtà.» Annuì. «Niente, Ami. Non è successo niente quando ero libero di fare quello che volevo, in passato, figurarsi ora.»

«Vuol dire che adesso non sei libero di fare come credi?»

Accettò il rimprovero silenzioso di lui. La sua era stata una provocazione.

«Adesso ho preso un impegno dopo aver trovato la persona che volevo. Sto facendo tutto quello che voglio.»

Sedata, Ami guardò a lungo il proprio bicchiere. «La gelosia mi rende immatura» disse infine.

«A me piace sapere che ci tieni. Non mi piace saperti triste.»

Lei si azzardò a offrirgli un sorriso. «Scusa.»

«Scusa tu. E... prendilo come un complimento. A volte sono così candido con te che non connetto bocca e cervello.»

Lei rise piano. Aprì la guida della città e gliela mostrò. «Pensavo che per andare con ordine potremmo percorrere tutto questo viale. La guida indica che sopra di noi c'è una piazza famosa, a metà ci sono i palazzi del governo e in fondo - qui in basso - il monumento che abbiamo visto da lontano. Siamo vicini anche a una grande scalinata che si chiama Piazza di Spagna.» Non vedeva l'ora di visitarla.

«Nelle foto sembrava più bella di notte.»

Lei rifletté. «Potremmo andarci stasera.» Anche se già per metà pomeriggio sarebbero crollati dal sonno. 

Alexander scrollò le spalle. «Abbiamo tempo. Camminiamo finché non siamo stanchi, poi ci facciamo una dormita. Altrimenti non resisteremo.»

Lei lo trovò un buon piano. Tornò a rimirare le immagini della scalinata. «Voglio sapere qual è la vista dalla cima.»

«Io mi sto pentendo di nuovo di non aver portato la Polaroid.»

«Ci sono le cartoline.»

«Non ci sei tu nelle cartoline. Io sono un po' come quegli artisti perduti senza una musa. Quando la trovo, non penso ad altro.»

Lei arrossì dietro la guida. «Smettila.»

«Ti vergogni troppo. Sto solo ribadendo che mi piace la tua immagine.»

«È una cosa nuova.»

«No, è vecchia in realtà. Ma tu ti imbarazzavi se ti guardavo troppo intensamente in pubblico; era fuori discussione chiederti una fotografia da sola.»

Ami respirò a grandi boccate. «Mi vergogno anche ora.» Resisteva giusto perché nessuno intorno a loro capiva di cosa stavano parlando.

«Sei senza speranze. Per toglierti questi imbarazzi non so cosa dovrò farti quando saremo soli...»

Lei spalancò gli occhi e lo fissò.

Alexander sfoderava una calma innocente, come se non avesse appena pronunciato in un ristorante, ad alta voce, parole tante scioccanti.

Ami seppellì l'imbarazzo nella bocca dello stomaco. «Foto, dici?»

Lui annuì lentamente, sospettoso.

«Prima te ne fai fare qualcuna tu. Quelle che ho di noi, scattate dalle ragazze, sono pessime. Non guardi l'obiettivo, hai il sorriso tirato e quasi sempre fai una faccia strana.»

Alexander guardò sofferente il soffitto. «Vuoi una foto mia?»

«Più di una. Se tu vuoi le mie.»

«Hm.»

Divertita, lei sentì la vittoria in pugno.

«Hm» ribadì lui, cercando di non farsi uscire una smorfia. «È una sfida.»

«I vostri piatti!»

Ringraziando di sfuggita il cameriere, Ami iniziò a mangiare. 

 

«Abbiamo fatto bene a venire di notte.» Sulla cima della scalinata che avevano percorso, in un posto chiamato Trinità dei Monti, Alexander osservò il cielo. In quel due di gennaio, alle undici di sera, il freddo era intenso anche in un paese dal clima mite come l'Italia.

Senza volerlo, lui ed Ami avevano dormito per cinque ore filate quel pomeriggio, perdendosi parecchio del giorno. 

Alexander la strinse al petto, per riscaldarla. «È un bel luogo.»

«Mi piacciono l'atmosfera e la luci» commentò lei sognante. «Sembra davvero di vivere in un antico passato.»

Era bello sentirla serena.

Ami si voltò tra le sue braccia. «Sono contenta di essere qui con te.»

Lui si abbassò a respirare il profumo dei suoi capelli. La ricordò in una piazza più grande, lontana, che lottava da sola con la morte, appena tre giorni prima. La strinse più forte. «Sì.»

«Ehi. Non pensare a cose brutte.»

Aveva ragione lei. «Pensiamo a cose nuove, allora. Come a quello che potremmo fare in questa piazza, da stranieri ingenui quali siamo.»

«Hm?»

«Se ti sembra un posto da favola, rendiamo vera la favola.» Dalla tasca interna del cappotto tirò fuori il lettore minidisc. Dipanò il filo delle cuffie e gliele porse. «Brano tre.»

Ami era felice. «Cosa vuoi fare?»

«Do ascolto al mio lato americano.» Le strizzò l'occhio. «Facciamo una piccola follia da film.» Accese la musica nelle orecchie di lei.

Aveva registrato la ballata dopo averla ascoltata alla radio con Ami, mentre studiavano. Lei, sempre tanto silenziosa, aveva mormorato la melodia muovendo a tempo la testa mentre leggeva un libro. Lui ricordava ancora la sua espressione.

Ami ebbe un sorriso migliore di quel giorno. «Vuoi ballare

Sì. Era inesperto, ma poteva improvvisare due passi di danza semplici. «Non ci vede nessuno.»

Lei si guardò timorosa intorno, controllando che fossero soli. Soddisfatta di non vedere gente nelle vicinanze, si mise in posizione, posandogli una mano sulla spalla. «Oh. Io e te non abbiamo mai ballato insieme.»

Se ne stava rendendo conto anche lui. «Visto quante cose abbiamo ancora da fare?»

Prima di iniziare a muoversi, Ami appoggiò le cuffie sulle spalle e gli chiese di alzare al massimo il volume. «Così anche tu senti la musica.»

