Serie TV > Once Upon a Time
Ricorda la storia  |      
Autore: Euridice100    15/11/2014    16 recensioni
"- Torni dentro?
Una voce suadente e carezzevole come il manto di una gatta lo riscuote dai suoi pensieri. La sigaretta si è quasi consumata tra le dita; la butta via con un colpo secco, seguendone la caduta con lo sguardo.
Lontano, lontano, ancora lontano.
Come se si potessero gettar via anche i ricordi, anche il passato."
(Seguito di "Cleaning all that I've become")
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belle, Signor Gold/Tremotino
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Your dream is over... Or has it just begun?'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ad A.,
che per prima ha creduto in me,
che mi infonde coraggio,
e che – dopo quattro anni! – si è convertita ai gatti.
Grazie, Ancella. ♥
 
 
 
All of the stars
 
- Coelum, non animum, mutant qui trans mare currunt - 1
 
 
 
It’s just another night
and I’m staring at the moon,
I saw a shooting star
and I thought of you.
I sang a lullaby
by the waterside and knew
if you were
I’d sing to you.
 
 
 
New York, 1893
 
Quando esce a fumare una sigaretta, una ventata gelida lo colpisce in pieno volto facendolo rimuginare per un istante sulla scelta. Alla fine decide comunque di rimanere all’aperto: il freddo non gli ha mai dato fastidio, e comunque, meglio quello che il caldo asfissiante di una stanza d’albergo in cui tutto trasuda lusso opprimente.
Un tempo l’avrebbe apprezzata, solito com’era circondarsi di oggetti sfarzosi, di gingilli e ninnoli rari provenienti da terre lontane, il cui unico scopo era urlare la sua ricchezza ai visitatori.
Un tempo.
Ha cinquant’anni e nella vita ne ha vissute tante, anche troppe; ma solo di recente si è trovato a saggiare sulla propria pelle gli strani poteri del tempo, il suo ripetersi costante seguendo solo in apparenza una linea retta e descrivendo in realtà ghirigori dal profumo di dolore. Quando tutto sembra passato, quando l’ondata di malinconia appartiene essa stessa alla storia e si sente pronto a scrivere una nuova pagina, ecco che un particolare insignificante si presenta ai suoi occhi, riportandolo indietro, togliendogli il respiro e costringendolo a guardare in faccia quel mostro imbattibile noto come passato.
È per questo che rimane sul balcone, ad ascoltare i rumori di una città che non dorme mai ed essere schiaffeggiato dal vento; perché quel bruciore che si diffonde sulle guance è l’unico appiglio alla realtà, l’unico monito che gli ricorda di non essere più nel 1888, di trovarsi in una metropoli diversa, circondato da persone diverse.
Di non essere più accanto a Lei.
Ha dovuto imparare a convivere col Suo ricordo: da quando si è reso conto che scansarlo è inutile – perché Lei trova ancora, trova sempre un modo per insinuarsi, per leggergli l’anima –, se ne lascia sommergere, trascinare via nella muta, segreta attesa del giorno in cui l’abbandono sarà definitivo.
Del giorno in cui sconterà il peccato d’averla uccisa.
 
 
 
You’re on the other side,
as the skyline splits in two,
I’m miles away from seeing you.
I can see the stars
from America,
I wonder, do you seem them too?
 
 
 
