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Autore: Samarskite    12/11/2014    7 recensioni
I primi mesi, ad Holmes Chapel, tutti dicono che Harry Styles si sia trovato il fidanzato nella notte in cui resuscitano i morti: Louis ha sempre profonde occhiaie, colorito pallido e flemma rassegnata, come se avesse tutto il tempo del mondo. E forse, non sono i soli a pensarlo.
Harry/Louis, Niall/Zayn, accenni Harry/Nick, Louis/Aiden; Horror!AU
Genere: Angst, Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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Places
 


La storia ed il palazzo che stai percorrendo sono un labirinto, nel quale si aprono altri labirinti. È una giostra impazzita con un carillion che procede a scatti, con cavalli senza orecchie, tazze sbeccate, astronavi scolorite e neon fulminati. Non c'è nemmeno un bambino, o forse lo sono tutti.
 
 
I.

 
 
La notte è fredda e pregna di umidità.
Harry Styles sta andando a testa bassa verso la casa di una cara amica, Lou. Le aveva promesso che avrebbe portato la figlia in giro per Holmes Chapel, a fare dolcetto o scherzetto a qualsiasi casa capitasse loro sotto tiro; lui stesso indossa jeans scuri ed una camicia bianca che sembra sporca di sangue.
Alla madre di Harry Styles non piace che faccia visita a Lou Teasdale così spesso; non tanto perché Lou non sia una donna simpatica, o sua figlia uno scricciolo semplicemente adorabile. Il problema è che Lou Teasdale abita nella campagna circostante Holmes Chapel; e, per raggiungere la sua casa, Harry deve attraversare l'intera cittadina, superare tre rotonde, quattro incroci, svoltare a sinistra per la strada vecchia ed attraversare la foresta.
D'altronde, ad Harry Styles non piace che sua madre se ne lamenti; lo fa sentire una specie di cappuccetto rosso hipster che per andare a divertirsi deve attraversare la selva oscura; ha vent'anni, dopotutto. Eppure conosce Lou Teasdale da quando ne aveva sedici, ed è da allora che sua madre si lamenta del percorso.
(E forse, stasera non avrebbe tutti i torti.)
Harry cammina trascinando i piedi, beandosi del pieno scricchiolare che fanno le foglie secche sotto i suoi stivali – tiene le mani in tasca, il capo chino, la sua pelle è pallida e la mente sgombra. Se qualcuno procedesse nelle sue vicinanze, in questa sera, potrebbe persino scambiarlo come un vampiro. Ma il suo colore della pelle naturalmente pallido non è niente, in confronto a quello che assume quando solleva la testa di scatto dopo aver sentito un urlo agghiacciante provenire alla sua destra.
Harry Styles si volta di scatto, e sbianca. Ha sentito un rumore di passi ed un gemito soffocato. Doveva dare ascolto a sua madre e starsene a casa a cantare Re del Blu Re del Mai  con Gemma, pensa amaro.
“Chi è là?”, domanda esitante, mordendosi il labbro inferiore. Un secondo urlo proviene dalla stessa direzione, ma stavolta quell'urlo ha la distinta forma del nome di Harry.
Il ragazzo sobbalza all'indietro e scivola nelle foglie secche, il sedere batte prepotentemente contro il terreno duro. Conosce quella voce così bene che saprebbe imitarla mille e una volta. Un terzo grido, se possibile ancora più straziante, urla di nuovo il suo nome ed un “Ti prego”.
Harry posa i palmi delle mani sul terreno (qualcosa di pungente gli trafora la pelle, ma non ci fa caso) ed i suoi piedi scivolano innumerevoli volte sulle foglie nel tentativo di rialzarsi – “Nick!”, urla.
A distanza di una decina di metri, dietro un albero qualcosa si dibatte; Harry riesce finalmente a mettersi in piedi e ad accorrere in quella direzione. Come si trova ad una manciata di passi dalla figura che si dibatte (e quella figura è vestita di glitter ed indossa un cappotto con le frange ed è così ovvio che sia Nick), una sagoma nera prende Nick in spalla e corre via.
Nick urla di nuovo il nome di Harry, Harry urla di nuovo il nome di Nick.
Harry Styles inizia a correre, cercando di non perdere mai di vista la persona che una volta considerava la più preziosa al mondo – e chissà, forse lo è ancora. Nick continua a dimenarsi e dibattersi sulle spalle della sagoma nera, Harry continua a correre, le foglie vorticano tutt'intorno a lui e i rami lo graffiano da tutte le parti.
Ormai nella sua testa non c'è più un cervello, ma solo una matassa di urla che ripetono incessantemente HarryHarryHarryHarry, mentre davanti ai suoi occhi Nick agita le mani macchiate di sangue, i piedi nudi sporchi di terra, contorce il corpo, singhiozza e piange.
Improvvisamente la figura gira a sinistra, Harry nello svoltare scivola di nuovo ed il suo braccio urla di dolore – ancora si rialza e continua a correre, perché non può perdere Nick, semplicemente non deve.
 
 
II.
 

Niall Horan avrebbe dovuto andare in discoteca, quella sera. Era già pronto, in tiro – suo fratello gli aveva persino prestato quel profumo di CK che Niall puntava da una vita.
Non era, in sintesi, assolutamente nei suoi piani ritrovarsi in una casa in disuso ed eccessivamente claustrofobica, urlando il nome di Zayn Malik mentre le sue grida riecheggiano in ogni parete di ogni stanza. Però lo sta facendo – una vera seccatura.
Niall svolta a sinistra e vede un tipo ben piantato, con il gesso alla mano destra, che esce da una stanza, attraversa un corridoio ed entra in un altra, urlando il nome di una ragazza; poco gli importa, perché quel ragazzo è troppo robusto per essere Zayn e lui è Zayn che sta cercando. Di nuovo, sente delle urla – corre verso la stanza da cui sicuramente provengono, ed entra poco prima che un paio di mani compaiano da oltre la soglia del locale attiguo, ancorandosi disperatamente al pavimento e cercando di opporsi alla forza che sta trascinando via il corpo intero. E quelle mani potrebbero essere di chiunque, se non fosse che al polso di una di esse è tatuato il simbolo dello yin e dello yang.
Nella mente di Niall riecheggiano le parole di Zayn, pronunciate nella sala d'aspetto di un tatuatore: “Tu sei biondo e io sono moro, tu sei pallido e io sono mulatto. Tu sei rumoroso, io silenzioso – cosa c'è di più perfetta corrispondenza con lo yin e con lo yang?”.
Niall attraversa la stanza con un groppo in gola, si affaccia oltre la soglia in cui è sparito Zayn – e ancora, la stanza è deserta. La porta che dà sul corridoio dal quale Niall proveniva è aperta, ed al suo esterno si sentono passi concitati in allontanamento.
Ancora Niall esce dalla porta e sbuca nel corridoio di prima, e ancora vede le mani di Zayn ancorarsi disperatamente al tappeto e ancora sente le sue grida di aiuto, ancora svolta a sinistra e poi a destra, poi su e giù, scende, sale, scende le scale e il legno marcio di un gradino cede – rimane incastrato fino alla vita nello squarcio del legno, davanti a sé l'atrio della casa – Zayn da qualche parte urla, qualcuno al piano di sopra piange e cade – e Cristo Santo, c'è pieno di ragni e Niall ha la fobia dei ragni.
Cosa gli rimane da fare, se non urlare.
 
 
 
III.
 