Sistemati i dettagli, lui raddrizzò il torso, cercando di capire dove mettere le mani sulla schiena di lei.

«Hai mai ballato?» sorrise Ami.

Alexander digrignò i denti. «Mai con qualcun altro. Era un terreno su cui rendermi potenzialmente ridicolo, nonché un'attività per mettersi in mostra. Non ne avevo bisogno.» Divertì Ami, ma tenne a dimostrarle di cosa era capace. «Non sembra una cosa difficile.»

«Sarai bravo.»

Rinfrancato, lui tentò un passo laterale assieme a lei. Ami lo seguì con naturalezza, lasciandosi guidare anche nel movimento opposto.

La musica era come un eco sottile nell'aria.

«Tu invece hai esperienza.»

«Mi ha insegnato mamma. Era così aggraziata.»

«Lo sei anche tu.» Provò ad allontanarla piano, come aveva visto fare, ed Ami inventò da sola un passo, volteggiando con la sua mano sopra la testa.

Se solo avesse potuto fare un video di quel momento...

Lei gli tornò tra le braccia. «Stringimi un po' di più e gira...»

«Così?»

Ami annuì. «Non pensare più. Ascolta la musica.»

Alexander se ne lasciò trasportare.

Forse, pensò, Ami sarebbe stata più bella con il vestito azzurro che le aveva regalato sua madre, in mezzo a una sala ben illuminata e calda. Eppure, lui non avrebbe cambiato nulla di quella sera. Nei loro cappotti ingombranti, immersi nelle sciarpe, con la poca luce che veniva da un lampione vicino, quella era un'altra delle prime volte uniche che viveva con lei.

Dopo l'ultimo volteggiò, abbracciò Ami, senza più lasciarla andare. «Ora è meglio un lento.»

«Perché?» sorrise lei.

«È imbarazzante quanto tu sia più brava di me.»

«Stavi riuscendo bene.»

«Okay, è una scusa. Mi piace solo averti vicina.»

Senza fare altre domande, lei appoggiò la testa contro il suo petto e lo abbracciò di rimando.

   

A mezzanotte la città dormiva mentre, dentro la loro stanza d'albergo, il loro orologio biologico segnava il primo mattino. 
Non ho sonno, pensò Ami, dando un'occhiata alla tv mentre terminava di asciugare i capelli dopo la doccia. Sperò di non disturbare nessuno col rumore a quell'ora di notte.

Alexander era in bagno a lavarsi.

A pensarci bene - rimuginò lei - questo è un ottimo momento per qualche analisi.

Tirò fuori il suo minicomputer e dall'Italia controllò in Giappone la salute di sua madre. Il calcolatore non la tradì, dandole un rapido resoconto dei parametri vitali di lei.

Niente febbre, la sua mamma era in piena salute.

Nonostante l'operato di Mamoru, volle controllare anche lo stato di Alexander. Erano trascorse meno di ventiquattro ore da quando lui era stato colpito da quella sorta di infezione al cervello. La loro magia - il loro potere - poteva risolvere tutto, ma la prudenza non era mai eccessiva.

Focalizzò l'analisi del computer sui propri immediati dintorni. Chiese di concentrarsi sulla stanza accanto a quella dove si trovava e nel display apparve un'immagine stilizzata di lui che si lavava sotto il getto dell'acqua.

Sentendosi voyeur, Ami spostò l'attenzione sui dati. La temperatura corporea di Alexander era nella norma. Il display le mostrava il numero dei suoi battiti cardiaci al minuto, la misurazione della pressione sanguigna e la solita rilevazione di energia che avevano già notato da settimane. Era sempre il potere di Mercurio, una forza sovrannaturale trasmessa da lei, pensata per allungare la durata della sua vita.

La propria forza, si domandò, non avrebbe dovuto proteggerlo anche dalle malattie, come succedeva per lei?

Era un quesito da esplorare.

Per abitudine pigiò un altro tasto sotto il display. Le nuove rilevazioni, immediate, si focalizzarono sulle potenzialità di Alexander in quanto nemico.

La sorprese vedere i valori di un normale essere umano. Di solito analizzava in quel modo persone possedute da un'entità maligna, la cui pericolosità era alterata dalla loro anomala condizione.

Altezza, peso, percentuale di massa muscolare, forza fisica degli arti superiori, inferiori, complessiva... Scorse le voci.

Nessuna particolarità di attacco dimostrata. Possibilità di pericolo per Sailor Moon, 0%, per Sailor Mercury, 60%...

Si fermò nella lettura.

Cosa?

Controllò con più attenzione.

Nell'elenco erano presenti tutte le sue compagne. Per ognuna di loro la percentuale indicata era pari allo zero per cento, l'unica eccezione era lei.

Chiese un approfondimento del dato.

Il computer le mostrò un diagramma che metteva a paragone le energie sua e di Alexander. Per lunghi tratti le linee coincidevano, per poi separarsi drammaticamente in suo favore.

Sessanta per cento? si ripeté in testa.

Anche se gli aveva fornito la propria forza, il dato non aveva senso, a meno che non si riferisse alla capacità di difesa che lui aveva da lei. Ma anche così...

Iniziò a convincersene quando vide le stime che il computer faceva del danno che Alexander avrebbe ricevuto dai suoi attacchi più basici e minori. Tuttavia, ricordò, in passato si era vista rigettare addosso il riflesso di alcuni attacchi che aveva lanciato. Non ne era mai risultata immune. Perché lui apparentemente sì?

L'ykèos, basato sulla forza dell'amore, dava una marcia di protezione in più all'energia che una persona riceveva da un essere potente?

Sapendo che non avrebbe trovato nulla, provò comunque a dare un'occhiata alla pagina sulle possibilità di attacco di lui.

Alexander scelse quel momento per uscire dal bagno. Lei serrò il computer con uno schiocco.

Lui continuò ad asciugarsi la testa con un cappuccio di spugna. Aveva sentito il suono. «Usavi il computer di Mercurio?»

«Stavo controllando come sta mia madre.»

