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Autore: May_Z    12/11/2014    2 recensioni
Molte sono le storie senza senso, quei rapporti tossici e insani che portano due persone ad avvicinarsi talmente tanto da distruggersi a vicenda. Questa è un di quelle storie: non si tratta di amicizia, non si tratta di sesso senza dispendio di inutili sentimenti e, soprattutto – e questo è meglio specificarlo sin da subito –, non si tratta di una storia d'amore.
[Dalla storia:]
Mentre il barista stappava la bottiglia, Sara poggiò un gomito sul bancone e si guardò attorno. Incredibile come, anche a quell'ora, il bar fosse gremito di persone – persone che durante il resto della settimana si squadravano per strada con diffidenza ma che, al venerdì sera, sorseggiando una birra ormai calda, si ritrovavano improvvisamente a parlare di futilità che non interessavano a nessuno. Tra tutte quelle persone, una in particolare richiamò la sua attenzione: gli occhi scuri, la barba apparentemente incolta ma che lei sapeva essere curata al millimetro, la sciarpa grigia, l'aria scostante – sempre lo stesso, sempre lui. I loro sguardi si incrociarono per un istante – un contatto che ormai non erano in grado di sostenere per più di qualche secondo.
Chi fu il primo a volgere gli occhi altrove, non avrebbe saputo dirlo.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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A u t o r e : May_Z.
T i t o l o : One Last Cigarette.
G e n e r e : Romantico, leggero Nonsense (più che altro per la struttura stessa della storia, ma per questo vi rimando alle note).
R a t i n g : Giallo.
B e t a g g i o : Vavvina, che non devo ringraziare solamente per aver letto questa storia in anteprima, ma per avermi convinta a concluderla e a pubblicarla. Probabilmente questa storia non esisterebbe senza di te, quindi grazie, grazie e grazie.
I n t r o d u z i o n e : Molte sono le storie senza senso, quei rapporti tossici e insani che portano due persone ad avvicinarsi talmente tanto da distruggersi a vicenda. Questa è un di quelle storie: non si tratta di amicizia, non si tratta di sesso senza dispendio di inutili sentimenti e, soprattutto – e questo è meglio specificarlo sin da subito –, non si tratta di una storia d'amore.
N o t e : La storia è strutturata in un alternarsi di momenti: una scena che accade al tempo presente, che si sviluppa durante tutta la lunghezza del racconto, ed una successione di episodi accaduti in passato – probabilmente sarebbe stato facilmente intuibile anche senza la spiegazione, ma lasciatemi stare, ultimamente perdo un po' di colpi e ho sentito il bisogno di scriverlo. Sono ben consapevole che il tutto potrebbe apparire confusionario e frammentato: il risultato è involontario, ma penso aiuti a rendere piuttosto bene ciò che ho voluto trasmettere; spero solo che il filo logico non risulti troppo difficile da seguire.
Premetto un'ultima cosa, e poi vi lascio alla storia: non giudicate il comportamento dei personaggi, non tentate di trovarci una spiegazione razionale, perché, come spesso accade, una spiegazione non c'è.

 

 

One Last Cigarette.

 

Baricco dice che “scrivere di qualcuno è l'unico modo di aspettarlo senza farsi del male”.
Io scrivo perché ho finito di aspettare.
Scrivo perché, finalmente, penso di aver trovato la forza di lasciarti dietro di me.
Questo è il mio saluto
a te, che anche dopo tutto questo tempo rimani la mia incognita più grande.

 

 

 