 
Harry Styles spalanca le porte di una casa in rovina. Le case in rovina hanno sempre avuto il loro fascino, per quanto lo riguarda; mette piede nell'atrio polveroso e si guarda intorno. Dal soffitto pende un lampadario dorato colmo di ragnatele, tutt'intorno i muri sono ricoperti di drappi che non vedono la luce del sole da almeno cinquant'anni. Davanti a lui si apre uno scalone immenso, con gradini in legno – in uno dei quali un ragazzo biondo si sta agitando, incastrato fino alla vita. Harry può solo immaginare che non abbia visto il buco nel legno e vi sia caduto dentro.
Il ragazzo non gli interessa, come non gli interessa che stia muovendo la testa a scatti disperati e come un matto stia piangendo e urlando parole incoerenti – Harry può cogliere solo “ragni”, “via” e un nome di persona che va al di là della sua comprensione: ma lui sta cercando Nick.
Fa per correre verso la direzione in cui è scomparsa la sagoma scura, ma con la coda dell'occhio vede che è anche la direzione verso cui il ragazzo si sta protendendo disperatamente, agitando convulso le braccia. Esita per un paio di secondi – non può permettersi di perdere Nick, ma quel tipo gli fa pena; poi si slancia verso il corridoio da cui proviene il proprio nome e lascia il ragazzo al suo destino.
Di su e di giù, di destra e di sinistra, Harry Styles fa il giro della casa tre volte, sempre ad una manciata di passi dalla figura di Nick senza poterlo raggiungere mai. È caduto sei volte, inciampato due, ha perso un anello ed è incappato in otto ragnatele – se si fermasse a guardarsi allo specchio, si troverebbe stravolto: i capelli ricci scompigliati e pieni di polvere, i vestiti intrisi di sporco, il sangue finto che si mescola ora a quello vero, perché ha un profondo taglio sul fianco e uno più leggero sulla mano. Se Nick fosse tranquillamente lì accanto a lui, storcerebbe la bocca e direbbe qualcosa di molto simile a “Tesoro, sei un disastro. È per questo che ti ho mollato”.
Ma Nick è da qualche parte perso in quella casa immensa, ed il ragazzo lo ha perso di vista.
Harry Styles si lascia cadere sconsolato sul pavimento lurido, prima ancora di rendersi conto che si trova di nuovo nell'atrio della casa, in compagnia di altre sette persone: il ragazzo biondo incastrato nel gradino, un tipo robusto con la mano destra ingessata, una ragazza con i capelli biondo platino e il viso impiastricciato di eyeliner, un uomo dai capelli brizzolati, un giovane dall'aria stravolta, una bambina con un vestito rosso e un ragazzo pallido vestito di scuro.
Ad eccezione di Harry e del biondo incastrato stanno tutti cercando da qualche parte: chi dietro un arazzo, chi dentro una panca, chi dietro una statua, chi sotto le scale, chi sopra le scale, chi sotto i mobili. Sono nelle stesse condizioni di Harry: sporchi, stravolti, pallidi e spaventati. In tutto questo, nessuno fa caso agli altri, è come se non esistessero; ognuno mormora o grida un nome diverso e, saltuariamente, qualcuno di loro si drizza di scatto e corre in un punto preciso della casa, apparentemente a caso.
Harry volta il proprio sguardo verso il biondo, e si accorge che questi lo sta già guardando. Ha il viso sporco di cenere e solcato da sentieri di lacrime ormai asciutte, i capelli pieni di polvere ed il labbro spaccato. I suoi occhi sono focalizzati su Harry, ma quasi a fatica, come se stesse compiendo un enorme sforzo di concentrazione; riesce solo a mormorare “Aiutami con i ragni, aiutami con i ragni”, come una nenia.
Dal momento che Nick sembra scomparso, Harry si alza da terra e sale i gradini fino a quello del biondo; gli fa cenno di alzare le braccia, pone le mani sotto le sue ascelle e lo solleva a forza. Con fatica, il ragazzo riesce ad uscire dal buco ed Harry lo aiuta a scrollarsi i ragni di dosso. Non gli hanno mai fatto particolare paura, ma a quanto pare il ragazzo è aracnofobico, perché trema da capo a piedi mentre guarda le creature contorcersi sul pavimento. Istintivamente, Harry pone una mano dietro il capo del ragazzo e lo tira a sé in un abbraccio, per calmarlo. Gli ricorda in qualche modo la figlia di Lou Teasdale, la notte in cui c'era il temporale e la bambina piangeva a causa dei tuoni.
L'altro non si oppone e lentamente, con costanza, il tremore del biondo inizia a diminuire fino a scomparire del tutto. Attorno a loro stanno ancora tutti cercando (Harry sente un “Ed!” volante da parte della ragazza bionda), quando il ragazzo decide di staccarsi da lui e di guardarlo negli occhi: “Io sono Niall”, dice con la voce gracchiante di chi ha pianto o urlato per ore. Probabilmente ha fatto entrambe le cose. 
“Harry”, replica l'altro con un sorriso fiacco e stanco. Rimangono ad osservarsi per un po', finchè Nick non grida di nuovo dal corridoio di sinistra; il ragazzo dai capelli ricci sobbalza e lancia un'occhiata a Niall, che lo guarda senza capire.
“Non – non hai sentito?”, gli chiede esitante Harry, scendendo i gradini a due a due; il biondo lo segue, ma scuote la testa.
“Nick ha urlato, proprio da quella parte, voglio dire, era proprio là. Cosa sta succedendo in questo –”. Non farà mai in tempo a finire la frase: Niall gira su se stesso con frenesia apparentemente ingiustificata, per poi volgersi verso un altro corridoio: “Zayn!”, urla di nuovo.
Prima di lanciarsi verso la direzione a cui è rivolto, tuttavia, lancia un'occhiata al ragazzo che lo ha tratto in salvo dai ragni; Harry lo osserva a sua volta e annuisce, per poi aggiungere: “Ci ritroviamo dopo. Dobbiamo capire cosa sta succedendo”.
Poi, entrambi corrono di nuovo verso la fonte delle urla. Sanno, in cuor loro, che per l'ennesima volta troveranno un'altra stanza vuota.
 
 
IV.
 
