Film > La bella addormentata nel bosco
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Autore: Gabriels_Corner    14/11/2014    1 recensioni
In questa fanfic ho voluto riproporvi la storia della Bella Addormentata, raccontata però dal punto di vista di Malefica. Devo avvertire tutti coloro che si aspettano uno stravolgimento della celebre fiaba, che questa non è la fanfic che stanno cercando. Mi spiego: la storia narrata sarà sempre la stessa, solo raccontata da Malefica. Lei stessa rimarrà sempre cattiva fino alla fine, come l'ho sempre amata. Ultima cosa: non ho voluto seguire per filo e per segno la versione del film Disney, ma ho voluto attingere sia dal film e sia dalla versione di Perrault e dei Grimm, da cui il film è tratto. Troverete quindi elementi provenienti da entrambe le versioni. Ci saranno particolari diversi, particolari omessi, ma non nuovi, perché come vi ho già detto seguirò la storia. Spero che quest'idea possa piacervi. Buona lettura!
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Malefica
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The Mistress of all Evil

Sembrava un giorno come tutti gli altri, dopotutto.
Me ne stavo meditabonda nel mio remoto e oscuro castello, seduta sul mio trono di granito, osservando le colonne, le volte e gli archi di pietra che completavano la rigidità della mia sala reale. Ammiravo gli splendidi fregi e gli ornamenti che rivestivano le mura e il pavimento, frutto di anni di lavoro di poveri uomini costretti da me a impegnarsi giorno e notte per l’edificazione di quello che sarebbe stato il futuro palazzo della loro regina, benché mancassero di ammetterlo.  Beh, potete immaginare la fine che abbia fatto chiunque osò opporsi ai miei voleri. 
Era ormai da molto tempo che vivevo lì dentro, sola. Come volevo.
Il mio piano era quello di creare un regno di desolazione al quale nessun umano o creatura magica avrebbe voluto avvicinarsi, a meno che non avesse voluto fare una brutta fine. Ed eccola lì: la Montagna Proibita, la mia dimora, nascosta nei meandri più profondi della brughiera. Odiavo chiunque vi si avvicinasse, chiunque ostacolasse i miei piani, uccidevo senza pietà.
 E’ per questo che mi guadagnai il soprannome di Malefica da parte degli uomini che abitavano il regno vicino, il regno del re Stefano. Il mio vero nome era Carabosse, ma decisi che questo mi calzasse a pennello. Malefica, mi piaceva. E in effetti non sbagliavano, io ero davvero cattiva. Amavo spezzare vite, vedere il terrore nel loro sguardo e i loro occhi spegnersi come una debole fiamma, con un soffio, così come si spegne una candela.
Mi alzai lentamente dal mio scranno appuntito di ossidiana, dirigendomi con passo calmo ma deciso verso lo specchio. Il mio non era uno specchio magico, e sinceramente non ne avevo bisogno. Avevo la magia nera dalla mia parte.
Mi guardai: il mio era un volto dal colorito verdognolo, dalle forme squadrate e gli zigomi scavati e appuntiti. I miei occhi gialli splendevano come se vi fossero incastonati dei diamanti. Ed ecco il mio copricapo biforcuto e nero come la pece, che terminava in due corna appuntite; la mia veste lunga e ampia anch’essa nera come l’inchiostro, violacea nella ampie maniche e nei bordi. Tra le dita affusolate reggevo il mio scettro, la fonte del mio potere.
Ero ancora lì ad ammirarmi quando vidi riflessa un’ombra svolazzante e gracchiante. Era il mio prediletto, il mio fido corvo Diablo. Avessi dovuto scegliere qualcuno o qualcosa di cui fidarmi, lui sarebbe stato l’unico che avrei nominato. Lo consideravo la mia ombra, faceva tutto quello che volevo incondizionatamente, senza chiedere nulla in cambio. Averlo sulla mia spalla o sul mio scettro ovunque andassi mi trasmetteva profonda sicurezza e protezione, a tal punto che senza i suoi servigi sarei probabilmente stata persa. Senza il suo aiuto non sarei mai venuta a sapere quello che gli umani stavano tramando contro di me. Si posò delicatamente sulla mia spalla, e gracchiando mi riferì quello che non avrei mai creduto possibile: dopo anni ed anni di tentativi il re Stefano e sua moglie Leah erano finalmente riusciti nel loro intento: erano genitori di una bellissima bambina. Ma non fu quello il motivo per cui mi infuriai: i coniugi reali avevano indetto un battesimo in onore della propria figlia a cui erano stati invitati tutti i sudditi e persino le tre fate Flora, Fauna e Serena. Erano stati invitati tutti, tutti tranne me.
«MALEDETTI! Come hanno osato non invitarmi? Come hanno osato non invitare me, la fata più potente di queste terre?!» urlai, in preda all’ira. Notai l’espressione terrorizzata dipintasi sulla faccia di Diablo. Forse aveva ragione, erano semplicemente … spaventati. Ma no! Questo non poteva esser per loro motivo di così tanta sfrontatezza nei miei confronti! Seppur spaventati, avrebbero dovuto invitarmi!
«Poveri idioti. Credevano che con questa soluzione mi avrebbero tenuta lontana dalla loro principessina, e invece otterranno l’effetto contrario! Pagheranno dolorosamente questo affronto, fosse l’ultima cosa che faccio!» dovevo star urlando molto, perché Diablo si alzò dalla mia spalla e si librò in volo per la sala. Sentii i muscoli della faccia contrarsi, e mi ritrovai a sorridere maliziosamente. Avevo già in mente cosa fare.
«Diablo! Fermo! Vieni, mio caro. Andiamo… ad una festa!» e così scomparii avvolta da una densa coltre di fiamme verdi, diretta al castello del re.

