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Autore: Silvar tales    13/11/2014    4 recensioni
“Cristo, è l’apocalisse”, si arrese il capitano, allargò le braccia e guardò Jim con fare sconsolato. Poi si abbandonò sui gradini d’ingresso e calciò un sasso capitato a portata del suo stivale: questo rotolò fin sul bordo del camminamento di legno, stette un po’ in bilico, poi si tuffò nell’acqua sottostante.
“Un luogo senza puttane e senza rum non è un luogo dove un pirata possa stare”.
[Terza classificata al contest “La verità è che mi piaci” indetto da Amahy]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Kenway, James Kidd
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Terzo Seme



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Dieci uomini ridotti a dieci nodosi scheletri pendevano dalla forca di Nassau.
Uomini che non si erano piegati, ora si piegavano tutti insieme, assecondando i venti marini.
Almeno quattro di loro erano appartenuti al popolo libero della Jackdaw; degli altri sei, Edward non ne era così sicuro.
Sale e fumo incrostavano i loro teschi, rendendoli irriconoscibili. Ma anche se non poteva dar loro un nome, Edward era sicuro di poterli chiamare tutti quanti fratelli.


“Kenway, riprenditi. Non ti vedevo così sconvolto da quando perdesti in acqua quel carico d’avorio…”
“Cristo Kidd, mi credi così carogna? Questi erano i miei uomini, non zanne macinate di elefante…”
Nassau non era più contrada libera.
L’aria era divenuta irrespirabile, satura di polvere da sparo e inni patriottici.
Le canzoni che si udivano nelle taverne erano divenute stridule e tese, e le belle signorine truccate che servivano ai tavoli aprivano le gambe solo davanti a una divisa bianca e rossa: dopo le minacce di impiccagione, nessuno voleva più avere a che fare con un pirata.
“Ma non potranno mai negare a me una bottiglia di rum…” disse spavaldo Edward rivolto a Kidd, mentre salivano le scale di una delle locande più losche e defilate dell’isola.
“Betty, mia cara, il tuo diavolaccio biondo ha sete…”
“Vattene via Kenway!” fece una vocetta da dietro le imposte scrostate dalla salsedine.
Kidd inarcò un sopracciglio. “Diavolaccio biondo?”
Edward aveva la faccia di chi avesse appena incassato un pugno nelle costole.
“Eddai Bet…” non demorse, fece il giro della casupola e tentò di entrare dal retro, ma la porta era serrata a chiave. “Non eri così tanto timida tre notti fa!”
“Tre notti fa a Nassau non c’erano i cecchini delle giubbe rosse appostati sui tetti!” rispose una voce sempre più ovattata.
“Cristo, è l’apocalisse”, si arrese il capitano, allargò le braccia e guardò Jim con fare sconsolato. Poi si abbandonò sui gradini d’ingresso e calciò un sasso capitato a portata del suo stivale: questo rotolò fin sul bordo del camminamento di legno, stette un po’ in bilico, poi si tuffò nell’acqua sottostante.
“Un luogo senza troie e senza rum non è un luogo dove un pirata possa stare”.
“Nassau è perduta, Kenway, fattene una ragione”.
L’umore di Edward si aggravò ulteriormente quando tre ufficiali inglesi vennero a bussare alla locanda.
Dopo aver aperto la finestra di uno spiraglio, grande quanto bastava per controllare l’identità dei nuovi clienti, Betty si affrettò ad accoglierli con un sorriso largo da orecchio a orecchio, e non tardò un solo istante ad aprire loro la porta.
Edward avrebbe giurato che prima della fine della serata avrebbe aperto loro anche qualcos’altro oltre a porte e bottiglie.
“Forza, non c’è mica dell’oro sotto la sua sottana”, Kidd gli diede un amichevole colpetto sulla spalla sinistra, e riuscì per un attimo a portargli via i cattivi pensieri, e a strappargli un sorriso.