Harry Styles, in quella casa, ne ha viste tante – e le ha sopportate tutte. Ma c'è una cosa che non è sicuro di poter sopportare: la figura che trasporta Nick (il quale ancora urla, scalcia, piange e chiede aiuto) è appena entrata nell'unica zona della casa che non sia illuminata, in un corridoio totalmente nero.
Ed Harry ha paura del buio. Una paura convulsa, tremenda, irrazionale. Eppure, ancora mette un piede oltre la soglia e si lascia alle spalle la luce e la sicurezza. La porta si chiude di scatto e Dio, doveva saperlo, era così ovvio, un cliché scontato!
Ora è totalmente, irrimediabilmente al buio.
Harry allarga d'istinto le braccia e scopre che il corridoio non è ampio abbastanza da poterle alzare completamente. Solo questa informazione, così palese e incontestabile, gli provoca ancora più ansia; muove un passo sul tappeto polveroso, i palmi delle mani saldamente attaccati alle pareti. “Nick?”, chiede esitante.
L'aria puzza di muffa e di stantìo, più di un aroma floreale che Harry non conosce, ma che sua sorella Gemma saprebbe sicuramente identificare. È un odore dolciastro, stomachevole, che gli fa venire la nausea.
Mette ancora un piede davanti all'altro e “Nick?”, chiama di nuovo. Nessuno, di nuovo, risponde. Harry chiude gli occhi e tira un lungo sospiro per calmarsi: non smetterà di cercarlo. Questa è la prima volta che Nick ha davvero bisogno di lui. Non per una sbornia, non perché non trova le chiavi ed ha appena vomitato nel patio. Ha bisogno di lui e lui non può rinunciare.
Fa per muovere un terzo passo, quando sente una sorta di lamento provenire da oltre la parete destra; “Nick?”, chiama ancora, ma in risposta ottiene solo un raschiare di unghie dalla stessa zona di prima, oltre il muro. Harry procede con cautela, un passo davanti all'altro, finchè la sua mano destra incontra quello che sembrerebbe uno stipite. Lentamente cerca di capire se ci sia una porta da spalancare, ma con i polpastrelli sente distintamente i cardini divelti. Può passare, ma ha un'esitazione: si ferma e si accorge che le sue mani tremano, il petto si alza e si abbassa troppo velocemente, il fianco ferito gli pulsa in modo terribile e il sangue secco che ha in faccia sta iniziando a raggrumarsi.
“C'è nessuno?”, chiede con voce tremula, sul punto di piangere. Non vede niente, non ce la può fare. Potrebbe esserci chiunque in quella stanza, Nick come uno psicopatico con una pistola; ha bisogno di una luce, o potrebbe avere un attacco di panico.
In un lampo di genio, si ricorda avere ancora un cellulare. Porta le mani alla tasca destra dei jeans, e trema così tanto da far fatica ad estrarlo. Se è così che si sentiva suo nonno prima di morire di Parkinson, Harry è vivamente felice che abbia lasciato questo mondo per andare in un posto migliore.
Preme un tasto a caso e il buio si illumina, mostrando nella schermata di blocco una polaroid in cui sono presenti lui e sua sorella; in alto a sinistra, i pallini che segnalano la presenza di campo sono inesistenti e la batteria al sei per cento. A vederlo così, il cellulare sembra normale e troppo lontano dalla realtà, tanto che Harry non riesce a darsi dello stupido per non essersene ricordato prima. Sembra fuori posto, nel contesto.
Il ragazzo punta lo schermo davanti a sè e scopre di essere finito in una stanza completamente vuota, eccetto per una vasca da bagno al suo centro, asciutta. È bianca e piena di calcare; i suoi piedi, un tempo forse dorati, ora sono scrostati e coperti di ruggine.
Nella vasca Harry scorge un ragazzo (che non è Nick, maledizione!): ha le labbra livide e serrate, così come sono serrati gli occhi. Le braccia si dibattono a destra e a sinistra con frenesia, il corpo convulso, le mani cercano di aggrapparsi al bordo della vasca e le unghie stridono, ma scivolano sempre via come allontanate da una forza invisibile. Harry direbbe che il ragazzo ha davvero le convulsioni, se non avesse la netta impressione che questi creda di stare affogando.
Ha la tentazione di tornare a cercare Nick, ma non può lasciare solo quel ragazzo, semplicemente non può. Sta letteralmente affogando in una vasca vuota – non sente il suo respiro. Gli si avvicina, posa il cellulare per terra e gli afferra un polso con delicatezza, ma l'altro reagisce con più veemenza del previsto: spalanca occhi e bocca d'un tratto, ed inizia ad urlare senza rumore.
Harry ignora il suo divincolarsi furioso e lo prende da sotto le ascelle; come ha fatto per tirare via Niall dal buco nella scala, trascina il ragazzo fuori dalla vasca asciutta e lo adagia sul pavimento come se fosse una bambola. Posa entrambe le mani sul suo petto, con cura, e “Respira”, gli dice. Solleva il suo busto e lo appoggia contro la parete esterna della vasca, gli prende il viso tra le mani e, di nuovo, “Respira”, sussurra.
Due paia di iridi, che alla luce fredda dello schermo sembrerebbero azzurre, si focalizzano all’improvviso su di Harry. Il ragazzo ha le pupille dilatate nonostante la luce improvvisa, forse dalla paura; boccheggia per qualche istante, le labbra del ragazzo si schiudono di nuovo e, finalmente, inala aria.
Harry Styles non sa chi sia questo ragazzo, non lo ha mai visto in vita propria – potrebbe persino essere un assassino, considerando che ha le mani sporche di sangue fresco – ma in questo momento vorrebbe mettersi a piangere di gioia. “Non sei morto”, dice invece con un risolino di sollievo. “Sei vivo”.
Il ragazzo si limita a respirare ancora affannosamente, osservando il suo salvatore con interesse quasi scientifico. Ora che Harry ha modo di vederlo meglio avvicinando la torcia tra di loro, può notare con maggior cura quanto le sue iridi siano effettivamente blu, ed i suoi occhi siano contornati da occhiaie che potrebbe avere solo un morto di sonno. Con cautela, il ragazzo fa scivolare le proprie mani dal viso dell’altro alle sue spalle, come per accertarsi che sia tutto intero.
Rimangono in silenzio a lungo, guardandosi negli occhi, finchè Harry non si decide a dire qualcosa e, guardando verso il basso, chiede “Anche tu stai cercando qualcuno, qui?”.
Il ragazzo inizialmente non risponde, così che Harry pensa addirittura sia muto; o forse, pensa, l’illusione di annegare era così potente che sente ancora un forte bruciore in gola. Ma, alla fine, il giovane si lecca le labbra screpolate e “Una volta”, risponde. La sua voce è così sottile e così diversa da quella di Nick, pensa Harry: è acuta, roca e graffiata, in bilico e sempre pronta a spezzarsi. Sembra la voce di chi ha visto l’inferno.
“Poi… non lo so. Ha smesso di chiamarmi”, prosegue il ragazzo con tono dubbioso. “Penso… di essere morto?1”.
Harry aggrotta le sopracciglia e appoggia una mano sul polso sottile del giovane. È forse la prima persona in carne ed ossa con cui ha un contatto vero, reale, da quando è nel castello. Per questo non vuole perderlo, e men che meno sentirsi smentire quel senso di sicurezza che gli dona toccare una persona viva. “Tu non sei morto. Sei qui con me – e io sono piuttosto sicuro di essere vivo. Credo”.
Il ragazzo si lascia andare ad un sorriso, così luminoso che Harry potrebbe persino spegnere la torcia del cellulare: “Hai visto tutti quanti in questo castello? Cercano qualcosa, senza mai ottenerla”, gli dice.
Harry riflette con cura e, non appena si rende conto che il proprio interlocutore si aspetta una risposta, annuisce, pur non comprendendo il legame con la sua convinzione di essere defunto.
“Non è forse così la vita intera?”, gli chiede quindi il giovane non appena lo vede annuire. “Corri avanti e indietro cercando di raggiungere obiettivi su obiettivi, finchè non muori – e allora smetti di cercare”. Il ragazzo fa spallucce, ma il suo sguardo è triste. “Io non sento più nessuno chiamarmi. Era un inganno, ma era bello. E ora non ho più nulla da cercare, in questa illusione io sono morto”.
Harry tace, cercando di elaborare le parole di quel personaggio così strano. Insomma, stava annegando in una vasca vuota, ha le mani sporche di sangue e crede di essere morto. Però quello che dice ha un senso, e una sua logica perversa. Pensa a mille domande che potrebbe fargli, ma alla fine opta per: “Come siamo finiti qua dentro?”. L’altro storce la bocca e scuote di nuovo le spalle. Alla luce fredda e scarsa, il suo volto sembra davvero quello di un cadavere quando risponde: “Non lo so, come inizia un incubo? Non ci finisci dentro e basta?”.
Di nuovo non ha tutti i torti, deve ammettere Harry. Questo tizio ha una logica stringente. “E perché hai le mani sporche di sangue…?”, chiede ancora strascicando leggermente la e, per indicare che la parte mancante della frase è il nome del ragazzo.
Questi sorride di nuovo: “Louis”, risponde. Poi aggiunge: “Non lo so. Penso, hanno cercato di uccidermi tre volte da quando Aiden ha smesso di chiamarmi. Magari è il sangue di qualche assassin – che stai facendo?”. Harry ha preso le sue mani e vi ha avvicinato lo schermo luminoso del cellulare, per analizzarle. Scuote la testa: “No, Louis, questo è sangue tuo. Ti sei tagliato con i bordi scheggiati della vasca, mentre pensavi di affogare”.
L’altro lo guarda vago: “Pensavo?”, gli chiede confuso. Harry annuisce: “Tu sei asciutto, no? Non c’è acqua lì dentro, è vuota”. Louis torce il busto e lancia un’occhiata all’interno della vasca in cui stava poco prima, sui cui bordi spiccano cangianti manate rosso cremisi. Poi torna alla posizione iniziale, lo sguardo perso e un po’ sconvolto: “Comunque non è mio, il sangue”, ribadisce infine tornando presente a se stesso, e spostando di nuovo gli occhi su Harry. Questi apre la bocca per replicare che sui palmi ha tagli vistosi ed evidenti, ma Louis aggiunge: “Sono sicuro, non può essere mio”.