***

Mi ritrovai fuori dal palazzo ad osservare alla finestra quello che stava succedendo all’interno. Stavo per fare irruzione nel bel mezzo dei festeggiamenti: la sala era gremita di persone che parlavano, mangiavano, bevevano, sorridevano, forse un po’ troppo per i miei gusti. Ed eccoli lì in fondo, il re e la regina anch’essi smaglianti nei loro abiti regali e nei loro gioielli d’oro e d’argento, loro, la causa di quel che stavo per fare. Vidi le tre imbecilli svolazzare con i loro costumi colorati e le loro bacchette intorno alla culla, e iniziare a turno a porgere i loro omaggi al re e alla regina, senza ovviamente dimenticare il loro regalo per la neonata. Era ora di rovinare quel momento fin troppo idilliaco e felice. Schioccai le dita. Serena era nell’atto di benedire la bambina con la sua voce stridula e fastidiosa, quando irruppi nella sala facendo sbattere le porte e sventolare insistentemente gli stendardi appesi al soffitto. Vedendomi rimase esterrefatta, come tutti i presenti naturalmente. Adoravo quel misto di stupore e terrore che provavano quando mi vedevano. La stanza era improvvisamente diventata silenziosa, se non fosse stato per il vociferare di alcune persone ancora sbalordite; erano passati anni dall’ultima volta in cui misi piede nella loro corte, probabilmente pensavano fossi morta. E invece eccomi lì, il loro incubo peggiore.
Non passò un secondo che Serena, la più grassa e antipatica delle tre, cominciò a lanciarmi insulti intimandomi di andarmene, ma non le prestai attenzione. Piuttosto, rivolsi il mio gelido sguardo ai due sposi, seduti sui loro troni. Decisi che non mi sarei arrabbiata, quella sarebbe stata una calma e placida conversazione. Volevo solo sapere il motivo per cui si fossero dimenticati di invitarmi. E se si fosse trattato di una semplice distrazione? Tutto qui.
«Bene, ma che splendida adunanza, Re Stefano. Reali, nobili, signori, e... oh, perfino la plebe!» dissi rivolgendomi alle tre sciocchine. «Mi ha addolorato moltissimo di non ricevere un invito.» in realtà “addolorato” non era esattamente il termine giusto, avrei preferito più qualcosa come “mi ha fatto infuriare” o “ha scatenato la mia ira”, ma cercai di contenermi con le parole.
«Non eri gradita!» rispose di getto Serena, quasi sputando quelle parole. Quella fatina mi stava facendo innervosire e se avesse continuato a parlare non sarebbe sopravvissuta a lungo. In quel momento pensai a chi tra noi due fosse davvero la cattiva.
«Non ero... gradita? Cielo, che situazione imbarazzante. Speravo si trattasse puramente di una svista. Oh beh, se è così, forse è meglio che vada.» feci per voltarmi, ma la regina mi fermò.
«Aspettate. E dunque non vi siete offesa, vostra Eccellenza?» percepii una nota di paura nel tremolio della sua voce sottile.
«Ma no, Maestà.» fu in quel momento che ebbi un lampo di genio. Dopotutto, anch’io ero una fata, no? «E per dimostrarvi che non serbo rancore, anch’io voglio porgere un dono alla bambina. Ascoltate, tutti quanti!»
Mi avvicinai alla culla, nel quale, avvolta da strati di coperte giaceva la principessina inerme. Così piccola, così indifesa, così bella. Mi fissava con i suoi occhioni azzurri, inconsapevole di quello che di lì a poco l’avrebbe marchiata per il resto della sua vita. Mi avvicinai per carezzarla ma non appena lo feci la bambina scoppiò in un pianto disperato. Avvertiva la mia oscura presenza. Doveva avere un cuore immacolato come il più puro dei diamanti che presto avrebbero adornato il suo diadema. Ma basta, agitai il mio scettro, la cui palla di vetro assunse una sfumatura verdognola, e scelsi accuratamente le parole:
«La principessa, in vero, crescerà in grazia e bellezza, amata da tutti coloro che la circondano. Ma, prima che il sole tramonti sul suo sedicesimo compleanno, ella si pungerà il dito con il fuso di un arcolaio, e morrà!» un sussulto di sbigottimento si diffuse nella sala.
La stessa nube verde che aveva accompagnato il mio trasferimento e che caratterizzava ogni mio singolo incantesimo fuoriuscì dall’apice della mia verga per andare a condensarsi intorno alla bambina. Ella starnutì, e lentamente il nugolo andò dissipandosi. La maledizione era completa. Quindi me ne andai lasciando spazio ad un pianto tormentato del re e della regina, e all’inquietudine di tutto il regno. Finalmente l’ira lasciava posto al compiacimento, finalmente la mia vendetta era iniziata.