«È una cosa che hai bisogno di nascondermi?»

Non aveva una stretta necessità di tenerlo all'oscuro di quello che aveva scoperto, ma...

Lui scoprì la testa bagnata. «Stavi analizzando anche me, vero?»

«Ecco... sì.»

«Da ieri sto bene, non sono più malato. Perché ora stai arrossendo?»

Gli avrebbe detto tutto, decise, quando avesse trovato il momento giusto per completare la sua analisi. Voleva avere un'idea chiara della situazione prima di spiegargliela.

«Ehm... il computer è una macchina senza senso del pudore. Mi ha mostrato uno schema di te sotto la doccia.» Fra tutte le scuse che avrebbe potuto trovare, quella era la peggiore.

Alexander si diresse alla propria valigia. «Non sapevo di questo tuo hobby.»

Ami avvampò. «Che stai dicendo?»

Voltato e accucciato sui propri vestiti, lui sollevò le mani in aria. «Io niente. Hai fatto tutto da sola.»

Ami si coprì la faccia, cercando di non morire di vergogna. È una piccolissima bugia a fin di bene, si disse. Avrebbe chiarito il malinteso il prima possibile.

Alexander stava trattenendo malamente una risata.

«Avrei dovuto portarmi dietro un buon libro» disse lei, cambiando discorso.

«Hm?»

«In tv l'unico canale in lingua inglese è la BBC, che riporta solo notizie.» Non se ne sarebbe lamentata se avesse avuto una mezz'oretta da far passare prima di dormire. Ma avendo davanti potenzialmente tutta la notte senza chiudere occhio... «Questo è un buon albergo, ma non offre molto in termini di svago.»

«Lo svago è la città.»

«Mi riferivo al divertimento in camera.»

Lui soffocò un suono. «Well... Per quello probabilmente c'è un canale dedicato a pagamento anche in questa tv. O forse no, se pensano che in una stanza matrimoniale ci dormano per forza due persone.»

Lei analizzò il discorso mentre lui si cambiava dietro l'accappattoio.

Comprese il riferimento con diversi secondi di ritardo. «Ma-! Ma è...!»

Alexander tornò in piedi, in attesa di sentirla elaborare.

È una cosa svergognata, spudorata, alla faccia del romanticismo!

Con fare vagamente derisorio, lui annuì. «So che bisogna introdurti al concetto con lentezza. Per questo, anche se mi hai già visto nudo da capo a piedi, mi sto rivestendo con l'accappatoio addosso.»

Ami sbuffò. «Mi sembra solo giusto che ci sia l'atmosfera corretta per- per queste cose! Anche per parlarne.»

«Sì, ma se mi chiedi come si aspettano che io e te ci divertiamo insieme qua dentro...»

Lei respirò a grandi boccate, mandando via il calore alle guance. «Non pensavo al sesso!»

«Questo mi ferisce.»

Le scappò un sorriso. «È colpa tua.»

Lui era divertito. «Cerca di capire. Su questo argomento, con te, sono in perenne equilibrio tra un'estrema sensibilità e quel normale pragmatismo maschile che mi impedisce di trasformarmi in una donna. Non ti piacerei donna.» Fece una pausa. «Forse non voglio saperlo.»

Ami si fece una sana risata.

Coi pantaloni del pigiama ormai indosso, Alexander appoggiò le mani sul materasso. «Visto che sei capace di ridere di questi scherzi? Anche tu sei pragmatica su queste cose, quando vuoi.»

Naturalmente. In fondo, nella sostanza, discutevano di fenomeni biologici e meccanici. Tuttavia, su un altro piano... «Se mi imbarazzo troppo, o se se assumo un approccio troppo logico sulla questione, non divento dell'umore giusto.»

Lui sospirò. «Lo so. Per questo stasera smetto di prenderti in giro.»

Lei fece il naturale collegamento. «Quindi speri di fare sesso?»

Per un istante Alexander non disse niente. Stava piegando la bocca per non ridere. «Vedi? Sei peggio di me.» Non continuò la conversazione, scuotendo la testa e tornando a vestirsi.

Controllando che i propri capelli fossero asciutti, Ami staccò il phon dalla corrente.

Pensandoci, avevano anche il suo computer a disposizione quella notte, e di conseguenza la possibilità di studiare insieme un numero infinito di dati, formule e situazioni.

Potevano passare il tempo in quel modo, oppure... Alzò gli occhi il soffitto.

Be', dipendeva da quello che lui avrebbe voluto e da come si sarebbe comportato nei suoi confronti.

Non era semplice per lei porsi da sola in una situazione di eccitazione, specie se aveva già iniziato ad analizzare contesto e circostanze. Forse perché si bloccava da sola - per imbarazzo - su stimoli visivi e mentali.

Non succedeva quando il suo bisogno era spasmodico. Le era capitato durante i loro brevissimi periodi di astinenza, o quando aveva sentito la necessità di stare assieme ad Alexander dopo un grande pericolo, o una grande emozione. In quei casi avevano a stento parlato prima di fare l'amore; si erano capiti naturalmente, con semplici sguardi. Tuttavia, in una situazione quotidiana priva di elementi eccezionali, la situazione era tutta da costruire.

Per ora le andava bene così. In genere di suo doveva fare poco o nulla: le bastava adattarsi a quello che proponeva lui. Era Alexander a iniziare sempre un approccio, puntualmente. Chiedeva, suggeriva, le faceva venire in mente pensieri sensuali e romantici, e infine la convinceva. Era stata più o meno quella la struttura dei loro incontri sessuali fino a quel momento.

Finché funzionava...

«Il phon?» Lui allungò la mano.

Dopo averglielo passato, Ami si sdraiò sul letto. Sopra il rumore dell'asciugacapelli in bagno, provò a seguire un canale in italiano.

Non era mai tardi per imparare una nuova lingua.

    

«Hai portato il tuo computer» disse Alexander sedendosi sul letto, osservando l'astuccio di plastica azzurro che giaceva sulle coperte. «Possiamo riprendere le analisi che abbiamo interrotto sul vostro potere. O sul teletrasporto. O sulla tua condizione, se vuoi.»