Harry decide di lasciar perdere, e piuttosto di presentarsi: “Va bene, ti credo. Io sono Harry, in ogni caso. Harry Styles”, e gli tende la mano. L'altro ragazzo sembra ancora un po’ scombussolato dalla faccenda della vasca, ma afferra la sua mano senza esitazione.
“Dunque, Harry Styles, piacere. Che vogliamo fare di – stai GIÙ!”, urla Louis all’improvviso, tirando Harry verso il basso per la mano che sta ancora stringendo; Harry cade in avanti, in grembo al ragazzo. Mentre sente il corpo dell’altro coprigli la schiena, ode distintamente il rumore secco di una lama che va a conficcarsi in una superficie metallica. Per quanto Louis glielo permetta, riesce a gettare un’occhiata alle proprie spalle e vede un coltello, che ancora vibra, sprofondato fino al manico nel fianco della vasca; in generale, stabilisce con preoccupante certezza che quel coltello fosse sulla traiettoria per la testa di uno di loro due.
Cerca a tentoni il proprio cellulare, spento e scarico, e riesce ad afferrarlo poco prima che Louis si stacchi dalla sua schiena e si metta a correre carponi verso l’uscita, tenendolo ancora per mano.
Harry percepisce distintamente il sibilare di una seconda lama, ed è così vicino al suo orecchio che non perde nemmeno tempo a valutare le alternative: inizia a seguire Louis con tutta l’agilità di cui è capace, cercando disperatamente di non inciampare nei propri piedi.
Appena usciti dalla stanza – Harry lo sa perché il suo ginocchio ha urtato dolorosamente lo spigolo dello stipite – Louis svolta a destra e prosegue nella parte di corridoio ancora inesplorata; la sua schiena si raddrizza e la sua corsa si fa più costante, mentre inspiegabilmente le luci si accendono e Harry torna a vederci bene.
Le pareti del corridoio sono tappezzate di moquette e arazzi, il che rende tutto ancora più claustrofobico; considerando, poi, che appoggiati alle pareti si trovano di quando in quando mobìli profondi circa una spanna, la fuga sta diventando seriamente difficoltosa. Harry inciampa in tre vasi e in due tappeti, mentre Louis sembra un dannato, fottuto scoiattolo di legno. Schiva il novanta per cento degli ostacoli, e quelli che non schiva non sembrano fargli male. Harry darebbe un rene per essere come lui, in questo momento. Solo una volta si girano per guardare se qualcosa li stia inseguendo, e sarebbe stato meglio se non lo avessero fatto: una specie di massa informe e cenciosa si trascina per il corridoio ad una manciata di passi di distanza; i suoi stracci sono lerci e lordi di una materia scura che potrebbe essere terra, come feci o sangue raggrumato – difficile a dirsi. Il volto non è visibile, ma dalla creatura proviene un fetore di fogna ed un distinto rantolare metallico, molto simile al rumore prodotto dalle lame quando sono affilate da un arrotino. Saltuariamente, una mano scheletrica scompare sotto i cenci e riemerge con un coltello da lanciare. Entrambi corrono più veloce.
Arrivati alla fine del corridoio Louis fa per svoltare a sinistra, ma Harry sente di nuovo le grida di Nick verso destra e si ritrova a piantare i piedi. “Io devo andare di là!”, grida, mentre mulina il braccio libero per compensare lo squilibrio dato dalle direzioni differenti. “Nick!”, aggiunge poi rivolto verso la stanza da cui sente urla strazianti, quasi disperato.
Louis lo osserva per istanti che sembrano infiniti; alla luce dei candelabri elettrici appesi ai muri sembra meno stanco e meno mortalmente pallido, ma molto più tormentato. Sembra che stia combattendo una guerra con se stesso, una guerra che avrà milioni di morti qualsiasi sia il vincitore; punta infine i piedi al terreno, e lascia andare la mano di Harry: “Vai”, gli dice indicandogli la stanza. Harry è certo che non possa sentire le urla di Nick, perché Niall non poteva, ma per un attimo la sua certezza vacilla. Lancia un’occhiata al ragazzo, fermo immobile nel bel mezzo del corridoio, chiedendosi perché lo abbia lasciato andare ma non stia scappando dalla parte opposta. La creatura rantolante si fa sempre più vicina a velocità di crociera, dritta per la sua strada, e un coltello vola ad un palmo di distanza dal naso di Harry: “Che aspetti? Corri!”, lo implora il ragazzo riccio, iniziando a correre all’indietro verso la stanza in cui Nick ancora urla.
Louis sorride rassicurante: “Corri tu”, gli dice accompagnando l’esortazione con una mano. Sembra così tranquillo, così sereno, che Harry per un attimo ha quasi paura. Ma poi si ricorda che Louis è convinto di essere morto, e probabilmente stava scappando dal lanciacoltelli solo per salvare la pelle a lui. Nick alle sue spalle grida ancora il suo nome, nella mente di Harry sta nascendo un dubbio atroce; eppure non ha tempo di approfondirlo: allunga una mano verso Louis e gli afferra il polso, tirandolo con sé nella stanza dove si trova Nick e chiudendo la porta. Pochi attimi dopo, un clangore assordante segnala lo scontro della creatura contro la fine del corridoio. Forse era anche meno pericolosa e più stupida del previsto, valuta Harry in un lampo di assurdità.
Con una leggera spintarella, Harry preme Louis contro la porta chiusa e lo ingabbia appoggiando entrambe le mani ai lati delle sue spalle: “Louis, non osare mai più fare –”, agita la mano convulsamente, in un cenno vago “quella cosa, okay? Sei morto, sei vivo, non mi interessa, non lo so. Però io vivo lo sono, e senza di te mi pare evidente che ci lascerò le penne”.
Louis si morde le labbra, indeciso; infine risponde, e stavolta è lui ad ingabbiare Harry, ma con lo sguardo: “A dire la verità, è esattamente il contrario”. L’altro lo osserva confuso, e Louis aggiunge: “È me, che stanno cercando di uccidere. Pensano che io sia ancora vivo. Ma tu non c’entri niente, Harry. Sei solo con me casualmente, e ti sto mettendo in pericolo senza motivo”. Fa una pausa, poi aggiunge in un sussurro: “Sono solo egoista”. Alza una mano ancora sporca di sangue, per allontanare un ricciolo di Harry dalla sua fronte sudata; questi sospira e scuote la testa: “Cerchiamo di concentrarci, per cortesia”.
Louis non commenta e tace, in attesa. Harry prosegue: “Tu prima mi hai parlato di un’illusione. Cosa intendi per illusione?”. L’altro ragazzo chiude gli occhi e scuote la testa, abbassando il capo: “Non, non posso dirtelo, sono tutti morti quelli che lo sanno. Non posso dirtelo, non posso –”.
Il ragazzo riccio prende il mento del compagno tra le mani e lo solleva: “Louis, guardami. Dimmelo”. Louis apre un occhio, sbirciando il viso determinato di Harry. Vedendolo così fiero e sicuro di sé, per la prima volta da quando lo ha incontrato (poco tempo, in realtà, ma cosa importa, per un morto come lui?) si rassegna e tira un sospiro, come sconfitto. Fa una pausa, forse in cerca delle parole giuste, o forse solo nel disperato tentativo di convincere se stesso che è la cosa giusta da fare.
“Qui è tutta un’illusione, Harry. Non c’è niente di vero. Pensi sul serio che un manipolo di esseri umani possa inseguire per l’eternità la persona più cara che ha al mondo, senza mai raggiungerla? E nessuno, nessuno sente le urla degli altri. Sono tutti chiusi in loro stessi, nel loro cieco e stupido desiderio di sentirsi vivi. Ma state tutti inseguendo il nulla. Il tuo Nick non è qua. Non c'è niente”. Harry apre la bocca e la richiude, quasi boccheggiante, come se qualcuno lo avesse colpito nello stomaco con una mazza da baseball. In un lampo si ricorda che lui stava andando da Lou Teasdale, prima di tutta questa follia. Stava andando da Lou Teasdale perché Nick lo aveva mollato e se n’era andato a Manchester con un nuovo, stupido e aitante ragazzino da coccolare. E Nick è sempre stato a Manchester. Mai in spalla ad una figura nera, impegnato ad urlare e chiedere aiuto.
Louis si stringe nelle spalle, con un sorriso triste: “Tutti affannati nel cercare di raggiungere la vostra ragione di vita, e non appena vi accorgete di non averla a portata di mano – puff – provano ad uccidervi. Coerente, non ti pare?”. Harry non risponde nemmeno; si limita a trarre Louis a sé, e ad abbracciarlo. Perché è lì, Louis è lì. È vivo. È reale. È strano, è ipocondriaco, crede di essere morto, sanguina e non soffre, ma è paradossalmente la persona più viva lì dentro: “Dobbiamo uscire da qui, Lou, intesi? Usciamo da qui, e troviamo un modo per farti tornare vivo”.
Louis ridacchia contro la sua spalla: “Non ho il sangue, non credo di poter tornare viv – o”; a quella pausa nell’ultima parola, con una o strascicata a bassa voce, Harry scioglie l’abbraccio e cerca il suo sguardo, ma quello di Louis è fissato su un punto oltre la sua spalla. È allora che Harry si volta, e si rende conto che in quella stanza non sono soli.
Anzi, sono in numerosa compagnia: alla parete opposta rispetto alla porta sono affissi tre scaffali, lunghi all’incirca come la parete stessa – due metri ciascuno, suppergiù. E su ogni scaffale sono disposti in fila ordinata, seduti composti, una decina di bambini sorridenti. Secondo il differente sesso, sono tutti vestiti uguali: le femmine hanno un vestito bianco, così immacolato da risultare quasi finto. I maschi hanno dei calzoncini blu mare, ed una giacca dello stesso colore che va a coprire una camicia bianca, anch’essa immacolata. Le bambine indossano tutte un cerchietto, i bambini una cravatta. Ciò che però fa inciampare Harry all’indietro, addosso a Louis – gli pesta un piede, ma lui non pare rendersene conto – è che hanno i volti completamente pallidi, le pupille bianche, i piedi nudi e dondolanti.
E stanno battendo le mani senza fare rumore, come spettatori silenziati che approvano il finale dello spettacolo. Applaudono in sincrono, contemporaneamente.
Harry si sposta dal piede di Louis e gli si schiera affianco: “Louis, che si fa?”, chiede debolmente. Louis gli lancia una rapida occhiata di sbieco, quasi come non volesse o potesse staccare gli occhi dai bambini per troppo tempo.