Quando l’alba toccò i tetti di Nassau, Edward Kenway seppe che era il momento di far ritorno alla Jackdaw, anche se nessuno dei suoi bisogni fisici e mentali era stato soddisfatto.
“Ti serve un passaggio per l’Avana, Kidd?”
“Non l’Avana, ma Tulum, Kenway, e no. Ho ancora una faccenda da sbrigare qui a Nassau”.
Inconsapevolmente, Jim fece scivolare la lama fuori dalla manica, per una frazione di secondo. Poi la ritirò nuovamente tra le falde della sua veste, invisibile e letale come un serpente tra la sabbia.
“Ancora incarichi da quei fanatici dei tuoi amici?” poi Edward abbassò la voce, e quel fastidioso sorrisetto di scherno sparì dalla sua bocca. “Mary, fa’ attenzione, ti farai ammazzare. Non dovresti riporre la lama, almeno per questi pochi mesi?”
Kidd gli rispose lanciandogli uno sguardo di fuoco. “Sai che non devi chiamarmi così”, il suo tono era adirato, ma Edward notò che istintivamente si era portata una mano sul ventre ed era impallidita, come se un’ombra di incertezza avesse minato il suo incrollabile coraggio.
Allora forse le sue parole non le erano semplicemente scivolate addosso, come acqua dolce sulla pelle; forse avevano lasciato un segno, per quanto piccolo, come l’acqua di mare lasciava i peli incrostati di sale.
“E per quanto ancora pensi di poterti nascondere, nelle tue condizioni? Quando quel marmocchio ti sguscerà dalle gambe sarà chiaro a tutti che James Kidd non era chi diceva di essere”.
Kidd decise che Edward aveva osato troppo. Colta da un moto d’ira alzò il pugno, pronta a scagliarlo sul volto spavaldo del pirata, ma Edward fece in tempo a bloccarle la mano.
“Dannati tu e i tuoi riflessi. Non meriti quel dono. Non sei nemmeno un Assassino, ci disprezzi e non capisci nulla di niente”.
“Non cambiare argomento, Kidd. C’è forse qualcosa che dovrei sapere? Sicura che non sia mio?” Rise, il pirata.
“Sicura”, ribatté Mary a denti stretti. Si liberò dalla sua presa così violentemente che quasi Edward non si sbilanciò all’indietro e non cadde in acqua.
Per un po’ tra i due calò un silenzio teso. Ma dove le parole degli umani tacevano, subito innumerevoli altri suoni andavano a colmarne il vuoto.
Una barchetta di pescatori faceva ritorno al molo, seguita dalle strida dei gabbiani che cercavano di accaparrarsi gli scarti del pesce; le corde di una chitarra pizzicavano pigre le note di una canzone spagnola; le onde spumeggiavano sulla rena, dolci e lunghe, e s’infrangevano contro i tronchi del pontile e delle palafitte, sollevando spruzzi d’acqua e disegnando gorghi bianchi.
Tutto ciò si poteva descrivere in una sola parola: pace. Ma era una pace apparente.
Edward alzò ancora una volta lo sguardo verso la bandiera inglese conficcata sul palo più alto del molo.
Forse in quell’area di mare gli spari e le cannonate non si udivano più, ma non per questo vi era pace: le impiccagioni non facevano rumore.
“Allora è qui che le nostre strade si dividono, Kidd. Almeno per ora”.
Edward le porse il braccio, e Mary, nonostante i rancori trascorsi, non esitò un attimo ad afferrarlo. La luce nascente dell’alba le colorava i capelli d’oro, ed Edward si chiese ancora una volta come avesse fatto tempo addietro a non capire che sotto quei rudi abiti si nascondeva un corpo femminile. Ma forse era solo la gravidanza che ora le concedeva un seno più prosperoso, e capelli più belli.
“Abbi cura di te, Kidd”.
“Anche tu, Kenway. Soprattutto tu. Sappiamo chi di noi due è lo sprovveduto”.