Londra, 1889
 
Belle se n’è andata da un mese, e da un mese lui si pente dei gesti tanto impulsivi e sconsiderati che hanno segnato quella maledette ore. Come ha potuto non darle ascolto? Cosa l’ha condotto a cadere nella trappola di Cora e preferirla alla verità che ha sempre illuminato il volto della sua Sweetheart? Le frasi che ha sibilato, le recriminazioni, il momento in cui le ha porto il denaro – come se stesse pagando una prostituta, ripensa pieno di vergogna – lo fanno gemere di rabbia.
Ha sguinzagliato i suoi per tutta Londra, alla ricerca di quella ragazza cui deve più di quanto possa dire, e non ha dubbi: a breve ne avrà notizie. Belle è brava, tremendamente brava a nascondersi: anche quando cercava Maurice aveva impiegato non poco tempo per trovarlo, e il merito, aveva poi scoperto, era tutto della figlia.
Quando saprà dov’è, andrà da lei, ovunque sia. Se gli sbatterà la porta in faccia, saprà di esserselo meritato; se gli sputerà in faccia, sarà ben conscio di non essere degno di altro; ma se per un istante, per un istante solo gli concederà la parola, le chiederà scusa.
Nient’altro.
Non pretende che torni da lui – non glielo proporrà nemmeno: conosce fin troppo bene l’indipendenza della sua orgogliosa Belle, e lungi da lui ipotizzare l’ennesimo perdono, perché ciò che ha fatto è troppo grave per essere cancellato da patetici gesti; ma deve chiederle scusa.
Farle capire che non intendeva dire ciò ha detto, che i suoi sono stati deliri di un folle, che Cora ha in qualche modo fatto leva sulle sue paure fino ad avere la meglio, ma che ora tutto è diverso, ora ha capito e non persevererà più negli errori di una volta, sì, d’ora in avanti compirà sempre la scelta giusta, sempre, per lei e lei sola, perché vuole essere una persona migliore, lo vuole davvero, e vuole dimostrarle di essere cambiato, e...
Sebbene lo neghi, sa che vuole ottenere un perdono che non gli spetta.
È in questo stesso istante che nella stanza fa il suo ingresso – come chiamata dal pensiero – la contessa Mills.
Nel momento in cui scorge la figura altera e snella dinanzi a sé, Robert Gold ha un unico, irrefrenabile impulso: afferrarla per un braccio e scaraventarla via. Via dallo studio, via di casa, via dal suo mondo e dall’universo intero; gettarla per strada, chiudere la porta e dimenticare per sempre i suoi sussurri ostili, gli intrighi e il male che hanno causato a chi gli è più caro al mondo.
- Non sei la benvenuta qui, – scatta in piedi andandole incontro, ben deciso a mettere in atto il suo piano.
- Sono qui per invitarti a cena. Tra dieci giorni Regina partirà per il Cheltenham 2 ed è il caso che anche il suo adorato zio la saluti come si confà, – sorride, un baluginio bianco tra labbra color del sangue che hanno scatenato terremoti.
- Ultimamente non sono dell’umore di cenare in compagnia. Soprattutto in tua compagnia.
Cora solleva un sopracciglio meditabonda.
- Sei di nuovo arrabbiato con me? Cos’ho fatto stavolta?
- La tua ipocrisia è sempre qualcosa di straordinario, devo fartene merito.
L’ex amante sbuffa annoiata, come se non potesse più di riprendere un argomento già discusso fino alla nausea.
- Se preferisci credere alle sciocchezze di una ragazzina dalla fantasia sovreccitata, fa’ pure. Da parte mia hai avuto sempre sincerità, e te lo ribadirò fino all’ultimo.
- Preferisco credere a chi ha dimostrato un minimo di coscienza, piuttosto che a te. Ma, sarò sincero, di te non mi importa più nulla. Il tuo trucchetto è fallito, non sei riuscita a ingannarmi e riportarmi da te, né mai ci riuscirai. Puoi provarci, provarci ancora e ancora – ma tra noi è finita da mesi, e per sempre. Rassegnati.
La donna alza gli occhi al cielo bofonchiando un udibilissimo: – Che strazio! – prima di riprendere parola – Non tutto ruota attorno a te. Di sicuro non io, mi conosci. Ce l’hai con me per la servetta  cui eri tanto affezionato, ma seriamente, Robert, credo che tu debba…