«Ma guarda chi c'è! Che fine avevi fatto?»
Sara respirò a fondo e provò a resistere alla tentazione di gettare a terra la sigaretta appena accesa e tornarsene dentro, dove la musica era sepolta sotto l'acuto ciarlare di persone che, in fin dei conti, non avevano nulla da dirsi. Ma almeno dentro sarebbe stata al sicuro, immersa nella folla che spingeva prepotente verso il bancone e che le avrebbe permesso di non dare nell'occhio di coloro che per mesi aveva tentato di evitare – riuscendoci piuttosto bene, a dirla tutta.
Un altro respiro e si voltò, sfoggiando un sorriso cordiale che, in quel momento, non le si addiceva per nulla. Incredibile come avesse imparato a riconoscere quelle voci – voci che con il tempo aveva imparato ad associare alla sua e che, proprio per quel motivo, le incutevano un qualcosa che era diventato un misto tra il fastidio e la preoccupazione. Evidente fu il suo sollievo nel constatare che la causa diretta di quel sentimento indefinito non era presente.
«Tra la laurea, il cambio di università e di città... ho avuto parecchio da fare. E tra una cosa e l'altra ho iniziato a frequentare molto meno i soliti posti».
I due ragazzi si scambiarono uno sguardo di intesa – che per lei fu così facile da decifrare che la domanda che immediatamente ne conseguì era come se fosse già stata formulata.
«Non stai evitando Riccardo, vero? È fatto così, ormai dovresti averlo capito. È solo un coglione».
Io lo definirei più un codardo e problematico testa di cazzo con evidenti problemi di comunicazione e uno spiccato talento nel fuggire da situazioni scomode.
Sara sorrise, come aveva sempre fatto con loro. «Ma no, non è per quello».

 

*

 

«Oh, eccolo che arriva».
Il ragazzo che aveva appena oltrepassato la porta del locale si diresse velocemente verso il loro tavolo e, dopo aver borbottato un saluto generico, si lasciò scivolare sulla sedia di fronte a lei. Le scoccò un'occhiata veloce e poi iniziò a giocherellare con una delle salviette, chiacchierando distrattamente con il ragazzo seduto al suo fianco.
«Lei è Sara» intervenne Chiara, interrompendoli. «Stava in classe con me alle superiori».
«Ah, ok» replicò il ragazzo in modo svogliato, allungando lentamente uno mano. «Riccardo. Piacere».
Che faccia da rincoglionito.

 

«Ti prego, non odiarmi, hanno fatto tutto loro!»
Sara rise. «Tranquilla. Ma magari la prossima volta non lasciarmi da sola con lui».
«E che ti ha detto?» domandò subito Chiara, come se non l'avesse nemmeno sentita.
«Mah, niente, abbiamo parlato del più e del meno in tranquillità».
«E... ?»
«E nulla, è simpatico e ci ho parlato volentieri. Tutto qui».
«Te l'avevo detto. E tu potresti pensarci... gli interessi, seriamente, e si vede».
Sara sospirò: sembrava che le persone si divertissero a metterla in difficoltà, a creare quelle situazioni scomode che lei tentava in tutti i modi di gestire ma che, era inutile negarlo, rischiavano di sopraffarla.
«Chiara... esco con Simone» rispose infine, «e sono contenta così, fidati».
«Dico solo che vi vedrei insieme, te e Riccardo».
«Oddio, no, non direi proprio!» – e, in quel momento, ci credeva davvero.

 

Riccardo Magni: Mi smentivo se non ti scrivevo anche oggi ;)
Sara Lorenzi: Ahah, ammettilo, in realtà vuoi solo farmi sentire in colpa per il bicchiere di vino che ti ho rovesciato addosso domenica!
Riccardo Magni: Sì, anche. Ma in realtà volevo sapere se avevi già lasciato il tuo ragazzo per me ;) mi dà fastidio tu ti veda con un altro, sai...
Sara Lorenzi: Mmmh... no, e non penso lo farò!
Riccardo Magni: Smettila di fare la preziosa, non sai che ti perdi.
Riccardo Magni: E guarda che non avrai vita facile, ti scriverò fino a che non cederai!
Sara Lorenzi: Cos'è, una minaccia? XD
Riccardo Magni: Mah... vedila un po' come vuoi... ;)

 

*

 