***


“L’abbiamo trovata”.
Edward lasciò che la penna gli cadesse sulla scrivania, macchiando d’inchiostro pile di fogli importanti, il legno del pianale, persino pregiati fazzoletti di seta. Ma non gli importava. Spinse indietro la sedia dov’era accomodato e scattò in piedi.
“Dove, Thomas? Allora l’avevano portata qui, a Londra? Sicuro che sia lei?”
“Ogni cosa corrisponde signore, nata a Kingston l’anno 1721, cresciuta da un certo Edmund Royce, anni addietro comandante della guarnigione che sovrintendeva alla prigione di Port Royal, non potrebbe essere altri che lei. Ma ve ne renderete conto voi stesso quando la vedrete”.
“Grazie, grazie amico mio”, strinse le spalle di Thomas con entrambe le mani, e i suoi occhi brillavano di gratitudine. Thomas, imbarazzato, si limitò a un ossequioso cenno del capo.
“Ebbene, dove posso trovare questo signor Royce?”


Aveva indossato l’abito più sontuoso che possedeva. Si era rasato accuratamente il mento, le tempie e le guance, e si era sistemato i capelli in un codino, di modo che stessero in ordine. Con un bacio aveva raccomandato Jennifer ed Haytham alla sua amatissima Tessa.
Aveva raggiunto la casa di Royce in diligenza. Nessuno, nemmeno il più abile degli uomini avrebbe potuto riconoscerlo come il pirata che a Port Royal, cinque anni prima, era scampato per un soffio alla forca. Allora era magro e ossuto, con barba e capelli più incolti di un cespuglio di rovi, con i vestiti lerci e strappati e la pelle sfrigolante di ustioni solari.
Ora era un gentiluomo.
Il cocchiere si fermò davanti a una bella casa dalle pareti bianche e le finestre dalle imposte verde scuro. Era bella, sì, anche se non ricca e sontuosa come la sua.
Fare il comandante non rende quanto fare il pirata, è evidente, si ritrovò a pensare con un pizzico di malizia.
Batté tre rintocchi sulla porta, e si rese conto che la mano gli tremava.
La serratura si mosse dopo pochi secondi, e sulla soglia si affacciò una cameriera minutina dai lineamenti e dall’accento francesi, insaccata in un vestito troppo gonfio e ampio per lei.
“Sì, desidera?”
“Sono il cap… il signor Kenway. Desidererei parlare con il signor Royce, se ciò è possibile”.
La ragazza parve esitare, e per un momento Edward temette che gli avesse richiuso la porta in faccia. Ma poi, come colta da un’illuminazione, spalancò la bocca e con mille cerimonie lo invitò ad accomodarsi in salotto, nell’attesa che il signor Royce si rendesse presentabile.
Ma Edward non si accomodò, rimase in piedi, fingendo di trovare interesse nei quadri appesi alle pareti.
Mille e più pensieri gli ronzavano in testa. E se si fosse presentato Royce e basta? D’altronde che motivo aveva di portarla ad un incontro con uno sconosciuto? Ma poi, con quale scusa si sarebbe ripresentato a quella soglia? Avrebbe forse dovuto instaurare un rapporto di amicizia con Royce, correndo poi il rischio di venire riconosciuto come Edward, il pirata?
E, nel frattempo che la sua mente impastava preoccupazioni con altre preoccupazioni, la soluzione cadde dal cielo. O meglio, sbucò da dietro un angolo.
“E tu chi sei?”