***

Passarono così sedici lunghi anni. Durante questo lungo periodo l’ intero regno cadde in preda allo sconforto più totale per la sciagura che incombeva sulla povera principessa, per le sue sorti imminenti. Non ricevetti più notizie dalla famosa famigliola, e questo mi turbò. Ogni giorno speravo arrivasse una notizia della morte della fanciulla, ogni giorno controllavo i necrologi delle chiese sperando di trovare il suo nome, ma niente. Qualcuno ancora osava mettermi i bastoni fra le ruote: il re! Lo stolto aveva fatto bruciare tutti gli arcolai presenti nel suo dominio e bandito chiunque osasse avvicinare sua figlia chiedendole di tessere. Pensava davvero che simili imbrogli bastassero per deviare la mia maledizione? Sciocco. Ecco cos’era.  Gli abitanti avrebbero dovuto sapere chi li stava governando, forse avrebbero imparato a rivalutare la mia acuta intelligenza, avrebbero capito che un po’ di malvagità non guasta mai in questo genere di cose. Ebbene, quando quel fatidico giorno mi svegliai, decisi che sarei stata io a compire la maledizione ed a finire quella storia una volta per tutte. La mia vendetta doveva concludersi, o altrimenti non avrei mai potuto chiamarla tale. Mai avrei potuto colmare completamente il mio cuore di fulgida gioia.
Il cielo era grigio, cosparso di nuvole cariche di pioggia. Il castello del re in lontananza, così come i boschi e la cittadella che lo circondavano avevano un aspetto sinistro, come fossero consapevoli del lutto che presto avrebbe investito quei territori. Sì, ripetei nella mia mente. E’ il giorno giusto.
Mi trasformai in corvo per volare in una delle torri più alte del castello, poi con un semplice movimento della mano riuscii a modificare il mio aspetto in quello di un’anziana vecchietta dalla pelle rugosa e raggrinzita, i capelli candidi e la schiena ricurva. Adoravo gli incantesimi di trasfigurazione. Dopodiché feci apparire un arcolaio. Non era un semplice arcolaio: era un arcolaio magico, uno di quelli che, se messo in azione, attira chiunque sia nelle vicinanze e lo costringe a tessere. Perfetto nel mio caso. Dunque mi sedetti e lo misi in azione: la ruota cominciò a girare freneticamente provocando il cigolio dell’intero meccanismo, mentre dal fuso fuoriusciva un profumo pungente che pian piano avvolse l’intera camera, fino a raggiungere le scale che portavano nei piani inferiori del castello. Mi bastò attendere qualche minuto perché sentii i passi di qualcuno salire lentamente le scale. Il pesce aveva abboccato. Sentivo crescere l’adrenalina dentro di me, ad ogni passo che la ragazza faceva. Sentivo avvicinarsi la sua dolce presenza. E sentivo crescere il diabete. Bleah!
Finalmente la sedicenne giunse sulla soglia della porta col suo passo strascicato. Poi la vidi. Sedici anni le erano bastati per far di lei la fanciulla più bella del reame, nonché probabilmente di quelli vicini. Era divenuta nota non solo perché fosse la figlia del re, e perché fosse stata toccata dalla mia maledizione, ma soprattutto per i suoi connotati di bellezza. Non ebbi mai modo di giudicare se quelle voci fossero fondate fin ad allora, ma ad ogni modo, per mia fortuna, essere la donna più affascinante tra tutte non era tra i miei voleri di vita o di morte. Ebbene, benché a malincuore, dovetti constatare che la benedizione della prima fata aveva avuto pieno effetto. Rosaspina, questo il nome della principessa, indossava un largo e lungo abito di seta azzurra che le arrivava fino ai piedi. Aveva un viso delicato, dai lineamenti morbidi. Occhi azzurri come abissi fissati come sentinelle scrutatrici, e labbra di rosa in attesa di parlare, cantare. Le incorniciavano il viso e le spalle lunghi capelli color dell’oro, e in cima, seminascosta, giaceva una piccola tiara d’argento. Gli occhi erano vitrei, persi nel vuoto. Sinceramente? Non riuscii a capire se fosse l’effetto del mio incantesimo, o fosse il suo solito sguardo da stoccafissa imbambolata. Finalmente, dopo alcuni secondi di silenzio, Rosaspina parlò.
«Chi siete voi?» aveva una voce melliflua, tranquilla e rilassata. «Come avete fatto ad entrare nel castello?»
«Io? Oh, non ha importanza. Piuttosto, chi sei tu, fanciulla?»
«Il mio nome è Rosaspina, e sono la figlia del re.» fece un inchino.
«Oh, quale onore! Sarà meglio porgere gli omaggi a una creatura di cotanta bellezza...» feci per imitarla, ma il suo gracile braccio mi fermò.
«Non affaticatevi. Apprezzo comunque il gesto, se donato con nobiltà d’animo.» mi sorrise, ed io feci lo stesso, dopodiché ripresi a filare. Come sospettavo, la ragazza si incuriosì.
«Ditemi, cos’è quello strumento che state utilizzando? Quella ruota e il suo girare freneticamente mi attirano molto!» non sembrava affatto accorgersi della scia di profumo proveniente dal fuso.
«Questo è un arcolaio, cara. Serve a produrre gli abiti, tra cui quello che state indossando proprio ora. E’ bello, vero? E’ così rilassante. Volete provare?»
Improvvisamente, la principessa sembrò intimidirsi. «Ecco, io... non so come fare. Non ho mai avuto la possibilità di confezionare i miei abiti prima d’ora, è sempre stato compito delle mie balie.» si guardava i piedi.
«Non importa, principessa. Non è difficile! L’unica cosa che dovete fare è far scorrere il filo, e premere il meccanismo con un piede affinché funzioni! Venite, vi mostro come si fa!»
A quel punto le afferrai il braccio, forse un po’ troppo violentemente, la contrapposi tra me e l’arcolaio e le feci tendere lentamente il dito verso il fuso.
«Aspettate, cosa state facendo...» ancora un poco... «Quello è un fuso, mi pungerò!» e poi tic! Il dito finalmente si punse. La figlia del re Stefano ebbe appena il tempo di ritrarre la mano e sussultare, quasi come stesse distogliendosi da un incubo. Vidi una goccia di sangue sgorgare dal suo indice e cadere sul pavimento. Poi, delicata come cade un albero, cadde a terra, morta.  Provai una sorta di dispiacere per la ragazza: in fondo lei era innocente; l’unica colpa che aveva avuto era avere dei genitori ingrati e maleducati. Finalmente l’avevano pagata.