Sara rise, e aspirò l'ultima boccata di fumo. «No che non ci vengo, a ballare. Dovreste finirla di invitarmi a fare serata con voi, sapete?»
«Ma noi lo facciamo volentieri. E poi tu ci sei sempre stata simpatica».
«Ah, sì?»
«Certo, una qualunque altra persona ci avrebbe mandati a quel paese molto tempo fa. Sei una tosta, ragazza».
Le sue labbra si incurvarono lievemente, come in uno spasmo involontario – un gesto che avrebbe potuto facilmente essere scambiato per un sorriso divertito ma che, in realtà, non era altro che una smorfia carica di amarezza. Sai, chiunque altra mi avrebbe tirato uno schiaffo e mi avrebbe piantato qui, per quella battuta, le aveva detto lui una volta, ma invece sei ancora qui. Perché sei anche tu una provocatrice, ti diverti a mettere in difficoltà le persone. A volte sembra che tu pensi come un uomo... che figata. Sara era rimasta spiazzata da quel commento, incerta se si trattasse di un ulteriore motivo che avrebbe dovuto portarla ad infastidirsi o, piuttosto, di un insolito complimento mascherato da accusa; non ci aveva dato troppo peso: quelle parole erano aleggiate tra di loro giusto il tempo per comprenderle e poi accantonarle insieme a tutte le altre ambiguità che ormai per lei erano diventate quasi un'abitudine.
«Sarà che ho avuto a che fare con cose ben peggiori, non mi sconvolgo facilmente» rispose infine, fingendo di credere almeno un po' in quello che stava dicendo – ben sapendo che il vero motivo per cui aveva sempre risposto elegantemente e con noncuranza a tutte le loro insinuazioni e battute era sempre stato un altro.

 

*

 

«Cos'è, è passato di moda salutare?»
Sara si voltò, altamente scocciata. «Capisco che sono mesi che non ci si vede in giro, ma insomma, togliere il saluto mi sembra un po' esagerato» proseguì il ragazzo, incurante dello sguardo carico di stizza che la ragazza non si stava nemmeno premurando di nascondere. In una qualsiasi altra serata probabilmente non se la sarebbe presa in quel modo, ma il nervosismo dovuto alla sua situazione attuale era andato a sommarsi a quello scaturito dal trovarsi di fronte le persone sbagliate che, per quanto ci provino, sapranno dire sempre e solo le cose sbagliate al momento sbagliato – creando un fatale connubio che metteva a dura prova la sua pazienza.
«Non ti avevo visto, altrimenti ti avrei salutato. Sul serio».
«Ok, ok... e il ragazzo? Dove l'hai lasciato stasera?»
«Non stiamo più insieme».
Un lampo di sorpresa attraversò lo sguardo di Riccardo, sostituito velocemente da quell'aria beffarda che l'aveva sempre irritata.
«E come mai? Comunque sono contento per te, mi sono sempre chiesto cosa ci trovassi in lui». Forse in quel momento si rese conto di aver parlato a sproposito, forse un briciolo di comprensione si era fatto strada in lui, forse aveva semplicemente notato l'espressione dipinta sul viso della ragazza... o forse ciò che voleva era solo lenire il suo senso di colpa per aver rischiato, ancora una volta, di superare il limite con lei. Con un gesto repentino le afferrò il braccio e la costrinse a guardarlo: «Ehi, mi dispiace. Davvero» disse.
Sara lo squadrò per qualche istante. Poi gli voltò le spalle e se ne andò, senza una parola.

 

«Sai, se appena conosciuta mi avessero chiesto cosa pensavo di te, avrei risposto che eri una brava ragazza... forse anche troppo». Pausa. «Ma ora non ne sono più così sicuro».
«Ehi! Potrei offendermi!»
«Ma no... è solo che... non so, non pensavo fossi... così».
Entrambi tacquero per un istante, probabilmente ponendosi la stessa identica domanda. Loro due, su quei due sgabelli relativamente scostati dalla frenesia di tutti quei corpi che danzavano fianco a fianco, inebriati dal sapore dell'alcol sulla lingua e dal ritmo della musica che batteva forte nella testa, ad intrattenere quel tipo di conversazione che solitamente solo due amici di lunga data sono in grado di sostenere, aveva un che di paradossale. Come era successo? Non avrebbe saputo dirlo.
Fu Sara a spezzare il silenzio per prima.
«Tutti riservano delle sorprese. E poi è inutile che fai il moralista... dopo quello che mi hai raccontato stas-»
«Ehi, piano, se non mi avessi obbligato a bere quell'ultima tequila non ti avrei raccontato un bel niente!»
«Ah, sarei io quella che ti ha obbligato? Buono a sapersi». Sara sollevò lo sguardo e incrociò gli occhi scuri di Riccardo: non riusciva a leggervi dentro, sapeva solo che erano vicini – troppo vicini. «In ogni caso» aggiunse, «so mantenere un segreto».
E, senza un motivo apparente, i loro visi si avvicinarono, le mani si cercarono, le labbra si unirono. E sì, forse quello sarebbe stato un ulteriore segreto da mantenere. Forse, per quella notte, semplicemente andava bene così.