Una bambina imbacuccata in un elegante vestito grande il triplo di lei era comparsa nel bel mezzo del salotto. Con una mano teneva sollevata l’ampia gonna, sotto la quale sbucavano due piccoli piedi nudi. Con l’altra mano stringeva gelosamente al petto una bambola di pezza. Il visino era storto in un’espressione mista tra il corrucciato e il confuso: sicuramente si chiedeva chi era quello sconosciuto che aveva invaso la sua area di giochi.
Edward ebbe un tuffo al cuore. Si abbassò sulle ginocchia, e fece segno alla bambina di avvicinarsi.
“Come ti chiami?”
Lei storse il naso ed evitò il suo sguardo, riluttante a rispondere. Ma alla fine la soggezione la vinse.
“Maggie… Margaret”.
“Margaret”, ripeté Edward, mettendole due mani sulle esili spalle. Cominciava a sentire le lacrime premere agli angoli degli occhi. “Ti trovi bene qui, Margaret? Questa casa… ti piace?”
Lei parve non capire la domanda. “Qui vivo con mia madre e mio padre”.
“Ma certo”. Era stato uno stupido a porre una domanda simile. Margaret era palesemente felice e serena, e pareva non le mancasse proprio nulla: giocattoli, salute, affetto.
E d’improvviso, Edward non seppe più cosa dire. Semplicemente rimase immobile, mantenendo il contatto con quel piccolo corpo che stringeva per la prima – e forse per l’ultima – volta. Avrebbe voluto raccontarle tante cose, tante cose che non poteva dirle, e che lei non avrebbe capito.
“Posso andare, adesso?” chiese Margaret con un vistoso sbuffo, impaziente di tornare ai suoi giocattoli.
Edward, come ridestatosi dal torpore, frugò all’interno del taschino, e dopo un po’ ne estrasse una catenella cui vi era legato un ciondolo, uno strano simbolo triangolare.
“Nascondilo dove tu sai, nei tuoi posticini segreti, che scommetto ne hai. E promettimi che, una volta grande, mi verrai a cercare, Mary”.
“Bello”, sorrise soddisfatta Margaret, rigirandosi la catenella tra le mani, ma impiegò poco a riprendere il suo cipiglio capriccioso: “però ti ho già detto che mi chiamo Maggie, non Mary! Sei proprio stupido”.
“Lo sono”, asserì Edward alzandosi in piedi, e facendole l’occhiolino, “Mary è il tuo nome segreto. Quale bambina non ne vorrebbe uno? Nascondilo assieme al ciondolo, e non indossare mai nessuno dei due, almeno finché non sarai grande. Promettilo, Margaret. Tu sei una bambina intelligente”.
Margaret sorrise, vanitosa, e si sistemò una ciocca bionda di capelli dietro l’orecchio. Nascose con cura il ciondolo in una piega del vestito, e poi fu finalmente libera di tornare ai suoi giochi. Voltò le spalle ad Edward, intonando un’allegra melodia. Edward incrociò un’ultima volta i suoi occhi azzurri.
E proprio in quell’attimo, il silenzio venne troncato dal rumore di pesanti passi che scendevano concitati le scale. A quanto pareva, il signor Edmund Royce doveva aver finito la sua toeletta.
Veloce e discreto come aveva imparato ad essere, Edward scivolò fuori dalla casa, fortunatamente non trovando nessuna cameriera francese a sbarrargli il passo con domande scomode.
Una volta fuori, prese un profondo respiro e si fermò un momento, lasciando che una lacrima solitaria gli bruciasse il volto.
Cercò di rimettere a fuoco ogni minimo particolare del suo viso: i lunghi capelli biondi, i vispi occhi azzurri, i suoi stessi lineamenti persino.
Mi somiglia più di quanto non mi somiglino Jenny e Haytham.
“Kidd, io ti amo dannazione”.