***

Ebbene, mi sbagliavo. Rosaspina non era morta, era semplicemente caduta in un sonno profondo. Per mezzo di chi? Chi altro se non quell’impicciona di Serena? La fata aveva avuto il coraggio di intromettersi ancora in affari che non la riguardavano, e aveva usato la sua benedizione per deviare il mio sortilegio.
«La sorte della principessa, ahimè, non posso cambiare, ma qualcosa posso fare! La bambina si pungerà col fuso di un arcolaio, ma la sorte che l’attenderà sarà ben diversa dalla morte. Ella, al contrario, cadrà in un sonno profondo lungo cent’anni, ed a risvegliarla sarà il bacio del vero amore, il bacio di un principe venuto da molto lontano.» riesco perfino ad immaginarmi la sua vocettina stridula mentre lo diceva.
Ma, come se non bastasse, anche le altre due fate, Flora e Fauna, si erano intromesse nell’incantesimo: una volta caduta nel sonno, la principessa avrebbe coinvolto tutto il regno, e insieme a lei, tutti gli abitanti si sarebbero addormentati, mentre il castello, invece, sarebbe stato avvolto da una folte rete di rovi che l’avrebbero reso impenetrabile. Come previsto, tutto il regno cadde in un sonno profondo come in solidarietà della principessa, tutto divenne silenzioso, e il castello venne avvolto da una foresta di rovi che irti e spinosi che arrivavano fin sulla torre più alta.