- Cui sono, – la corregge. Ormai le menzogne sono fini a se stesse: Cora sa, ha dimostrato di sapere, e lui è stanco del teatrino cui ha preso parte per troppi anni. Sarà lui stesso a dar conferma della notizia, non altri; e o la Mills si rassegnerà, o sarà lui stesso a farla rassegnare, costi quel che costi – Cui sono tanto affezionato, tanto da avere intenzioni serie con lei. E tu non ci fermerai.
Sul volto della donna compare un ghigno di puro disgusto.
- L’età ti sta facendo male. Comunque, – continua – Ho usato il passato non a caso. Ma posso assicurarti che non ho nulla a che fare con quella tragedia…
Il cuore perde un battito udendo l’ultima parola. Alza lo sguardo verso la nobile, guardandola incredulo mentre decine di domande gli affollano la testa, gli martellano il cranio come se volessero spaccarlo e uscire, inondare la stanza con la paura in cui nuotano.
- Oh, caro, – Cora sospira poggiandogli una mano sulla spalla. Non si sposta, gelato com’è dall’ansia che, viscida traditrice, si sta spandendo per il corpo – Com’è possibile che non ti sia giunta voce? Nei bassifondi è sulla bocca di tutti, e persino i miei aiutanti ne sono rimasti scossi. Da quel che si è riuscito a capire, pare che il padre della ragazza dovesse un quantitativo sproporzionato di denaro a una banda, i Frey, e che sia stato ucciso proprio per questo. Ma si sa, i malviventi non perdonano, né dimenticano, ed erano sulle tracce della figlia già da tempo quando lei è tornata di sua spontanea volontà nella loro zona. Non deve essere stato difficile attirare con l’inganno e rapire una cosina tanto dolce e gentile…
- Pare intendessero farla prostituire per riavere i soldi. Dinanzi al suo rifiuto, non si sono mostrati molto clementi… L’hanno costretta. L’hanno stuprata, l’hanno torturata in modi che non ho neanche la forza di raccontarti… E alla fine la poveretta non ha resistito. Alla prima occasione, pochissimi giorni fa, si è gettata dal bordello in cui l’avevano chiusa. È morta.
È morta.
Due parole così semplici, un susseguirsi di suoni comuni che la gola modula con naturalezza, senza incontrare ostacolo alcuno; è mai possibile che qualcosa tanto spontaneo da pronunciare, tanto immediato, scateni un uragano tale da radere al suolo ogni cosa?
È morta.
A quelle parole, nella mente di Robert Gold, affermato magnate dell’industria tessile, potentissimo uomo d’affari, terrore dei circoli di gentlemen, regna il vuoto.
Un abisso di silenzio talmente denso, talmente oscuro, talmente profondo che a distanza di anni lui non ha ancora trovato modo per uscirne.
Il fondo, invece, lo trova subito. Ci sbatte nell’istante stesso in cui recepisce la fine contenuta nella frase neonata di una fintamente affranta contessa Mills, che si staglia contro di lui col suo osceno cappotto celeste – celeste, celeste come i Suoi occhi, celeste come il Suo vestito, celeste come quell’anello, celeste, celeste, celeste come Lei.
- È una bugia, – riesce a mormorare solo dopo qualche istante. Le lancette della sua vita, invece, sono ferme per sempre – Stai mentendo.
- Lo pensi davvero?
Ogni replica è superflua.
- Esci, – dove trova il coraggio di dare quell’ultimo ordine? – Vattene.
Hai già dato un comando simile.
Non molto tempo fa.
Cora ubbidisce solerte, conscia di ciò che l’aspetterebbe in caso di defezione.
Esce da quella casa come una regina, ma Gold non se ne accorge.
Gold non si accorge di nulla per molto tempo.
Quando l’ex amante se ne va, compie un unico, semplice gesto; lo compie meccanicamente, senza emozioni – perché le emozioni richiedono un cuore, e lui il suo non lo ha più.
Non può più provare emozioni.
Apre la vetrinetta che ha fatto riparare, individua tra le nuove fini cianfrusaglie una tazza dal bordo sbeccato e la stringe tra le mani, nell’improvvisa, assurda convinzione che conferendole calore possa in qualche modo far tornare Lei.
Il nome.
Dì il Suo nome, codardo.
Tu L’hai cacciata via.
Tu L’hai stuprata.
Tu L’hai uccisa.
Dì il Suo nome.
Dì il Suo nome!3
Ma la verità è più crudele di qualsiasi incubo.
Non tornerà.
Lei non tornerà più.
 