Storia scritta per il contest La verità è che mi piaci indetto da Amahy sul forum di efp:

TERZA CLASSIFICATA
TERZO SEME
di Deidaradanna93





Grammatica e stile: La tua storia, oltre a non avere nessun errore di grammatica o di battitura, mi ha colpito in particolar modo per lo stile. Ho trovato subito perfetta e molto colorita la descrizione di Nassau, con tutti i suoi vicoli e i suoi personaggi che fanno da sfondo alla vicenda di Edward e Kidd, la barista, gli ufficiali e gli impiccati. I dialoghi sono ottimi, e ho apprezzato molto il linguaggio rude e volgare che hai usato all’inizio per rendere in modo realistico la parlata dei pirati, senza innalzarla con un lessico più complicato o con argomenti diversi dal sesso e il rum. Sei riuscita a descrivere molto bene i luoghi, questo mi ha subito colpito.
15/15

Caratterizzazione dei personaggi: Edward e Mary sono perfetti, come ho già detto, per il modo in cui si esprimono l’uno con l’altra, ma anche per il loro carattere, perfettamente in linea con quello che hanno nel gioco (in particolare ho notato il riferimento di Edward agli Assassini, che chiama “fanatici”, e in effetti ho sempre pensato che Kenway, pur prendendo l’identità di Duncan per un certo periodo, non è pienamente un Assassino se non per qualche missione alla fine del gioco, rimane sempre e comunque un pirata). Mi è piaciuta anche la seconda parte e ho trovato carino e caratteristico il personaggio della cameriera francese, mentre hai descritto molto bene (in modo molto, e giustamente, “settecentesco” a mio avviso) la bambina Maggie, un po’ arrogante e vanitosa (come il padre, in effetti) ma vivace, estroversa (tanto che mi è sembrato quasi strano che desse così tanta confidenza ad un uomo che non aveva mai visto prima, tanto da accettare un suo regalo) e intelligente. 10/10

Caratterizzazione della coppia: Mi è piaciuto il fatto che tu abbia presentato la coppia Edward/Mary prima di tutto come due pirati, due compagni d’avventura poco inclini alle romanticherie. La dichiarazione finale è perfettamente in linea con lo spirito del capitano Kenway e, anche se forse avrei preferito qualcosa di più articolato, (magari anche nei pensieri mentre lui la guarda a Nassau, magari qualche parola trattenuta…) ho apprezzato alla fine Edward che riversa sulla figlia tutto l’amore che provava per la madre, senza rivelarle la sua vera identità e regalandole il ciondolo con il simbolo degli Assassini (lo “strano simbolo triangolare” è quello, no?) nella speranza forse che un giorno Mary lo veda, e chiamando la bambina con il nome della donna che ha tanto amato durante le sue avventure. Ormai i due hanno due vite separate e due diverse famiglie, quindi in fondo non mi è dispiaciuto che non si siano visti per un’ultima volta, anche se mi hai lasciato una sensazione di malinconia.
9/10

Originalità: Anche io avevo pensato che il bambino di cui era incinta Mary Read potesse essere figlio di Edward, tu hai esplorato a fondo quest’ipotesi e hai creato una buona immagine nel futuro in cui Kenway incontra la figlia. Inoltre, la tua fanfiction si fa notare per una certa originalità dovuta all’ottimo stile di scrittura e al lessico che hai usato. Bravissima, hai un ottimo punteggio anche qui!
9,5/10

Titolo: All’inizio non avevo capito perché “Terzo Seme”, ma tutto è diventato chiaro con la scena finale che ci presenta la terza figlia Kenway (o meglio la primogenita) oltre a Jennifer ed Haytham. Ho trovato quindi il titolo adeguato alla storia, con il pregio di essere capibile solo a racconto quasi concluso.
4/5

Gradimento personale: La tua storia mi è piaciuta (lo ripeto per la cinquecentesima volta) per lo stile che hai usato, e anche perché sono molto affezionata a Black Flag, gioco che mi ha divertito moltissimo. Hai saputo descrivere molto bene Edward e gli hai dato un ottimo spessore.
Le mie parti preferite sono state l’inizio, con la descrizione dell’impiccagione e la commozione del capitano Kenway che vede infranti i suoi sogni di libertà e Nassau ormai conquistata, il dialogo all’alba tra Mary ed Edward e anche l’atmosfera che hai creato nella casa dove è ambientato il finale, con le considerazioni sulla ricchezza di Edward. Ho letto la tua fanfiction tutta d’un fiato ed è stata molto piacevole e scorrevole, e dal momento che amo le descrizioni dei paesaggi (e riconosco che possano risultare pesanti se non scritte adeguatamente bene), fra i miei passaggi preferiti c’è questo dove descrivi Nassau nella tranquillità dell’alba:
Una barchetta di pescatori faceva ritorno al molo, seguita dalle strida dei gabbiani che cercavano di accaparrarsi gli scarti del pesce; le corde di una chitarra pizzicavano pigre le note di una canzone spagnola; le onde spumeggiavano sulla rena, dolci e lunghe, e s’infrangevano contro i tronchi del pontile e delle palafitte, sollevando spruzzi d’acqua e disegnando gorghi bianchi.
perché mi ha dato una sensazione di pace ed è stata una pausa dalla narrazione molto delicata, accurata e poetica. Brava!
8/10

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