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Autore: Chamelion_    26/10/2008    3 recensioni
Dove andavano tutti questi –a quanto pareva– attori? Che domande… Andavano a fare quello che già stavano facendo: si disordinavano, si autoimponevano un ruolo e poi lo infrangevano. Nessuno voleva vedere gli altri, nessuno sembrava capirlo. Eppure era così chiaro, così evidente, così palese! Possibile che nessuno s’accorgesse che fingevano?
Genere: Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Uscii con l’intento di prendermi un caffè, o per meglio dire il pretesto: in realtà avevo bisogno solo di fare due passi. Cominciai a camminare rilassato sull’asfalto, superando un isolato dopo l’altro, fischiettando a più riprese. Il mio obiettivo, una spensierata passeggiata, sarebbe stato raggiunto senza difficoltà se la mia attenzione non fosse stata attirata da un corridore olimpico pluripremiato, noto a tutti, che molleggiava sulle caviglie accanto al semaforo aspettando che diventasse verde. Pareva nervoso: lanciava occhiate fugaci dietro di sé e poi, con scatti frenetici, tornava a guardare avanti, sorridendo ai passanti e indicando a taluni le medaglie che sfoggiava appese al collo. Quando il semaforo diventò verde, il Corridore scattò in avanti, ma invece di correre non riuscì a fare più di qualche passo a singhiozzo. È qui che arrivò lo Zoppo, che con un balzo lo superò e correndo avanti a lui, si voltò indietro a guardarlo; dopo averlo sbeffeggiato con un insolente “marameo”, seguitò a correre. Il Corridore si fermò, col viso segnato da una ridicola smorfia che denunciava sconfitta.
Stupito, rimasi ancora qualche istante a guardare il Corridore ansimare, già affaticato dopo quei pochi passi compiuti; quindi decisi di proseguire per la mia strada. Non avevo fatto però un centinaio di passi che mi trovai davanti una seconda scena singolare: presso un’edicoletta aperta in strada, un uomo anziano sbraitava contro il povero ragazzo dietro il banco dell’edicola. Il Vecchio protestava perché non c’erano più copie disponibili del quotidiano che leggeva abitudinariamente, e strillando con una voce acuta e squillante, esigeva che il ragazzo gliene desse una ugualmente. Si fece avanti un Bambino che aveva l’aria di avere sei o sette anni, che con voce calma e ferma tentò di calmare il signore; questi però protestò anche più violentemente, ribadendo di volere a tutti i costi quel giornale, e che quel ragazzo era un egoista cattivo a non volerglielo dare. Il Bambino sottolineò che le copie del giornale erano finite, e in tutta risposta il Vecchio sbatté i piedi per terra, incrociò le braccia e mise su un broncio capriccioso; il Bambino chiese scusa al ragazzo dell’edicola e fece sedere il Vecchio su una panchina, dove incominciò a parlargli con calma.
Proprio in quel momento passò davanti a quella panchina un uomo che riconobbi immediatamente come un applaudito Cantante lirico, il quale si limitò a scoccare un’occhiata interdetta a quella bizzarra coppia e poi tirò dritto. Notai che portava una sciarpa al collo, che si sistemava di tanto in tanto come un tic nervoso; salutava sorridendo coloro che lo riconoscevano, ma non proferiva parola, anzi: più volte lo sentii schiarirsi la gola sommessamente.
Ignorando questi dettagli, ripresi a camminare verso la periferia della città, che speravo di trovare meno frequentata. Mi ritrovai a camminare su una strada che puzzava di benzina, dove vidi una Puttana ferma presso un palo della luce, e qualcosa di lei mi incuriosì: ostentava, come imponeva il mestiere, tutto ciò che del suo corpo potesse invogliare un uomo ad avvicinarla, e lo faceva in modo spudorato, volgare; eppure non potei fare a meno di osservare che teneva il viso basso, e lasciava che i capelli glielo nascondessero il più possibile. Se qualcuno la guardava, la Puttana muoveva i fianchi e sporgeva il petto in avanti, ma allo stesso tempo abbassava ancora di più il viso, come ben determinata a non farlo vedere a nessuno.