Ami lo osservava, sorpresa. «Se ne hai voglia...»

Lui non lasciò trasparire alcun pensiero. «È quello che sto proponendo.» Si allungò verso i piedi del letto, sporgendosi per tirare fuori dalla valigia il quaderno e la penna che aveva portato.

Con Ami attorno non era mai il caso di stare senza. «Sarà una notte produttiva» dichiarò.

Lei abbozzò un sorriso e lui non ebbe rimpianti.

In fondo, forzava spesso la situazione. I risultati lo ripagavano - li ripagavano - ma per una sera potevano starsene tranquilli a parlare. C'era un valore in ogni partecipazione attiva ed entusiasta di Ami, fosse a una conversazione, a un ballo, o a un momento di intimità.

Lui sarebbe tornato a rimirare e a rispondere invece di incitare senza sosta. Dopo le esperienze che aveva avuto con lei, poteva rimanere calmo e non avere l'idea fissa del sesso. Per quel giorno, d'altronde, aveva stuzzicato Ami a sufficienza.

«Teletrasporto?» suggerì. 

Lei si convinse e annuì.

  

Passarono due ore a studiare la teoria dello spostamento di materia attraverso il potere. Poiché Ami riusciva a teletrasportarsi, avevano capito qual era l'equazione fondamentale dietro il processo, ma il potere di lei era la chiave che lo avviava e lo gestiva - tutti meccanismi che avrebbero meritato di essere compresi tramite formule leggibili e aperte alla comprensione.

Riempirono metà quaderno coi loro calcoli e ragionamenti, solo basi per la struttura di pensiero da cui partire verso studi più approfonditi delle singole parti del problema.

Sdraiato sul letto, Alexander portò la penna alle labbra, mordicchiandone la base. «A questo punto non mi farebbe male un'occhiata a un libro che ho in casa. Ricordo un passaggio che trattava una questione simile.» 

«Posso andare a prenderlo.»

Non se ne parlava neanche. «Siamo in vacanza.» Il suo era solo un proposito per il ritorno.

Seduta accanto a lui, Ami osservava con attenzione la penna nella sua bocca, gli occhi sottili. «Non farlo.» Gliela tolse dai denti.

«Poco igienico?»

«No. Ma non riesco a guardare come torturi questi poveri strumenti.»

Lui rise. «Tu distruggi le matite. Le temperi troppo per avere sempre una punta fina.»

«Mi piacciono graffianti.»

Già. Incisive e precise. «Domani compro un pacchetto di penne nuove. Metà per te, così saranno immacolate.»

Ami osservò la biro che teneva in mano. La rigirò tra le dita, osservando le sfaccettature del rivestimento trasparente. «Ne avremmo avuto bisogno comunque. L'inchiostro di questa è quasi finito.»

«Si è immolato alla nostra smania di conoscenza.»

Sorprendendolo, lei si sdraiò su un fianco. «Ehi.» Gli mostrò la penna. «Se questo fosse l'ultimo inchiostro che ti resta per sempre, e avessi solo un'ultima frase tua da scrivere...»

Ami poeta. Era una visione rara e genuina di lei. «Se me lo chiedi, a te è già venuta in mente una risposta.»

«Sì. 'L'amore ci eleva'.» Lo sfiorò con la base della penna sul naso. «È una cosa in cui credo per tutti, ma... scrivendola penserei a noi due.»

D'istinto lui le prese la mano. Afferrò la penna, posando la punta su un polpastrello di lei. Aveva un sentimento da esprimere, un'energia. Nella sua pochezza di mezzi si ritrovò a tracciare la forma di un cuore. Vergognandosi, impedì ad Ami di guardare: su un altro suo dito disegnò un segno di maggiore intelligenza, il simbolo dell'infinito. Con altri tre polpastelli da riempire, fu estremamente idiota e scrisse il nome di lei in caratteri occidentali. All'ultima lettera, stava ridendo.

Ami non resistette e si guardò la mano. «Cosa hai scritto?»

Lui si coprì gli occhi per non vedere la sua reazione. «Non dovevano promuovermi all'asilo!»

Udì il divertimento di lei, dolce e pienamente giustificato.

«Scusa!» scoppiò, senza riuscire a fermare le risate. «Tu te ne salti fuori con una poesia e io...!» Si afferrò lo stomaco, per fermare gli spasmi.

Ami gli prese la testa e piantò un bacio sonoro sulla sua bocca. «Mi piace!» Gli salì sopra, scossa da sussulti di felicità. «Mi piace!»    

Lui rispose al respiro allegro sul viso e accettò un altro bacio. Notò come Ami non aprì le loro labbra, ma gradì l'innocenza del trasporto di lei e la semplicità dell'abbraccio con cui si limitò ad accoglierla.

Ami tirò su la testa per guardarlo. Nei suoi occhi c'era un'attesa, quasi una domanda.

Intuendola, lui non terminò di decifrarla. La accarezzò su una guancia, toccando con un dito i capelli che le sfioravano la mascella.

Lei fece per riabbassarsi, poi attese un altro istante in cui cercò invano di incontrare i suoi occhi. Finì col decidere da sola che poteva baciarlo di nuovo.

Lui assecondò la pressione lieve del contatto. Non dovette trattenersi dall'assaggiare con la lingua: era entrato in uno stato di calma assoluta. Voleva sentire solo quello che Ami sceglieva di fargli provare.

Lei proseguì con delicatezza, senza esitazioni. Dopo lunghi momenti, racchiuse il suo labbro superiore nella bocca, succhiandolo piano. Con un sospiro lui cominciò a massaggiarle la schiena.

Lei raccolse ulteriore coraggio e cercò l'interno delle sue labbra, scivolandogli dentro con la piccola lingua ruvida, mobile.

Faticando a respirare, Alexander intensificò il bacio secondo il ritmo impostato da lei, seguendola. Provava piacere nel trattenersi da altre azioni e più le sensazioni aumentavano, più il rimanere fermo le concentrava all'interno del suo corpo.