 
 
So open your eyes and see
the way our horizons meet,
and all of the lights will lead
into the night with me.
 
 
 
Di Lei, si rende conto ben presto, resta solo una porcellana mezza rotta da porre su un piedistallo, come se fosse la ricchezza più preziosa, il tesoro più raro dell’universo intero; e in fondo, di quello si tratta: perché quella tazzina è tutto ciò che gli resta della sua ricchezza più preziosa, del suo tesoro più raro, della sua amatissima, unica Sweetheart che lui – lui e lui solo – ha ucciso.
La immagina fuggire per la città col cuore infranto, rifugiarsi nell’unico altro posto che Le è familiare ed essere notata – come poteva passare inosservata, con la Sua grazia, con la Sua bellezza? – e avvicinata per uno scopo tanto orribile. La vede rispondere a un passante con la cortesia e la fiducia che ha sempre riposto nel prossimo – che ha riposto in chi ha le mani lorde del Suo sangue –, e poi…
E poi non vuole più pensare.
Anche solo pensare fa male.
Quella sera beve fino a stordirsi. Fino a sperare di addormentarsi e non svegliarsi più, pur sapendo che questo non gli permetterà certo di rivederla – perché il posto per gli angeli è il Paradiso, non l’Inferno che accoglierà lui –; ma il risveglio giunge troppo presto, e col risveglio il mal di testa e il ricordo degli incubi che diventano presto fedeli compagni delle sue notti.
Lei, Lei che urla, Lei costretta a sporcarsi con tutto ciò da cui lui avrebbe voluto – dovuto – preservarla; Lei che sorride al vuoto e vi si affida, angelo dalle ali spezzate, certa di trovare nella morte ciò che lui non aveva saputo garantirle.
Pace.
Trascorre i giorni seguenti nel limbo. Disdice ogni appuntamento, dà un solo ordine – Tirate le tende, coprite gli specchi. Subito. – e si chiude nello studio, a filare e dibattersi tra il furioso desiderio di raggiungerla e la vigliaccheria che blocca ogni gesto e non lo fa procedere.
Dopo due giorni, del Robert Gold degli ultimi mesi non c’è più traccia. Sembra che una certa cameriera non abbia mai messo piede a Kensington, che il periodo tra settembre e febbraio non abbia addotto alcun cambiamento; a riemergere dallo studio è l’essere cinico e intransigente cui i dipendenti pensavano di aver oramai detto addio.
Ci si accorge del vecchio, nuovo corso quando, dopo poche settimane, Ashley è costretta a fare le valigie in lacrime; quando un’insolenza di Emma le costa la paga di un anno e la metà dello stipendio della madre; quando Killian subisce il medesimo trattamento per essersi ferito a una mano ed esser quasi morto d’infezione.
Un peccato che non sia successo. Saremmo dovuti morire tu, io, tutti gli altri, ma non Lei, commenta Gold tra sé e sé, e non chiama alcun medico, non quella volta.
Lei non vorrebbe tutto questo. Lei non lo accetterebbe.
Ma Lei è morta, e la colpa è solo sua.
L’ha lasciata avvicinare pur sapendo di attirare la morte su quanti lo circondano, in un vortice che ha avuto inizio il giorno della sua nascita e che da allora gli ha strappato via, brandello dopo brandello, ogni persona cui abbia voluto bene: suo padre, che se n’è andato lasciandogli un corredo di sberleffi e recriminazioni; il suo bambino, salutato per sempre una fredda sera di marzo; il suo unico amore, amato e odiato in un tempo troppo breve.
L’ha lasciata avvicinare e ora ne paga le conseguenze.
 
 
 
I can hear your heart
on the radio beat,
they're playing 'Chasing Cars'
and I thought of us

back to the time
you were lying next to me,
I looked across and fell in love.
 
 
 