***

Il silenzio regnò sovrano per molti anni. E devo dire che non mi dispiacque. Fu come se gli umani fossero tutti morti, ed io regnavo sovrana sul loro regno, insieme al silenzio ovviamente. Potevo camminare liberamente per le strade del paese, entrare nelle case, nei giardini, senza dover essere cacciata dalla guardie reali, e senza dover uccidere una di quelle guardie reali. Il regno mi apparteneva, come avevo sempre voluto; era un desiderio che bramavo da moltissimo tempo, ma che col passare degli anni avevo lasciato perdere. Quasi accettavo il fatto che, al contrario di morire, la fanciulla si fosse addormentata probabilmente per sempre, compromettendo la sicurezza dell’intero reame. Ogni giorno controllavo che nessuno straniero osasse avventurarsi all’interno della foresta di rovi per tentare di salvare la principessa dormiente: ben sapevo, infatti, che il bacio del vero amore non solo l’avrebbe fatta ridestare, ma avrebbe cancellato per sempre quello che sarebbe stato il mio ultimo momento di felicità. Ma, come tutti ormai sappiamo, i cattivi non sono destinati ad avere un lieto fine.
Ed ecco che, un giorno, precisamente cento anni dopo il mio sortilegio, mentre lasciavo che il mio diletto Diablo sorvolasse la foresta in cerca di cibo, mi arrivò la sua mesta notizia: un uomo proveniente dalle terre ad Est, si avvicinava intenzionato a salvare Rosaspina. Eccola, la mia rovina, che avanzava. Dovevo fermarlo.  
Collegando la mia mente a quella dell’uccellaccio nero, riuscii a vedere con i suoi occhi quello che stava osservando in quel momento. Non persi tempo a riconoscere il forestiero: era il principe Filippo, figlio del re Umberto, sovrano delle terre confinanti alle nostre. Era un giovane di bell’aspetto, alto, robusto e attraente. Aveva capelli castani ed occhi verdi, e camminava con postura eretta e passo composto. Un adone. Chiunque si sarebbe invaghito di lui, perfino la dolce e sciocca ragazzina. Mi domandai come fosse riuscita a venir fuori una creatura tanto bella dall’incrocio di un uomo e...un’orchessa!
Il principe sferzava i rami con la sua spada di ferro, facendosi largo nel profondo della foresta. Raggiunsi Diablo nei pressi del ramo su cui era appollaiato a scrutare nell’oscurità. Quando vidi arrivare il giovane rimasi sorpresa nello scoprire quanto fosse imponente visto dal vivo. Mi sentivo quasi attratta da lui.
«Qual buon vento, principe Filippo. Cosa vi porta qui?» esordii. Dal principio non mi vide, era troppo intento a sferzare fendenti sulle piante che ci circondavano, quando alzò lo sguardo e di scatto si fermò. Mi aveva riconosciuto.
«Voi...voi sei Malefica, non è vero?» un’espressione di terrore gli si dipinse sul volto.
«Sì, esatto sono io, Malefica. Ma suvvia, Filippo, non abbiate paura di me! Avvicinatevi!» piegai leggermente il dito perché fosse costretto ad avvicinarsi. Ora eravamo faccia a faccia. Con la mano seguii i contorni delle sue spalle larghe e forti, finché non sentii tendere i suoi muscoli e lo vidi spingermi a terra. Alzò la spada e si mise in posizione di attacco. Farabutto.
«In dietro! Voi siete una strega! Sappiamo tutti cosa avete fatto alla figlia del re Stefano, la giovane Rosaspina! Non mi lascerò adulare da voi e dalla vostra magia! Spostatevi, o non perderò altro tempo a trafiggere il vostro oscuro cuore!» improvvisamente non sembrava più così affascinante.
«Come hai osato! Combatti, vediamo se riuscirai a trafiggermi con quella tua stupida lama!» urlai, in preda all’ira.