Staccandosi di nuovo, Ami sorrise a stento nel notare che anche lui ansimava in silenzio. In qualche attimo, si confuse ancora. Voleva qualcosa, ma non si decideva a metterla in pratica.

Alexander le diede un minimo aiuto lasciando scorrere una mano sul suo fianco. Rinfrancata, lei si sdraiò di lato per essere più comoda, azzardandosi a tirarlo a sé con un braccio attorno alle spalle. Il bacio intenso che seguì fu la somma della loro unione per due minuti buoni, per lui piacevoli, per lei ragione di incertezza verso la fine.

Ami si allontanò piano, mantenendo il naso vicino al suo. «Perché non...?»

Lui sedò la traccia di tristezza sfiorandole le labbra. «Cosa?»

Lei capì ancora meno. «Tu non vuoi...?»

«Sono qui.»

Ami rifletté sulla risposta.

Impietosito, lui le lanciò una corda per uscire dal labirinto. «Tu vuoi?»

Ami respirò più forte e deglutì. «... Ti sto stringendo.»

L'ingenuità di lei lo colpì daccapo: Ami si aspettava davvero di non dover fare nient'altro per andare avanti. Lui non aveva voluto metterla alla prova, o fare alcun esperimento, però...

Rifiutò di elaborare un piano preciso. «Ti seguirò in quello che fai» le disse. Per quella sera era di quell'umore.

Lei entrò in uno stato di crisi profonda.

Non fare così. Fu sul punto di dirle che ci avrebbe pensato lui, ma smise di stringerle il braccio e si rilassò. Era colpa sua se Ami si sottovalutava: lui non le lasciava prendere l'iniziativa. Intervenendo l'avrebbe bloccata di nuovo.

Per non metterla alla prova non la guardò. Si limitò a toccarle i capelli senza secondi fini e rimase in attesa di una sua qualunque decisione.

    

Ami pensò di mettersi a ridere, sedersi e tornare a studiare. Avrebbe scelto di farlo solo per sfuggire al nervosismo. Poteva rimanere sdraiata, essere audace e tornare a baciare Alexander, ma dopo? Era fuori discussione che lei iniziasse a spogliarsi da sola, senza una spinta o una attiva insistenza di lui. Non era una ragazza così...

Così, cosa?

Frustrata, provò a esprimere una preghiera con gli occhi, ma Alexander non la stava guardando. Era calmo. Nel modo in cui si concentrava sul dito che muoveva dietro il suo orecchio, non c'era alcuno scopo o fretta. Lui non voleva spingerla a fare qualcosa: era lei ad aver creato il problema.

Già, stava facendo tutto da sola. Alexander aveva reso evidente la propria mancanza di interesse.

Lasciamo stare, allora.

Si concentrò sulle dita che che la accarezzavano, pronta a lasciarle andare.

Peccato.

Per la delusione gli chiese un ultimo bacio, prendendoselo da sola. Volle renderlo breve - una specie di saluto all'idea - ma le piacque davvero molto stargli attaccata, avere la bocca di lui che le rispondeva e stringerlo per la spalla con la mano disegnata.

Il cuore, il simbolo matematico dell'infinito e il suo nome tutti insieme erano la cosa più sciocca e dolce che avesse mai visto.

Mi piace. Approfondì per necessità il bacio. Adoro tutto.

Dosò il respiro come aveva imparato a fare, per continuare a baciare senza smettere.

Diventarono più smaniosi in pochi momenti.

Insieme? O sono solo io?

Resistette all'impulso di staccarsi di nuovo e si avvinghiò a lui con tutta la sua forza. Si preparò a venire sdraiata sulla schiena, o a sentire la bocca di Alexander che scendeva all'improvviso sul suo collo, ma in risposta ebbe solo ciò che diede, ovvero un abbraccio forte che, come il suo, trasmetteva bisogno e ardore.

È un gioco?

Aprì la bocca e lui usò la lingua sulla sua, senza risparmiarsi.

Se era un gioco, non c'era qualcosa di scorretto in ciò che le veniva chiesto.

Scivolò col palmo sulla schiena di lui, rabbrividendo nel sentire un tocco simile sul proprio corpo. Continuò la carezza per istinto e fu con quello che Alexander rispose.

Lui non la stava mettendo alla prova. Si stava solo beando delle sue azioni, come faceva lei quando era lui a stimolarla.

Ami volle comunque cambiare la situazione: si sollevò e, privandosi di qualunque pudore, levò con un unico movimento la felpa del pigiama. Non ottenne la reazione che si era aspettata - un piccolo assalto. Alexander rimase fermo a rimirarla, le dita che premevano sulla carne delle sue mani, sui suoi polsi, mentre la percorreva con gli occhi, soffermandosi sui seni che per la troppa attenzione si stavano indurendo dietro i ricami di cotone azzurro. In tutto ciò, lei rimaneva immobile a farsi guardare.

Si sentì dentro una specie di romanzo erotico. «Ehm...» Gli strinse le mani in due pugni.

A lui spuntò un sorriso lieve, devastante nel suo messaggio. E ora cosa fai?

Per non rimanere in mostra lei gli si sdraiò sopra, stringendolo forte, quasi a punirlo. Non resistette comunque dall'abbandonarsi a più baci. Il suo corpo fremeva, il battito del cuore le pulsava nelle orecchie e i suoi nervi erano accesi. L'intera condizione era divina.

«E ora...» allontanò le labbra da lui, «toglierai da solo il pigiama?»

«Guidami a farlo.»

Solo l'impazienza le impedì di protestare. Mise le mani sotto il tessuto pesante e arrotolò verso l'alto il pigiama di lui, avvampando appena Alexander non fu più in grado di vederla. Quantomeno lui la aiutò sollevando il torso dal letto, per permettere alla felpa di uscirgli da sopra la testa. Nella stanza la luce proveniva dalla lampada a muro di un piccolo corridoio e da due abat-jour posti sui comodini da una parte all'altra del letto. Ogni volta che vedeva i capelli di lui tanto biondi, Ami sapeva che l'illuminazione era eccessiva.