 

*

 

«Ok. Ragazzi, vi saluto, che rientro a recuperare le altre. Magari ci becchiamo dopo!»
«Certo. Buona serata, Sara!»
Sara gettò a terra il mozzicone di sigaretta e, dopo aver risposto con un veloce “buona serata anche a voi”, rientrò nel bar. In tutta onestà, non sapeva come mai la voglia di salutarli e tornarsene dalle amiche si fosse fatta così pressante; l'unica cosa che sapeva per certo era che il trovarseli davanti così, dopo mesi trascorsi ad evitare quel bar in particolare, l'aveva scombussolata. Erano sempre stata carini con lei, e anche dopo che la situazione con Riccardo si era fatta inspiegabilmente tesa, trascinandoli entrambi in un vortice di complicazioni e quesiti non solo insoluti, ma addirittura mai formulati direttamente, non avevano smesso di trattarla come una di loro. Forse non avevano mai capito cosa ci fosse stato esattamente tra lei e Riccardo, o forse avevano semplicemente finto di non accorgersene – o, forse, erano stati addirittura in grado di vedere più in là di quanto avessero mai fatto lei e Riccardo in quel continuo cercarsi, avvicinarsi e allontanarsi quando si trovavano improvvisamente troppo vicini – due codardi in continua fase di negazione. Sara lanciò un'occhiata al tavolo delle amiche all'angolo del bar, ma non le raggiunse; a passo svelto, si diresse verso il bancone.

 

*

 

«Allora? Non vuoi dirmi che è successo?»
Sara piegò le gambe e appoggiò il mento sulle ginocchia. Mentre parlava, lo sguardo era fisso davanti a sé. «C'è questo ragazzo dell'università, con cui a volte uscivo... l'ho trovato con un'altra».
«E... ?»
«E nulla. Non posso lamentarmi, in fin dei conti sono sempre stata io a precisare che non volevo che le cose si facessero troppo serie. Ma quando gliel'ho fatto presente, quando gli ho detto che l'avevo visto... lui ha negato».
«Io non l'avrei mai fatto» commentò Riccardo con noncuranza, spegnendo la sigaretta sulle mattonelle del marciapiede accanto alla panchina su cui stavano seduti da un tempo diventato ormai incalcolabile. «Cioè... io non l'avrei negato».
Sara scoppiò a ridere. «Grazie, questo mi è sicuramente di consolazione!»
«Non sono mai stato troppo portato a fare star meglio le persone, effettivamente. Ma, comunque, tu non pensarci... ti passerà in fretta, come in fretta sei riuscita a riprenderti quando ti sei lasciata con il tuo ex ragazzo».
«Veramente è stato lui a lasciare me, a voler essere precisi».
«Non dire così, ti sminuisci. E non lo devi fare».
Nei mesi che seguirono, quella risposta le tornò spesso in mente e, con il senno di poi, le capitò di chiedersi se non avesse dato troppo significato a quelle parole apparentemente così semplici. Si domandò più volte se lui non la stesse solamente prendendo in giro, intrappolandola in un qualche gioco perverso della sua mente, o se quella fosse una delle varie cose di cui lui, in seguito, sembrò pentirsi di aver detto. Ma, in quel momento, accovacciata su una panchina alle quattro e mezza di notte, il sorriso di Sara non poté fare altro che aprirsi sincero.