“Se usciamo c’è lo spara-coltelli”, gli ricorda il riccio prima ancora che l’altro possa parlare. Louis abbozza un sorriso: “A questo punto ucciderebbe te, non me”.
Harry alza gli occhi al cielo: “Perfetto! Un morto con un ottimo senso dell’umorismo. Ora posso veramente morire dicendo di aver visto tutto, bella la vitAH!”; nell’ultima parte della frase, il ragazzo ha urlato con un sobbalzo. Perché il primo bambino (a partire da sinistra, nella fila di scaffali più in basso) si è messo a ridere. E non appena Harry urla, anche la bambina al suo fianco inizia a ridere; e poi anche un altro bambino, e un’altra bambina ancora, in fila ordinata, finchè non stanno tutti ridendo e battendo le mani.
Harry cerca a tentoni la maniglia della porta, la abbassa, afferra Louis per il colletto della maglietta nera e lo trascina fuori dalla stanza prima che qualcuno possa aggiungere altro.
Nel corridoio, la matassa informe giace per terra apparentemente inanimata; una manciata di coltelli esce dai cenci, e con il piede Louis ne trascina due a sé; uno della coppia lo porge ad Harry, poi supera la creatura e va verso il corridoio di sinistra.
Tutto è di nuovo buio, e ancora non si vede niente: Harry diventa più ansioso all'istante ricordandosi che il suo cellulare è defunto e cerca istintivamente la mano di Louis. In poche ore, quel palmo reso appiccicoso dal sangue raggrumato è diventato la cosa più rassicurante che possa esistere. Harry dovrebbe rivalutare le proprie priorità.
“Allora, Louis”, dice mentre camminano con cautela nel corridoio, cercando di non finire addosso a dei mobili “Cosa ti piace fare? Ti piaceva”, si corregge poi all'ultimo. Per quanto sia ovvio che Louis è vivo e relativamente vegeto, Harry ha imparato che se vuole ottenere informazioni da lui deve assecondarlo, o tutto ciò che otterrà in risposta sarà lui che ribadisce la propria condizione di morto vivente.
Nella risposta, sente Louis sorridere: “Non saprei. Mi piaceva, uhm, leggere. E suonavo in una band”, aggiunge poi con una punta di amarezza, come se gli mancasse la sua vita precedente. Harry si morde un labbro per non ridacchiare, quando Louis aggiunge: “Tu?”.
“Uhm, a me piaceva – piace – fotografare. Qualsiasi cosa. E, a volte, suonare il pianoforte. E flirtare!”, aggiunge infine, con forse troppo entusiasmo, valuta a posteriori appena chiude bocca. Ma Louis, alla sua destra, ride di cuore: “A chi non piace flirtare? A me piaceva flirtare”, replica con tono furbo.
“E ti ricordi come si fa?”, gli chiede Harry, ghignando. In qualche modo, fare gli stupidi lo sta aiutando a dimenticare che stanno camminando nel buio più totale e che qualcuno potrebbe saltare fuori da un momento all'altro cercando di ucciderli.
“Non proprio, ma potresti insegnarmi tu”, replica Louis, e tutt'un tratto ad Harry manca un battito al cuore, perché quello è definitivamente flirtare.
Ingoia saliva e inizia: “Mh, vediamo. Prima devi dire qualcosa di innocuo. Tipo, mi piacciono gli spaghetti. E poi commentare equivoco”.
“Assolutamente, mi piacciono gli spaghetti. Soprattutto quando li si mangia alla maniera dei bambini, succhiandoli e sporcandosi tutta la bocca”, replica Louis, probabilmente guardando da qualche parte sul soffitto; Harry pensa di essere lì lì per ingoiarsi la lingua e soffocare.
“A me piacciono i bambini”, replica cercando di sviare la faccenda. È stato lui a iniziare questa cosa, ma non è più sicuro di riuscire a gestirla.
“Uh uh”, commenta l'altro con un sorriso. “E soprattutt–”, non fa in tempo a finire. Improvvisamente sentono uno scalpiccìo forsennato, e un vago chiarore farsi sempre più vicino; prima che Harry possa rendersene conto, qualcosa lo travolge in piena corsa e lo fa volare a terra. La sua nuca sbatte prepotentemente contro il suolo e, anche se c'è la moquette ad attutire il colpo, la sua vista si fa appannata per un paio di istanti. Quello che prima era un vago chiarore si rivela essere un accendino, e quello che è andato a sbattere contro di lui si rivela essere incontrovertibilmente Niall. Ha i capelli ancora più arruffati di prima, se possibile, il viso paonazzo e il corpo madido di sudore. “Via, via, via di qui”, dice tirandosi su dal corpo di Harry. Questi lancia un'occhiata a Louis, che alla penombra dell'accendino sembra davvero il morto vivente che dice di essere; il volto è sottile e gli zigomi taglienti, la pelle pallida messa in risalto dal corpo vestito con abiti scuri. Ha gli occhi leggermente rossi, come se se li fosse strofinati con vigore, e un piccolo taglio sul braccio sinistro che non sembra preoccuparlo in alcun modo. Annuisce brevemente, così Harry si tira su e, guidati dall'accendino di Niall, iniziano a correre verso la direzione da cui sono venuti.
“Non hanno la testa”, dice Niall con voce strozzata, come se questa fosse una spiegazione ad una domanda che non gli è mai stata fatta. “E non so come cazzo riescano a stare camminanti, ma”, aggiunge poi lanciando un'occhiata ad Harry. In breve raggiungono il corridoio illuminato di prima, dove la massa informe di cenci e coltelli giace ancora inerte come prima. Niall fa per entrare nella prima stanza che trova sotto tiro ma Louis ed Harry, memori dei bambini inquietanti, lo trattengono per entrambe le braccia e lo fanno girare a destra. Percorrono di corsa il corridoio illuminato; Harry spera in cuor suo che le creature da cui stava scappando Niall fossero decisamente più lontane rispetto a loro, ma non appena sente un vaso volargli sopra la testa sa di essere stato un illuso. Fa inoltre di nuovo l'errore di voltarsi, e di nuovo sarebbe meglio se non l'avesse fatto: sebbene fedele, la descrizione di Niall “Non hanno la testa” non era sufficientemente vivida. È vero, chiunque li stia inseguendo non ha la testa; ma è pure vero che non c'è niente di cicatrizzato nella ferita rimasta dal taglio netto della testa stessa. Con una sola e veloce occhiata, Harry ha potuto distinguere almeno un fascio di muscoli, una vertebra sporgente e sangue raccolto in piccole pozze negli spazi vuoti lasciati dai rimanenti organi, oltre ad una discreta quantità di fili sanguinolenti non meglio identificati che spuntano dallo squarcio. Se invece di una piccola occhiata avesse il tempo di esaminare meglio il collo sezionato, potrebbe sia vomitare che dare un esame universitario di anatomia umana.
Arrivano alla porta che Harry ha attraversato prima, un prima che pare una vita fa. Si fermano per cercare di bloccarla con qualcosa, anche se in cuor loro sanno che è perfettamente inutile. Quando ha attraversato questa porta ancora non conosceva Louis, e ancora cercava Nick, pensa Harry nell'esatto momento in cui Louis commenta, osservando il quadro di una natura morta appeso alle pareti: “Io odiavo le banane”.
Di nuovo, Harry cerca di ignorare l'eccessiva salivazione derivata da tale commento, ma si impone di essere all'altezza della provocazione. Dio, in altre circostanze lui e Louis avrebbero passato intere ore a flirtare senza esclusione di colpi. Spera che quelle altre circostanze si verifichino, un giorno o l'altro. “A me piaceva mangiarle. Anche se ho imparato a mie spese che non è saggio mantenere un contatto visivo con altre persone, mentre lo fai”. È ancora più ambiguo di quanto l'avesse pensato; Louis ridacchia e mormora un “Potrei rivalutarle”, mentre Niall emette un verso schifato, cercando di spingere un mobile contro la porta del corridoio: “Seriamente? State flirtando mentre siete inseguiti da un manipolo di zombie killers senza testa?”
Louis ed Harry si lanciano un'occhiata e fanno spallucce, lasciandosi scappare una risatina e aiutando Niall a spingere il mobile. Quando si ritengono sufficientemente soddisfatti, gettano un'ultima pedata al mobile per sicurezza, poi si voltano e riprendono a correre verso l'atrio.
“Era da una vita che non uscivo da quell'ala del palazzo”, valuta Louis guardandosi intorno.
“Una vita?”, lo stuzzica Harry, anche se con il fiatone. “Facciamo progressi”. L'altro ride di cuore, mentre Niall li osserva e, senza capire, concede un sorriso incerto.
Nessuno aggiunge altro per il resto del tragitto, e solo quando arrivano nell'atrio Niall ed Harry si lasciano andare a terra per riprendere leggermente fiato. Louis sembra leggermente combattuto tra quella che sembra la sua ferrea convinzione di non avere i polmoni e l'evidente bisogno di aria extra in essi, ma alla fine opta per non risolvere il dilemma e si limita a sedersi accanto ad Harry.  “Tutto okay?”, gli chiede in un sorriso, la voce fatta di cartavetrata. Harry lo osserva. Sono entrambi un disastro. Louis è sporco da fare paura, incrostato di sangue e polvere, ha la barba di settimane e uno squarcio nei jeans sul ginocchio sinistro. Harry, sicuramente, non è meno. Come minimo, il taglio sul suo fianco si starà infettando ed i suoi capelli saranno la cosa peggiore del mondo intero. “Voglio uscire con te, quando usciamo di qui”.
Louis fa una smorfia buffa e incassa il capo nelle spalle, come se trovasse paradossale la proposta. “Sul serio, H? Perché non penso che–”; questi non lo lascia finire e si sporge repentinamente verso di lui, appoggiando delicatamente le proprie labbra sulle sue. Louis si lascia sfuggire un gemito di sorpresa ed Harry non vuole davvero pensare alla logica del gesto (probabilmente, nemmeno agli speed date più infimi ci si bacia così poco tempo dopo il primo incontro), ma inaspettatamente scopre che, contro le proprie, l'altro paio di labbra si sta muovendo. Esitanti, a scatti, come se muoverle fosse un comando non automatico e ormai dimenticato – eppure si stanno muovendo, e lo stanno accettando. Le labbra di Louis sanno di fumo (Harry non vuole davvero sapere come), di polvere e di sangue. Il ragazzo, d'altro canto, è certo di essere uno schifo, un misto anche lui di sangue e polvere ma anche di sudore e lacrime salate. Non vede seriamente come possa essere possibile, ma nonostante il mix di sapori discutibili sembra che Louis voglia approfondire.