Saltò via dal letto. «Spengo la luce.» Andò all'ingresso della camera, togliendo il tassello della chiave dall'alloggiamento. Il meccanismo risultò inceppato: tutte le luci rimasero accese.

Forse c'era da aspettare?

Nella stanza l'illuminazione si abbassò dopo il suono di un clic.

«Facciamo manualmente» disse Alexander.

Lei rimise la chiave al proprio posto. Già, serviva un minimo di luce.

Tornò indietro dopo aver trovato l'interruttore che rendeva buio il corridoio.

Alexander aveva lasciato acceso un unico abat-jour e si era alzato a recuperare qualcosa dalla valigia. Lei notò nella sua mano un piccolo involucro quadrato, di plastica.

Si sentì... esposta. Non era lui che la innervosiva: era il fatto che fosse meno priva di controllo rispetto ad altre volte. Era meno semplice per lei giocare, buttarla sul ridere, se sapeva di doverli guidare entrambi. Se solo immaginava di poter sbagliare...

Ma non potrò fare grandi errori con te, vero?

Camminò verso il letto, salendoci sopra con le ginocchia.

Alexander la incontrò a metà strada. «Ora sei incerta?»

«Un po'.»

«Perché?»

Faticò a scegliere cosa dire.

«Non ricordi le prime volte? Anzi, la seconda volta. Di pomeriggio, nella tua camera.»

Sì. Gli era stata sopra, tentando di ripagarlo con un atto di audacia per i mesi di attesa. Non era stata molto brava e alla fine non aveva funzionato come aveva voluto, ma non le era importato. «Ricordo.»

«Come quella volta, anche prima eri bravissima. Naturale ed eccitante.»

Smettila. Ma nell'ascoltarlo l'aveva percorsa un brivido.

Alexander allungò una mano. Con un dito le sfiorò tutto lo stomaco, dall'alto verso il basso. «Mi piace quando mi tocchi.»

A lei piaceva toccarlo.

Non spense il cervello, lo usò. L'incertezza non aveva ragione di esistere per situazioni che si erano già ripetute in molte circostanze.

Piegando il braccio, slacciò il reggiseno sulla schiena. Era l'ennesima volta che si faceva vedere seminuda e ciò la aiutò a lasciar cadere le coppe dal petto, con lentezza, rimanendo dritta col torso. Stava scegliendo di essere assaporata con gli occhi.

Che ragazza svergognata. Sorrise per l'aggettivo che aveva sempre temuto di darsi. Ma non c'era vergogna nell'amore, anche quando non era una follia che annebbiava la mente.

Si sporse in avanti, ancora confusa su come si sentiva nell'aver cercato tanta attenzione. Mentre raggiungeva Alexander per sedersi sulle sue gambe, capì l'effetto che gli aveva fatto: era tanto nei suoi occhi quanto nel rigonfiamento evidente sul bassoventre.

Anche di questo so tutto. Quasi.

Evitò ogni ritrosia e, sistemandosi su di lui, abbassò le palpebre e lo baciò. Non venne stretta con forza o spostata, ma appena toccata, come stava facendo lei stessa. Forse Alexander si stava trattenendo, ma a quel punto era probabile che lo trovasse piacevole: lei non lo aveva mai visto immettersi in un percorso che non sentisse soddisfacente.

Poiché stavano continuando come prima, con lei che decideva cosa fare, intrecciò le dita con lui e le portò alla bocca, sfiorandogli le nocche con le labbra umide. Abbassandogli le mani, a palpebre serrate, aprì quei palmi grandi sul proprio petto.

Smise di respirare.

Cominciò a essere massaggiata, stuzzicata coi pollici.

Fu salvata dalla propria eccitazione - o piuttosto distratta - da una bocca leggera sulla sua.

«Hai tutto il petto rosso.»

Lo so. La situazione non si sarebbe sistemata, ma lei poteva arrossire per ragioni migliori. Nascose gli occhi contro un lato della tempia di lui e gli passò le mani sulla schiena nuda, percorrendo il suo corpo fino ad arrivare allo stomaco. Aveva visto, sapeva, ma per timidezza a malapena si era goduta ciò che toccava.

Questo, tracciò un contorno, è quel muscolo che si contrae quando lui trattiene il respiro.

Alexander lo fece in quel momento.

Lei salì con le mani. Sfrego il seno contro questo punto quando lui mi sta sopra.

Lo sentì ansimare contro la propria bocca.

Aprì gli occhi. Cercò lo choc congiunto delle iridi chiare che diventavano verdi e della sensazione delle dita con cui gli stringeva le spalle.

Qui mi tengo quando devo afferrarmi. Ho tagliato le unghie corte per non fargli male.

Ora stava morendo dalla voglia di afferrarlo più forte. Ansimando in silenzio, si spostò di lato, per spogliarsi della parte inferiore del pigiama. Alexander fece lo stesso coi propri pantaloni.

Sapendo che non sarebbe andato oltre da solo, Ami avvicinò la mano al suo ventre. Con immenso imbarazzo, gli tirò giù l'elastico dei boxer, piano. A metà strada lui ebbe pietà e terminò da solo. In due, l'unica barriera che era rimasta a separarli erano gli slip azzurri che lei ancora indossava.

Sollevandosi sulle ginocchia, Ami provò a essere sensuale nello sfilarli, facendoli scivolare lungo i fianchi.

Alexander la guardava a bocca aperta. Poi ebbe una sola reazione: si voltò verso il comodino e recuperò il preservativo.

Lei si sentì libera di essere più normale nei movimenti mentre liberava i piedi dalle mutandine.

È tutto così strano. Soprattutto la maniera in cui era straordinariamente lucida nella propria eccitazione.

Lui terminò di srotolare su di sé l'involucro protettivo di lattice.

Non riflettere, vai.

Coprì il metro che li separava, deglutendo mentre di nuovo lo scavalcava con un ginocchio. «Questa volta» tentò di sorridere, «manterrò la promessa.»