La sera prevista, va da Cora. Il pensiero di rincontrare colei che ha dato il via a tutto gli dà la nausea; e per quanto se ne possa vergognare, lo disgusta anche rivedere Regina. È meschino muovere simili rimproveri a una bambina, lo sa: sa che, molto semplicemente, non ha avuto scelta. Avere Cora come madre è tutt’altro che semplice, e a dieci anni – e nemmeno a cinquanta – non si hanno le armi per combattere un nemico tanto infido, che dovrebbe proteggere anziché offendere.
Regina non è né più né meno colpevole di lui, e per questo, come non riesce a perdonare se stesso, non è in grado di perdonare lei. Perché avrebbe potuto confidarsi piuttosto che indugiare nei sotterfugi tanto cari a sua madre; perché avrebbe potuto lanciare un segnale, non rimanere ferma e zitta come ha fatto; perché… Non lo sa neanche lui perché.
Forse l’accusa perché dividere la colpa, per quanto triste possa essere, gli dà l’illusione di poter giustificare se stesso.
Alla cena, scopre infine, è lui l’unico invitato. Nel vedere se stesso, Cora e una Regina ancora più pallida e tremante del solito attorno a un tavolo, nella blasfema imitazione di una famiglia, gli torna in mente l’idea che ha avuto solo poche settimane fa assistendo a una scena così simile e così diversa. Una bambina e i suoi segreti al fianco di una ragazza e della sua innocenza, le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie e un uomo che le osserva da lontano e osa sperare in un futuro più sereno di ciò che è stato.
La cena sa di lacrime non versate, di frasi non pronunciate e di rabbia – la stessa rabbia che infesta la sala, la villa di Belgravia, le vite intere di coloro che vi conducono le proprie esistenze o vi capitano per caso, guidati da una sorte che sa sempre colpire dove fa più male.
Perché l’hai fatto?
Perché?
Perché non ha approfittato della prima occasione per fuggire da quelle bestie, anziché suicidarsi?
Sarebbe potuta tornare da lui. L’avrebbe accolta, poco ma sicuro: anche se non avesse scoperto la verità, non L’avrebbe comunque lasciata morire in mezzo a una strada, Le avrebbe comunque offerto delle cure, un rifugio, una casa, qualunque cosa di cui avesse avuto bisogno.
Perché L’amava, nonostante non Le avesse creduto; perché L’ama e nulla potrà mai cancellare questa verità, non gli inganni, non le messinscena con cui ha mascherato se stesso; perché ancora Le consegnerebbe il mondo in una mano, se solo potesse farlo.
Ma tu L’hai cacciata.
Tu L’hai violentata.
Tu L’hai uccisa.
E ora di Lei non resta nulla.
Neanche una croce presso cui inginocchiarsi, contro cui sbattere la testa implorando un perdono che non potrà arrivare. La sola idea che il Suo corpo sia stato gettato nel Tamigi o venduto a qualche Scuola di Medicina ha il potere di farlo rabbrividire: Lei, nelle cui vene scorreva luce, gettata nel fango di mille peccati, dei suoi peccati, Lei distrutta, annientata, Lei che era tutto
ridotta al nulla.
E la colpa è solo tua.
 
 
 
“So I took your hand
back through London’s streets,

I knew
everything led back to you.”


 
 
Nell’arco di poche settimane impara a piangere con gli occhi asciutti.
Torna a frequentare il club, a trattare con soci e sfidare concorrenti; a maggio prende addirittura parte ai primi eventi della Stagione. Agli occhi di un osservatore esterno, nulla in lui potrebbe dirsi mutato; l’unica stranezza, al più, è quell’immensa magione le cui stanze – tutte eccetto una – hanno le tende sempre tirate; ma gli abitanti della villa non dimenticano – mai.
Non dimenticano gli occhi di Mary Margaret mentre dà la notizia, non dimenticano Emma che piange contro il petto di Killian, non dimenticano quest’ultimo trattenuto a fatica da Archie, perché tutto ciò che vuole è andare dal Coccodrillo e vendicare l’ennesimo lutto che lui ha causato.
Non dimenticano il perché dell’ultima cameretta sigillata, né il nome che non va mai pronunciato.
Lui per primo non riesce a pronunciarlo. Ne ha assaporato per mesi il gusto così fresco e delizioso, come di primavera, come di speranza; e ora, all’improvviso, si ritrova persino incapace di pensarlo.
Non ne è degno, è questa la soluzione cui giunge: gli assassini tendono a non nominare le vittime più del dovuto per non attirare sospetti, e così sta evidentemente agendo la sua mente per cercare di far passare inosservata la sua colpa.
Ma Lei c’è – c’è stata, e ci sarebbe stata sempre: è nei libri che ha sfogliato, è nella rappresentazione di “Romeo e Giulietta” al Lyceum 4 cui non è riuscito ad andare; è in una tazzina sbeccata tenuta sempre linda, sempre pulita, mai un granello di polvere a corromperne la purezza nivea. Una tazza tanto bella quanto inutilizzabile, una tazza come tutto ciò che lo circonda – sfarzosa, incantevole e irrimediabilmente vuota.
C’è Lei in una ciocca di capelli ramati che va ad affiancare un’altra – perché la follia del suo amore tramuta tutto in cenere, lasciando dietro di sé un’eternità effimera come foschia.
No, non mi hai lasciato solo un cuore infranto e una tazza sbeccata.
Mi hai lasciato anche la prova di essere esistita.
Ed è peggio.
C’è Lei in un anello, fuoco di gioie e dolori – un anello che, quella maledetta notte, ha gettato in un cassetto e dimenticato. Lo ritrova per caso quando ormai ha smesso di sperare: stringe le dita attorno a un oggetto sconosciuto e, quando ne intuisce la natura, muore un altro po’. Si dirige verso il camino, afferra l’attizzatoio e smuove le braci contemplandole mentre riprendono vita e chiedendosi perché per gli uomini non valgano le stesse, semplici regole: vuole gettare l’anello tra le fiamme; o forse, cambia subito idea, sarà meglio nel Tamigi in cui il mondo ha gettato Lei, perché almeno nell’eternità stiano insieme.
Non ce la fa. Quella sera, il giorno dopo su un ponte, compie gli stessi identici gesti: stringe il palmo attorno all’oggettino, ne sente gli angoli mordergli la carne e accoglie quel dolore lieve quasi con un sorriso – se ancora sapesse sorridere, se la sua non fosse una smorfia foriera di nulla –, per poi rimettere in tasca il gioiello.
Non è nulla rispetto a quel che ho fatto a Lei.
Nulla.
 