Stava sul lato della strada opposta al mio, lo stesso da cui le andò incontro la Pudica, stretta nel suo lunghissimo impermeabile grigio come se volesse esserne inghiottita, che colpì la Puttana con uno sguardo sprezzante prima di riprendere a camminare speditamente; ma come l’ebbe superata, e fu al sicuro dalla portata del suo sguardo, si fermò e la guardò con ben altri occhi: guardò ciò che esibiva, ciò che la gente guardava in lei, e poi guardò se stessa, ciò che la gente non guardava. Con occhi dalla luce tremula, tese la mano verso quegli uomini vogliosi attorno alla Puttana: elemosinava un po’ d’attenzione da parte di qualcuno che la volesse spogliare.
Fortemente colpito da quell’immagine, accelerai ancor di più il mio passo e superai quella strada. Passando di fianco all’università delle facoltà scientifiche, adocchiai alcuni ragazzi fermi a conversare con quello che sembrava essere un Professore, il quale mi dava le spalle. Dai pochi frammenti della loro discussione che colsi intuii che parlavano di formule fisiche, di cui il Professore discorreva con un tono molto sicuro, sputando numeri su numeri. Ma quale non fu la mia sorpresa quando, passandogli accanto, vidi che la sua mano, nascosta dietro la schiena, stringeva una calcolatrice e ne premeva i tasti freneticamente.
Rimasi molto amareggiato da quella visione, su cui tenevo gli occhi fissi, e non mi accorsi di stare andando addosso a un passante; così lo travolsi. Il Muto –era in lui, infatti, che ero inciampato– cominciò a urlarmi addosso indignato, ma fu subito zittito dal Sordo, che con le mani premute sulle orecchie e gli occhi stretti per il dolore, gli ammonì di fare silenzio.
Mi allontanai correndo, turbato oltre l’inverosimile, e il gentile Dentista mi chiese se andava tutto bene. Me lo chiese sorridendomi con trentadue denti perfettamente bianchi e diritti, un sorriso magnifico… Ma eccolo là, lo vidi: dietro la bella facciata perlacea, si nascondeva un dente giallo con striature nere, un dente morente, morto.
Scappai via, ma mi ritrovai inghiottito da una folla tremenda di persone che parevano tutte di fretta, e mi urtavano senza nemmeno curarsene. Camminavano, andavano da tutte le parti, ognuno con la propria vita, ognuno col proprio dente morto tanto accuratamente tenuto nascosto. Travolto dalla calca, cercai di liberarmene, e alla fine riuscii a trarmi in disparte, su un marciapiede da cui osservai inorridito quella scena. Dove andavano tutti questi –a quanto pareva– attori?
Che domande, mi dissi allora. Andavano a fare quello che già stavano facendo: si disordinavano, si autoimponevano un ruolo e poi lo infrangevano. Nessuno voleva vedere gli altri, nessuno sembrava capirlo. Eppure era così chiaro, così evidente, così palese! Possibile che nessuno s’accorgesse che fingevano?
Mentre, fermo, contemplavo quel palcoscenico popolato da attori disobbedienti a se stessi e agli altri, mi scivolò accanto il Guercio, che portava un cappellaccio calcato sugli occhi. Camminava tastando il terreno con un bastone, e mi si fermò accanto. Mentre lo guardavo, con discrezione, si portò un dito lungo e adunco all’orlo del cappello, lo sollevò appena e, piantatomi addosso due brillanti occhi di un verde sfavillante, ammiccò. Si premette l’altro dito, con cui teneva il bastone, sulle labbra ed esalò un lungo “Shhhh…”.
Quindi, riabbassatosi l’orlo del cappellaccio sugli occhi, mi superò e andò ad infilarsi nella calca che pullulava in strada. Li guardai ancora camminare, mescolandosi ai disordinati. Camminavano come chi, pur non avendone la minima idea, vuole far credere di sapere esattamente dove stia andando.


  
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