«Quale?»

«Ne so di più adesso. Provo a starti sopra.»

Quando lo aveva proposto, un mese prima, si era letteralmente gettata in un territorio sconosciuto, pronta a offrire pazzie pur di dimostrare in quel nuovo modo il proprio amore.

Di slancio circondò il collo di lui con le braccia, affondando col naso nella sua guancia. Avere i loro corpi che aderivano e le sue braccia che la stringevano la aiutò a sentirsi più sicura. Quella era sempre una situazione familiare, un mero rimbaltamento a centottanta gradi delle loro normali posizioni.

Appoggiò il bacino contro quello di Alexander e ricordò la differenza più importante. «Ehm.»

Udì una risata bassa. «Non devi fare tutto da sola fino a questo punto. Tirati un po' su.»

Manovrarono con mani e fianchi, fino a che lei non sentì la consistenza bollente della protezione sottile che li separava. «Okay.» Si abbassò lentamente su di lui.

Racchiudendolo in sé, si fermò. Le sembrò di essere più stretta - quasi spiacevolmente - e meno bagnata.

Separando le gambe, tirò indietro i fianchi e provò di nuovo.

Con qualche tentativo lo inumidì del liquido del proprio corpo e scivolare su di lui divenne più facile.

A differenza delle volte precedenti - nonché del giorno in cui aveva sperimentato quella posizione - faticò a far incontrare i loro bacini. Ad Alexander non sembrava dispiacere: con una mano lui si teneva forte al materasso, le labbra aperte.

Era bello essere tanto potente da provocargli simili sensazioni. Era bello guardarlo.

Gli passò un dito sulla bocca. «Vuoi sdraiarti?»

Senza neppure rispondere, lui andò indietro con la schiena.

«Aspetta!» Gli impedì all'ultimo momento di sbattere con la nuca contro la testata del letto.

Sorrisero.

«Va bene.» Alexander la tenne per i fianchi e scivolò sdraiato lungo il materasso, trascinandola con sé.

Anche per lei fu difficile trattenere un ansito: durante il movimento si erano incastrati più a fondo.

Si sporse in avanti, le mani ai lati della testa di lui. «Adesso sembri... più grande.»

«Questo è quello che voglio sentirmi dire.»

Corse a tappargli la bocca e lo sentì ridere contro il palmo. Divertita, scosse il capo e a occhi chiusi provò a strofinarsi contro di lui.

Non trovò subito il movimento giusto. Fu impacciata, cauta per non perdere l'incastro.

Dopo alcune prove, capì come combinare un affondo all'indietro e lo sfregamento del pube contro quello di lui. L'effetto fu ultraterreno nell'estasi che le provocò.

«Sei tu che sei diversa.» Perso, Alexander la stava baciando senza ordine sul collo. «Dev'essere la posizione.»

«Forse.» Sospirò contro la fronte di lui, la forza che le veniva meno nelle braccia. Si sdraiò col torso sopra il suo corpo. «Non ti dispiace rimanere fermo?»

«Hm?»

«Vuoi muoverti?» Si rendeva conto di non mettere in atto le manovre che di solito gli piacevano di più.

«Per quello dovrai pregarmi.»

Ah, sì? Gli strinse un ciuffo di capelli, tirando appena. 

«Quindi preferisci servirti di me a piacimento?» Alexander le fece abbassare la testa, per baciarla. Ami dondolò su di lui, l'idea di usarlo che cresceva nelle intenzioni di tutto il suo bacino.

Respirò più forte dentro la sua bocca.

«Mi togli il fiato, Ami.»

«Oh, scusa!» Cercò di smettere di schiacciarlo.

«No.» Ridendo lui la accarezzò sul petto, prendendo un suo seno nella mano. «You are beautiful. Perfect.» Sollevò i fianchi per spingerla in avanti, verso di lui, così da poter arrivare con la lingua su un suo capezzolo gonfio.

Sbilanciata, lei non smise di muovere a tempo a i fianchi. Con l'aria che la colpiva sulla schiena e le ginocchia che insistevano nell'aiutarla a scuotersi, si sentì indecente e libera. Le bastò non guardare per continuare. Non era sola: Alexander fremeva dentro di lei e con la bocca continuava a tormentarle il seno.

Riconobbe i primi segnali di tensione nel proprio corpo e si fermò per pura forza di volontà. «Alex.» Ansimando, premette verso il basso col peso, per tornare più stabile. Strinse i denti. «Ti prego

Lui aprì di scatto le palpebre.

Con le braccia piegate a racchiudergli la testa, lei si chinò a baciarlo. «Ti prego» mormorò di nuovo. «Muoviti con me.»

Si sentì abbracciare forte. «So generous» udì, ma lei non era generosa. Lo aveva chiesto per se stessa: voleva essere con lui nel culmine delle sensazioni.

Ebbe le sue mani sulla parte bassa della schiena, poi su entrambe le natiche. Sussultò.

«Tieniti.»

Alla prima spinta fece pressione sui palmi delle mani per non essere sbalzata in avanti. Alexander si stava aiutando con le gambe piegate, e persino andando contro la forza di gravità, era tutto così...

Sconvolta da come si erano ribaltati i ruoli, cominciò a opporsi per istinto, a rispondere. Lui rallentò, permettendole di comprendere il ritmo, e con una rotazione delle ànche lei trovò l'insieme della sua spinta, raccogliendola in sé sul finale.

Alexander sibilò, gettando la testa all'indietro. Ami gli alitò sul viso, gemendo in silenzio.

Stava per implodere, sciogliersi nel più assoluto dei-

Lo spasmo la colse di sorpresa. Ne venne invasa, sentì come non mai la differenza: non aveva impedimenti nel muoversi in risposta. Riuscì a seguire, ad amplificare ogni minima sensazione. Tenne la testa di lui tra le mani e lo baciò in viso tutte le volte che ne sentì il bisogno. Fu glorioso.