 
 
“You're the song
my heart is
beating to.”
 
 
 
Sta toreando con la follia, lo sa; e più lo sa, meno vorrebbe percepire la forza furiosa della vita che lo implora di mettersi in salvo. Sempre se di forza può parlarsi, ovvio: la parte più strenua del suo animo, quella che una volta tanto lo induce ad affrontare le proprie responsabilità verso le persone anziché solo verso gli accordi, gli impone di rimanere lì, tra le mura che L’hanno sentita ridere e piangere, in quella città che gli appare triste e grigia come mai prima d’ora. È come se si fosse oscurato il cielo, come se il sole avesse improvvisamente smesso di splendere e una voragine buia ne avesse preso il posto; una voragine dinanzi alla quale la gente passa senza porsi domande, senza notare quell’assenza che annulla ogni cosa – che annulla lui.
Ma la sua metà più coraggiosa ha sempre la peggio nel confronto col Gold più codardo, col Gold che ha un disperato, insaziabile desiderio di autoconservazione. Il Gold che è pronto a tutto pur di continuare a imperversare nel mondo, che è disposto anche ad accontentarsi di una vita che ha perso la rotta e che procede lenta, in un continuo di giorni senza senso e senza direzione.
È quella metà a decidere, a guidare la mano nella firma di documenti che lo conducono lontano e mascherano l’ennesima defezione dietro diciture altisonanti.
Partecipazioni sociali, quote, scissioni.
La verità è un’altra.
La verità è la tua ennesima fuga.
Il 20 luglio 1889 Robert Gold salpa da Southampton lasciando dietro di sé una scia di pettegolezzi destinati a non trovare soluzione.
Parte con tre semplici obiettivi.
Espandere il mercato negli Stati Uniti.
Recuperare una parvenza di equilibrio mentale.
Dimenticare.
Ne fallisce due su tre.
 
 
 
So open your eyes and see
the way our horizons meet,
and all of the lights will lead
into the night with me.
 
 
 