Qualcuno alle loro spalle, al cento per cento Niall, emette un verso di disgusto e volta lo guardo alla ricerca di qualcuno, con lo sguardo, ma ad Harry non importa nulla. Tutto ciò che gli importa è che Louis, per la prima volta da quando si conoscono, sta davvero reagendo come se gliene importasse qualcosa. Qualcosa, di qualcuno.
Quando Harry si scosta per prendere fiato, l'altro lo guarda negli occhi attentamente, e sussurra: “Magari. Magari posso vivere questo aldilà meglio di come ho vissuto la mia vita perduta”. Harry sorride: “O magari potresti costruirtene una nuova”. Louis sorride a sua volta ed infila un indice nella fossetta sinistra che il sorriso di Harry è andato a creare.
Questi sta per dirgli che non lo conosce, non sa chi sia, non sa niente di lui e si sono appena incontrati, ma farà in modo che possa tornare a sentirsi vivo, quando un urlo squarcia il silenzio. I due si osservano negli occhi per un istante; prima che Harry si renda conto che il grido è provenuto proprio da Louis, questi scivola da seduto a petto in giù sul pavimento, sbatte il mento e viene velocemente trascinato via dal riccio da una forza esterna.
Prima che Harry possa mettere a fuoco qualsiasi altra cosa, il suo sguardo corre a chi ha afferrato la caviglia di Louis e lo sta trascinando via; è uno dei ragazzi che ha incontrato prima nell'atrio, quello con la mano ingessata. Ha gli occhi rossi e concentrati, e continua a ripetere “Dove l'hai nascosta, dove l'hai nascosta?”. Louis cerca di contrastare la forza dell'altro piantando le unghie nel pavimento di legno; più volte, Harry sente il loro secco spezzarsi e più volte ode il loro stridulo suono contro le assi, da far accapponare la pelle.
Non sa come, ma appena fa per muoversi Harry si ritrova due paia di mani che lo reggono saldamente, impedendogli di inseguirlo; si volta e vede Niall ed un altro ragazzo dalla pelle ambrata. Non hanno lo stesso sguardo folle dell'uomo con il gesso negli occhi – sembrano invece piuttosto assennati.
“Non consegnarti a loro”, gli dice il ragazzo dalla pelle ambrata ed i capelli corvini, con un forte accento del centro Bretagna.
In breve, l'unica cosa che Harry comprende della situazione è che tutti quanti coloro che incontrato durante la sua vana ricerca di Nick stanno circondando lui, più gli altri quattro ragazzi – Niall, Louis, il ragazzo dai capelli neri e quello con il gesso (anche se tuttavia, pare abbastanza evidente che quest'ultimo faccia parte della schiera degli accerchiatori).
“Dov'è lei?”, urla ancora il ragazzo con il gesso, con tutto il fiato che gli rimane in gola. Ha trovato nelle tasche di Louis il coltello rubato ore prima alla creatura cenciosa, e ora glielo sta puntando alla gola. Sembra così disperato, che ad Harry fa quasi pietà.
“Non so di chi tu stia parlando”, dice il riccio alzando le mani a candeliere, mostrandosi disarmato. Cerca di suonare il più sincero possibile, semplicemente per il fatto che lo è.
“Mi ha detto che siete voi. Siete voi quelli che me l'hanno portata via. Non la sento più, non mi chiama più!”, urla in risposta il ragazzo con il gesso. “Sophia! Sono Liam, sono qua, rispondimi, ti prego!, Sophia!”.
Harry lancia un'occhiata nervosa a Niall, alla sua destra, il cervello che va a duemila; l'atrio del palazzo è letteralmente gremito di persone, più o meno giovani, che stanno fissando loro quattro. “Chi ti ha detto che è colpa nostra?”, chiede il ragazzo ambrato alla sinistra di Harry, usando il tono cauto riservato di solito agli aspiranti suicidi.
“Lui”, risponde il ragazzo, Liam, con il volto accartocciato dal dolore; enfatizza la risposta con un ampio gesto della mano che regge il coltello, indicando l'intero palazzo.
Nei pochi secondi in cui la lama si allontana dal proprio collo, Louis lancia un'occhiata ad Harry – così calma e così tranquilla, così simile a quella che gli aveva riservato quando la creatura cenciosa gli si stava lanciando addosso. Poi, con grande naturalezza, Louis solleva il gomito sinistro e lo pianta nello stomaco di Liam; questi lo lascia andare di riflesso e si piega in due, boccheggiante. Louis scatta correndo verso Harry, ma viene nuovamente osteggiato da un ragazzo pallido vestito di nero e dalla ragazza bionda con l'eyeliner colato.
“Il palazzo li sta aizzando contro di noi come ultima risorsa”, avvisa Louis in direzione di Harry, Niall e del ragazzo moro. “Ormai siamo in troppi ad aver capito il trucco”. E a quelle parole, il ragazzo pallido e vestito di nero osserva Louis, diminuendo leggermente la pressione sul suo petto. Louis lo osserva a sua volta, con calma che per l'ennesima volta Harry trova impressionante. Poi, lentamente, il ragazzo lo lascia andare; Louis strattona la ragazza e se ne libera dalla presa, per raggiungere finalmente Harry. Sia la bionda che il ragazzo pallido si ritirano dunque nella folla, con gli sguardi fissi sui due.
Harry e Louis fanno nemmeno in tempo a cercarsi le mani, che questi interroga anche gli altri due: “Cosa facciamo adesso?”.
Gli occhi chiari di Niall corrono al ragazzo moro al suo fianco, al quale sta stringendo la mano, e scendono fino al polso di questo. Niall è in pessime condizioni: la sua maglietta bianca è letteralmente madida di sudore, il suo viso è scuro di terra e di sporcizia, i jeans sono lerci di sangue ed altre sostanze somiglianti a cervella di cui Harry davvero non vuole sapere la provenienza. I suoi occhi dunque osservano per qualche secondo un tatuaggio del ragazzo a cui sta tenendo la mano – il simbolo dello yin e dello yang – poi commenta: “Diciamo la verità”.
Senza aspettare altri commenti, fa un passo avanti e si pone al centro dello spazio circolare ancora libero. Attorno a lui, la folla lo osserva con il capo inclinato. “Siamo tutti qua per cercare qualcosa. No? Ognuno di noi sente una voce, ognuno una voce diversa. Quella voce diversa non coincide forse con la voce della persona a cui teniamo di più al mondo?”. Un lieve mormorìo si diffonde tra le persone che lo accerchiano; Harry, Louis ed il moro lo osservano senza parlare.
“Io”, prosegue l'irlandese “cercavo il mio ragazzo. Si chiama Zayn. Lo sentivo che urlava e chiedeva aiuto, che spariva di stanza in stanza, di corridoio in curva, e non potevo raggiungerlo mai”. Niall fa una pausa, forse per ponderare bene come sganciare la bomba. “L'ho cercato per tanto tempo. Un sacco di tempo. Finchè non me lo sono ritrovato davanti, che correva nella direzione opposta alla mia, urlando il mio nome”. Il mormorìo tra la folla si fa leggermente più insistente, mentre il ragazzo con il gesso osserva Niall con occhi gonfi di lacrime. “Abbiamo scoperto che eravamo entrambi convinti che qualcuno avesse rapito l'altro. E come ci siamo accorti che non era vero, il palazzo ha iniziato a tentare di ucciderci. Molto originalmente, devo dire. Ha anche provato a dividerci, ma siamo riusciti a ritrovarci poco fa in questo atrio”.
Harry trattiene il fiato, e stringe più forte la mano di Louis. “È tutta un'illusione, sapete. Stiamo cercando in cerchio illusioni che non esistono. Nessuno dei vostri cari è realmente in pericolo. E se uscite da questo palazzo e trovate la via di casa, scoprirete che è così. Credetemi”.
Il mormorìo si trasforma in un un chiacchiericcio insiestente; ma prima ancora che Harry riesca a capire se la folla propenda per il sì o per il no, come risposta l'intero palazzo inizia a tremare, emettendo un rumore di ossa rotte e colli spezzati di netto. Gli arazzi vacillano leggermente, le lampade sui mobili sobbalzano e si frantumano per terra; il lampadario dorato che pende dal soffitto tintinna rumorosamente e cede, e Louis si sporge in avanti per tirare a sé Niall appena in tempo prima che vi rimanga sotto.
Liam agita il gesso verso l'intera folla – la cui improvvisa consapevolezza dell'inganno, evidentemente, sta minando le fondamenta stesse del palazzo delle illusioni – e fa cenno di seguirlo fuori dall'edificio. Centinaia e centinaia di persone iniziano quindi ad affluire fuori dal palazzo, urtando i quattro ragazzi, ancora fermi ai loro posti, a volte anche strattonandoli. Quando anche l'ultima persona è uscita e sono rimasti solo loro quattro, rimangono in silenzio ad osservare i primi pezzi di calcinaccio cadere dal soffitto e ad ascoltare i suoni di illusioni infrante. L'aria è pregna di polvere, gesso, ragnatele, urla, sibili di coltelli, pianti, rumore di sangue che sgocciola, applausi e risate vuote di bambini. Dopo qualche minuto, Harry posa una mano sulla spalla di Louis e “Dobbiamo andare, Lou”, dice. Tutto attorno a loro ancora vibra.
Questi si morde il labbro: “Cosa succede se io esisto solo qua dentro? Cosa succede se, uscendo, anche il mio aldilà si sgretola?”. Il riccio gli passa una mano tra i capelli spettinati, pieni di nodi: “Non succede”; Louis lo guarda, e “Fidati di me?”, aggiunge Harry. L'altro annuisce.
Poi, tutti insieme – Louis, Harry, Niall e Zayn – voltano le spalle alla scalinata, al lampadario infranto ed agli arazzi squarciati. Uscendo dall'ingresso, l'ultima bambinesca risata vuota li saluta, prima che si distorca in un grido agghiacciante; Zayn chiude la porta dietro di sé con decisione, ed anche l'ultimo grido tace.
Harry, stringendo ancora la mano di Louis, scruta la foresta appena fuori dalla casa, inalandone il profumo, e osserva la folla allontanarsi nelle direzioni più disparate.
Accanto a lui, anche Louis prova a respirare a pieni polmoni, imitandolo.
La notte è fredda e pregna di umidità.
 