Alla fine, anche se Alexander contribuiva a tenerla ferma, non ebbe più le energie per opporglisi. Lui se ne accorse e provò a girarli di lato. Esausta, lei si aggrappò con le gambe ai suoi fianchi.

Quasi gioì quando sentì il materasso sulla schiena. Riposò, osservò, mentre lui si muoveva dentro di lei con lo stesso desiderio che l'aveva animata fino a pochi istanti prima.

«Ami.»

Il proprio nome nella sua voce, con quel timbro... Lo racchiuse più forte tra le gambe.

Come sofferente, lui si mosse veloce, poi si irrigidì col torso e solo il suo bacino si agitò in scatti lunghi, profondi.

Lei fotografò il momento nei ricordi.

Mi piace.

Alexander finì e lei allungò le mani per prepararsi ad accogliere il suo riposo.

Fu un premio poterlo abbracciare contro il petto.

Respirarono forte, sempre più lentamente, insieme.

Lui emise un brontolio infelice. Si sollevò, allontanandosi da lei per rimaneggiare nel punto in cui si univano. Ami capì e accettò la rapidità della separazione. Vederlo alzarsi fu un dispiacere, ma quando si ritrovò le membra libere, le stiracchiò soddisfatta, andando a rannicchiarsi su un fianco.

Se avesse dormito così, si rese conto, sarebbe morta di freddo.

A malincuore trovò l'energia per rimettersi in piedi. Cominciò a liberare le coperte dagli angoli del materasso.

Alexander la raggiunse e la aiutò, sollevandole in aria con lei. «Ecco.»

Si ripararono sotto la massa comoda del copriletto.

Lui cercò un abbraccio. «Ti prego, love

«Hm?» Le uscì uno sbadiglio.

«Un giorno dobbiamo rifarlo assolutamente.»

Come fai a pensarci adesso?

Sorridendo, si accucciò contro di lui.

Il sonno si prese il suo cervello.

  

Riaprendo gli occhi, la prima cosa che Ami notò fu la luce della lampada. Alexander era seduto accanto a lei con un quaderno sulle ginocchia. Fuori dalla finestra era ancora buio pesto.

Strofinò le palpebre.

«Ehi.» Fu un sussurro.

«Che ore sono?»

«Le quattro.»

Lei fece una smorfia e si sdraiò sulla schiena. «Tu hai dormito?»

«Un'ora abbondante. Se vuoi, torna a riposare.»

Non era così semplice, oramai era sveglia. «Non ho tanto sonno.» Liberò uno sbadiglio di pigrizia.

Lui si divertì. «Se vuoi, ti aiuto come prima con la stanchezza.»

In risposta lei nascose la testa contro il cuscino.

«Ho scoperto una cosa» lo sentì dire.

Incuriosita, lo osservò mentre lui si girava e recuperava un paio di occhiali sottili. 

«Le tue lenti da vista?»

«Per quando affatico gli occhi» annuì piano Alexander. «Me le hai viste usare prima?»

Ami mandò via gli ultimi residui di sonno. «Mentre studiavamo?»

«Già. Non ho sentito il bisogno di mettere gli occhiali, ci vedevo bene. È da un'ora che butto giù formule sotto questa piccola luce gialla, ma la mia vista è ancora ottima.»

Lei impiegò un momento a capire.

«Sono guarito.»

Sussultò. «...Mamoru?»

«Dev'essere» sorrise Alexander. «Effetto collaterale.»

Lui ne era stato influenzato al punto da avere cambiamenti fisici permanenti? E se quella non fosse stata l'unica conseguenza?

Si sporse a prendere il computer. «Alex.»

Lui la sentì grave. «Cosa?»

Lei accese il calcolatore. «È meglio se approfondiamo la questione. Inoltre, c'è una cosa di cui devo parlarti.»

Sospirando, cominciò a spiegargli. 

   

2/3 gennaio 1997 - Vacanza in Italia/1 - CONTINUA

  


 

NdA: E finalmente ho scritto anche questo capitolo :) Si conclude su una sorta di mini-cliffhanger, ma nel prossimo episodio non prevedo rivelazioni eccezionali (a meno che la mia testa non mi sorprenda :P) Questa sarà semplicemente un'altra delle questioni che imcomberanno ancora, a livello di pensiero di futuro, su questi due poveri ragazzi che stanno cercando di farsi una sana vacanza (riuscendoci con successo, a tratti ;P)

Passando ad altro...

Sono stata a Roma tre volte, quindi ho ripreso dai miei ricordi del posto. La città era più un'ambientazione che la protagonista di questa storia, perciò non stupitevi di trovarla poco (scusate, romani, per questo). Naturalmente, non ho ancora finito di menzionarla: ho già scritto altrove che la vacanza di Alexander ed Ami dura almeno quattro giorni. È possibile che in un certo momento i due si spostino a Venezia, o in altre città, ma se ciò non implicherà un'evoluzione delle loro dinamiche, eviterò di raccontare il loro puro divertimento (bisogna pur lasciare che si godano un po' di privacy :D)

Ho fatto un paio di ricerche sul modo in cui i giapponesi vedono gli stranieri, e viceversa. Da lì vengono le mie note sull'argomento in questo capitolo. Per esempio, non sono stata a Tokyo, ma leggevo in più appunti di viaggio che è un posto affollatissimo in certi quartieri e che le persone camminano in fila tra fiumane di genti che si spostano tutte nella stessa direzione. Ho pensato di creare un contrasto con una via abbastanza centrale di Roma che ho visitato (guardando ora una cartina, dovrebbe essere 'Via del Corso'). Ho visto coi miei occhi che non c'era differenza tra marciapiede e strada in molti punti :D

Come al solito, anche qui ho inserito un paio di indizi su quello che sta capitando ad Alexander e in generale su cosa potrebbe implicare un utilizzo del potere di guarigione di Mamoru.

Elaborerò :)

 

Grazie di aver letto! Ogni commento mi farà felice *_*

ellephedre

  

Gruppo Facebook dedicato alle mie storie, per spoiler e aggiornamenti: Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...

 

 

   
 
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