Il principe non perse tempo: prese la rincorsa e sferrò un fendente, ma...troppo tardi, ero già al suo fianco. Mi lasciai sfuggire una delle mie risate tenebrose. Continuò ad armeggiare con la sua inutile spada per qualche minuto, roteando su se stesso, saltando, voltandosi, ma inutilmente. La mia magia era troppo veloce. Forse avrei dovuto smettere di perdere tempo con giochi stupidi di questo tipo, e arrivare al punto. Non mi fu dato il tempo di finire il pensiero che Filippo lanciò la lama verso di me, ferendomi la spalla. Un rivolo di sangue cominciò a sgorgarmi dalla pelle. A quel punto la mia mente venne offuscata dall’ira, e non riuscii a trattenermi: era ora di farla finita una volta per tutte. La ferita cominciò a rimarginarsi, mentre la mia pelle pian piano veniva sostituita da uno strato di squame appuntite. Diventavo sempre più grande, e più forte. Dalle spalle mi spuntarono grandi ali coriacee da pipistrello, mentre mi alzavo in volo, dietro si faceva largo una lunga coda. Ed ecco, la mia trasformazione era completa: ero un grande drago nero sputa fuoco. E questa era la mia trasformazione migliore. Non feci a meno di notare la paura scritta sul volto del principe, che cominciò ad indietreggiare; non glielo permisi, perché con la mia lunga coda lo attirai verso di me. Sputavo fuoco su di lui, ma non riuscivo a colpirlo perché si proteggeva sotto il suo scudo. Ovunque la foresta stava per venire bruciata dalle fiamme. Cominciai a camminare intorno a lui, poi allungai la zampa e afferrai il suo debole corpicino, ora ridotto alle grandezze di quello di un soldatino: lui si dimenava cercando di liberarsi, e cercando di colpirmi col suo stuzzicadenti. Lo avvicinai alle mie fauci e gli ringhiai in faccia, facendogli per giunta arrivare un po’ della mia bava sulla sua stupida uniforme da cavaliere.
«E’ arrivata la tua fine, Filippo. Hai visto...cosa succede a voler inseguire l’amore? Se tu fossi rimasto nel tuo stupido regno, ora non saresti qui, morente, ma saresti cresciuto e altre mille fanciulle avrebbero chiesto di sposarti. Altre mille ragazze migliori di lei. Ma tu hai voluto la ragazza dai capelli d’oro. E guardati ora, tu stai per morire, mentre lei è lì nel suo letto a baldacchino destinata a dormire per sempre. L’amore è una debolezza.»
«Smettetela. Non potete sapere nulla dell’amore, di cosa si prova! Nessuno amerebbe mai un mostro come voi! Perché è questo che siete! Siete un mostro!»
Fu in quel momento. Aprii la mia bocca ormai pronta a divorarlo, ma lui fu più veloce: scagliò la sua spada nelle mie fauci, che attraversando la gola andò a conficcarsi direttamente nel mio cuore. Provai un grosso dolore. Improvvisamente mi mancarono le forze e caddi a terra, ritornando nella mia forma umana e lasciando cadere Filippo nella foresta. Sentii il mio corpo avere un brusco calo di temperatura, tremavo, tossivo, e sentivo tutto il corpo formicolante, come stesse per essere divorato da milioni di insetti. La vista cominciò ad annebbiarsi qualche secondo dopo. Le ultime cose che vidi furono i rovi che pian piano scomparivano insieme a me, lasciando posto all’imponente figura del castello, mentre il cielo cosparso di nuvole faceva spazio ad un sole abbagliante. Il Principe se ne andò correndo alla stanza della principessa, nella torre più remota, ed io seguii la sua ombra sbavata allontanarsi, diventare sempre più piccola, più piccola, più piccola. Poi l’oscurità più totale.