 

Sara gettò la borsa tra le braccia di Riccardo e corse verso l'altalena che aveva intravisto in lontananza.
«Sara, che fai? Sei ubriaca, torna qui».
«Secondo te?» rispose, spingendo i piedi contro il terreno per iniziare a far salire l'altalena. «E non sono ubriaca!»
Sara sentì lo sguardo di Riccardo su di lei, a metà tra il divertito e l'esasperato, che probabilmente si stava chiedendo come avesse fatto a trovarsi in quella situazione ai limiti del ridicolo. In realtà non avrebbe saputo spiegare cosa le stesse succedendo: della ragazza seria e controllata di pochi mesi prima sembrava essere rimasta solo un'ombra, e lì, con quel ragazzo, sentiva di poter essere finalmente libera di essere come voleva – e nessuno più di lei poteva sapere quanto ciò le servisse.
«Ok, ora salto!»
«No, che ti fai male!»
Sara lasciò le catene dell'altalena e atterrò a pochi metri da Riccardo; quando lo raggiunse, gli occhi le brillavano e il suo sorriso era radioso. «Hai visto? Non mi sono fatta male» disse, fronteggiando l'altalena. «Quindi ora lo rifaccio».
«Ma che c-»
«Tranquillo, sto scherzando».
Riccardo la osservò circospetto per qualche istante prima di scoppiare a ridere, e ancora stava ridendo mentre le afferrava lievemente la testa e la baciava – così, senza nessun motivo, solo perché gli andava di farlo. Poi le prese una mano e la trascinò a distanza di sicurezza da quell'altalena.
«Ora però ti accompagno a casa».

 

«Domani sera che fai?»
«Ancora non so di preciso. Fino ad un certa ora lavoro, poi penso di uscire un po'... tu invece?»
«Non so... avrei una festa, dove ci sono alcuni colleghi di lavoro. Ma non mi va di andarci da solo».
Sara poggiò il gomito sul ginocchio e inclinò la testa sul palmo della mano, voltandola appena in direzione del ragazzo. «Be', perché dovresti?» domandò. «Passi fine settimana interi con Stefano e Davide, non ti ho mai visto senza... porta loro, no?»
«Boh, non saprei... in quell'ambiente, con il genere di persone con cui lavoro... li conosci, sai come sono fatti». Riccardo fissò la sigaretta che teneva tra le dita e aspirò una copiosa boccata di fumo; socchiuse appena le labbra per rilasciarlo, quasi sovrappensiero, e Sara ebbe come l'impressione che quel gesto apparentemente banale fosse un modo per trovare le parole giuste da dire. Poi proseguì. «Ci porterei te, però».

 

Riccardo tentò di soffocare uno sbadiglio e Sara estrasse il telefono dalla borsa, controllando l'ora.
«Oddio, sono quasi le cinque! Mi dispiace averti tenuto fuori così tanto anche oggi. La prossima volta sarà davvero “una sigaretta e basta”, giuro!»
Riccardo sorrise. «Ma mi fa piacere, altrimenti non sarei ancora qui».
Sara, già pronta ad attraversare la strada per raggiungere la porta di casa, esitò un istante. «Be', meno male», disse.
«“Meno male” cosa?»
«Che ti fa piacere restare con me a sparare cavolate fino a notte fonda» – con il pretesto di fumare un'ultima sigaretta prima di rientrare, ben sapendo entrambi che si tratta solamente di una scusa – quello, però, non lo disse. «Perché sarebbe stato triste essere l'unica dei due che lo fa volentieri».
Poi, come se nulla fosse, iniziò a cercare le chiavi e se ne andò.

 

*

 

«Un Prosecco, grazie».
Mentre il barista stappava la bottiglia, Sara poggiò un gomito sul bancone e si guardò attorno. Incredibile come, anche a quell'ora, il bar fosse gremito di persone – persone che durante il resto della settimana si squadravano per strada con diffidenza ma che, al venerdì sera, sorseggiando una birra ormai calda, si ritrovavano improvvisamente a parlare di futilità che non interessavano a nessuno. Tra tutte quelle persone, una in particolare richiamò la sua attenzione: gli occhi scuri, la barba apparentemente incolta ma che lei sapeva essere curata al millimetro, la sciarpa grigia, l'aria scostante – sempre lo stesso, sempre lui. I loro sguardi si incrociarono per un istante – un contatto che ormai non erano in grado di sostenere per più di qualche secondo.
Chi fu il primo a volgere gli occhi altrove, non avrebbe saputo dirlo.