 
 V.
 
 
Ogni sera, Harry scivola nel letto accanto a Louis.
I primi mesi non dormono, rimangono svegli a guardare il soffitto. Sanno che se cedessero alle lusinghe del sonno vedrebbero creature deformi, aguzze, cenciose, prive di testa e dotate di coltelli che si piantano nella loro schiena con violenza e squarciano la carne, lasciandoli sventrati sul ciglio della strada – le interiora lesionate, il sangue copioso, preda di qualsiasi fiera passi nelle vicinanze che li mangerebbe vivi, senza possibilità di reagire.
Poi, lentamente, Harry è il primo a cedere e ad assopirsi contro il fianco caldo di Louis. E, infine, anche Louis si abbandona.

Scoprono che Louis ha una famiglia che è ancora viva, ed è considerato persona scomparsa da due anni.
Per i primi mesi, Louis si rifiuta anche solo di considerare la possibilità che possano davvero essere vivi, dopo tutto questo tempo che li ha creduti morti.
Poi, lentamente, Harry lo convince, ed insieme sollevano la cornetta del telefono. Ci sono pianti, c'è gioia e c'è dolore. Dopo aver scoperto che il fidanzato che ha inseguito vanamente per corridoi e corridoi nel palazzo delle illusioni ha trovato un nuovo compagno, Louis siede per ore sul divano a guardare la parete di fronte a sé. E infine, quando Harry gli chiede se abbia bisogno di qualcosa, Louis sorride e scuote la testa. Solo di te, H, dice, e gli fa segno di sedersi accanto a lui.