Ed ecco la mia storia. Eccomi qui, morta, solo per aver cercato di ottenere la mia vendetta ad un torto che avevo subito. Potreste pensare che il mio possa essere stato un futile motivo per aver scatenato tutto questo disordine, per aver voluto la morte di una povera fanciulla innocente. Ma il fatto è che ero stufa, stufa di dover concedere la vittoria ai buoni. Per una volta volevo che fossero i malvagi ad averla vinta, e non loro. Ma come ho avuto modo di constatare, il lieto fine è destinato solo a chi se lo merita, a chi ha compiuto buone azioni durante la sua vita, e tutte le altre smancerie del genere. I cattivi non avranno mai un lieto fine. Il bene vincerà sempre.

Vai principe Filippo, risveglia Rosaspina, la tua amata principessa, e che possano le peggiori delle sciagure perseguitarvi finché entrambi non possiate esalare il vostro ultimo respiro.


SPAZIO DELL'AUTORE: Come avevo già preannunciato, avrete notato che ho attinto  dalla versione Disney, così come da quelle di Perrault e dei Grimm. Per fare due esempi importanti, avrete notato la versione di Malefica che si trasforma in anziana (versione dei Grimm) e l'omissione della parte in cui le tre fate nascondono la principessa nella casetta nel bosco (Disney); inoltre, ho preferito chiamare la principessa Rosaspina (versione dei Grimm) e ho voluto dare a Malefica come suo nome d'origine Carabosse (come nel balletto di Ciajkovskij). Questi alcuni esempi. Mi scuso per la descrizione del funzionamento dell'arcolaio, ma non ho saputo descrivere come funzionasse, e la descrizione della battaglia (non sono molto bravo a narrare delle scene di azione). Ultima cosa, sì, lo so, questa fanfic è lunghissima, ma non ho voluto dividerla in due parti perché a mio parere è meglio leggerla tutta d'un fiato, come se si stesse leggendo la fiaba, solo dal punto di vista del cattivo. Per concludere, spero vi sia piaciuta, e, vi prego, lasciate la vostra recensione, che sia essa positiva o negativa. Grazie!




 
   
 
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