 

*

 

Sara Lorenzi: Potrei sapere che problema hai con me?
Riccardo Magni: Cosa? Di che parli? Che ho fatto adesso?
Sara Lorenzi: Non so se te ne sei reso conto, ma ogni volta che mi vedi in giro fai finta di nulla. Non mi saluti nemmeno più.
Riccardo Magni: Ma che dici, non è vero!
Sara Lorenzi: Ok, quindi me lo sono sognata...
Riccardo Magni: Ma sarà successo una volta, avrò avuto la luna storta... e poi è da settimane che non ci vediamo.
Sara Lorenzi: Infatti mi riferivo all'ultima volta.
Sara Lorenzi: E te lo chiedo solo ora perché ci sono state le vacanze, e onestamente non mi andava di pensare al perché tu avessi deciso di togliermi il saluto.
Riccardo Magni: E le tue vacanze, come sono andate? :)

 

Riccardo Magni: Dici che non ti saluto, e poi sei tu che mi passi accanto e non mi saluti. È triste.
Sara Lorenzi: Ma quando? Non ti ho visto.
Riccardo Magni: Se lo dici tu...

 

Fu un attimo e, senza volerlo, si trovarono fianco a fianco. Il vociare allegro e spensierato dei loro amici li avvolgeva, nessuno prestava loro particolare attenzione: era come se una bolla li avesse inglobati, costringendoli ad un contatto ravvicinato che entrambi avrebbero preferito evitare. Si guardavano di sottecchi, tentando di combattere l'imbarazzo e, contemporaneamente, chiedendosi chi dei due avrebbe ceduto per primo – perché, alla fine, uno di loro cedeva sempre.
«Come stai?» chiese Sara, esitando appena.
«Sto bene. Tu come stai?»
«Anch'io sto bene» rispose la ragazza, allungando la mano per afferrare la birra tra le mani di Riccardo. Non se ne rese nemmeno conto; era un gesto diventato ormai automatico per lei, un gesto che compiva abitualmente, ogni volta che si vedevano: non appena Riccardo ordinava da bere, Sara gli sfilava velocemente il bicchiere dalle mani e assaggiava – storcendo poi le labbra in una smorfia di disgusto: avevano gusti così diversi quando si trattava di alcolici. E lui, ogni volta, la lasciava fare – e così fu quella sera.
Quando lei gli restituì il bicchiere, l'espressione dipinta sul viso di Riccardo la spiazzò; vi lesse una dolcezza che non vi aveva mai scorto prima, una dolcezza che la colpì nel profondo: la guardava come se fosse una delle cose più belle che il suo occhio avesse mai incontrato, come se fosse bastato il suo solo sorriso a rendere la serata migliore.
Nei mesi che seguirono, negli incessanti tentativi di convincersi di essere stata solamente uno dei tanti giocattoli nella mani di un narcisista in cerca di conferme, quello sguardo tornava a tormentarla, distruggendo ogni possibilità di lasciarsi alla spalle quel rapporto tossico in cui si era trovata invischiata. Più volte si domandò il significato di quello sguardo, se fosse stato solamente un momento di debolezza che Riccardo si premurò di reprimere in modo definitivo, se fosse stato la conferma che tra di loro c'era qualcosa di più di quello che entrambi erano sempre stati disposti ad ammettere o se, semplicemente, rappresentasse il ricordo di bei momenti che avevano innegabilmente vissuto – non fu mai in grado di darsi una risposta. Più volte arrivò a chiedersi se, dopo tutto, quello sguardo non se lo fosse inventato.

 

«Non preoccuparti di questo adesso, vedrai che andrà comunque bene» le disse Riccardo, passandole un braccio attorno alle spalle. «Ora pensa solo a goderti la serat-».
«Ma guarda che belli che siete» lo interruppe Stefano, ammiccando in modo incredibilmente irritante; poi afferrò due dei numerosi bicchieri di amaro posti in fila sul bancone e li allungò verso di loro. «Brindiamo al vostro feeling ritrovato» aggiunse, ben conscio di metterli entrambi a disagio, «sapete che vi vedrei bene insieme?»
Quella semplice affermazione bastò: Riccardo e Sara distolsero lo sguardo e, in un attimo, si allontanarono l'uno dall'altra.