 
Trascorre le giornate sul transatlantico di lusso rintanato nella cabina in cui ha – quasi – tutto il desiderabile: s’immerge nei preparativi per il lavoro che svolgerà, vive di calcoli e piani uscendo solo all’alba e al tramonto. Osserva vago la foschia che si leva dall’acqua, la nebbiolina tremula che ha lo stesso non colore di Londra e che poi esplode nel giallo giunchiglia, nel rosa primula di un cielo in fiamme che si riverbera su una distesa nera – è nero, l’oceano, nero.
Non azzurro.
Non blu, come i lampi che attraversavano quegli occhi quando il piacere li scuriva.
Nero come la tua anima.
Ma un giorno, quando si rende conto di non aver pensato subito a Lei scrutando l’acqua scura, è una paura immensa a chiudergli la gola e mozzargli il respiro. Quasi non è in grado di formulare il pensiero che per primo gli balza in mente, quasi non riesce ad affrontarne le implicazioni.
L’ha dimenticata? Possibile che abbia già nascosto nell’angolo più remoto colei che l’ha tenuto prigioniero – e mai ostaggio fu più felice di essere tale – per tanti mesi? Ha già ottenuto la libertà che cercava così lontano da casa?
In quell’istante, Robert Gold decide di crederci, decide di illudersi. Di affidarsi a quella realizzazione, riponendovi la fiducia che non sa dare alle persone, perché solo in questo modo può guardarsi allo specchio e pensare di aver sconfitto i propri demoni, di essere stato più forte, più forte di ogni cosa – più forte di Lei.
Riflette solo per un minuto sulla tristezza della situazione, su come una manciata di miglia abbia fatto sfumare un amore che credeva – era – tanto radicato in lui. È normale che sia diventato un fantasma nell’arco di così poco tempo? Era davvero vero amore, il loro?
Preferisce non rispondere.
Fuggi, fuggi ancora dalla verità.
Forse sì, si dice. Per quanto terribile, è normale: la vita s’impone ancora una volta e morde con furia ciò che il mondo ha da offrirle, senza fermarsi.
Andandosene ha fatto la cosa migliore, il tempo gli darà ragione.
Fuggi, fuggi ancora dalla verità.
Il 3 agosto 1889, data di sbarco a New York, sono un sole splendente e un cielo tersissimo ad accoglierlo.
Un cielo di una purezza rara, di un azzurro che ferisce gli occhi e inebria la mente, se ne impadronisce e non si fa scordare; un azzurro che permane, che le nubi possono solo illudersi di coprire, ma che resta.
Resta sempre.
Nell’istante in cui Robert Gold lo scorge, è a un paio di occhi che va il suo pensiero. Un paio di occhi dello stesso colore di questo cielo che lo sovrasta beffardo, che fa cadere l’estrema illusione, l’estrema palizzata con cui ha provato a difendersi, con cui ha provato a perdonarsi.
No.
È difficile trattenere una risata folle, sorella di quelle che l’hanno accompagnato nelle prime notti dopo la fine.
Non L’ha dimenticata.
Non L’ha saputa – non L’ha voluta – dimenticare.
Se davvero avesse voluto far scivolare il Suo nome nell’oblio, farlo portare via dal vento come foglia secca, allora non avrebbe portato con sé una tazza sbeccata: l’avrebbe fatta riporre in una cassa con le altre, confusa nel mucchio nonostante la sua intrinseca, connaturale diversità. Avrebbe gettato in mare quella trecciolina – l’avrebbe lasciata tornare al tutto da cui tutto deriva, l’avrebbe perduta per sempre e non se ne sarebbe pentito.
Ma così non è stato, e improvvisamente, mentre la nave attracca, mentre si accinge a iniziare una nuova vita, la ragione gli è chiara.
Lei è rimasta.
Gli è entrata nel cuore, colpendolo e conquistandolo, rendendolo suo in tutti i modi in cui è possibile rendere propria una persona.
In ciò che lo circonda, nell’aria che respira, in questo cielo c’è Lei, e la distanza nulla ha potuto; perché Lei è con lui, in lui, una scheggia selvaggia che lo fa sanguinare e, a un tempo, lo tiene vivo.
Lei è questo cielo dal colore dei suoi occhi, che non gli dà requie e che gli è rimasto dentro, nel profondo di lui; e fuggire non gli è di alcun giovamento.
Potrà cambiare il cielo, ma non potrà mai cambiare il suo animo.
Non potrà mai cambiare il modo in cui Lei l’ha cambiato.
Il cuore gli batte forte, un tamburo che non perde il ritmo, che si ostina a pulsare ancora e ancora. Robert Gold porta una mano al taschino e ne estrae il contenuto: l’oro della fascia sembra bruciare, come la pietra di quel celeste mai opaco, mai spento.
Si lascia scivolare l’anello al quarto dito della mano sinistra: come una fede, come uno sposo, e lui, capisce in quel momento, è sposato.
Sposo e vedovo prima di pronunciare i voti, prima di poter conoscere il matrimonio.
È suo sposo e vedovo, e a Lei rimarrà fedele.
Sempre.
 