Ci sono giornate in cui Louis ha voglia di uscire e di sentire gli amici; e allora prendono due zaini, qualche bottiglia d'acqua, i cappotti e fanno un giro in paese, oppure aprono Skype e parlano con Niall e Zayn.
I primi mesi, ad Holmes Chapel, tutti dicono che Harry Styles si sia trovato il fidanzato nella notte in cui resuscitano i morti: Louis ha sempre profonde occhiaie, colorito pallido e flemma rassegnata, come se avesse tutto il tempo del mondo.
Poi, lentamente, Louis riacquista colore, prende le svariate pillole che gli vengono prescritte, ogni tanto dismette i vestiti scuri e vira verso calze strane e maglioni colorati, e in paese le malignità si diradano.

Ci sono giornate in cui, invece, Louis non vuole uscire di casa e si ferisce da solo; dice che il suo corpo è solo una conchiglia, un involucro, una gabbia, un limbo costrittivo da cui deve liberarsi.
I primi mesi, Harry non sa cosa fare. Riesce solo a prendergli i polsi tra le mani per impedigli di spezzare la bellissima conchiglia, l'involucro, il corpo. Ogni volta Louis urla e piange, piange forte.
Finchè, lentamente, scivolano per terra da qualche parte nella casa vuota, Harry che lo stringe forte tra le proprie braccia e Louis che piange. E tutto tace, ad eccezione dei suoi piccoli singhiozzi e di Harry che gli accarezza i capelli ripetendogli sussurando che “Tu sei Louis, ed io sono Harry, siamo insieme adesso e adesso siamo vivi. Sei il mio uomo, sei il mio ragazzo, e sei la persona più forte che abbia mai conosciuto. Sei così coraggioso, così immensamente, immensamente coraggioso”. Allora Louis si calma un po', ed Harry lo stringe con più forza, fino a quando anche i suoi singhiozzi si calmano e tutto ciò che rimane a testimoniare la loro presenza sono i loro respiri.
E Louis sa che, probabilmente, quella sensazione di essere in un limbo perduto non passerà mai del tutto; ma ha Harry, e in quella casa silenziosa spicca il sospirare di due fiati, non di uno.
E da quello, da quello è sicuro di essere vivo.
Almeno un po'.












 
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Here I am. Again.
Speravamo tutti che mi fossi ritirata, mi pare abbastanza ovvio, ma il lupo perde il pelo ma non il vizio, a quanto pare.
Dunque. Questa doveva essere una Halloween!AU. La sto pubblicando il 12 novembre, ma doveva essere una Halloween!AU. E forse l'avrei anche finita in tempo, ma mi sono fatta convincere a portare avanti una vita sociale e così mi sono ritrovata in discoteca ad occhieggiare disperatamente la sala fumatori e a bere. Tanto. Ugh.
Comunque, proseguiamo nelle spiegazioni. L'idea di base non è mia. In effetti, risale al 1500, da Ludovico Ariosto. Non so se qualcuno si ricordi l'Orlando Furioso, in ogni caso, fondamentalmente, il palazzo di Atlante è il palazzo delle illusioni ed è il fulcro centrale del poema: tutti i personaggi principali vi si ritrovano dentro, inseguendo l'oggetto del proprio desiderio. Così Orlando insegue Angelica, Bradamante insegue Ruggiero, e così via, finchè non arriva Astolfo (che è un figo e non subisce l'incantesimo) e Atlante prova ad aizzare tutti quanti contro di lui, vedendosi perduto. Astolfo però suona il corno magico e l'illusione svanisce, in sintesi.
Io ho reso la faccenda un po' meno cinquecentesca ed esponenzialmente più dark, ma, insomma, la sintesi è questa. Ho messo la nota ad una delle prime frasi che Louis dice perché (1) la convinzione di Louis di essere morto è basata su una malattia realmente esistente, chiamata Sindrome di Cotard. In sostanza, anche se è difficile stabilire con certezza da dove derivi questa sindrome, dal momento che è molto rara e molto complessa, il paziente ha l profonda e ferrea convinzione di essere morto. A volte crede di non avere sangue, a volte crede che non solo lui sia morto, ma anche i propri cari; spesso, i malati affetti dalla sindrome di Cotard si lasciano morire di inedia, perché convinti di non dover mangiare. Esiste un trattamento, a cui io accenno alla fine parlando di pillole, ma non sempre è risolutivo ed a voltre risulta avere pesanti effetti collaterali. In realtà, alla sindrome di Cotard mi sono solo ispirata: la convinzione che Louis ha di essere morto, nel caso della storia, deriva più che altro da un processo mentale collegato al fatto che il suo fantasma (Aiden) ha smesso di chiamarlo. Se ci pensate è assurdo, dal momento che Louis sa razionalmente che Aiden ha smesso di chiamarlo perché Louis ha semplicemente capito che era semplicementeun'illusione; ma Louis ha impiegato del tempo ha capirlo, e durante quel tempo ha invece maturato la convinzione che Aiden avesse smesso di chiamarlo perché erano entrambi morti, e la convinzione è poi rimasta.
Per tutto quello di rimanente della storia che vi pare non avere un senso, è fondamentalmente perché un horror un senso non deve avercelo, ecco. Liam c'è poco, ma di base lui è inutile nelle mie storie e non ho trovato modo di inserirlo altrimenti, mi dispiace per J. Sarà per la prossima volta.
Detto questo, ringrazio Margherita, che come al solito è egregia nel suo ruolo di lovely girlfriend; Marilinda, che come al solito è egregia nel suo ruolo di lovely Ribs; Chiar(in)a, che mi mette in crisi con le sue domande esistenziali ma la adoro; Alessandra, which is my Big Alpha Boss and she's been way too cute with me; e Federica, che non ha fatto molto ma nei ringraziamenti ci sta sempre.
Spero che questa storia vi piaccia e sì, insomma, io sono tornata ma voi fatemi sapere cosa ne pensate, okay?

Golden revoir (Dio com'era triste questa!),
Sam (@passatger)


 
  
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