 

Sara spalancò lo sportello dell'auto e tentò di uscirne, arrancando. Scivolò a terra, sbattendo le ginocchia sul terreno e si piegò in avanti, i capelli appiccicati al volto e la bile che le bruciava la gola. Poi, dopo un tempo che le sembrò interminabile, una mano le si poggiò sulla schiena e una voce le raggiunse l'orecchio – una voce che riconobbe, ma che sembrava arrivare da troppo lontano.
«Sara, come stai? Ce la fai?»
«Per favore, portami a casa».

 

Sara Lorenzi: Mi dispiace per come mi hai vista ieri. Tra l'altro, prima che mi ritrovassi piegata in due a vomitare non ricordo nulla... puoi dirmi che è successo?
Sara Lorenzi: Hai sul serio deciso di ignorarmi in questo modo senza nessuna spiegazione? Comportamento maturo, complimenti.
Sara Lorenzi: Sai, non capisco proprio cosa sia potuto succedere per meritarmi un trattamento del genere. E hai anche visto quanto male stavo, e non ti sei nemmeno preoccupato di sapere se mi fossi ripresa... il che la dice lunga. Tu mi piaci, ma, dopo tutto, non penso valga la pena perdere altro tempo con te.

 

*

 

Fu un attimo: qualcuno la spinse da dietro e l'intero contenuto del suo bicchiere si rovesciò sulla giacca dello sventurato che veniva dalla direzione opposta.
«Vabbè, allora è un vizio...»
Sara sollevò lentamente la testa, chiedendosi cosa avesse combinato per attirare su di sé una tale quantità di sfortuna.
«Veramente mi capita solo con te».
«Ah, quindi dovrei sentirmi onorato?»
«Dovresti sì... comunque buona serata, ciao». Sara se ne andò, senza guardarsi indietro, senza attendere una saluto in risposta che già sapeva non sarebbe arrivato – ormai, ci aveva fatto l'abitudine.

 

*

 

«Non mi guardi più in faccia, come fai a dire che non è successo nulla?»
«Ma non è vero, ora ti sto guardando...»
Faccia da schiaffi.
«Mi prendi anche in giro? Abbi il coraggio di dirmi le cose come stanno e falla finita».
«Non ho nulla, davvero».
«Smettila di negare».
Pausa.
«Scusa, mi stanno chiamando, devo andare... ciao».
Vaffanculo.

 

Lo so che tra di noi non va, ma... dove sei? Ho bisogno di te.
Sara osservò il messaggio, incredula, chiedendosi con che coraggio l'avesse inviato. Riccardo le aveva sempre detto e scritto cose imbarazzanti e senza senso, ma quello... quello era la cosa più imbarazzante e inappropriata di tutte. Era riuscita a superarlo anche in quello, ora non c'era più alcun dubbio.
Si chiese come avesse fatto a finire in quella situazione, a farsi coinvolgere da una persona a cui era bastato un istante per strapparle via tutto il bene che le aveva fatto in precedenza – lei, sempre diffidente e circospetta, aveva abbassato le difese, e ora non era nemmeno in grado di lasciare indietro ciò che era inutile trattenere ancora. E, per quanto tentasse di rovesciare tutta la colpa su di lui, sul pessimo tempismo e sull'ambiguità di ogni gesto e parola, nel profondo già sapeva che, alla fine, quella più difficile da perdonare sarebbe stata se stessa.

 

*

 

Sara aveva appena estratto le chiavi dalla borsa quando la vide: una figura seduta sullo schienale della panchina, che giocherellava con le chiavi della macchina parcheggiata poco più avanti e che, contemporaneamente, aspirava il fumo da una Winston Blu – da quando gli aveva imposto di comprare quella marca specifica al distributore automatico, erano sempre state solo Winston Blu.
«Che ci fai qui?»

Riccardo tacque per qualche secondo, fissandosi la punta delle scarpe; poi sollevò lo sguardo e, dopo tutto quel tempo, la guardò negli occhi. «Ti va una sigaretta? Solo una».
Sara esitò per un istante. Poi, senza dire nulla, afferrò il pacchetto di sigarette poggiato sul bordo della panchina e si sedette al suo fianco, sospirando.

 

 

  
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