 
 
New York, 1893
 
- Torni dentro?
Una voce suadente e carezzevole come il manto di una gatta lo riscuote dai suoi pensieri. La sigaretta si è quasi consumata tra le dita; la butta via con un colpo secco, seguendone la caduta con lo sguardo.
Lontano, lontano, ancora lontano.
Come se si potessero gettar via anche i ricordi, anche il passato.
- Tra un attimo.
Contempla l’anello che porta ancora all’anulare sinistro.
Non ha tenuto fede nemmeno all’ultima promessa.
 
 
 
Londra, 1893
 
Come hai fatto a dimenticarmi così in fretta, come hai fatto?
 
 
 
“And I know these scars will bleed,
but both of our hearts still bleed,
all of these stars will guide us
home.”

“All of the stars” - Ed Sheeran
 
 
 
 
 
 
1: “Coloro che vanno per mare cambiano il cielo, non l’animo” – Orazio, “Epistole a Bullazio”, libro I, lett. XI. Un sottotitolo quanto mai adatto, che ho ripreso anche nel finale;
2: il Cheltenham Ladies’ College era uno dei più rinomati collegi femminili. Le ragazzine di buona famiglia venivano mandate lì per imparare le buone maniere, la musica, le lingue e il disegno e diventare delle perfette Ladies - http://en.wikipedia.org/wiki/The_Cheltenham_Ladies%27_College;
3: adattamento dell’ormai celebre “Tu l’hai stuprata! Tu l’hai assassinata! Tu hai ucciso i suoi figli! Dì il suo nome!” di Oberyn Martell – da “Le cronache del ghiaccio e del fuoco – Tempesta di spade” di George Martin;
4: il Lyceum Theatre è ancora oggi uno dei più prestigiosi teatri della città - http://it.wikipedia.org/wiki/Lyceum_Theatre.
 
 
 
 
 
 
 
N. d. A. : Bentrovat*, Dearies! ♥
Sì, lo so: a pagine di angst avreste preferito scoprire le sorti di Belle,ma vi assicuro che entro quattro settimane, quindi due capitoli, avrete il quadro completo della situazione e saprete tutto ciò che è accaduto durante la separazione. Promesso. Perciò pazientate ancora un pochino… ;)
Alla fine ho deciso di seguire in tutto e per tutto la 1x12, facendo passare per morta la protagonista; spero di aver gestito la situazione senza andare troppo OOC, ma in caso contrario fatemelo notare senza remore: sapete che sono sempre curiosa di conoscere il vostro parere! Ho voluto sottolineare tanto il dolore di Gold – non per crudeltà gratuita! XD – perché, mentre nel telefilm dopo la “morte” di Belle l’Oscuro ha comunque Bae da trovare e quindi una ragione per andare avanti, qui non ha nulla. Umanamente ha perso tutto, e l’ennesima bugia cui crede, i sensi di colpa per essere stato concausa della fine dell’amata lo distruggono definitivamente. Comunque sia, la vostra opinione è benvenuta!
Le ripetizioni di “lei” e la maiuscola in quanto riferito a Belle sono volute; l’unica camera le cui tende non vengono più tirate è lo studio: nel mio headcanon, Rumpel non le rimette a posto dopo la cacciata di Belle in omaggio alla sua memoria.
Grazie mille a chi leggerà questa oneshot, a chi la recensirà e a chi l’aggiungerà a una categoria; e grazie a quant* mi hanno fatto sapere la loro sull’epilogo di “Cleaning all that I’ve become” senza trucidarmi e, anzi, esprimendo il loro amore per la storia qui e sulla pagina Facebook “Euridice’s World”.
Ci si legge sabato 29 novembre col primo capitolo della seconda parte della long – vi anticipo il titolo: “Comin’ back as we are”! :)
Bacioni, raggi di sole! ♥
Euridice100
 
   
 
Leggi le 16 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Once Upon a Time / Vai alla pagina dell'autore: Euridice100